Un caso esemplare di "censura" scientifica

da parte dell'Accademia Nazionale dei Lincei di oggi...

 

Quella che segue e' la "storia" del tentativo di pubblicare il precedente lavoro sui Rendiconti dell'Accademia Nazionale dei Lincei - rivista a cui ero particolarmente affezionato per motivi che risulteranno noti tra breve - e del conseguente rifiuto (in qualche modo prevedibile, ma non con la procedura che si vedra': speravo almeno in un dialogo scientifico piu' istruttivo).

In che modo interpretare l'accaduto? Una banale manifestazione di scarsa competenza e professionalita' editoriale, o un vero e proprio caso di "censura scientifica", peraltro anche alquanto goffo? Il titolo mostra quale sia la mia sincera opinione: se l'articolo non avesse coinvolto la teoria della relativita', "santificata" da "decenni ... di fisica teorica e sperimentale", bensi' un argomento di interesse del tutto marginale, avrebbe certamente conosciuto una sorte molto migliore, come mi e' sempre capitato nel mio passato di professore universitario. Non che creda ovviamente a un "complotto" in atto, a "direttive" pervenute chissa' da dove e da parte di chi, ma a un semplice spontaneo adeguamento allo "spirito dei tempi", una sorta di auto-censura che non ha bisogno di nessun intervento esterno. La consapevolezza dell'opportunita' di certi comportamenti - nell'ambiente accademico, come in quello dei giudici, o dei giornalisti! - si "respira nell'aria", e forse questo e' peggio che non subire un'esplicita interferenza che "non si puo' rifiutare". Del resto, viene fornito al lettore OGNI elemento di valutazione, sicche' ciascuno potra' giudicare in coscienza da se'.

La presente divulgazione ha lo scopo non soltanto di fare della "storia minima", ma pure di dimostrare con inoppugnabili dati di fatto quali difficolta' si incontrino oggi a lavorare in taluni campi di ricerca (e non solo oggi, e qui da noi: un illustre collega mi informava tempo addietro che, intorno agli anni '50, era diffusa negli Stati Uniti, negli ambienti competenti, la convinzione che non si potesse fare carriera accademica nel campo della fisica se si scriveva qualcosa contro Einstein e la relativita'), e illustrare uno dei motivi perche' certe teorie "resistano" di conseguenza per decenni. Se gli studi in proposito vengono cosi' "scoraggiati", in un ambiente dove viene molto apprezzata la "produttivita'", e' ovvio che la maggior parte dei ricercatori rivolgera' la sua attenzione altrove - si potrebbe aggiungere che quello qui illustrato non e' l'unico caso esemplare e documentabile di cui sono a conoscenza, essi potrebbero anzi essere oggetto di un interessante pamphlet sull'attuale "sociologia della scienza".

Piu' che di una brutta storia, direi che si tratta di una storia triste, sia per l'"etica scientifica" italiana, sia per motivi personali, dal momento che, come dicevo, mi aspettavo non tanto che il lavoro venisse accettato, quanto maggiore "cordialita' comunicativa", sia pure unicamente per "amicizia"...

P.S. Poiche' mi e' capitato spesso di discutere della questione con diverse persone, sottolineo che il materiale seguente viene reso pubblico in perfetta conformita' alle disposizioni di legge in materia di stampa e diritto d'autore, tenuto conto che il relativo Art. 93 (Capo VI, Sezione I, "Diritti relativi alla corrispondenza epistolare") recita espressamente: "Le corrispondenze epistolari, gli epistolari, le memorie familiari e personali e gli altri scritti della medesima natura, ALLORCHE' ABBIANO CARATTERE CONFIDENZIALE O SI RIFERISCANO ALLA INTIMITA' DELLA VITA PRIVATA, non possono essere pubblicati, riprodotti od in qualunque modo portati alla conoscenza del pubblico senza il consenso dell'autore, e, trattandosi di corrispondenze epistolari e di epistolari, anche del destinatario". E' ovvio che ogni atto inerente funzioni pubbliche o semipubbliche, e associati "doveri d'ufficio", non rientra nella citata fattispecie...

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Breve cronistoria-indice con commento - il numero d'ordine si riferisce ai documenti successivamente allegati.

1 - Nel settembre del 1999 spedisco ai Lincei il lavoro.

2 - Nel mese di novembre giunge una frettolosa risposta negativa. Va evidenziata la circostanza che alla decisione si perviene sulla base dell'opinione di UN SOLO referee (punto 1bis) - peraltro, come verra' ammesso poi, del tutto ERRATA dal punto di vista del contenuto strettamente scientifico - e che non viene concessa alcuna possibilita' di replica.

3 - Invio subito una breve risposta interlocutoria, occasionata piu' da ragioni personali, che non "ufficiali".

4 - Spedisco invece nel gennaio 2000 una lunga e motivata relazione.

5 - Per diversi mesi non ho alcun tipo di risposta dai Lincei, ne' confidenziale ne' formale, nonostante considerassi il Direttore dei Rendiconti un buon amico dal tempo dei miei studi nella capitale. Mi rivolgo allora direttamente, in maggio, al Presidente dell'Accademia, Prof. Edoardo Vesentini, un matematico assai noto che pure avevo avuto modo di conoscere in passato, ricordandogli i "doveri" di un'istituzione culturale che aveva cosi' illustri antecedenti storici.

6 - Ricevo presto (giugno) dalla segreteria dei Lincei una segnalazione che il caso verra' discusso di nuovo, e che il referee richiede tempo per dare una risposta (si potrebbe scommettere che non aveva mai pensato di replicare nel periodo intercorso tra la sua prima relazione e l'indovinabile onesto intervento del Presidente dell'Accademia).

7 - Il 20 settembre (e siamo ormai a un anno di distanza dall'origine della vicenda) arriva l'annunciata replica (punto 7bis), assieme a una nuova comunicazione formale di rifiuto da parte della Direzione della rivista. Il referee ammette onestamente il suo errore nel merito, ma ritiene il lavoro "leggermente ambiguo"; si interroga poi sul suo "senso" e la sua "necessita'", come se sia pure unicamente correggere i comuni errori che si fanno nell'insegnamento della relativita' non fosse scopo utile (in effetti l'articolo conteneva anche una proposta sperimentale, che non soltanto e' stata accolta ed effettuata da altri colleghi fisici piu' "aperti" - vedi il punto N. 10 di questa stessa pagina sui Fondamenti della Fisica - ma e' stata pure oggetto di attenzione da parte dell'M.I.T., certo non un covo di "eresia scientifica"; si veda anche il documento inserito in appendice sempre al presente punto). Riconosce infine di "non essere la persona giusta per giudicare se [l'articolo] merita o meno di essere pubblicato", in quanto lo inquadra adesso sotto l'aspetto di un lavoro di preminente eventuale interesse storico od epistemologico, e invita di conseguenza - adottando una strategia tipica di siffatte imbarazzanti situazioni - a rivolgersi a una rivista di Storia della Scienza (che naturalmente invitera' a sua volta, e a ragione!, a rivolgersi ancora altrove: da Pilato a Erode, e ritorno, e' storia ben vecchia). La Direzione motiva questa volta il suo diniego non in modo "scientifico" (del tipo cioe' che si era tentato di utilizzare in precedenza), ma aridamente burocratico - dopo un accenno a far propria l'anzidetta "strategia" dello scaricabarile. Bisognerebbe andare a verificare se in effetti l'invocato regolamento disciplina sempre le pubblicazioni che compaiono sui Rendiconti dei Lincei (se la motivazione fosse stata del tutto "autentica", la si sarebbe invocata prima, senza suscitare tante discussioni, o no?!), ma lasciamo stare per amor di patria...

8 - Mia replica finale.

(UB, febbraio 2001)

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1.

Egr. Direttore, [al momento non sapevo ancora di chi si trattasse]

spero mi vorrà scusare se le propongo il qui allegato lavoro per un'eventuale pubblicazione sugli Atti dell'Accademia in modo così "irrituale" (per la verità, neanche sono consapevole di quanto, non essendo più al corrente da anni delle vostre attuali "regole"), ma confido nell'antica tradizione storica dell'istituto, soprattutto di fronte a contributi "fuori del coro" quali il presente, per superare eventuali "formalità". Mi sento inoltre autorizzato a seguire questa inusuale procedura dal ricordo della mia lunga, ancorché vecchia!, consuetudine di rapporti (e di pubblicazioni) con l'Accademia, quando ero assistente del suo indimenticato Presidente Prof. Beniamino Segre, e come tale tra i suoi più stretti collaboratori al tempo della fondazione del Centro Interdisciplinare Linceo.

