La dilatazione relativistica del tempo

e il "paradosso dei gemelli":

una polemica mai sopita

 

(Umberto Bartocci)*

 

 

1

 

Sono passati ormai quasi 100 anni dal fatidico 1905, l’anno in cui Albert Einstein pubblicò i suoi due primi lavori dedicati alla teoria che avrebbe sconvolto la fisica (ma non solo) del XX secolo, e associato al suo nome una fama duratura. Eppure, alcune delle novità concettuali da lui introdotte in ordine al trattamento dello spazio e del tempo continuano a suscitare discussioni e polemiche appassionate1, tanto più sorprendenti quanto più l’opinione comune dei fisici di oggi, riguardo al valore delle nuove concezioni, è arrivata al punto di esprimere i seguenti pareri: "La possibilità che un dubbio sulla teoria della relatività possa essere accolto è la stessa che avrebbe un dubbio sul sistema copernicano"; "Nessun fisico, a meno che sia folle, può mettere in dubbio la teoria della relatività"; "Special Relativity: Beyond a Shadow of a Doubt" 2.

Dicevamo che, nonostante l’apprezzamento della teoria sia (quasi) unanime, di certe sue caratteristiche contro-intuitive si continua a discutere in modo acceso. Tra gli argomenti che ancora oggi maggiormente colpiscono l’attenzione non soltanto popolare ma anche degli "addetti ai lavori", è certo da annoverarsi il fenomeno della dilatazione del tempo, che continua ovviamente a essere prescelto come campione della natura profondamente rivoluzionaria della concezione relativistica del tempo. Così, seguita a essere criticato dai (pochi, ma tuttora attivi e vivaci) contestatori di Einstein, mentre le sue pretese verifiche sperimentali vengono enfatizzate con grande rilievo dai fautori del punto di vista relativistico.

Tra le forme più espressive con le quali viene enunciato tale fenomeno3, va senz’altro annoverato il cosiddetto paradosso dei gemelli, introdotto dal fisico francese Paul Langevin nel 19114. L’essenza dell’argomento è troppo nota perché ci si debba diffondere sopra in modo particolare5: di due "gemelli" A e B, il secondo parte per un certo viaggio, e al ritorno trova il fratello invecchiato rispetto a lui.

Senza ledere in alcun modo la generalità6, possiamo tentare di descrivere la situazione in uno spazio-tempo di Minkowski 2-dimensionale, riferito ad un sistema R di coordinate lorentziane (x,t) (spazio, tempo), con ds2=dx2-dt2 7, e ivi considerare i seguenti due "osservatori" A e B (per ogni a>g-1>0):

A : x = 0, t = t A; B : x = a-g-1cosh(gt B), t = g-1sinh(gt B)8.

E’ immediato verificare che si tratta effettivamente di due parametrizzazioni, con tempi propri rispettivi t A e t B, entrambe future-pointing. Mentre A continua a "restare fermo" (in R), nell’origine, al trascorrere indefinito del tempo t, B si trova a "coesistere" con A nell’evento e1 = (0,-Ö (a2-g-2)), risultante dall’intersezione della retta x = 0 con il ramo d’iperbole

(x-a)2-t2 = g-2 (x<a, t(e1)<0), poi se ne allontana nel senso delle x crescenti (descrivendo la detta traiettoria iperbolica nello spazio-tempo) fino al punto a-g-1, indi si riavvicina ad A, incontrando di nuovo la traiettoria di questi nell’evento e2 = (0,Ö (a2-g-2)), risultante dall’altra intersezione (t(e2)>0) tra le due linee prese in considerazione.

Notiamo esplicitamente che, dalle relazioni x = a-g-1cosh(gt B), gt B = settsinh(gt), si deduce che la legge oraria di B in R è fornita dalla x = a-g-1cosh(settsinh(gt)) = a-Ö (t2+g-2), e che quindi il moto di B si svolge a velocità "pressoché uniforme", assai prossima a 1 (in modulo) al divergere del parametro g, il quale assume le caratteristiche di "accelerazione" di detto moto9.

