Il papiro come risulta effettivamente - Da Ugo Cassina,
"Dalla geometria egiziana alla matematica moderna", Ed. Cremonese, Roma, 1961
 

Sul XIV problema del "papiro di Mosca"


Ad esemplificazione del parere illustrato nel precedente punto 7, esaminiamo dettagliatamente in che modo viene trattata nel libro di Gheverghese la famosa questione del calcolo del volume di un tronco di piramide a base quadrata, oggetto del XIV problema contenuto nel famoso "papiro di Mosca", pure perche' essa, ancorche' assai semplice, non mi sembra compiutamente risolta (almeno a giudicare dai pochi testi che ho avuto modo di consultare) nello stesso modo che sara' indicato qui di seguito.

Ricordiamo prima di tutto che (dalla "Storia della matematica" del Boyer, gia' citata in precedenza, Cap. II, § 9):

"Gran parte delle nostre informazioni sulla matematica degli egiziani sono state ricavate dal papiro di Rhind o di Ahmes, il piu' ampio documento matematico dell'antico Egitto; ma vi sono anche altre fonti. Oltre al papiro di Kahun ... vi sono un papiro di Berlino dello stesso periodo, due tavolette di legno provenienti da Akhmim (Cairo) risalenti al 2000 a.C. circa, un rotolo di pelle contenente elenchi di frazioni con l'unita' a numeratore e risalente al tardo periodo degli Hyksos, e un importante papiro, noto come il Papiro di Goleniscev o di Mosca, acquistato in Egitto nel 1893. ... Fu scritto, con minore accuratezza dell'opera di Ahmes, da un ignoto scriba della dodicesima dinastia (ca. 1890 a.C.). Contiene venticinque esempi, per lo piu' desunti dalla vita pratica e non molto diversi da quelli del Papiro di Ahmes, fatta eccezione per due che hanno un significato speciale. Il problema 14 del Papiro di Mosca e' corredato da una figura che assomiglia a un trapezio isoscele, ma i calcoli che lo accompagnano indicano che si tratta di un tronco di piramide quadrata. ... Le istruzioni che accompagnano la figura indicano chiaramente che si tratta del problema di trovare il volume di un tronco di piramide quadrata alto 6 unita', se gli spigoli della base superiore e di quella inferiore sono rispettivamente 2 e 4 unita'".

Vediamo esattamente il contenuto del papiro, cosi' com'esso e' riportato nel testo di Gheverghese (p. 96).

"Vi dicono: un tronco di piramide e' di 6 cubiti in altezza verticale per 4 cubiti alla base per 2 cubiti alla sommita'. Calcolate il volume di questa piramide. Elevate al quadrato questo 4: risultato 16. Elevate al quadrato questo 2: risultato 4. Moltiplicate 4 per 2: risultato 8. Addizionate 16, 8 e 4: risultato 28. Prendete 1/3 di 6: risultato 2. Moltiplicate 28 per 2: risultato 56. Ecco che il volume e' 56!".

L'autore oggetto di questa disputa sposa naturalmente la tesi di coloro che ritengono la perizia manifestata in queste poche righe "l'apice della geometria egizia", e in cio' non e' (purtroppo) il solo, dal momento che anche in Paul J. Nahin ("An Imaginary Tale - The Story of the Square Root of -1", Princeton University Press, 1998), si conviene che si tratti della dimostrazione di conoscenze che "lasciano senza fiato", vero e proprio "capolavoro della geometria egiziana" (p. 3).

In effetti, quel valore 56 e' assolutamente esatto, non solo, ma la procedura indicata per ottenerlo corrisponde proprio alla formula:

(1) V(T) = h(a^2+ab+b^2)/3

che e' la corretta espressione del volume del tronco T in parola in funzione dei parametri assegnati.

La questione e' in ogni caso ben nota - come dire, niente affatto ignorata dagli storici della matematica, come precedentemente si sosteneva - e naturalmente chi come Boyer NON ritiene la matematica egiziana tanto avanzata da poter arrivare a un simile risultato, deve trovare una possibile "spiegazione" banale per giustificarlo.