Il perché mi rivolgo oggi all'Accademia è presto detto. Come potrà vedere nella Nota Editoriale apposta al termine dell'articolo, esso ha per la verità già assolto a parecchie delle funzioni per cui era stato pensato, avendo conosciuto nel corso degli anni una certa diffusione "privata" presso le persone più interessate a certo tipo di studi. Non ho mai voluto tradurlo in inglese, per motivazioni ideologiche di cui potrà trovare cenno nell'accluso foglietto (che le invio per sua eventuale curiosità personale - e guardi che io ho studiato matematica più di due anni a Cambridge dopo la laurea a Roma!), sicché esso sembrava destinato a restare nella sua forma di eterno preprint, quando un collega mi ha di recente sollecitato a tentare comunque una sua pubblicazione ufficiale, e, note le mie sopra accennate idiosincrasie, ricordato appunto la rivista dell'Accademia. Avevo tentato in effetti, in un primo momento, di seguire la via gerarchica, rivolgendomi all'unico dei miei vecchi "professori" tuttora vivente, il caro Prof. Martinelli, con il quale ero rimasto sempre legato da particolari vincoli d'affetto, ma, come saprà, anch'egli è recentemente scomparso; anzi, proprio pochissimo tempo prima mi aveva fatto avere un commovente commento sulla sua impossibilità di procedere oltre (sempre per sua curiosità, le allego anche questo).

Che dirle di più?, mi sembra di aver accennato all'essenziale, e resto in attesa di sue indicazioni su come si possa andare avanti. Aggiungo soltanto che potrei farvi avere un dischetto con il file del testo in formato WinWord 6.0, e dell'unica "figura" in esso contenuta in formato Tif.

Ringraziandola per l'attenzione che vorrà cortesemente concedermi, le invio molti cordiali saluti,

Perugia, 3.9.99

Allegati:

Un populu

mittitulu a catina

spugghiatilu

attuppatici a vucca

e' ancora libiru

Livatici u travagghiu

u passaportu

a tavula unni mancia

u lettu unni dormi

e' ancora riccu

Un populu

diventa poviru e servu

quannu ci arrobbanu a lingua

addutata di patri:

e' persu pi sempi.

(Ignazio Buttitta)

Estratto da un mio recente libro:

"avevamo già deciso di presentare per la prima volta il lavoro in italiano, e non soltanto per la presenza di ampie citazioni dallo scritto originale del De Pretto, ma anche perché non era del tutto estraneo, almeno allo scrivente, il desiderio di reagire in qualche modo al condizionamento culturale monolinguistico imposto dall'uso della lingua inglese1, così universalmente prescritto oggi, a volte anche con scarse motivazioni, da far sentire di vivere in una colonia)"...

1 A questo proposito appare interessante citare il pensiero espresso dallo storico Jacques Le Goff nell'Introduzione a Le Università dell'Europa (A. Pizzi Ed., Milano, 1990): "L'Europa della cultura deve essere un'Europa plurilinguistica capace di opporsi al monolinguismo dell'inglese che, forte del peso economico degli Stati Uniti - che non esiste però nel mondo del sapere e della cultura - sembra adatto solo all'Europa degli affari."

2.

Caro Umberto,

ho sottoposto il tuo lavoro intitolato "Su una possibile falsificazione sperimentale della teoria della relatività ristretta" presentato per la pubblicazione nei Rendiconti Lincei: Matematica e Applicazioni, all'esame di un referee. ma, sfortunatamente, come puoi vedere, il giudizio è negativo.

Per ovvie ragioni non posso che respingere la pubblicazione del tuo lavoro.

Spero che avrai più fortuna altrove.

Con i miei più cordiali saluti e auguri,

Corrado De Concini

Roma, 23 novembre 1999

2bis.

Giudizio sul Lavoro "Su una possibile falsificazione sperimentale della teoria della relativita' ristretta" di Umberto Bartocci presentato per la pubblicazione sui: Rendiconti Lincei: Matematica e Applicazioni.

Il lavoro in questione si compone, sostanzialmente di una lunga introduzione in cui l'autore descrive approssimativamente e molto criticamente come la teoria elettromagnetica di Maxwell trovi il suo naturale inserimento nel quadro concettuale della teoria della relativita' ristretta e in un calcolo di elettrodinamica classica che, secondo l'autore, mostrerebbe come il risultato di una certa misura dipenda dal moto del laboratorio rispetto ad un particolare riferimento "in quiete assoluta" dove con questo sembra intendere un riferimento fermo rispetto all'etere.

Partiamo da questa seconda parte: a parte il fatto che tutte le verifiche concettuali e sperimentali contro l'esistenza dell'etere sembrano non interessare in alcun modo l'autore ne', tantomeno, convincerlo, il calcolo che viene presentato e' errato.

Infatti se un osservatore in quiete assoluta vede una carica puntiforme in moto con velocita' costante posta al centro di una spira circolare percorsa da corrente, anche essa in moto con la stessa velocita' della carica, di modo che la carica si trovi sempre al centro di essa, e vuole studiare l'eventuale forza relativa agente tra la carica e la spira deve tenere conto del fatto che:

a) la spira genera un campo magnetico che produce una forza di Lorentz sulla carica q in moto con velocita' v.

b) La carica q in moto e' una corrente, quindi essa, a sua volta, genera un campo magnetico che opera secondo la forza di Lorentz, sulle cariche in moto all'interno della spira.

Non e' in alcun modo sorprendente che queste due forze si compensino esattamente per cui la carica q continua a rimanere nel centro della spira ed a muoversi con moto rettilineo uniforme.

Un esempio concettualmente del tutto simile ed oltremodo istruttivo si trova sul, mai troppo studiato, "Lectures on Physics" di R.P. Feynman, R.B. Leighton, M. Sands, Addison Wesley-Student series, Vol. II, par. 13-6: the relativity of magnetic and electric fields.

Quindi l'asserto iniziale del paragrafo 1: Si provera' qui invece che la TRR e' del tutto falsificabile con esperimenti.... e' falso. Inoltre lo e', falso, per due ulteriori ragioni. Infatti:

1) E' ben noto che esperimenti di natura elettromagnetica possono, in linea di pricipio, falsificare la teoria della relativita' ristretta a partire dall'esperimento di Michelson-Morley, ma il risultato e' stato invece, finora, di totale conferma della teoria.

2) Quello che in effetti l'autore sembra volere dire e' che e' possibile falsificare la teoria con esperimenti in cui la discrepanza del risultato in due diversi riferimenti inerziali non sia di ordine: O(v/c) ma di ordine O(1). Cio' che l'autore in realta' sostiene e', dunque, che la teoria elettromagnetica e' in grado di distinguere tra diversi sistemi inerziali in moto con velocita' relativa arbitrariamente piccola. Pertanto, semplicemente, egli nega non solo il principio di covarianza relativistica, ma anche il principio di covarianza galileiana. Naturalmente per far questo e' costretto a reintrodurre una nozione di etere. L'esempio che porta a prova di questa sua affermazione e' come gia' detto sbagliato.

Inoltre questa affermazione e' contraddetta da decenni, forse bisognerebbe dire oramai da un secolo, di fisica teorica e sperimentale. Tuttavia l'autore sembra prendere troppo alla lettera il detto "molti nemici molto onore" e ritiene tutto questo solo dovuto ad una "moda positivista" ed ad un "malinteso senso di superiorita' accademica", vedi nota 34.

A parte tutto anche la sua introduzione storico-filosofica della prima parte del lavoro lascia molto perplessi: le citazioni di Feyerabend e Thom, strano il ricorso dell'autore al principio di autorita', lasciano il tempo che trovano cosi' estrapolate da ogni ragionevole contesto.

Sorprende "...l'arbitrarieta' definitoria tipica della matematica..." (sic). Sorprende e molto l'idea che si debba ricercare appunto nell'etere la ragione per le pretese "...inspiegabili (?!) particolarita' della fenomenologia del mondo rnicrofisico...", pag. 6. Così' abbiamo, oltre alla teoria della Relativita' Ristretta, eliminato di un sol colpo ottanta anni di meccanica quantistica...

