Melting pot - N. 1 (il cardinale Biffi)

 

1. Hanno destato notevole scalpore, e sono state accolte con diverso favore (anche all'interno della stessa comunita' ecclesiale), le dichiarazioni del cardinale di Bologna, Giacomo Biffi, sul problema dell'immigrazione. In effetti, e' ovvio che sia stato cosi', in quanto esse richiamano l'attenzione su un problema molto importante, che per cecita' o incapacita' la gran parte del paese (avviata verso una sorta di "suicidio" collettivo, che secondo le direttive del "politically correct" bisognerebbe accettare senza neppure protestare: "se ti piace bene, e se non ti piace e' lo stesso", questo il ritornello insistente dei vari "democratici"!) ha deciso di ignorare, o di sottovalutare.

"Non esiste il diritto di invasione. Nulla vieta allo Stato italiano di gestire l'immigrazione in modo che sia salvaguardata la sua identita' nazionale ... [Lo Stato] da' tuttora l'impressione di smarrimento e pare non abbia ancora recuperata la capacita' di gestire razionalmente la situazione ... I criteri per ammettere gli immigrati non possono essere solamente economici e previdenziali. Occorre che ci si preoccupi seriamente di salvare l'identita' propria della nazione. L'Italia non e' una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza una inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente."

La motivazione specifica ispiratrice dell'azione dell'uomo di Chiesa ha riguardato in realta' "il problema della islamizzazione strisciante dell'Europa, né Biffi è stato il primo o l'unico a richiamare l'attenzione sul tema delicatissimo dei rapporti tra cristianesimo e islamismo, avvalendosi anche dell'esperienza di vescovi di altre nazioni d'Europa, ove i musulmani sono cresciuti negli ultimi anni, superando il milione o addirittura, come in Francia, i due milioni" [da ]. Secondo Biffi, infatti, "uno Stato davvero laico, che volesse risparmiare al popolo italiano tante sofferenze, avrebbe convenienza a gestire l'immigrazione in modo da privilegiare i cattolici (latino-americani, filippini, eritrei)".

Da tale impostazione qui prendiamo le distanze, sia per stima e rispetto nei confronti della secolare civilta' islamica - oggi addirittura unica parte "vicina" capace di porre un freno agli "eccessi" dell'Occidente - sia perche' l'esperienza della molteplicita' degli usi e dei costumi puo' sempre essere positivamente utilizzata da ogni societa', quando pero' non diventi sopraffazione, annichilimento. Riteniamo invece che siano le ultime parole della prima dichiarazione sopra riportata quelle che dovrebbero essere prese da tutti nella massima considerazione. E' chiaro infatti che siamo di fronte a un progetto, neppure troppo celato, di costituzione di un "melting pot" su scala mondiale: ma se questo ha avuto un senso in diverse parti del "Nuovo Mondo", visto che si trattava allora di un contenitore vuoto che bisognava comunque riempire (essendovi stati sostanzialmente eliminati i primitivi abitanti, che si racconta fossero comunque "pochi"), non ha al contrario alcun senso laddove esistono invece delle civilta' gia' formate, complete - come dire, laddove sono completamente diverse le "condizioni iniziali"!

L'unico modo di arrivare in questi casi alla "globalizzazione" e' quello di fare tabula rasa del preesistente, ed e' cio' che stanno cercando in effetti di realizzare gli "adelphi della dissoluzione" nel nostro paese. C'e' da scommettere del resto che rivolgeranno la loro "benevola" attenzione negli anni avvenire anche ai paesi islamici (che intanto restano in ogni caso sin da ora indeboliti - e poi meglio se a cavare eventuali castagne del fuoco saranno per esempio gli europei, all'interno di una contrapposizione artificiale tra "vittime" dello stesso progetto!).

Tali considerazioni non sono piu' neppure troppo rare, si veda per esempio la relazione del Procuratore Generale de L'Aquila riportato nel punto D/2 della pagina Attualita' del presente sito, al quale fa eco Mons. Cosmo Francesco Ruppi, arcivescovo di Lecce, quando si chiede:

"Ora è l'intelligenza stessa che ci impone di vigilare, chiedendoci tra l'altro: la spinta all'emigrazione soprattutto da taluni Paesi, è guidata, voluta o pilotata da qualcuno?".

