PER INDIRIZZARE LA SCELTA DI CHI DEVE DIRIGERE

L'UNIVERSITA' A UN CONFRONTO DI IDEE, E NON A

UNO SCONTRO DI INTERESSI (PIU' O MENO CELATI)

 

* * * * *

 

"Si racconta che un tale avesse iniziato lo studio della

geometria con Euclide, e che chiedesse a un certo punto

all'illustre matematico che cosa avrebbe potuto ricavare

da cio' che aveva appreso. Immediatamente Euclide

chiamo' uno dei suoi servi, dicendogli: "Da' un paio di

monete a quest'uomo e congedalo, poiche' vuole

guadagnare qualcosa da quello che impara."

 

Cari Colleghi,

ho sentito da piu' parti esprimere l'esigenza che si avvii per tempo un ampio e approfondito dibattito in vista delle prossime elezioni rettorali di primavera, e reputo quindi opportuno stimolare i "veri" concorrenti a uscire dall'indugio presentando questa mia auto-candidatura a sorpresa. A tale passo sono peraltro costretto dal bisogno di dare visibilita' e voce a una posizione ideale che rischia di restare altrimenti ingiustamente oscurata. Del resto, questa non sarebbe neppure una novita', dal momento che gli appuntamenti elettorali nel nostro paese (ma non solo) sono ormai caratterizzati dal fatto che le diverse "proposte" appaiono pochissimo differenziate tra loro, e l'unica cosa che sembra si sia chiamati a decidere e' chi sara' delegato a gestire quei cambiamenti che comunque dovranno di necessita' verificarsi. Nel nostro caso, temo una grigia omogeneita' di programmi, un dibattito tutto incentrato - in pubblico - su questioni personali e marginali (dove spostare A o B, cosa finanziare in maggiore o minore misura), su generiche enunciazioni tendenti a riscuotere, tenuto conto dello "spirito dei tempi", scontati consensi (ma gli "unanimismi", tanto nelle approvazioni come nelle condanne, sono spesso indice di deterioramento morale in una collettivita'); in privato, su accordi piu' o meno riservati, stretti dopo fiumi di telefonate, o incontri in sedi esterne all'Universita'. Il momento richiede invece un confronto soprattutto di PRINCIPI: le decisioni pratiche seguiranno poi per ovvia deduzione logica da questi.

 

La manifesta crisi dell'Universita' che ci troviamo a vivere e contrastare ha ovviamente radici lontane, ed essendo un caso particolare di quella che coinvolge da diversi decenni la societa' italiana (anzi europea) nel suo complesso, e' stata ovviamente preceduta da altre analoghe crisi di istituzioni ben piu' rilevanti della nostra. Sarebbe pertanto ingeneroso ascriverne particolari responsabilita' a specifiche "gestioni", sebbene si possano senz'altro rimproverare gli accenti trionfalistici che hanno spesso accompagnato le novita' che siamo stati "dall'alto" costretti a subire, con ingiunzioni a volte tanto "violente" nei modi e nei tempi (ne e' tragicomico esempio la recentissima corsa alla valutazione dei docenti da parte degli studenti, che non si e' infine potuta attuare per mancanza dei relativi moduli!). Sara' allora opportuno ribadire esplicitamente quelle che debbono restare le finalita' primarie dell'Universita', vale a dire:

 

LA CONSERVAZIONE, LA DIFFUSIONE, E L'ACCRESCIMENTO

DEL SAPERE.

 

Tutte le energie, e le risorse, vanno destinate al conseguimento di tali obiettivi, che, per quanto riguarda il corpo docente, si concretizzano rispettivamente nello studio (parola oggi molto dimenticata, e forse sgradita per quanto attiene ai docenti: suona meglio "aggiornamento"?! - entrambi comunque richiedono TEMPO) e nelle attivita' organizzative, nell'insegnamento, nella ricerca. E' assolutamente necessario adoperarsi perche' venga mantenuto un sano equilibrio tra queste TRE differenti funzioni, laddove oggi si tende invece sempre di piu' a chiamare il docente universitario al mero assolvimento dei compiti didattici e amministrativi (ne e' un sintomo il proliferare di riunioni di diversi organi accademici tra loro parzialmente sovrapponentisi, con Ordini del Giorno improvvisati all'ultimo momento, e dove, al termine di assemblee sovente chiassose e rissose, la partecipazione alle quali e' obbligatoria, si vota talvolta di conseguenza solo per sentito dire - la mia esperienza personale e' ovviamente limitata nello spazio e nel tempo, ma, in forza del principio di ragione insufficiente, non ho necessita' di supporre che essa sia "singolare"). Si dimenticano cosi' i legami indissolubili e profondi tra un certo livello di didattica e la ricerca, e che nell'Universita' si ha il diritto di insegnare "solo perche' vi si studia".

Contro la semplice definizione dianzi delineata si muovono oggi varie "forze" convergenti, di comune origine peraltro abbastanza chiara, che, richiamandosi a una non meglio precisata esigenza di "modernita'", pretendono di interpretare con maggiore efficacia dei suddetti principi i "bisogni del sociale", e mirano quindi senza remore a trasformare la

 

UNIVERSITA' DEGLI STUDI in UNIVERSITA' DEI MESTIERI,

 

in mediocre ufficio di collocamento retto da "piccoli burocrati", soggetto agli egoismi e ai capricci del "mercato", alle richieste contingenti del "territorio".