A pag. 8 punto (3) viene citato del tutto a sproposito il principio di corrispondenza.

A pag. 9 ci si libera di in sol colpo della teoria della Relativita' Generale, forse una delle opere intellettuali piu' impressionanti di questo secolo, con "...lasciando pure da parte le ulteriori sofisticazioni matematiche - gli spazitempi "curvi" - della teoria della relativita' generale..."

A pag. 11 l'autore stabilisce con grande enfasi che la teoria di Maxwell e' una teoria fisicamente "indeterminata" e nella nota 24 si meraviglia che le equazioni di Maxwell omogenee ammettano soluzioni non nulle. Qui non si capisce se dimentica il ruolo e l'esistenza delle condizioni iniziali e delle condizioni al contorno e che cosa veramente lo sorprende. E' come se ci si dovesse sorprendere perche' le equazioni di Newton ammettono soluzioni in assenza di forze.

A pag. 16-18 il calcolo di elettrodinamica di cui abbiamo gia' parlato.

Si ritiene pertanto opportuno respingere il lavoro suddetto.

3.

Carissimo Corrado,

sei proprio tu?, l'ex-studente che fece il miglior esame di Algebra che ricordi nel corso della mia ormai lunga attivita' accademica? Ora che sono nella fase di tramonto della vita, mi capita di ripensare ogni tanto con un po' di nostalgia a quei giorni, a Lombardo Radice, a Claudio Procesi, etc.. Mi fa piacere avere avuto modo di "incrociarti" di nuovo, ma vengo comunque subito al punto di questa mia comunicazione, per non farti perdere tempo.

Ho appena ricevuto la tua lettera del 23.11, Prot. 290/99/RED, con allegato parere di un referee. Immagino che tu abbia dato almeno un'occhiata alla cosa, e immaginerai che io sia costretto a replicare alle obiezioni del referee, LADDOVE ESSE SONO OGGETTIVAMENTE ERRATE. C'e' naturalmente qualche aspetto "soggettivo" della discussione, sul quale ognuno manterra' ovviamente la propria opinione (sulla bonta' o la negativita' di certe teorie), ma per fortuna la scienza e' contraddistinta da avere almeno una certa parte oggettiva, e su questa fondero' le mie FACILI controdeduzioni. In effetti, detto tra noi, il giudizio ricevuto mi conferma nell'impressione che tra i fisici su certi argomenti si siano instaurate delle "leggende metropolitane", e che tutti continuino a ripetere certe affermazioni senza esserne criticamente consapevoli, senza averne mai verificato le "dimostrazioni"! Io sono sempre un matematico, anche se mi occupo da tanto tempo di fondamenti della fisica, e quando affermo qualcosa so bene quello che dico. Anche in questo caso, non ho alcun dubbio infatti di avere ragione io, e in tutti i punti. Cose di tal genere mi sono gia' capitate, in questo settore di ricerca in cui sono riscontrabili forti connotati ideologico-emotivi (obiezioni dello stesso tipo mi furono fatte per esempio dall'American Journal of Physics, fino a che il noto relativista Prof. Rindler non scrisse all'editore, al tempo il Prof. Romer, nero su bianco che avevo ragione io, permettendo la pubblicazione del lavoro), ma se ti scrivo subito prima di inviarti la mia replica (che mi prendera' qualche giorno di tempo, ho anche tante altre cose da fare), a parte che per salutarti, e' per chiederti sin d'ora chiarimenti sull'ultima parte della tua comunicazione, laddove scrivi "non posso che respingere" etc..

Immagino infatti che sia prassi anche dei Rendiconti di valutare, di fronte ad obiezioni di un referee, le risposte dell'autore, e in caso di ricorrere anche a un secondo referee per un arbitrato. Aumenta cosi' la probabilita' che se ne trovi uno che capisca di cosa si parla, per esempio che asserire che la Teoria di Maxwell e' "fisicamente indeterminata", pur tenuto ovviamente conto di condizioni iniziali o al contorno, significa esattamente dire che la sua applicazione in casi concreti dipende dalla "definizione" che si deve dare A PRIORI dei termini noti delle celebri equazioni (densita' di carica e di corrente): e' ovvio che se si da' una definizione relativistica di queste quantita' verranno fuori dei risultati, delle previsioni, relativistici, ma quella appunto non e' l'unica possibile definizione (anzi, non era certo la definizione che dava Maxwell, o che uso' Einstein quando, PRIMA di enunciare la sua teoria, annovero' il fenomeno dell'induzione elettromagnetica tra le possibili conferme sperimentali del principio di relativita').

O NON E' QUESTA LA VOSTRA ATTUALE PROCEDURA?! Ti prego in caso di avvertirmene, cosi' mi risparmio eventualmente la fatica di rispondere...

Ciao, un carissimo saluto

dal tuo Umberto Bartocci

4.

Replica alla relazione del referee a proposito del lavoro:

"Su una possibile falsificazione sperimentale

della teoria della relatività ristretta"

"A semplificare quello che si intende dire si finisce

per falsarlo. Si può soltanto cercare di dire

il più esattamente possibile quello che si ha in mente."

(A. Cross)

Caro De Concini,

rispondo alla tua comunicazione del 23.11 u.s., Prot.: 290/99/RED, con una replica analitica all'unica relazione negativa che mi è stata inviata in ordine alla mia proposta di pubblicazione, chiedendoti formalmente che essa venga esaminata non soltanto dal primo referee (il che è pure doveroso, ma è chiaro che mi sembra difficile prevedere una sua "conversione" sulla strada di Damasco, vista la posizione che ha alquanto imprudentemente assunto), ma anche da altra persona davvero competente, la cui collaborazione non dovrebbe esservi difficile riuscire ad ottenere (comunque, per quanto riguarda il puro schema logico della discussione, anche un qualsiasi buon matematico - senza pregiudizi - potrebbe esprimere un decente parere).

Posso aggiungere che di siffatte "diatribe" sono ormai più che esperto, e che per esempio qualche anno fa, sostanzialmente sullo stesso argomento, l'American Journal of Physics affidò il richiesto arbitrato al noto esperto di relatività Prof. W. Rindler, il quale ebbe l'onestà intellettuale di ammettere che avevo ragione (nonostante ciò implicasse che aveva torto lui, in relazione a quanto aveva asserito in un suo precedente lavoro).

In effetti, mi rendo conto che per quanto riguarda l'Italia (alla quale si è giocoforza confinati essendo l'articolo scritto in italiano) la "pratica" non sia troppo semplice da mandare avanti, perché pochi sono gli esperti del ramo, e di solito tutti con una ben precisa loro opinione su siffatti argomenti, spesso (non perfetta e) già illustrata anche in analoghi lavori "concorrenti". Trovare una persona capace di esprimere un giudizio oggettivo, non sarà invero del tutto facile, soprattutto senza allargare troppo il discorso! Questo accade in effetti spesso in fisica, si afferma una cosa e subito si replica: ma allora come si spiega quest'altra? Come se non fosse troppo semplice applicare anche in questo campo di indagini il metodo cartesiano di "dividere ogni difficoltà in parti elementari fino al limite del possibile", cominciando ogni studio "dagli oggetti più semplici e più facili da conoscere", salvo poi a "salire poco a poco e come per gradi alla conoscenza dei più complessi". Conto almeno che il "livello" delle obiezioni che riceverò possa appunto "salire".

In ogni caso, se vorrai (ho notato che questa di indicare a priori degli esperti per un lavoro proposto per la pubblicazione è prassi comune presso certe riviste straniere), potrei proporti dei nomi, come il Prof. Francaviglia, di Torino, il Prof. Spavieri, di Merida, Venezuela, il Prof. Bergia, di Bologna, il Prof. Kostro, di Danzica, che conosce un po' l'italiano, o i Proff. Rodrigues e Assis, di Campinas, Brasile, etc..

Com'è prassi di ogni lavoro di matematica che si rispetti, comincio con l'enunciare la tesi che dimostrerò: il referee ha completamente torto, ed evidentemente non ha ben compreso la questione.