Purtroppo sembra trattarsi di una lotta dall'esito segnato, dal momento che tutti i mezzi di informazione sono massicciamente impegnati da una stessa parte, riempiendo la testa alla gente di facili belle parole, e trovando cosi' facile esca nella bramosia tutta italiana di mostrarsi "buoni", di non resistere alla tentazione di fare bella figura.

A questa tipologia di interventi si puo' ascrivere il frequente ricorso al paragone con gli emigranti italiani, che prima di tutto e' senza fondamento per i detti motivi, e senza che si precisi poi tra l'altro se le nostre donne cadessero frequentemente nelle reti della prostituzione organizzata, e gli uomini in quelle dello spaccio della droga e di altra ordinaria criminalita', tutti esiti resi invece oggi possibili dalla completa inefficienza e sgretolamento dello "stato". Questo si trova nelle attuali penose condizioni per mancanza di adeguata analisi socio-politica da parte di una classe dirigente che "fa i conti con l'orologio anziche' con il calendario" (per citare un'espressione molto azzeccata dell'On. Bossi), quando non sia del tutto connivente (vedi "Dissenso" N. 20bis).

Tanto per fare un esempio significativo di atteggiamenti del tutto inadeguati al problema, riferiamo che: "non ha dubbi Luciano Violante, presidente della Camera, che dribbla elegantemente il caso-Biffi sottolineando che 'la Chiesa cattolica con Giovanni Paolo II si è avviata in modo importante sul versante dell'ecumenismo' e che 'l'Italia è un paese tollerante'" [stessa fonte dianzi citata].

La questione e' invece estremamente grave, ed e' buffo osservare come, da quel coacervo di contraddizioni che e' la Bibbia (dalla quale si puo' estrarre una citazione conveniente per ogni occasione) stia scritto per esempio (Ecclesiastico, 11,36): "Ricevi nella tua casa lo straniero, ed egli la mettera' sottosopra, e la rovinera', e ti spogliera' anche del tuo", ma oggi nessuno ha il coraggio di citare queste parole.

2. A prescindere da considerazioni di tipo ideologico, che nel nostro paese non possono non coinvolgere le sue radici culturali di origine cristiana, c'e' chi affronta il problema dal punto di vista piu' pratico dell'ECONOMIA. Un'altra fonte assai autorevole, il presidente del Senato Mancino, spiega infatti assai chiaramente che: "islamici, buddisti, cattolici non c'e' differenza: il lavoro degli immigrati puo' coesistere con i sentimenti religiosi", con cio' ribadendo "un concetto gia' espresso da altri: il flusso migratorio, se corrisponde al fabbisogno delle nostre industrie, e' necessario" [da "La Nazione", del 7.10.2000]. Tenuto conto di questo tipo di dichiarazioni, c'e' da chiedersi naturalmente, con riferimento alla domanda formulata dall'arcivescovo di Lecce, se allora tali flussi siano proprio un frutto spontaneo dei vari "scafisti", e di reali difficili situazioni economico-politiche alla fonte, etc., o se non ci sia invece a capo di tutto un'organizzazione interessata a che certi eventi si verifichino, e non vengano contrastati da nessuno.

Sarebbe anche ovvia l'osservazione che questi interessi di parte potrebbero costare carissimo in futuro al popolo italiano (nonostante cosa ne pensi in proposito Maurizio Costanzo, che su "Il Messaggero" del 18.10.2000 sostiene addirittura che: "gli immigrati rappresentano la qualita' del nostro futuro" - un'altra pia illusione alla quale forse qualcuno, tra i piu' ingenui e i piu' condizionati, ancora crede, ma dubiterei che ci creda sul serio lo stesso Costanzo!), cosi' come gli interessi dei piantatori del Sud degli Stati Uniti costarono una sanguinosissima guerra civile durata ben 4 anni (nella quale non morirono solo i proprietari terrieri), ma preferiamo replicare a questo tipo di argomentazioni citando delle controargomentazioni ad esse omogenee, come quelle dell'economista Guido Bolaffi, che rileva (sul "Corriere della Sera" del 20.7.2000): "l'evidente contraddizione tra le sempre piu' pressanti richieste del mercato per l'arrivo di nuovi immigrati e l'altissimo numero di disoccupati meridionali impietosamente denunciato ... dall'ultimo rapporto della Svimez" [sentir parlare di "mercato" come di una persona, o un gruppo organizzato di persone, dotato di coscienza e volonta' collettiva, la cui espressione nel caso del gruppo deve essere in ogni caso convenientemente regolamentata, mi irrita sempre!]. Lo studioso aggiunge che:

