Sistemi caotici e fanta-socio-politica

 

"Il mio Paese mi fa male", cosi' si lamentava il povero Robert Brasillach di fronte ai tanti evidenti guasti del mondo di oggi*, e cosi' non posso non lamentarmi anch'io, quando trovo certi esempi di "pensiero" moderno, come quello che segue:

"La nuova sfida per la politica è quindi quella di saper fare l'inventario delle diverse tendenze senza avere la pretesa di interpretazioni unificanti all'interno di un nuovo "pensiero forte" da sostituire alle tramontate ideologie. Essa deve accettare l'idea di un "pensiero debole" della società nel senso che deve rinunciare alla pretesa di un ordine che rappresenti la continuazione degli ordini precedenti sotto forme diverse e porsi al servizio della società cercando di interpretarne i cambiamenti, le aspettative, le esigenze organizzando un network intelligente che riesca a far convivere e collaborare i tanti ordini, sottordini, microordini esistenti per indirizzarli verso obiettivi comuni. Siamo dominati dall'idea che i sistemi sociali debbano tendere all'equilibrio; in realtà la globalizzazione e la necessità di integrazione dei sistemi portano alla creazione di nuovi squilibri. Siamo di fronte ad una "dinamica degli strappi" ad un "procedere per rotture" e per segmenti senza che vi sia la possibilità di ricomporre gli strappi perché mancano valori omogenei in grado di rappresentare tutti e perché manca una politica che sappia farsi carico delle minoranze. Lo stesso concetto di sviluppo si modifica, non può più essere "lineare" ma deve arrendersi alla "discontinuità". Diventa sempre più difficile individuare un inizio ed un traguardo. Esistono molteplici punti di partenza (eventi), tante possibilità di diramazione (biforcazioni) e, soprattutto molti scenari (effetti) possibili. Il cambiamento non solo interviene come effetto di cause individuate o predeterminate, ma è il frutto di eventi che si modellano intorno a connessioni casuali di rapporti, di comunicazioni tra individui, gruppi ed istituzioni, dove casuale è inteso nel senso di probabile. Dal cambiamento come fenomeno controllabile e spiegabile in termini evoluzionistici si passa al cambiamento come dimensione probabile, in cui l'interconnessione degli eventi diventa imprevedibile e, di conseguenza, caotica. La "società eventuale", infatti, non è soltanto la società degli eventi, intesa come modellata dagli stessi, ma è soprattutto la società dell'eventualità, della probabilità che diventa elemento costitutivo, della possibilità del verificarsi di un evento concepita come molteplicità delle prospettive offerte dal caso. Tutto è possibile, nulla è improbabile: anche l'assurdo. Si assiste dunque al superamento di una concezione in cui ordine e ciclicità sono gli stati di vita normale di un sistema, mentre disordine, caoticità ed incomprensibilità sarebbero momenti transitori, opposti ai primi e non coesistenti. La "società eventuale" è la sfida che abbiamo di fronte e con la quale dobbiamo misurarci, ma essa esige forte determinazione, capacità di costruzione ed una virtù ormai quasi dimenticata: il coraggio.

[...]

Ognuno di noi deve iniziare a "riparare la sua finestra", a farsi carico di uno sforzo per migliorare le cose. Non ci sono alibi: a volte anche un gesto, un atto apparentemente insignificante, potrebbe rivelarsi quello che determinerà la svolta. Tutto diventa importante perché tutto dipende da noi."

Mi ci sono imbattuto andando a sbirciare nel sito eurispes.com (di cui avevo sentito parlare tanto in questi giorni a proposito della relazione annuale sullo stato del nostro paese formulata da questa associazione - uno stato che e' miserevole anche secondo loro, su cio' siamo d'accordo): uno splendido esempio di quanto ho sempre denunciato, sulla possibile influenza, fraintendimento e "transito" perniciosi di certi "paradigmi" scientifici di moda (e qui c'e' di tutto, indeterminazione quantistico-probabilistica, sistemi caotici, effetto farfalla, etc.) nel pensiero socio-politico-filosofico-etico quotidiano - al punto da far pensare addirittura che il "successo" di questi "pensieri" sia dovuto proprio a tale tipo di "spendibilita'", anziche' a quella propriamente scientifica (assai discutibile, propaganda a parte!).

Ogni commento sarebbe al solito superfluo, ma non riesco a non sottolineare almeno come si passi bellamente in siffatto tipo di "retorica" da "non lineare" a "discontinuo". Tra l'altro, l'interrogativo rimarchevole sarebbe: ma opinioni del genere sono di destra o di sinistra?!, oppure queste due "categorie", per esempio il nazionalismo caratteristico delle destre, non "esistono" davvero piu', perche' cosi' hanno deciso i "gruppi di potere" capaci di dettare le attuali strategie di condizionamento culturale alla classe degli intellettuali privi di autonomia di pensiero, e sempre smaniosi di salire, ben pagati, sul carro dei "vincitori"?

* Prendo a prestito l'esordio di un articolo di Giovanni Formicola, dal titolo "O' paese mio m'addolora", ricevuto lo scorso 18 gennaio tramite il solito gruppo [politica_cattolici] (che sara' inserito nel successivo "Consenso" N. 50).

 

(UB, febbraio 2001)