Orbene, il paradosso ha origine dal confronto tra i tempi (propri10) impiegati dai due osservatori nel compiere i loro rispettivi tragitti. L’intervallo di tempo trascorso per A tra i due eventi e1 ed e2, distacco e ricongiungimento degli osservatori, è uguale a: D t A = D t = t(e2)-t(e1) = 2Ö (a2-g-2), laddove l’analogo intervallo di tempo (proprio) trascorso per l’osservatore B è (molto) minore di questo, risultando uguale a:

D t B = t B(e2)-t B(e1) = 2g-1settsinh(Ö (a2g2-1)).

Ne consegue subito infatti il paradosso accennato, quando si osservi che, al divergere di g11, e ponendo per esempio a = 1, D t A risulta prossimo a 2, mentre D t B è infinitesimo.

Il calcolo di D t B può essere effettuato anche in un altro modo, che mette in rilievo la dipendenza del fenomeno indagato dalla velocità (scalare) vB di B in R, ovvero dalla velocità di B rispetto ad A.

Si parte dalla relazione dt B = Ö (1-vB2)dt, che lega l’intervallo infinitesimo di tempo proprio dt B all’intervallo infinitesimo di "tempo coordinato" dt, e si integra dt B sull’arco d’iperbole avente gli estremi negli eventi e1 ed e2:

D t B = INT (dt B) = INT (Ö (1-vB2)dt) = INT t(e1),t(e2) [(1+g2t2)-1/2dt] =

2g-1settsinhÖ (a2g2-1).

Come si vede, il risultato finale è (ovviamente) lo stesso, ma la procedura ha anche il merito di mostrare immediatamente che risulta sempre in effetti D t B < D t A = D t, la quale asimmetria costituisce appunto l’aspetto paradossale della situazione presa in esame: B risulta più giovane di A, o, se si preferisce, di lui meno invecchiato, apparentemente per il solo effetto di una "velocità relativa", che dovrebbe avere quindi una valenza simmetrica!

 

 

2

 

Cos’è che rende questo argomento oggetto di tante, infondate, contestazioni? Si tratta di una considerazione che fu espressa in modo esemplare da H. Dingle, sotto la forma logicamente ineccepibile del sillogismo (ad essa ci si riferisce infatti anche come al sillogismo di Dingle):

 

"(1) Secondo il postulato di relatività, se due corpi (per esempio, due orologi identici) si separano e si ricongiungono, non esiste alcun fenomeno osservabile che possa mostrare in un senso assoluto se sia stato l’uno o l’altro a muoversi;

(2) Se al momento del ricongiungimento un orologio è ritardato di una quantità dipendente soltanto dal loro moto relativo, e l’altro no, quel fenomeno starebbe a dimostrare che è stato il primo a muoversi e non il secondo:

(3) Ne segue che, se il postulato di relatività è vero, gli orologi debbono essere ugualmente ritardati o non esserlo affatto; in ciascuno dei due casi, la loro lettura deve dare risultati uguali al momento del ricongiungimento se dava risultati uguali al momento della loro separazione"12.

 

Peccato per questo autore (nei confronti del quale lo scrivente nutre peraltro una certa stima, avendo avuto modo di citarne più volte gli scritti), che un sillogismo abbia valore non solo quando la forma con cui viene espresso è impeccabile, ma anche quando la sostanza delle sue affermazioni è corretta. Nel nostro caso è evidentemente errata la Premessa Maggiore (1), e ciò fu fatto già a suo tempo immediatamente notare al proponente il paradosso da W.H. McCrea: "Nella lettera del Professor Dingle, l’enunciato (1) è dimostrabilmente falso"13.

Ne consegue per il presente autore una situazione teoretica personale alquanto curiosa, e sgradevole. Da un canto, nutre fondati dubbi sulla validità del Principio di Relatività in natura, e non solo con riferimento alla sua estensione dal campo meccanico a quello ottico, ed elettromagnetico14. Dall’altro, si trova a dover rifiutare "semplicistiche" dimostrazioni di questa invalidità fornite da argomentazioni del tipo di questo sillogismo, il quale vorrebbe addirittura dimostrare una contraddizione interna alla teoria della relatività15.

Il sillogismo è stato recentemente riutilizzato per assurdo, e si potrebbe dire ancora più paradossalmente, nel seguente modo16: il Principio di Relatività implicherebbe che un certo fenomeno non può essere vero; esso appare invece sperimentalmente ben confermato; ecco allora che quel principio non può essere vero.