"All'opposto di tutti gli altri Paesi industrializzati, l'Italia e' cosi' diventata quasi per volonta' altrui terra di immigrazione prima ancora di aver raggiunto la piena occupazione ... Poiche' l'economia settentrionale e' prossima alla piena occupazione, e' chiaro che i nuovi posti in fabbrica e nei servizi, soprattutto quelli meno qualificati, vengono occupati dagli immigranti. Non c'e' percio' da meravigliarsi se ... proprio l'opportunita' di reperire forza lavoro altrimenti introvabile finira' per sconsigliare definitivamente le imprese del Nord a trasferire impianti e posti di lavoro nelle regioni del Sud ... Infine, non va neppure sottovalutato un altro negativo risvolto che la crescita dell'immigrazione, soprattutto se illegale, puo' determinare nel fragile processo di sviluppo dell'economia meridionale. Molti studi dedicati al ruolo dell'immigrazione nelle aree piu' arretrate hanno ormai sufficientemente chiarito come la presenza dei lavoratori stranieri "primomigranti", in larga parte irregolari e a elevata propensione all'autosfruttamento, tende a frenare la modernizzazione dei settori produttivi tradizionale e a rallentare l'emersione dell'economia sotterranea. Negative sono dunque le conseguenze sulla regolarita' dell'occupazione e, sebbene la loro presenza non determini effetti significativi sul livello dei salari ufficiali, aggrava pero' la capacita' contrattuale e le condizioni di lavoro degli occupati nell'economia informale."

Ma, lo si sa, l'economia non e' una scienza esatta (e' offensivo esprimere l'opinione che si tratti soltanto di un insieme disordinato di pareri, piu' o meno razionalmente e sperimentalmente fondati, tra i quali vengono scelti di volta in volta quelli che piu' si prestano a giustificare le scelte del potere?!), e quindi non c'e' nessuna speranza che una "ragione" obiettiva possa prevalere.

3. "Competenza" per competenza, non ritengo allora meno significativo il "modesto" intervento di uno dei giovani frequentatori di questo sito, RL, che riporto qui di seguito integralmente, insieme al commento di un altro piu' maturo corrispondente (AB):

"Leggo dell'immigrazione... necessitano non si sa quanti immigrati per il nostro benessere... ma il benessere di chi? Degli industriali incapaci che hanno bisogno di manodopera a basso costo per i loro impianti obsoleti... o per i ricchi che hanno bisogno di lavoratori domestici... ma alla fine questi lavoratori non dormono all'Olgiata... il disagio è a Centocelle... è una follia... E poi la storia degli italiani che certi lavori non li vogliono più fare... che c…! e tutti che le ripetono bovinamente annuendo! Sono c… ripetute all'infinito da persone che guadagnano minimo 10.000.000 al mese netti, qualcuno gli vorrà spiegare che gli italiani sono disposti a fare qualsiasi lavoro solo che hanno ormai la sfacciataggine di voler essere pagati decentemente? (1.500.000 al mese... la maggior parte della gente che lavora non ci arriva)." (RL)

"RL ha toccato un punto fondamentale; le stesse cose le penso anch'io ma nessuno le scrive sui giornali: i giovani non si muovono perché l'Italia paga stipendi che non hanno paragone in Europa (in Svizzera lo stipendio iniziale è sui 4 Mil./mese e più di 3 in Germania), pertanto vogliono gli immigrati per continuare a tenere questi livelli da fame ed il governo è d'accordo sperando di ottenere così una maggiore competitività per i nostri prodotti. C'è poi la Chiesa che preme con le sue spinte eversive: ancora immigrati e detenuti." (AB)

Chiudiamo con un'ultima sottolineatura, relativa all'esistenza di posizioni che ci sembrano assai poco considerate. Non mancano infatti coloro che sono favorevoli al fenomeno migratorio non perche' non siano consapevoli dei riflessi negativi che esso puo' avere sulla societa' italiana tutta intera, ma proprio per queste prevedibili conseguenze: vale a dire, per rancore e disprezzo nei confronti di un paese nel quale non si riconoscono piu', e preferiscono allora vedere i nuovi arrivati al posto di coloro che detestano. Ma se e' in fondo comprensibile una reazione emotiva di fronte all'egoismo e l'ottusita' di larghi strati dell'attuale popolazione, non e' certo la distruzione della nostra "cultura" l'opportuno rimedio...

 

(UB, ottobre 2000)