Con queste parole mi riferisco ovviamente alla parte oggettiva del contendere, ovvero a quella più propriamente scientifica. Nella seguente relazione distinguerò tra le obiezioni ricevute in tale contesto, da quelle portate invece contro la parte del lavoro che comprende congetture, opinioni, etc., visto che anche a queste critiche - che si limitano peraltro ad esprimere quella che è l'attuale "opinione comune" della comunità dei fisici (a me ben nota!, altrimenti non ci sarebbe stata necessità del mio saggio) - è comunque doveroso rispondere. Faccio notare però che, a priori, l'eventuale validità della tesi precedente dovrebbe essere interpretata anche come un elemento a favore della circostanza che, opinione per opinione, anche quelle che io riporto dovrebbero essere prese almeno in considerazione.

Ci tengo pure a sottolineare esplicitamente che, come avrai del resto già compreso, non è mia abitudine privilegiare la sinteticità a scapito della chiarezza - ricordi?, nel libro di "Algebra Commutativa" del compianto Prof. Zariski, che è stato uno dei miei "maestri", compariva l'assai istruttiva epigrafe (da Courteline), analoga a quella da me apposta all'inizio di questa relazione:

Le juge: Accusé, vous tâcherez d'être bref.

L'accusé: Je tâcherai d'être clair.

Ciò nonostante, prevedendo che le persone chiamate a giudicare di questa disputa non avranno molto tempo, o voglia, per approfondirne ogni aspetto (caratteristica generale purtroppo dei tempi in cui viviamo), isolerò la questione più rilevante, e cioè: se il calcolo che ho proposto è davvero sbagliato, come sostiene il referee, o no. Su questo almeno si dovrebbe poter convenire tutti, anche coloro che hanno fatto della difesa della relatività uno degli scopi della loro vita. Si potrà poi aggiungere che questo calcolo è inessenziale, che altri argomenti mostrano che l'esito dell'esperimento che io propongo non potrà essere quello che io spero (la fisica è una scienza a posteriori, e non si può dire quale sarà il risultato di un esperimento prima di effettuarlo, lo si può al massimo più o meno ragionevolmente prevedere!), etc., ma almeno un punto fermo lo avremo raggiunto.

Termino questo preambolo sottolineando che, se da un lato non mi ha fatto evidentemente piacere dover sacrificare diverse preziose energie a questo lavoro di replica, dall'altro non potevo sperare in una prova migliore di quanto da me asserito proprio all'interno dell'articolo in discussione, laddove sostenevo che su certe questioni di fisica esiste un "comune punto di vista" basato su asserzioni erronee, e aggiungevo che ciò può essere una causa "dell'attuale confusione mentale che sembra regnare nel campo dei fisici". Come dire, che proprio l'infondatezza delle obiezioni ricevute dimostra ampiamente l'originalità (devo dire, purtroppo!) del mio articolo, e quindi la necessità che esso venga pubblicato. Non mi illudo naturalmente che questo possa bastare per modificare davvero la situazione, e rendere la fisica un po' più simile alla matematica, almeno laddove è possibile (del resto, a fare questa medesima analisi, e a cercare di porvi rimedio, ci aveva provato anche lo stesso Hilbert!), ma da qualche parte bisognerà pur cominciare. Come scriveva il nostro illustre astronomo G. Schiaparelli in un simile contesto all'inizio del secolo: "Insomma: se sarebbe troppo il dire ch'Ella ha spiegato le cose come stanno, proprio come stanno, mi pare tuttavia di non eccedere la giusta misura dicendo che Ella ha aperto al nostro sguardo nuove possibilità, la cui considerazione deve essere sufficiente a moderare il tono dogmatico, con cui diversi scienziati, anche di gran vaglia, hanno parlato e vanno parlando...".

La storia, evidentemente, si ripete sempre...

I parte - Replica all'obiezione scientifica principale

A) Secondo il referee: "il calcolo che viene presentato è errato".

L'unico argomento che viene portato contro la correttezza del calcolo di cui trattasi è un vago: "Non è in alcun modo sorprendente che queste due forze si compensino esattamente...", ma, a parte il fatto che decidere se questa compensazione avvenga o no non si può certo risolvere a parole, al referee sembrano sfuggire i punti fondamentali in discussione.

A1) La "compensazione relativistica" tra le forze in esame non avviene certo per il motivo indicato dal referee. In effetti, la forza di cui al suo punto b) non ha evidentemente alcun rilievo in ordine al caso in considerazione, e questo per due motivi.

A2) Il primo, e più rilevante, è che la carica q è definita appositamente come una test charge ("carica di prova", vedi l'inizio della sezione 7), ovvero, per definizione, la si suppone incapace di modificare il campo di cui lei è chiamata soltanto a misurare l'effetto. Come dire, che q si suppone "piccola" quanto si deve rispetto agli altri parametri (intensità di corrente, raggio della spira, etc.) determinanti la grandezza fisica che si desidera studiare.

A3) Il secondo, se il primo non bastasse, è che la forza di Lorentz relativa al campo magnetico generato dalla carica q in moto agisce sulle "cariche in moto all'interno della spira" in direzione ovviamente perpendicolare alla spira medesima, e quindi e' del tutto ininfluente ad alterare il campo elettromagnetico da essa generato.

A4) Il suggerimento del referee di prendere in considerazione anche l'effetto della carica (ma comunque allora non più "di prova"!) sulla spira non è naturalmente privo di generale interesse, ed è in effetti stato oggetto di studi aventi finalità diversa da quella del lavoro in esame. Per esempio, discussioni concernenti i limiti della validità del principio di azione e reazione in ambito relativistico. L'azione della carica sulla spira, che è come un "ago magnetico", dovrebbe manifestarsi mediante una torsione, che in effetti sembra non "vedersi", tanto che questo problema è noto agli specialisti del settore come il problema della missing torque.

A5) La spiegazione relativistica del caso in considerazione non è certo quella indicata dal referee, ma consiste nel fatto che appare, nel riferimento R in cui la spira è in movimento, un campo elettrico oltre a quello magnetico - e questo è vero anche nella teoria di Maxwell classicamente intesa (EMC), che si intende appunto mettere a confronto con la teoria di Maxwell relativisticamente intesa (EMR). La differenza tra le due teorie è che l'unico contributo al campo elettrico di cui trattasi, nel primo caso è il termine:

-q A/ t, mentre nel secondo, del tutto correttamente secondo il punto di vista relativistico, ad esso si deve aggiungere un termine non nullo -qÑ F . Ovvero, secondo la relatività, il potenziale F della spira in moto non è zero, al pari del suo gradiente, come accade invece nel caso della spira in quiete (sempre in relazione allo stesso R), e proprio di questa specifica previsione relativistica il lavoro si occupa, proponendo di verificarla sperimentalmente (come tra l'altro si è già iniziato a fare seriamente, vedi quanto riferito nella nota editoriale, e nella nota N. 44).

A6) Per maggiore chiarimento, si allegano dei fogli alquanto informali contenenti il calcolo esplicito dell'effetto indicato (già verificato da altri colleghi), che si era omesso per brevità (né, del resto, è troppo difficile da essere effettuato da soli).

II parte - Replica alle altre obiezioni scientifiche

B) Il referee si meraviglia che la teoria di Maxwell venga detta "fisicamente indeterminata". E' naturalmente tutta una questione di definizioni, e di peso semantico da dare a quell'aggettivo "fisicamente". Come specificato nel paragrafo 4, con questa espressione si vuol soltanto sottolineare che "il sistema delle equazioni di Maxwell", pur con una serie di specificazioni, ma senza ulteriore regole prescrittive, per esempio in ordine all'assegnazione dei "termini noti" densità di carica e densità di corrente, non basta a risolvere "semplici problemi fisici", come quello prima discusso. Si potrebbe dire che è tutto un problema di assiomi, i quali debbono essere esplicitamente dati. Questa "teoria di Maxwell in senso stretto" può essere integrata con assunzioni di tipo classico, ed ecco quello che ho definito EMC, o con ipotesi di tipo relativistico, ed ecco EMR - teoria del tutto legittima a priori, ma non c'è da sorprendersi poi se, all'interno di EMR, vengano fuori delle previsioni di tipo relativistico (simmetrico)! In particolare, le due teorie coincidono nel celebre esempio dell'induzione elettromagnetica, che Einstein assunse a fondamento della sua proposta di estensione del principio di relatività dalla meccanica a ogni fenomeno naturale, ma, come specificato nel lavoro, questa deve considerarsi più un'eccezione che non una regola - almeno in teoria, bisogna poi vedere cosa la Natura ha da dirci al riguardo...