Ne scaturirebbe la bizzarra (da un punto di vista logico) circostanza secondo cui: il Principio di Relatività sarebbe capace di prevedere un fenomeno quale quello della dilatazione dei tempi; questo risulterebbe sperimentalmente verificato; tale circostanza, anziché essere annoverata tra i successi e le conferme del principio, verrebbe viceversa a costituire una delle sue smentite!

L’equivoco nasce tutto dalla pretesa simmetria di ruoli tra i due osservatori A e B17, dovuta a quel tipo di ragionamenti "approssimati" che si fanno talvolta in fisica in certe situazioni: il moto è quasi sempre uniforme, l’accelerazione interviene solo per un tempo brevissimo, etc. Quando B viaggia rispetto ad A, può anche legittimamente dirsi che sia A a viaggiare rispetto a B, e A ad essere dotato di una velocità rispetto a B, la quale dovrebbe essere capace di farlo "invecchiare" di meno, e non viceversa. In effetti, dovrebbe essere invece chiaro che la pretesa interscambiabilità dei ruoli tra A e B è del tutto infondata: qui non siamo di fronte ad alcuna simmetria, come ben sottolineato dal citato McCrea. Mentre l’osservatore A è inerziale (o, come si dice anche, "in caduta libera"), e la sua traiettoria una geodetica dello spazio-tempo, l’osservatore B non è inerziale, la sua traiettoria non è geodetica, e non esiste un sistema di coordinate locali (x’,t’) dello spazio-tempo, in cui B sia rappresentato dalla linea x’ = 0, che sia sincronizzabile18.

Si può prendere atto di quale sia la "realtà matematica" della situazione19, effettuando esplicitamente il calcolo della variazione del tempo proprio di A dal punto di vista di B.

Non è troppo difficile dimostrare20 che si può introdurre in modo naturale un sistema di coordinate (evidentemente non lorentziane) "adattato a B":

x = Ö ((x-a)2-t2)-g-1, t = g-1setttgh(t/(a-x))

[le inverse delle precedenti trasformazioni sono:

x = -(x +g-1)cosh(gt )+a, t = (x +g-1)sinh(gt )],

tali che x <0 rappresenta l’interno del ramo d’iperbole in considerazione, e x = 0 (con t = t ) la cosiddetta worldline di B.

La legge oraria di A rispetto a B viene così data dalla

x = 0 = -(x +g-1)cosh(gt )+a ® x = a/cosh(gt )-g-1.

E’ immediato verificare che la nuova coordinata t , mentre fornisce il tempo proprio di B, non assume affatto le veci di un tempo proprio di A. Se vogliamo sapere quanto vale dt A, ovvero dt, espresso nelle coordinate (x ,t ), dobbiamo piuttosto calcolare direttamente:

dt = ( t/ x )dx +( t/ t )dt = sinh(gt )dx +g(x +g-1)cosh(gt )dt , dalla quale, mediante la sostituzione dx = d(a/cosh(gt )-g-1) =

-(agsinh(gt )/cosh2(gt ))dt , si ottiene finalmente

dt = (ag/cosh2(gt ))dt .

Si constata allora subito che l’espressione del dt non proviene affatto da una relazione del tipo: dt = Ö (1-vA2)dt , nella quale vA designa la velocità scalare di A nelle coordinate (x ,t )21. Risulta infatti: vA = dx /dt = -agsinh(gt )/cosh2(gt ), il che prova ad abundantiam che non esiste alcuna simmetria tra i due casi.

Bene, verificare che in effetti l’intervallo di tempo proprio trascorso per A dal punto di vista di B coincide esattamente con quello calcolato in precedenza, è ormai materia di un semplice esercizio di Analisi Matematica:

 

D t A = INTe1,e2 (dt) = INT e1,e2 [(ag/cosh2(gt ))dt ] = 2g-1Ö (a2g2-1).

 

Ciò dimostra che, quando A viaggia tra e1 ed e2, nel riferimento in cui B è fermo, impiega un tempo (proprio) che è maggiore di quello che è trascorso per B. Come dire che, al suo "ritorno", A non è affatto più giovane di B, ma più vecchio: nessun effetto gemelli a ruoli scambiati, nessuna simmetria22.