Gheverghese dal canto suo esamina anch'egli le ragioni avanzate per spiegare il risultato contenuto nel papiro di Mosca, tendenti a convincere come questo non sia da intendersi necessariamente come segno di una matematica sviluppata, e le riportiamo integralmente (pp. 97-98).

"Sono stati fatti molti tentativi per spiegare come gli egizi possano essere arrivati alla formula corretta del volume del tronco di piramide. ... Sono tre le spiegazioni principali. La prima suggerisce che il tronco di piramide venisse ridotto in solidi piu' piccoli e piu' semplici dei quali si calcolava il volume prima di ricomporli di nuovo. E' nella parte finale di questa spiegazione che sorgono le difficolta', dal momento che la riduzione della somma dei volumi di tutti i solidi alla formula finale avrebbe richiesto un grado di conoscenza algebrica e una raffinatezza che pochi sarebbero disposti a concedere agli egizi. La seconda spiegazione e' che gli egizi avessero scoperto in modo empirico che il volume di un tronco di piramide puo' essere calcolato come il prodotto dell'altezza di un tronco di cono, h, e la media di Erone delle aree delle basi, a^2 e b^2 [in nota: La media di Erone di due numeri positivi x e y e' data da (x+y+rad.quad.(xy))/3]. ... Per finire c'e' l'opinione che il volume venisse calcolato come differenza tra una piramide completa in origine e una piu' piccola rimossa dalla sua sommita'. ... Indipendentemente dal modo in cui gli egizi sono arrivati a questa scoperta, la formula rimane come testimonianza imperitura della loro matematica".

"TESTIMONIANZA IMPERITURA", un commento che e' giustificato, nell'ottica di Gheverghese, dal fatto che, considerata la terza come la spiegazione "piu' plausibile delle tre" (cio' che in effetti ammetteremo anche noi qui nel seguito, pur ridimensionando di molto l'"entusiasmo" dell'autore), sembrerebbe allora stabilito in modo indubitabile che gli egizi conoscessero la formula corretta per il volume della piramide completa, un risultato che e' in effetti alquanto difficile da stabilire, almeno per quanto riguarda il CASO GENERALE. Argomenteremo invece come il tutto possa essere ricondotto alla conoscenza di SEMPLICI CASI PARTICOLARI, che non e' difficile ipotizzare noti a una civilta' come quella egizia, della quale non si puo' certo dire che non avesse interesse per le piramidi!

E' esagerato infatti ritenere, dalle poche righe citate dianzi, che gli egiziani fossero in possesso di una "dimostrazione", intesa nel senso della geometria greca, della formula in parola, che, ricordiamolo, e':

(2) V(P) = (h*a^2)/3 (superficie di base, e quindi quadrato del lato di base, per altezza, diviso 3) .

Il fatto che sembra invece assai piu' probabile e' che gli egiziani possano essere arrivati alla conoscenza della (2) per mezzo di semplicissimi ragionamenti originanti da casi particolari. Tutti capiscono immediatamente che, se si prende un cubo di lato a, e quindi di volume a^3, e si considera il centro O di tale cubo, proiettando da O le sei facce del cubo si ottengono 6 piramidi uguali di base a^2 ed altezza a/2, sicche' ovviamente:

volume del cubo = a^3 = 6 volte il volume di una di queste particolari piramidi quadrate = 6*V(P) ,

d'onde:

V(P) = a^3/6 .

Se si cerca di decomporre questa espressione in qualcosa che contenga la classica espressione superficie di base per altezza, si trova evidentemente:

V(P) = (a^3)/6 = k (costante da determinare) * (a^2)*a/2 (sup. di base per altezza) ,

dal che:

k = 1/3 ,

come si voleva dimostrare.

Ecco che gli egiziani avrebbero cosi' potuto sapere che, almeno in qualche caso particolare, la (2) e' vera, ed e' proprio di una matematica NON avanzata il concludere che essa sia SEMPRE comunque valida (come in effetti e'), senza starsi ad "affaticare" in dimostrazioni, che nulla aggiungono agli effetti pratici.