C) Il referee sintetizza quanto asserito nella nota 24 dicendo che l'autore si "meraviglia" che le equazioni di Maxwell omogenee ammettano soluzioni non nulle. Naturalmente, non c'è nessuna meraviglia di fronte al puro fatto matematico, c'è semmai meraviglia, dal punto di vista fisico, che queste possano venire accettate come reali soluzioni fisiche relative alle logicamente indispensabili sorgenti del campo, e all'ovvio problema della necessità di univocità della soluzione in certe condizioni. Siamo di fronte a un'altra delle prove che la teoria di Maxwell strettamente intesa non può essere considerata fisicamente completa. Questa nota è assai significativa, tanto è vero che non ci si è limitati ad esprimere un'opinione personale al riguardo, ma è stata data anche un'autorevole citazione. Di "condizioni iniziali", o "al contorno", l'autore è evidentemente bene al corrente, ma nel presente contesto non c'entrano nulla: si sta lavorando globalmente, su tutto lo spazio-tempo. Spiace che il referee non si sia accorto di non avere a che fare con una critica superficiale proveniente da persone poco esperte. Per esempio, in altro punto consiglia anche la lettura del "mai troppo studiato" testo del Prof. Feynman, senza rendersi conto che proprio queste lezioni sono citate all'inizio della sezione 4, nella nota 14, e nella nota 17, e che è perfettamente noto allo scrivente il punto di vista di questo famoso autore.

D) Il referee sostiene che: "Viene citato del tutto a sproposito il principio di corrispondenza". Direi che invece il principio di corrispondenza è citato del tutto a proposito (l'origine di questa obiezione non l'ho invero ben compresa: c'è forse qualche fraintendimento sui nomi, per esempio un equivoco tra "principio di corrispondenza" e "principio di equivalenza"?, mah!). Il fatto è che in questo lavoro si dimostra che il detto principio è falso, con tanto dispiacere per i fisici che vi sono così affezionati (e bisognerebbe indagare meglio le motivazioni epistemologiche di tale "affetto"). Si tratta comunque di un principio di natura extra-scientifica, la cui invalidità nulla toglie per esempio all'eventuale validità fisica della teoria della relatività. Semmai, quelle ad essere messe in crisi sarebbero soltanto certe ricostruzioni epistemologiche, storiche, didattiche, "di comodo", ma niente di più. Si può consigliare a questo riguardo la lettura del seguente articolo di Marco Mamone Capria, oggi senz'altro uno dei più competenti esperti di relatività in circolazione (che non ho citato nella precedente lista di nomi soltanto perché è stato con me coautore dei primi due lavori pubblicati dedicati alla specifica questione qui discussa): "The Theory of Relativity and the Principle of Correspondence", Physics Essays, 8 (1994), pp. 78-81.

E) Il punto 1) del referee è senz'altro quello più accettabile, anche se con diversi distinguo. Prima di tutto, l'articolo si rivolgeva principalmente ai sostenitori dell'interpretazione convenzionalista della relatività, che non è evidentemente condivisa né dal referee né dallo scrivente, e allora tanto meglio (ma la schiera dei convenzionalisti annovera illustri rappresentanti, e argomenti non banali, quali l'arbitrarietà della definizione di simultaneità). Inoltre, poiché è tradizionale, anche da parte degli anti-relativisti, appuntare tutta l'attenzione sul II principio della relatività ristretta, che è certamente di natura almeno parzialmente convenzionale, scopo del lavoro era riportare la discussione invece sul I principio, la cui validità si considera di solito, ma a torto!, scontata (ci sono naturalmente ragioni addirittura secolari per questa convinzione). Infine, quando nel lavoro si parla (in più punti, ma si veda soprattutto la nota N. 22) della necessità di esperimenti elettromagnetici diretti atti a confermare la validità del principio di relatività in elettrodinamica, si intende proprio suggerire di non prendere in considerazione esperimenti ottici, causa le ben note difficoltà di una "teoria fisica" della luce, che si risolvono soltanto in altri e più complessi ambiti teorici con principi quali quello di "dualità", etc. (c'è il rischio che si cada altrimenti nella trappola del cercare di risolvere l'ignotum attraverso l'ignotius). Un esperimento senz'altro accettabile, a parte quello di induzione elettromagnetica di cui già si è detto, è quello di Trouton-Noble, ma si spera che il referee ammetta che il numero di tali esperimenti non è troppo alto, per usare un understatement. Inoltre, non c'è dubbio in chi scrive che tutti gli esperimenti finora portati a "totale conferma della teoria", come dice il referee (e, per la verità, come è scritto anche in quasi tutti i testi "ufficiali"), siano accompagnati nella loro interpretazione da altre ipotesi per lo meno discutibili (quali quella che la Terra si muova realmente nell'etere, indispensabile al Michelson-Morley citato), o possano essere addirittura dotati di un significato totalmente contrario alla relatività. E' per esempio questa l'opinione espressa in recenti noti articoli del Prof. F. Selleri, che ascrivono il fenomeno della "dilatazione dei tempi" di particelle veloci etc. a effetti assoluti anziché relativi. La verità è che ciò che manca in quasi tutti, per non dire tutti, gli esperimenti citati ad abundantiam in questo genere di discussioni, è proprio la verifica di relatività, di simmetria. Ma questa è in effetti polemica che va ben oltre i limiti necessariamente angusti del lavoro in esame. Stupisce e dispiace però, non si può non ripeterlo, che il referee non abbia compreso di avere di fronte un esperto di queste problematiche, e non un qualsiasi crank, da mettere a posto con poca fatica.

F) Quando il referee dice (nel punto 2)) che si "nega non solo il principio di covarianza relativistica, ma anche il principio di covarianza galileiana", coglie assolutamente nel segno. Una corretta teoria dell'etere (o del riferimento assoluto) deve mettere in discussione anche il secondo (il primo in senso cronologico) sacro principio. Ma perché tanto scandalo, soprattutto da parte di qualcuno che opera per un'Accademia che era sorta proprio per reagire ad anatemi di questo genere? Nella scienza tutto si può sempre rimettere in discussione, o no?!, e il referee non ha altri argomenti, qui come altrove ("l'autore sembra prendere troppo alla lettera il detto molti nemici molto onore", "elimina di un sol colpo ottanta anni di meccanica quantistica", "questa affermazione è contraddetta da decenni, forse bisognerebbe dire oramai da un secolo, di fisica teorica e sperimentale"), che il seguente angoscioso interrogativo: "da un secolo, o più, crediamo tutti altrimenti, possibile che ci siamo sbagliati?". Questa è esattamente la domanda che venne rivolta con rabbia a Galileo, con la differenza che al tempo si poteva dire "da circa quindici secoli", anziché da uno soltanto...

III parte - Replica ad obiezioni di altra natura (o "minori")

G) Nel "preambolo" del referee si dice che viene offerta una descrizione "approssimativa" e "molto critica" di quanto nel seguito verrà discusso. Se è vero che il lavoro è molto critico nei confronti di certe "opinioni comuni" della fisica di oggi, non sembra invece conveniente il primo termine, se con approssimativa si intende "imprecisa, superficiale, incompleta", e non, come pure si potrebbe: "non esatto, ma vicino al vero" (vedi per esempio: A. Gabrielli, Dizionario della Lingua Italiana). Al contrario, come in ogni buon lavoro di matematica, ogni termine utilizzato viene esplicitamente definito, e si prova tutto il provabile (o il provando), fornendo gli opportuni riferimenti bibliografici (anche per le opinioni più controverse!) laddove esigenze di spazio hanno dovuto necessariamente prendere il sopravvento su quelle di completezza espositiva (ma, appunto, non di chiarezza - proprio al referee è stato finanche troppo chiaro il messaggio contenuto nel lavoro!). Per esempio, ai dettagli del calcolo fondamentale di cui al punto A) si è solo accennato. Si dice infine che l'autore "sembra intendere", ma l'autore non sembra intendere nulla, e utilizza il concetto di aether-frame così come questo è utilizzato da diversi autori pre-relativistici come Maxwell, o in numerosi lavori critici successivi alla teoria della relatività. Del resto, le caratteristiche di questo ipotetico riferimento sono esplicitamente descritte sia a pag. 13, subito dopo la formula (15), sia nella successiva pag. 14, dove è anche specificata la "libertà di scelta" di un siffatto sistema.