 

 

3

 

Allo scopo di persuadere il lettore eventualmente tuttora dubbioso della validità delle precedenti spiegazioni, effettuiamo ancora una volta (come più usuale) l’analisi del fenomeno della dilatazione dei tempi in una situazione analiticamente molto più semplice della precedente, introducendo cioè, al posto dei due osservatori A e B di prima, tre distinti osservatori, A, B, C, di equazioni orarie rispettive (nelle coordinate (x,t)): x = 0; x = kt, per ogni valore di k, 0<k<1; x = -kt+2a, per ogni valore di a>0. Introdotti i tre eventi e0, e1, e2, di rispettive coordinate (0,0), (0,ak-1), (0,2ak-1), la situazione che vogliamo analizzare è la seguente. A e B sono sincroni in e0, B prosegue il suo viaggio (nei confronti di A) fino all’evento e* =

(a,ak-1), laddove incontra l’osservatore C. Lì comunica a C il tempo che sta segnando il suo orologio (il suo tempo proprio), e C reca con sé questa informazione fino a incontrare A nell’evento e2. Avendo saputo da B che questi era sincrono con A nell’evento e0, e conosciuto l’intervallo di tempo trascorso per B da quando questi ha lasciato A, C potrà aggiungere a tale intervallo di tempo quello per lui trascorso dall’incontro con B fino a quello con A, e aspettarsi quindi che questo valore coincida con quello segnato dall’orologio di A nell’istante del congiungimento. C si avvede così del fenomeno della dilatazione dei tempi quando scopre che l’orologio di A segna 2ak-1, laddove lui avrebbe invece previsto: ak-1Ö (1-k2) (tempo segnalatogli da B) + la stessa identica quantità che a lui risulta occorrere per arrivare da e* fino ad e2.

Vale a dire, C riscontrerà un fenomeno di dilatazione del tempo nella ormai consueta misura: 2ak-1Ö (1-k2) < 2ak-1.

I valori a cui abbiamo fatto riferimento sono immediatamente determinabili dalle:

variazione del tempo proprio di B da e0 ad e* = Ö (1-k2)D t;

variazione del tempo proprio di C da e* ad e2 = Ö (1-k2)D t,

poiché entrambi gli osservatori B e C viaggiano con la stessa velocità k (in valore assoluto) nel sistema di coordinate (x,t).

Da dove potrebbe provenire un eventuale assurdo, quale simmetria di ruoli potrebbe condurre a ritenere che se C riporta ad A una certa asimmetria in un verso, allora A dovrebbe riportare a C un’asimmetria nello stesso verso? Adesso abbiamo tre osservatori, e non due, o se si preferisce, una "linea" e0e*e2, la quale, ancora una volta, non è una geodetica dello spazio-tempo, bensì una geodetica spezzata, sicché non può neppure più introdursi un unico sistema di coordinate "decente" come quello di prima, dal quale sia possibile studiare reciprocamente il moto di A.

Possiamo però considerare A "viaggiante" rispetto a B nel "tratto" e0e1, e viaggiante rispetto a C nel tratto e1e2, sicché A non avrebbe attualmente nulla di che lamentarsi quanto a disparità di trattamento. Adesso sarebbe lui a muoversi (in senso relativo, naturalmente), e a doversi aspettare da quanto precede di essere per così dire "ringiovanito", ma se effettuiamo i calcoli in modo preciso non otteniamo naturalmente alcuna incongruenza.

Avremo ancora:

variazione totale del tempo proprio di A nel passaggio da e0 ad e2 = variazione del tempo proprio di A nel passaggio da e0 ad e1 + variazione del tempo proprio di A nel passaggio da e1 ad e2,

sicché, se introduciamo il sistema di coordinate lorentziane R1 associato a B:

x1 = (x-kt)/Ö (1-k2), t1 = (t-kx)/Ö (1-k2),

e quello R2 associato a C:

x2 = (x+kt-2a)/Ö (1-k2), t2 = (t+kx-a(k+k-1))/Ö (1-k2),

ecco che dedurremmo che il moto di A nel sistema R1 è dato da

x1 = -kt1, sicché risulta vA(1) = -k (con ovvio significato del simbolo), mentre il moto ancora di A, ma nel sistema R2, sarà dato dalla x2 = kt2+a(k2+1)/Ö (1-k2), e quindi vA(2) = k.