In ogni caso, tanto per andare avanti con la discussione che ci interessa in modo particolare, e' naturale che essi abbiano verificato la correttezza della (2) anche in ALTRI casi, per esempio quello di una piramide (ancora del tipo preso in considerazione) che abbia altezza h uguale al TRIPLO del lato di base, ovvero h = 3a. Dalla (2) si ottiene che il volume di una siffatta piramide e' a^3, ovvero proprio il volume del "corrispondente" cubo di lato a, e una verifica "sperimentale" dell'asserto e' facilissima, per esempio riempiendo di sabbia un cubo di detto lato a, e travasandola in una piramide quadrata di lato a ed altezza tripla 3a: la sabbia entrera' tutta esattamente nella piramide!

Se qualcuno avesse voluto proseguire sulla via di semplici speculazioni, avrebbe pure potuto introdurre il solido formato da 6 cubi di lato a uno sull'altro, e quindi di volume 6*a^3. Dal centro di siffatto parallelepipedo, proiettando come sopra le 6 facce, si ottengono 6 piramidi, due delle quali quadrate di lato a ed altezza 3a, uguali tra loro, ed altre 4, pure uguali tra loro, di base rettangolare avente lati a e 6a, ed altezza a/2. Niente di piu' semplice "supporre" che i 6 cubi a^3 si decomponessero in questo modo come somma di 6 parti UGUALI, i due cubi a^3 corrispondenti alle due piramidi quadrate, e altri 4 cubi corrispondenti alle 4 piramidi rettangolari, per il cui volume avrebbe appunto potuto tentarsi la formula:

(6a*a) (superficie di base) * a/2 (altezza) / diviso 3 = a^3 !

Come si vede, tutto tornava...

Orbene, quanto fin qui esposto mostra che gli egiziani potevano essere facilmente in grado di sapere almeno certe cose sul volume delle piramidi, ma vediamo come esse possano aver avuto speciale riflesso proprio sul calcolo del tronco da cui siamo partiti.

Quel tronco appartiene invero a una piramide quadrata che ha in totale altezza uguale a 12 (i due lati a e b stanno in rapporto di 2, come le relative altezze della piramide intera, diciamola d'ora in avanti P1, e di quella costruita sulla base piu' piccola, costituente la sommita' della piramide piu' grande, diciamola P2), e questo valore 12 e' proprio il triplo di 4! Come dire che la piramide P1 e' proprio una delle piramidi "particolari" di cui abbiamo appena parlato, di volume pari a quello del cubo di lato corrispondente, e quindi 4^3 = 64. La piramide piccola, P2, ha un lato di base uguale a 2, mentre la sua altezza sara' uguale all'altezza totale della piramide meno l'altezza del tronco, ovvero 12-6, operazione che da' come risultato 6 (si poteva anche fare semplicemente la meta' di 12, dato quel rapporto 2 di cui detto sopra). La conclusione e' che anche la piramide piccola e' una delle piramidi particolari in parola, avente un'altezza, 6, che e' proprio il triplo del lato di base, 2. Il suo volume e' quindi 2^3 = 8, sicche' l'autore del papiro poteva ben sapere subito che il volume richiesto e' 64-8 = 56. E' come se si fossero dati due cubi l'uno dentro l'altro, e si chiedesse di calcolare il volume di quello che resta del maggiore tolto il minore.

Bene, arrivati a questo punto si dira': ma l'ignoto antico matematico non ha scritto il suo risultato finale 56 come differenza dei due volumi 64 ed 8, ma ha indicato per determinarlo una procedura esattamente corrispondente alla (1), la formula "giusta" per il calcolo del volume di un tronco in generale. Ma vediamo un po' se non si possa facilmente anche risolvere qesto "enigma".

Lavorando adesso con parametri, e non con numeri, abbiamo detto come fosse facile concludere che il richiesto volume fosse uguale ad a^3-b^3, e questa espressione si puo' decomporre, senza troppa fatica, nel seguente modo:

(3) a^3 - b^3 = (a-b)*(a^2 + ab + b^2) .