H) Assolutamente soggettive, e pertanto accettabili, sono le critiche alla "introduzione storico-filosofica della prima parte del lavoro", anche se, bisogna dire, certe considerazioni non sono "estrapolate da ogni ragionevole contesto". Semplicemente, possono essere trovate istruttive da chi ha già sviluppato una certa sensibilità al riguardo (si tratta soprattutto di citazioni, a riprova che certe opinioni cominciano ad essere comunque diffuse), e detestabili da chi invece sembra ricadere nell'esemplare di "professore" così brillantemente descritto da Benedetto Croce: "La maggior parte dei professori hanno definitivamente corredato il loro cervello come una casa nella quale si conti di passare comodamente tutto il resto della vita; da ogni minimo accenno di dubbio vi diventano nemici velenosissimi, presi da una folle paura di dover ripensare il già pensato e doversi mettere al lavoro. Per salvare dalla morte le loro idee preferiscono consacrarsi, essi, alla morte dell'intelletto."

I) Il referee scrive che "tutte le verifiche concettuali e sperimentali contro l'esistenza dell'etere sembrano non interessare in alcun modo l'autore", ma ha evidentemente torto, visto che il lavoro pullula di riferimenti in tal senso (l'autore si occupa da almeno 20 anni di tale questione!). Ha invece ovviamente ragione quando dice che non sembrano essere state capaci di "convincerlo". In effetti, il sottoscritto non ha alcuna difficoltà ad accettare i dati dell'evidenza sperimentale, purché correttamente interpretati, e di ciò si è già detto qualcosa nel precedente punto E) - anche se, dal punto di vista epistemologico, non nasconde di trovare assai istruttiva l'opinione di T. Phipps: "Ergo, as usual, experimental evidence is ambiguous or indecisive". Questa del richiamo alla "sperimentalità" è al contrario proprio una delle questioni che il presente lavoro intende mettere (o rimettere) in discussione, cercando di riportare un certo dibattito di natura eminentemente fisica dal piano concettuale-matematico (dove la relatività è perfettamente coerente) al piano puramente sperimentale, facendo appunto notare che non ci sono sufficienti evidenze dirette della validità del principio di relatività nell'ambito dei fenomeni elettromagnetici. Una comunità fisica del tutto onesta non dovrebbe manifestare tanta "resistenza" a quella che non potrà che essere, se Einstein aveva davvero ragione, una conferma in più, comunque più convincente (se si riuscisse davvero ad effettuarla su due diversi riferimenti, uno in moto rispetto all'altro), di esperimenti come il troppo celebrato Michelson-Morley etc..

J) Il referee ha frainteso il senso del "lasciamo pure da parte", con il quale non si voleva ovviamente liquidare in un sol colpo la teoria della relatività generale, ma soltanto restringere il campo a quella che di questa teoria è l'indispensabile premessa logica, e cioè la teoria della relatività speciale. Essendo quest'ultima poi un caso particolare della precedente (uno spazio-tempo piatto, ovvero, secondo l'impostazione einsteiniana, senza materia, senza gravitazione), la sua eventuale falsificazione sperimentale implicherebbe ipso facto una confutazione della teoria più generale. Allo stesso modo, sembra frainteso il senso da dare alle parole della nota 34, nella quale ci si riferisce a un "malinteso senso di superiorità accademica" soltanto in ordine al disinteresse con cui vengono accolte opere del tipo di quelle citate. Per quanto riguarda la "moda positivista", il referee dovrebbe sapere che insigni studiosi considerano le mode di pensiero determinanti in ordine allo stabilirsi di un paradigma scientifico, il quale entra in crisi spesso, più che per motivi sperimentali o interni (che una teoria "viva" ha sempre modo di contrastare, eventualmente con l'introduzione di ipotesi ad hoc), proprio per il venir meno delle "mode" che ne hanno favorito l'affermazione. Nel caso particolare, l'accenno (che si ammette fosse alquanto criptico), era al sottofondo "spiritualista" di opere come quella del Prof. Todeschini, ma, se si vuole fare un esempio più illustre, non bisogna dimenticare come il successo dei "newtoniani" sui "cartesiani" fu dovuto per esempio anche all'appoggio del tutto ideologico di personaggi come Voltaire, che detestavano ovviamente il filosofo autore delle: Meditationes de prima philosophia, in qua Dei existentia et animae immortalitas demonstrantur...

Perugia, 3 gennaio 2000

5.

Al Presidente dell'Accademia Nazionale dei Lincei

Ch.mo Prof. E. Vesentini

e p.c.: al Direttore del Comitato Consultivo dei Rendiconti Lincei

Ch.mo Prof. C. De Concini

Ch.mo Professore,

mi sarei comunque rivolto a lei nella sua veste di Presidente dell'Accademia, ma mi sento spinto a farlo con maggiore confidenza, e franchezza, dal ricordo di anni molto passati, quando frequentavo saltuariamente l'ambiente di Pisa, ed ebbi modo di conoscerla, assieme agli indimenticati Proff. Andreotti e Checcucci…

Sono costretto oggi a scriverle per portare a sua conoscenza una circostanza che ritengo alquanto grave, tanto più se si tiene conto delle tradizioni storiche e culturali dell'Accademia che lei rappresenta. Cercherò di essere sintetico, ma preciso, nell'esporle i fatti.

1 - Ho inviato lo scorso 6.9.99 un mio lavoro, "Su una possibile falsificazione sperimentale della teoria della relatività ristretta", ai Rendiconti.

2 - Ho ricevuto una sollecita risposta al riguardo il 23.11.99, Prot. 290/99/RED, da parte del Prof. De Concini, che pure ricordo con molto affetto e stima (ebbi ad essere uno dei commissari durante il suo splendido esame di Algebra a Roma!). Mi si comunicava il parere negativo di un referee, e che quindi la mia proposta di pubblicazione non poteva che essere respinta.

3 - Tenuto conto del mittente, risposi prima in modo informale, con un paio di e-mails, e poi ufficialmente il 3.1 del corrente anno, inviando una dettagliata relazione in risposta alle obiezioni di quest'unico referee, e invitando a un esame di essa non solo da parte dell'autore delle critiche, come era doveroso, ma anche di "altra persona davvero competente", visto che il solo appunto di carattere strettamente scientifico era del tutto infondato.

4 - Da allora, non ho mai ricevuto alcun cenno di riscontro, neanche di semplice ricevuta delle mie comunicazioni, neppure ad esempio del tipo: "il Comitato ritiene la pratica chiusa"; nulla, silenzio assoluto...

Così stando le cose, non posso che segnalarle l'incresciosa situazione che si è venuta creando, certo che saprà porvi rimedio, almeno sul piano formale. Non entro in questioni specifiche, mi attendevo del resto una certa opposizione da parte dei "credenti" nella relatività, ma di livello meno approssimativo. Le dirò soltanto che la sostanza* del lavoro in questione è stata non solo già ritenuta ineccepibile da diversi autorevoli studiosi (e oggetto di pubblicazione in riviste quali Foundations of Physics, American Journal of Physics, Physics Essays), ma che essa ha anche ispirato un esperimento concreto, effettuato presso i laboratori dell'Università de L'Aquila. Il caso vuole che i risultati sperimentali conseguiti (attualmente in corso di pubblicazione: "New electromagnetic test of breakdown of local Lorentz invariance: Theory and experimental results", U. Bartocci, F. Cardone, G. Mignani, 1999) siano stati oggetto di dibattito proprio in questi giorni all'M.I.T. (alla presenza dei Proff. Glashow e Coleman, di Harvard - le allego per sua curiosità l'annuncio del seminario [visibile nella gia' citata appendice al presente punto]), e che un invito a discuterne sia pervenuto anche da Princeton (Prof. Wheeler)!

Certo che vorrà dare disposizioni affinché mi sia fatto pervenire un cortesemente sollecito cenno di chiarimento sulla vicenda, la ringrazio per l'attenzione, e la saluto cordialmente,

Perugia, 15.5.2000

* Non mi è difficile ammettere che il lavoro in discussione tocca anche diverse altre questioni, di tipo diciamo storico-epistemologico, che ammetto ovviamente opinabili…

6.