In definitiva, poiché t1(e0) = 0, t1(e1) = ak-1/Ö (1-k2), la prima variazione di tempo proprio di A (calcolata da B) sarà data da:

(Ö (1-k2))(ak-1/Ö (1-k2)) = ak-1, mentre la seconda (calcolata da C) sarà data analogamente da:

(Ö (1-k2))(ak-1Ö (1-k2) +ak/Ö (1-k2)) = ak-1,

poiché risulta t2(e1) = -ak/Ö (1-k2), t2(e2) = ak-1Ö (1-k2).

Se ne conclude che la somma dei due termini restituisce esattamente il "solito" valore 2ak-1, come si poteva prevedere, e senz’ombra di contraddizione!

C’è da aspettarsi naturalmente che l’intima ragione dell’aspetto paradossale della situazione risieda naturalmente tutta nella ben nota relatività della simultaneità che la teoria di Einstein introduce, il che non è finora risultato in modo evidente, ma si può ben capire se si ragiona nel seguente altro modo. Indipendentemente da ogni possibile forma del paradosso dei gemelli, quando A nella situazione precedente se ne sta fermo nel "suo" riferimento R, piantato nell’origine, sa, da tutta l’analisi precedente, che il suo compagno viaggiante B si troverà nell’evento e* - che per A possiede, come abbiamo detto, coordinate spazio-temporali (a,ak-1) - con un orologio che gli segna però un tempo minore ak-1Ö (1-k2), pur se era sincrono con quello di A nell’evento e0. La circostanza ad A dispiace, perché pensa che il suo compagno abbia avuto il raro privilegio di invecchiare di meno rispetto a lui, e non sa capacitarsi della situazione, tanto più che ritiene ingiusto che questa sia originata soltanto da un fattore relativo quale la velocità. Non è forse lui allo stesso modo ad essere in movimento rispetto a B, e non dovrebbe allora essere piuttosto B a lamentarsi perché il privilegio della "quasi immortalità" è concesso ad A e non a lui? Qui si ha in effetti una piena reciproca simmetria dei ruoli, non c’è dubbio, ma ancora una volta non c’è nessuna incongruenza logica nella teoria. Infatti, nel sistema di coordinate (x1,t1) associato a B, adesso vedremmo A effettivamente in movimento, con velocità -k, e la variazione del suo tempo proprio nel passaggio dall’evento e0 all’evento e1 sarà esattamente, come previsto dalla teoria, uguale a:

(Ö (1-k2))(t1(e1)- t1(e0)) = ak-1 < (t1(e1)- t1(e0)) = ak-1/Ö (1-k2).

Finalmente A, contento, trova il proprio tempo figurare in una disuguaglianza dalla parte del "minore", ma c’è contraddizione con quanto visto prima? Neanche per sogno, perché la variazione di tempo t1(e1)- t1(e0) = t1(e1) = ak-1/Ö (1-k2) non coincide affatto con la variazione del tempo proprio di B nel passaggio da e0 ad e*! Infatti, quando A si trova in e1, al tempo ak-1/Ö (1-k2) del sistema R1, B si trova in e** = (0,ak-1/Ö (1-k2)), e questo evento non coincide affatto con e*, che risulta invece coordinatizzato come (0,ak-1Ö (1-k2)). Vale pure a dire, e* è già "lungamente trascorso", quando si verifica e**, e tutto si riduce a sottolineare che mentre gli eventi e1 ed e* erano prima simultanei rispetto ad A, adesso non lo sono più rispetto a B, il quale vede invece simultanei gli eventi e1 ed e**! Comunque la si rigiri, non c’è modo ovviamente di trovare alcuna contraddizione "logica" nella teoria, e chi la cerca, almeno qui, deve rassegnarsi.