Il secondo dei fattori che compaiono al secondo membro dell'identita' precedente e' proprio quello che compare in (1)!*

Resta il "mistero" dell'h/3, dal momento che il primo dei due fattori ottenuti e' invece (a-b), ma e' chiaro che, essendo le due altezze, grande e piccola, triple della lunghezza dei rispettivi lati di base, risultera':

h = 3a - 3b = 3(a-b) , come dire (a-b) = h/3 .

Sostituite questo valore nel membro di destra della (3), e il gioco e' fatto, otterrete esattamente la (1). Si noti pure che l'intera procedura realizza lo scopo di eliminare tutti i segni "meno" nell'espressione finale proposta come soluzione del problema - non ha alcun senso stare qui a sollevare la storia dell'eventuale conoscenza di "numeri negativi", dal momento che chiunque puo' fare la sottrazione 7-2, ed ottenere come risultato 5, senza "concepirlo" pero' come "somma" del 7 e di un "numero" -2, il discorso comunque ci porterebbe lontano.

Varie cose in piu' si potrebbero dire, come la (1) possa per esempio a sua volta "suggerire" una decomposizione del (triplo del) volume del tronco in esame come somma di volumi di certi solidi piu' semplici (si veda Boyer, loc. cit., p. 24 - ma, meglio, la successiva nota *), oppure discutere fino a che punto sia "rischioso", o no, considerare come validi in generale risultati ottenuti in casi particolari (anche se non e' questo il caso del papiro di Mosca, che, come abbiamo visto, prende in considerazione SOLO casi particolari!), ma lasciamo stare...

Riassumiamo solo la conclusione a cui siamo pervenuti, dicendo che la questione formulata nel papiro di Mosca va intesa con ogni verosimiglianza come una sorta di "gioco", di "indovinello", di "sfida", che partiva si' da conoscenze di probabile origine pratica (equivalenze tra volumi di piramidi e di cubi), ma non pretendeva affatto ne' di essere applicazione di una "formula universale", ne' di costituire una qualche "prova" di essa...
 
 

Addendum - E' pure ben noto come la (1), ancorche' esatta, NON sia poi di grande utilita' PRATICA, visto che se ci si trovasse davanti ad un VERO tronco di piramide quadrata, sarebbe facile misurare i due valori a e b, mentre sarebbe inaccessibile il valore h, che e' appunto inosservabile, almeno dall'esterno della piramide (e anche dall'interno, bisognerebbe conoscere lo spessore del "tetto"). La sostituzione nella (1) del parametro h con il parametro c, lunghezza dello spigolo del tronco, questa si' una quantita' "osservabile", risulta soltanto in un'opera di Erone ("Stereometria"), matematico alessandrino del I secolo dopo Cristo, che dimostra la (semplice) identita':

c^2 = h^2 + [(a-b)^2]/2 (applicazione del teorema di Pitagora),

che gli permette appunto di sostituire h con c**.

Si tratta di un altro elemento che rafforza la convinzione di fondo qui sostenuta, che la matematica egiziana non fosse poi tanto sviluppata, come si ritiene comunemente oggi da parte degli amanti della cultura, e dei "misteri", egiziani ed orientali in genere, o delle "civilta' scomparse", come Atlantide etc.. Ed affermo cio' seppure sia incline anch'io a considerare piu' che fondate le "voci" che si riferiscono all'esistenza di civilta' evolute sul nostro pianeta precedenti la catastrofe del diluvio del 3000 A.C. (Atlantide risale forse addirittura a un disastro avenuto ancora prima, visto che diversi elementi indurrebbero a collocare la sua storia intorno al 10.000 A.C.). Infatti, non c'e' necessariamente un collegamento tra le due convinzioni: prima di tutto, perche' non e' detto che tali "mitiche" civilta' avessero mai sviluppato quella che possiamo oggi definire genericamente una "cultura scientifica"; e poi, perche' e' molto probabile che, dopo ogni catastrofe, l'umanita' abbia faticosamente ricominciato da zero, o quasi.
 