Subject: Nota Rendiconti Lincei

Date: Thu, 22 Jun 2000 16:26:57 +0200

From: "Gianna Benigni" <benigni@accademia.lincei.it>

To: Bartocci <bartocci@dipmat.unipg.it>

Illustre Professor Bartocci,

su disposizione del Presidente dell'Accademia Prof. E. Vesentini e del Direttore dei Rendiconti Prof. C. De Concini, in risposta alla Sua lettera del 15 maggio u.s., La informo che il referee incaricato di esaminare il Suo lavoro dal titolo: "Su una possibile falsificazione sperimentale della teoria della relatività ristretta" nonché tutta la documentazione da Lei fornita, ha chiesto di poter disporre di un po' di tempo in più per poter esaminare il lavoro in modo approfondito. Questa richiesta è stata accolta e, pertanto, appena il referee avrà terminato, Le verrà inviato il giudizio così come è previsto nelle nostre norme per la pubblicazione sui Rendiconti Lincei: Matematica e Applicazioni.

Nella speranza di aver risposto a quanto da Lei richiesto, Le invio molti

cordiali saluti.

Dott.ssa Gianna Benigni

Ufficio Redazione Rendiconti Lincei

Accademia Nazionale dei Lincei

7.

Caro Umberto,

ti invio qui di seguito la risposta del referee alle tue osservazioni dello scorso gennaio. Come vedi, il resoconto è ampio e circostanziato, come è giusto che si faccia per i lavori che vengono sottoposti alla eventuale pubblicazione su una rivista scientifica come i Rendiconti dei Lincei.

Da quel che leggo, mi pare che il tuo contributo non abbia le caratteristiche idonee alla pubblicazione sulla nostra rivista ma piuttosto si presenti adatto ad una rivista di Storia della scienza.

Del resto nei Rendiconti Lincei (cito testualmente dalle nostre "Norme per la pubblicazione") vengono pubblicate: "Note che fanno conoscere i risultati di ricerche che, in modo più esteso e con le dimostrazioni dei teoremi, saranno pubblicate in seguito". Non mi pare che il tuo articolo, quindi, indipendentemente dalle questioni che affronta, che sono di indubbio interesse e che hanno sollecitato così controversi dibattiti, possa trovare spazio nella rivista accademica. Sinceramente avrei difficoltà a decidere in quale capitolo della scienza esso vada inserito.

Ti ringrazio comunque per avermi inviato il tuo contributo e spero che troverai altri canali per la sua divulgazione.

Cari saluti

Corrado De Concini

Roma, 20 settembre 2000

7bis.

RISPOSTA ALLA REPLICA DELL'AUTORE AL GIUDIZIO SUL. LAVORO: "SU UNA POSSIBILE FALSIFICAZIONE SPERIMENTALE DELLA TEORIA DELLA RELATIVITA' RISTRETTA"

di Umberto Bartocci

presentato per la pubblicazione sui: Rendiconti Lincei: Matematica e Applicazioni

Alcune brevi considerazioni:

La replica dell'autore è esatta su di un punto, cioè sul fatto che il calcolo presentato è corretto.

Tuttavia l'argomento come è presentato è leggermente ambiguo.

Infatti al punto 1 della prima pagina l'autore sembra sostenere che è errato ritenere che la fisica classica la teoria della relatività ristretta (TRR) differiscono nelle loro previsioni solamente nel campo delle "alte velocità''. Naturalmente questa affermazione vaga, tradotta rigorosamente, significa che le discrepanze sono dell'ordine O(v/c) o meglio O(v/c) al quadrato, dove con v s'intende, ad esempio, il valore massimo delle velocita' in gioco.

Poiché nella TRR il risultato è che sulla carica non si esercita alcuna forza, rimane da spiegare rispetto a cosa si hanno effetti di ordine O(v/c) al quadrato. Nel riferimento in cui la carica è in moto, nel quadro della TRR, sulla carica si esercitano due forze che si compensano una magnetica (di Lorentz) ed una elettrica dovuta al fatto che il filo appare carico (le densità di carica non sono invarianti rispetto alle trasformazioni di Lorentz).

Naturalmente poiché, appunto, la TRR prevede una forza totale nulla sulla carica al centro della spira non ha strettamente senso dire di che ordine sarebbe la forza che si eserciterebbe sulla carica negando la TRR. Potremmo, ad esempio, dire che se consideriamo come grandezze O(1) il campo elettrico generato da una carica puntiforme allora la forza che, nel caso che la TRR fosse falsa, si eserciterebbe sulla carica in moto, formula 16 del lavoro, è in realta' di ordine O(v/c) al quadrato, come si riconosce scrivendo

\mu_0 = l\4pi\ep_0c^2 (uso le notazioni TeX, per semplicita') e si ricorda che I = \roAv dove \ro è la densità delle cariche negative trasportate dalla corrente dentro la spira.

Ma, naturalmente, ciò non è vero se confrontiamo questo effetto con la forza esercitata da un campo magnetico su una carica in moto.

Al di là di ciò, l'idea centrale del lavoro può essere riformulata in poche righe, per esempio nel seguente modo:

"E' ben noto che la Teoria della Relatività Ristretta sostiene che i fenomeni elettromagnetici non cambiano passando da un sistema di riferimento inerziale ad un altro. In altre parole, non esiste un riferimento privilegiato nella famiglia dei riferimenti inerziali. Se si esamina un generico fenomeno elettromagnetico in due riferimenti in moto uniforme uno rispetto all'altro e si applicano le trasformazioni di Lorentz a tutte le grandezze tensoriali che sono in gioco si conclude, nell'ambito della teoria, che un fenomeno elettromagnetico che avviene in un laboratorio A, avviene allo stesso modo se effettuato in un laboratorio B in moto uniforme rispetto ad A. Se viceversa non si applicano le trasformazioni di Lorentz si otterrà che i due esperimenti differiranno per effetti di ordine O(v/c) al quadrato.''

Se si considera, come fa l'autore, un caso in cui la forza che si esercita su di una carica è secondo la TRR nulla è in un certo senso arbitrario dire che gli effetti sono di ordine O(v/c) al quadrato.

In conclusione, se tale discrepanza fosse sperimentalmente verificata questo ‘"potrebbe" voler dire che i sistemi inerziali non sono equivalenti e si potrebbe, magari localmente, individuare un sistema di riferimento in "quiete assoluta''.

Se, in particolare, consideriamo il moto solidale di una carica posta al centro di una spira percorsa da corrente e ci domandiamo se una forza si esercita sulla carica si ottiene, con un facile calcolo simile a quello presentato per un caso più semplice da R.P. Feynman in "Lectures on Physics" di R.P. Feynman, R.B. Leighton, M. Sands, Addison Wesley-Student series, Vol. II, par. 13-6: the relativity of magnetic and electric fields, una discrepanza dell'ordine (l\ep_o)O({vv_O}\{c^2}).''

In conclusione, tale esempio nostra uno dei tanti possibili effetti che si presentano se non si applicano le trasformazioni della Relatività Ristretta alla teoria dell'elettromagnetismo.

Di tali esempi se ne possono immaginare infiniti, l'autore ne presenta un altro alla fine del suo lavoro. Basta considerare qualsiasi esperimento coinvolgente cariche in moto, campi elettrici e campi magnetici ed effettuarlo in riferimenti diversi in moto relativo uniforme. Se non si accetta la TRR allora in riferimenti diversi il risultato dell'esperimento sarà diverso.

Quale e' dunque il senso di questo lavoro?

Sostenere che si possono effettuare esperimenti che possono provare che la TRR è falsa e inoltre, con essa, anche il principio di covarianza Galileiana.

Quale è la sua necessità?

Qui si entra ovviamente nel campo delle opinioni. La mia sostanziale impressione è che la principale motivazione dell'autore sia di trovare argomenti per sostenere che i fisici hanno accettato acriticamente (ottusamente?) la Teoria della Relatività Ristretta.

Ragionando in un'ottica più positiva, credo che mostrare come molte altre interpretazioni e tentativi teorici sviluppati e studiati nei primi anni del Novecento, sono stati "dimenticati'' o abbandonati dopo il successo della TRR, possa avere un senso. Infatti questo potrebbe essere un aspetto utile da ricordare ed anche, eventualmente, insegnare se si riconoscesse anche che questo si inserisce in uno studio storico atto a capire come le teorie scientifiche si evolvono e si consolidano e non nel tentativo vano di dimostrare che le teorie attuali sono sbagliate.