 

 

4

 

E’ tempo ormai di considerazioni finali. Senza nascondere la propria, già detta, perplessità nei confronti della validità della teoria della relatività dal punto di vista fisico, il presente autore non può neppure esimersi dall’esprimere apertamente l’opinione (peraltro ampiamente condivisa) che appaiono insensati i tentativi di metterla in discussione dal punto di vista della coerenza interna, che essa evidentemente invece non può non possedere, in quanto teoria matematicamente formalizzata"23. Se si crede, si tratta eventualmente di discutere in modo approfondito la fondatezza sperimentale dell’assunzione24 di fondo da cui essa trae tutta la sua eventuale credibilità, vale a dire la pretesa "simmetria" dei fenomeni elettromagnetici, ma questa è tutt’altra questione da quella che abbiamo qui affrontato25. Se da una parte il fenomeno della dilatazione dei tempi appare come un indubitabile fenomeno naturale26, e dall’altra può essere giustificato il tentativo, da parte di alcuni fisici, di un ritorno a una teoria (non relativistica27) dell’etere, ecco che questa teoria dovrà trovare una conciliazione tra i due termini della questione, etere e dilatazione dei tempi (e, se si vuole, anche, contrazione delle lunghezze). In teoria della relatività il paradosso dei gemelli non ha alcun valore antinomico, e un asimmetrico fenomeno d’invecchiamento va in effetti ascritto a una causa assoluta, vale a dire una diversa "lunghezza" di traiettorie spazio-temporali. Analogamente, in una teoria dell’etere, il fenomeno, o i fenomeni28, in parola potrebbero essere ascritti a qualche causa fisica ben reale, e ancora "assoluta", quale, per esempio, una velocità assoluta, e alla relativa interazione dell’oggetto in movimento con il fantomatico mezzo.

 

 

Perugia, luglio 1999

 

 

NOTE

 

* Dipartimento di Matematica, Università degli Studi, 06100 Perugia - bartocci@dipmat.unipg.it. L’autore ringrazia vivamente il Prof. Silvio Bergia, per le osservazioni formulate durante la preparazione del presente lavoro.

1 Non sempre per la verità accompagnate, come vedremo, dalla necessaria comprensione del punto di vista relativistico. Mentre in effetti appare sempre lecito proporre un’impostazione originale per trattare qualsiasi problema, ignorando i modi con cui questo è stato precedentemente affrontato, non sembra ugualmente corretto discutere criticamente una certa teoria, ignorandone pressoché tutte le caratteristiche precipue.

2 Rispettivamente: Tullio Regge, Cronache dell’Universo, Boringhieri, Torino, 1981; Isaac Asimov, The two masses, Mercury Press, Toronto, 1984; Clifford Will, Was Einstein right?, Oxford University Press, 1988 - sottolineature del presente autore.

3 In realtà, non l’unico modo di evidenziarne l’eventuale presenza, dal momento che i ben noti risultati sugli effetti dell’accrescimento della vita media di particelle quali i muoni, in funzione della loro velocità relativa alla Terra, non presentano la più peculiare caratteristica del paradosso che adesso esporremo, vale a dire il confronto diretto tra orologi, prima di una separazione e dopo un ricongiungimento.

4 "L’évolution de l’espace et du temps", Scientia, Vol. 10, 1911, pp. 31-54. Alla questione aveva del resto già posto attenzione lo stesso Einstein nel suo primo fondamentale articolo del 1905, e in un successivo suo scritto dello stesso anno 1911 (citato in A. Kopf, I fondamenti della relatività Einsteiniana, Ed. Hoepli, Milano, 1923, p. 72).

5 Tra l’altro, la si ritrova utilizzata in tante opere letterarie, e in diversi spettacoli cinematografici, tra i quali resta famoso nell’immaginario collettivo: 2001: Odissea nello spazio, di Stanley Kubrick (1968).

6 Ad esempio, il fatto che già B possegga una velocità rispetto ad A nell’evento e1 è del tutto inessenziale, come pure quello che i due "orologi" possano non dare ivi la stessa lettura (non siano sincroni), bastando in tal caso effettuare una semplice traslazione dei tempi.