 

* Chi volesse obiettare che la (3) e' frutto di una conoscenza "raffinata" dell'algebra, dovrebbe riflettere che identita' come questa, e l'analoga in ordine all'esponente 2, a^2 - b^2 = (a-b)*(a+b), hanno un'immediata "interpretazione geometrica", relativa a manifeste decomposizioni di quelle aree o volumi "complementari":

caso del quadrato:

a^2 - b^2 = (a-b)*a + (a-b)*b

(al secondo membro sono indicati due rettangoli, il primo collocato a fianco del quadrato piu' piccolo, immaginato con un vertice in comune con il piu' grande, l'altro al di "sopra" di esso)

caso del cubo:

a^3 - b^3 = (a-b)*a^2 + (a-b)*ab + (a-b)*b^2

(tre parallelepipedi, nell'ordine: il primo a fianco del cubo piu' piccolo, il secondo al di sopra di esso, il terzo "dietro" quello piu' piccolo, a completare la figura).

** E' chiaro che in questa sostituzione bisogna introdurre la radice quadrata dell'espressione c^2 - [(a-b)^2]/2, nella quale appare un segno meno NON eliminabile. Cio' implica che i coefficienti a, b, c - a differenza di a, b, h - non possono essere assegnati ad arbitrio, visto che il radicando deve essere comunque positivo [geometricamente, c, come ipotenusa, deve essere maggiore del cateto ottenuto come differenza delle semidiagonali dei due quadrati, ovvero (a-b)*(radice di 2)/2]. E' ben noto come di questa "limitazione" Erone non si accorga, visto che, dopo aver calcolato correttamente il volume di detto tronco nel caso a = 10, b = 2, c = 9, cerca di calcolarlo pure nel caso a = 28, b = 4, c = 15, che e' invece "impossibile" (Erone, andando avanti senza cautele, ottiene la radice quadrata di quello che diremmo oggi un numero negativo - ovvero, un numero "immaginario", secondo la denominazione di Cartesio - ed esce dall'imbarazzo con il "semplice" espediente di togliere infine il segno "meno", e di estrarre la radice quadrata del numero positivo corrispondente!) [cfr. P.J. Nahin, loc. cit., p. 4].
 
 

(UB, settembre 2000)
 



 



Ci sembra di fare ancora una volta opera utile al lettore inserendo l'immagine di un'altra delle rare testimonianze della matematica egiziana (stessa loc. cit. all'inizio), e precisamente una parte del papiro Rhind, o Ahmes, problema N. 48. Si tratta qui di confrontare l'area del cerchio con quella del quadrato circoscritto (come diremmo oggi, si arrivava a dare una stima di pi greco tramite la frazione 256/81), e si noterà che la rappresentazione del cerchio lascia invero alquanto a desiderare (in effetti, quello che viene raffigurato è probabilmente l'ottagono regolare inscritto al quadrato circoscritto al cerchio, la cui area costituisce una discreta approssimazione di quella del cerchio). E' forse opportuno aggiungere in conclusione un'altra informazione che proviene ancora da C.B. Boyer (loc. cit., Cap. II, § 7): "Un atto notarile rinvenuto a Edfu, risalente a un periodo di circa 1500 anni posteriore al Papiro di Ahmes, presenta [...] la regola per trovare l'area di un quadrilatero in generale [essa] consiste nel prendere il prodotto delle medie aritmetiche dei lati opposti. [...] l'autore dell'atto notarile ne derivava un corollario, secondo il quale l'area di un triangolo è uguale a metà della somma di due lati moltiplicata per la metà del terzo lato [...] ". Non sembra ci sia bisogno di alcun commento (tanto più se si tiene conto che il papiro di Ahmes risale a un periodo tra il 2000 e il 1800 A.C., e che 1500 anni dopo vuol dire quasi a ridosso della grande "esplosione" della matematica greca!), a conferma della tesi sostenuta dallo scrivente, che, nonostante quanto oggi si favoleggi, quella egiziana era una matematica estremamente "primitiva", almeno stando alle testimonianze documentali che ce ne sono rimaste...