A mio parere, quindi, questo lavoro si inserisce in un filone di ricerca abbastanza diffuso, seppure minoritario, in cui si esaminano i fondamenti delle teorie fisiche cercando di metterne in luce le eventuali difficoltà concettuali e le possibili inconsistenze. La critica dei fondamenti della meccanica quantistica è un soggetto ancora più discusso, ma l'atteggiamento in quelle investigazioni è, purtroppo, nella stragrande maggioranza dei casi, dello stesso tipo. (C'è anche chi ancora si dibatte con la teoria dell'onda pilota di De Broglie, tanto per dirne una).

Occorre infatti riconoscere che, sebbene queste analisi critiche possano essere molto importanti, in linea di principio, per varie ragioni ben raramente lo sono. La maggior parte di coloro che fanno queste ricerche sembrano infatti sostanzialmente motivati dal desiderio di presentare la comunità scientifica come una comunità acritica che segue ottusamente le teorie dominanti.

A mio parere, ciò è profondamente falso e l'effetto è che molto raramente tali ricerche hanno effetti significativi sullo sviluppo delle teorie scientifiche e anzi talvolta aggiungono confusione nel mondo dei non esperti.

Ma, dimenticando queste considerazioni giocoforza soggettive e ritornando al presente lavoro, ritengo che, anche da questo punto di vista, esso abbia tutte le caratteristiche appena descritte e che tutte le altre obiezioni fatte nel mio precedente "report'' siano valide..

Tuttavia, come correttamente sostiene anche l'autore, questa è una materia su cui si possono avere delle profonde convinzioni, ma a cui i termini giusto e sbagliato non sono applicabili. Ne' d'altronde merita iniziare una discussione piu' approfondita con chi ritiene di potersi identificare, nella sua "battaglia contro le teorie dominanti", con Galileo in lotta con la chiesa e che vorrebbe, per tutti coloro che pensano differentemente, una conversione "sulla via di Damasco''.

Infine poiche' questo lavoro non aggiunge nulla di nuovo dal punto di vista matematico, poiche' tratta di un problema che i fisici nella loro stragrande maggioranza ritengono inesistente ed io con essi, il suo interesse, "if any'', deve essere valutato da uno storico della scienza o da un epistemologo, cosa che io non sono.

Quindi, al di là delle mie convinzioni personali, poiche' il calcolo elementare ivi riportato e' corretto, ritengo di non essere la persona giusta per giudicare se esso merita o meno di essere pubblicato. Ritengo invece che uno storico della Scienza potrebbe pronunciarsi meglio su questo punto.

8.

Al Ch.mo Prof. Corrado de Concini

e p.c. al Ch.mo Prof. Edoardo Vesentini

Caro Corrado,

invio queste relativamente poche righe di riscontro alla tua lettera del 20.9 u.s. (Prot. 198/2000/RED), poche perché, ti dico sinceramente, non mi sei sembrato tanto desideroso di comunicazione e di comprensione autentica del "caso", visto che, se non mi fossi rivolto al Prof. Vesentini (al quale vanno i miei più vivi ringraziamenti!), non credo avreste mai risposto alla replica approfondita che inviai nello scorso gennaio.

1 - Accetto ovviamente la soluzione burocratica della controversia, a termini del regolamento che citi.

2 - Sono soddisfatto di constatare che il tuo unico referee (al quale puoi girare la presente), dopo essere stato così malaccorto nella sua prima relazione, abbia infine riconosciuto che la struttura della mia argomentazione è corretta, anche se adesso transita dalla categoria dello sbagliato a quella dell'elementare. In realtà, a parte il fatto che anche fondamentali esperimenti come quelli di Michelson-Morley, Trouton-Noble, etc., sono basati su idee e calcoli ugualmente "elementari", la stima dell'effetto previsto non è poi così semplice, poiché la si può ottenere soltanto per integrazione diretta delle equazioni di Maxwell, e la determinazione esplicita del potenziale vettore magnetico, senza fare ricorso alle trasformazioni di Lorentz. Il risultato finale è piuttosto istruttivo, e, da quanto mi risulta, "originale".

3 - Ritengo infondata l'opinione che si tratti di uno scritto che potrebbe interessare solo storici della scienza od epistemologi. E' ben vero che io storicizzo la questione (del resto lo faccio sempre, per scelta di metodo), e non trascuro gli insegnamenti di natura filosofico-epistemologica che se ne possono trarre, ma nel lavoro dimostro (e tu, da matematico, comprendi bene in qual senso io introduca questo termine) che l'usuale "pacchetto" di ragioni con cui si presentano comunemente, in tutti i corsi e in tutti i testi, la relatività ristretta, e la sua compatibilità con l'e.m. di Maxwell prima, e con la fisica classica poi (principio di corrispondenza), è irrimediabilmente errato, almeno in una sua parte non trascurabile (discutere dell'intero "pacchetto" trascenderebbe la dimensione dell'articolo). Non è vero che soltanto da fenomeni "ad alta velocità" si possano ricevere confutazioni, o conferme, della relatività; non è vero che l'elettromagnetismo sia "automaticamente" relativistico (Lorentz-invariante) quando trattato con le equazioni di Maxwell; non è vero che le previsioni relativistiche siano mai state direttamente verificate in ambito elettromagnetico, e l'esperimento che propongo alla fine del saggio (più significativo di quelli precedentemente citati) intende proprio colmare questa lacuna. In quale testo, o articolo, si possono trovare riportate queste affermazioni? Se tutto ciò al referee sembra poco, e questione solo di "storia della scienza" - con riferimento manifestamente riduttivo - è sua intera responsabilità (per inciso, lo informo per tuo tramite che la mia proposta sperimentale è stata discussa con molta attenzione in un seminario svoltosi al Massachusetts Institute of Technology, Center for Theoretical Physics, lo scorso 8 maggio). Lascio naturalmente al referee pure l'onere di stabilire se il suo sia o no uno di quegli atteggiamenti che lamento presenti nella comunità scientifica attuale, più che "ottusa" direi passiva. Sono d'accordo infatti che la "stragrande maggioranza" dei fisici ritiene questo problema "inesistente", appunto perché si limita a ripetere la "lezioncina" imparata, senza chiedersi se essa sia del tutto giusta o meno - riconosco comunque che la fisica è materia estremamente difficile - pronta a recitarne una nuova quando, per motivi cui tralascio anche solo di accennare, avviene un "mutamento di paradigma". Tale "passività" - della quale resta, si direbbe, latente traccia nel subconscio - può forse spiegare l'irritazione (non riesco a trovare diverso termine per i toni della prima relazione: in essa mi si rimproverava anche un correttissimo riferimento al detto principio di corrispondenza!), che si nota nelle reazioni a certi faticosi tentativi di approfondimento a tutto campo. Ho proposto numerose volte a colleghi esprimenti lo stesso punto di vista, di invitarmi a tenere un seminario presso la loro sede, a mie esclusive spese, onde poter avere l'occasione di "sbugiardarmi" in pubblico, ma ognuno ha preferito defilarsi, preso da altre più importanti occupazioni: peccato che si continuino ad insegnare cose errate agli studenti.

So purtroppo bene, dopo tanti anni di studio non passivo della fisica del XX secolo, che la questione in discorso assume oggi risvolti socio-politici non banali (simili a quelli che sono stati peraltro alla base della fondazione dell'Accademia!), e sono lieto, da tuo vecchio conoscente ed estimatore, che tu ne possa uscir fuori con qualche pretesto formale (se la motivazione fosse del tutto autentica, sarebbe stata avanzata più di un anno fa, non trovi?!). Sono pure lieto di aver presentato per caso l'articolo per la pubblicazione proprio all'Accademia dei Lincei (quando non sapevo ancora che le nostre strade si sarebbero incrociate di nuovo), e che questo scambio di opinioni sia avvenuto, così "per la storia"...

Perugia, 28.9.2000

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Un'eventuale "morale" di tutta questa storia? Einstein e' assurto al ruolo di mito indiscutibile e intrasgredibile della nostra "cultura" scientifica (ma non soltanto!), e di fronte a "mostri sacri" di tale fatta gli "intellettuali" vengono comunemente colpiti da una sorta di impotentia ratiocinandi… (prendo il concetto a prestito dalla prefazione di un notevole libro di Giorgio Taboga, intitolato L'assassinio di Mozart, Akademos, 1997).

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