7 Useremo, come si dice, unità geometriche, vale a dire porremo c (velocità della luce nel vuoto) uguale a 1.

8 Il ricorso a una traiettoria "iperbolica" è suggerito da un canto dalla necessità di evitare che la velocità di B possa mai superare c (come avverrebbe per un "classico" moto uniformemente accelerato con equazioni "paraboliche"); dall’altro, dalla volontà di introdurre soltanto traiettorie (e funzioni) "lisce", evitando la presenza di punti angolosi (di discontinuità delle derivate), come accade invece usualmente quando si utilizzano per il moto di B due segmenti di retta (una "geodetica spezzata").

9 In effetti, è immediato verificare che il ds2 della 2-accelerazione di B è costante e uguale a g2, mentre l’accelerazione scalare di B nei termini dello spazio x e del tempo t: d2x/dt2 = -g(1+g2t2)-3/2, è invece variabile, ma "quasi sempre" zero (a fronte di una velocità quasi sempre uguale a 1, che passa in "brevissimo tempo" a una quasi sempre uguale a -1).

10 I quali sono supposti, in teoria della relatività, coincidere con i tempi misurati da "orologi" solidali con gli osservatori. L’intervallo infinitesimo di tempo proprio, dt , è definito (per le sole traiettorie a ds2 negativo) come dt = Ö (-ds2), e quindi, in termini spazio-temporali, una variazione di tempo proprio non è altro che una "lunghezza".

11 E’ forse opportuno evidenziare un fraintendimento in cui incorrono diversi commentatori, i quali asseriscono che l’effetto gemelli è dovuto alla semplice presenza della velocità relativa di B rispetto ad A. Ancorché si possa fondatamente asserire che, nel nostro caso, il moto di B è "quasi sempre uniforme", e che l’accelerazione si manifesta solamente "per un istante brevissimo", ciò nondimeno l’introduzione di un’accelerazione è indispensabile per dare al paradosso la sua attuale forma, ovvero permettere il ritorno di B, e quindi il confronto diretto degli orologi. Da un punto di vista quantitativo, inoltre, il valore dell’accelerazione g può essere molto grande, e anzi deve essere tale, se si vuole un effetto di "non invecchiamento" significativo.

12 H. Dingle, Science at the Crossroads, Martin Brian & O’Keeffe, Londra, 1972, p. 190.

13 Ibidem, vedi anche l’allegata Appendice III.

14 Con ciò intendendo che la validità del "Principio di Relatività" (al quale facciamo qui generico riferimento come all’opinione secondo la quale i moti uniformi non hanno effetti fisicamente rilevabili) può, e deve, essere messa in discussione anche nel campo della meccanica.

15 Infatti, e senza confrontarsi in nulla con l’aspetto sperimentale della questione, la contraddizione interna scaturirebbe già dai calcoli precedentemente effettuati, dal momento che questi confutano la conclusione (3).

16 Vedi l’Introduzione di F. Selleri a: P. Nutricati, Oltre i paradossi della fisica moderna, Ed. Dedalo, Bari, 1998.

17 E, in ultima analisi, a un fraintendimento della natura dell’equivalenza asserita dal "Principio di Relatività" tra diversi "osservatori". Se il "Principio di Relatività Speciale", che asserisce la completa equivalenza di tutti gli osservatori inerziali nello spazio-tempo di Minkowski, si generalizza in un "Principio di Relatività Generale", o di "Covarianza Generale", ecco che in nessun caso è escluso che possano esistere (campi di) osservatori, e sistemi di coordinate, privilegiati, nei quali le "leggi della fisica" possono assumere una veste matematica più "semplice" (in relatività generale, questo è il caso degli "osservatori in caduta libera e non ruotanti").

18 Per specifici dettagli di natura tecnica su siffatte importanti questioni, rinviamo per esempio al bel testo di B. O’Neill, Semi-Riemannian geometry, Academic Press, 1983, pp. 358-359. Ricordiamo comunque che qui il riferimento alla "non-sincronizzabilità" significa che non è possibile trovare un campo X di osservatori estendente B, e un sistema di coordinate "adattato" a X, tale che il relativo tempo coordinato coincida con il tempo proprio di tutti gli osservatori del campo ("paralleli" a B).

19 E’ del tutto destituita di fondamento la prevedibile obiezione che qui si sta trattando di questioni di fisica. La teoria della relatività, come tutte le altre teorie formalizzate della fisica, si presenta sotto le vesti di una teoria matematica, che ha sì particolare interesse perché trae origine e fornisce applicazioni nel campo della fisica (attraverso una serie di regole di codificazione e decodificazione, che fanno passare da una "situazione fisica" a una "matematica", e viceversa), ma che può e deve essere trattata in sé con tutto il "rigore" usuale dei ragionamenti matematici, quando se ne vuole comprendere qualche particolare, o dimostrarne qualche conseguenza.

20 Vedi per esempio ancora B. O’Neill, loc. cit., p. 182.

21 Del resto, dalla dt = Ö (-ds2) di cui alla Nota N. 10, si ottiene in generale la relazione in oggetto soltanto nel caso di un sistema di coordinate lorentziane: dt = Ö (-ds2 ) = Ö (-dx2+dt2) = (Ö (-v2+1))dt.

22 Se si volesse invece una vera situazione simmetrica, si dovrebbe per esempio affiancare all’osservatore B l’osservatore B’: x = -a+g-1cosh(gt B), t = g-1sinh(gt B) - che descrive il ramo d’iperbole simmetrico a quello descritto da B rispetto alla retta x = 0 - e, in effetti, se i rispettivi orologi sono sincroni in e1, essi continuano a essere tali anche in e2, come sarebbe ormai facile verificare.

23 Altro discorso è semmai quello di evidenziare i limiti (o le difficoltà) di applicabilità fisica della teoria, quali la formalizzazione di concetti fisici apparentemente "innocui", come quelli di corpo rigido, piattaforma rotante, etc.

24 L’uso del "singolare", anziché del "plurale", è evidentemente non casuale, ma una sua giustificazione adeguata andrebbe molto al di là delle dimensioni, e delle finalità, del presente scritto.

25 Per la quale si può vedere ad esempio U. Bartocci, M. Mamone Capria: "Some Remarks on Classical Electromagnetism and the Principle of Relativity"; Am. J. of Phys., 59, 1991, pp. 1030-1032; "Symmetries and Asymmetries in Classical and Relativistic Electrodynamics", Foundations of Physics, 21, 7, 1991, pp. 787-801.

26 La letteratura sull’argomento è, come ci si può aspettare, assai vasta, ma per tutta una serie di recenti considerazioni sul fenomeno della dilatazione dei tempi, ivi compreso il paradosso qui in esame, si vedano, per esempio: Yuan Zhong Zhang, Special relativity and its experimental foundations, World Scientific, Singapore, 1997, pp. 180 e segg., oppure la citata "Introduzione" di F. Selleri. Ricordiamo anche, naturalmente, gli articoli ultimamente apparsi sul Giornale di Fisica: F. Selleri, "Il principio di relatività e la natura del tempo" (Vol. XXXVIII, N. 2, 1997, pp. 67-85); S. Bergia & M. Valleriani, "Relatività ristretta: convenzione o nuova concezione del mondo?" (Vol. XXXIX, N. 4, 1998, pp. 199-221); F. Selleri, "Relatività ristretta: nuova concezione del mondo o convenzione?" (Vol. XL, N. 1, 1999, pp. 19-23).

27 La specificazione è d’obbligo, visto che ci sono stati, e ci sono ancora, diversi tentativi di proporre un "etere relativistico", a partire da quello di Lorentz, che rendono, almeno in parte le due impostazioni in competizione scarsamente distinguibili, e quindi l’intera questione di minore interesse per chi bada più alla sostanza delle cose, che non alla loro possibile interpretazione (il presente autore non appartiene comunque a tale schiera, peraltro rispettabilissima, e trova viceversa del tutto encomiabile ogni tentativo di reintrodurre nella fisica spiegazioni causali con l’uso delle categorie ordinarie di spazio e di tempo, ancorché esse possano eventualmente infine condurre a teorie "fisicamente equivalenti" alla teoria della relatività).

28 Ovviamente, non soltanto quelli ricordati, concernenti misure di tempi e di lunghezze: vi potrebbe trovare per esempio benissimo posto anche il fenomeno dell’aumento della massa inerziale con la velocità, che si potrebbe tentare di inquadrare sotto l’aspetto di un aumento di "resistenza fluido-dinamica" da parte del "mezzo".