Proprio qui da Perugia, mi sembra particolarmente appropriato replicare a tali perniciose concezioni con alcune parole del Prof. Dozza (pronunciate in occasione di un incontro sul "Piano regionale di sviluppo" nel 1983 - a riprova che certo "assedio" non e' poi cosi' recente):

"La cultura e' produzione di civilta' ... la cultura, quando e' tale, prepara il cambiamento, e dunque e' mal compensata dagli interessi costituiti ... la scienza non ha come fine la ricerca dell'utilita', ma la ricerca della verita' ... vive sui problemi e per i problemi degli uomini ... non possiamo che desiderarla libera ed universale ... se subisse in qualche modo condizionamenti dalle necessita' produttive si abbasserebbe inevitabilmente di livello, modificandone i caratteri, e diminuendone, infine, anche la pratica utilita'".

L'Universita', al pari di tutto il sistema educativo nel suo complesso, contribuisce ovviamente, seppure a volte in modo non immediatamente percettibile, al progresso della vita sociale, al mantenimento di un adeguato livello etico nella classe dirigente del paese, e sembra strano che non si voglia riconoscere come tanti mali che si lamentano oggi (e che taluni fanno addirittura finta di non vedere, o minimizzano): maleducazione, ignoranza, incompetenza, volgarita', corruzione, avidita', mediocrita' politica, disoccupazione, sfruttamento, inquietudine e depressione giovanili, droga, criminalita', prostituzione, pornografia, impudicizia, gioco d'azzardo (a cui istiga perfino la pubblicita' di Stato!), etc., siano da addebitarsi in ultima analisi all'indebolimento di quel sistema (oltre che della famiglia, suo indispensabile complemento), provocati, a dire il meno, da nefaste ideologie ed utopie.

In ogni societa' equilibrata ci devono essere motori di "conservazione" e motori di "progresso", e l'Universita' non puo' che essere uno dei primi, anche se poi paradossalmente e' proprio dal suo seno che hanno sempre preso le mosse le piu' grandi modificazioni dell'immagine del mondo. Una conservazione che non significa quindi un insensato e acritico attaccamento al passato (o, peggio, ispirato unicamente da interessi "corporativi", come cercano di far credere le comuni obiezioni calunniose dei "progressisti"), ma amore per il presente, e una prudente valutazione del ruolo positivo della "tradizione" nella costruzione di un futuro accettabile per i nostri figli.

Ma c'e' un altro compito non meno importante che l'Universita', assieme ad altre parti e strutture sociali, e' chiamata ad assolvere, e cioe' la funzione di KATÉCHON, di "barriera", che impedisca agli esseri umani di indulgere a quegli appetiti che, se prendessero il sopravvento, distruggerebbero ogni forma di civilta', ogni faticoso tentativo di elevarsi dalla condizione animale (quindi non una barriera intesa a preservare ingiustizie e privilegi, come hanno sempre sostenuto i suoi avversari storici, se il male fiorisce anche al suo interno e' soltanto a causa di infiltrazioni attraverso "fessure"). La neo-barbarie post-moderna pone al centro dello sviluppo della persona e della societa' pretese leggi oggettive dell'economia, e suggerisce come unica etica valida quella dell'auto-interesse. A questo svilimento della concezione dell'uomo, l'Universita' non puo' che contrapporre i tesori del sapere accumulati nel corso dei secoli da coloro che hanno viceversa saputo reagire alle seduzioni immediate del "materiale".

Bisogna avere oggi il coraggio di reagire di fronte a trappole ideologico-linguistiche dalle quali sembra non ci sia via d'uscita, ai sapienti condizionamenti operati da una sorta di "raggiro di massa", che riescono tanto piu' efficaci quanto piu' si e' cessato di pensare con la propria testa, e si vive come narcotizzati in un irreale mondo virtuale, "creato e sostenuto dai mezzi di comunicazione". Si deve pretendere che i disinvolti mentori di un certo modello di sviluppo chiariscano precisamente cosa ci sia dietro ai loro facili, e apparentemente irrefutabili (oltre che a volte anche vagamente "terroristici"), slogans del "mondo in rapidissimo cambiamento" (ragione di piu' per rallentarlo un poco!), del "villaggio globale" (un "villaggio" sempre meno a dimensione d'uomo, come sono i poli unici ospedalieri, e le mega-biblioteche, strutture vantaggiose solo per la misura del "potere" di chi e' chiamato a gestirle), della "modernizzazione", della (falsa) "autonomia", della "nuova didattica", dell'"internazionalismo", dell'"adeguamento agli standard europei" (un autorevole collega scrive: "E' falso che all'estero l'insegnamento superiore vi sia svolto nel modo che si vorrebbe introdurre in Italia ... Lo scopo e' produrre laureati in grado di svolgere operazioni del livello del battere ordini su computer, perche' l'industria ha bisogno di tali 'laureati', docili e passabilmente abili esecutori di ordini superiori"), etc.. Ci si puo' domandare per esempio di quale Europa si tratti, di quella che pone a proprio fondamento il rispetto per la diversita' e le molteplicita' dei popoli e delle tradizioni, o di quella ragionieristica dei banchieri, che sanno valutare la "qualita' della vita" solo mediante numeri (pensate a un Ateneo retto non da saggezza e "buon senso", bensi' dall'ideale burocratico di infiniti moduli da compilare, da parametri e frazioni, con i quali si vorrebbe stimare perfino il "valore" delle ricerche, privilegiando di fatto le "mode": sara' un suicidio scientifico addentrarsi in campi ancora male esplorati, o adottare punti di vista controcorrente), e non esitano a bombardare con violenza impietosa anche popolazioni civili - dimenticando di chiedere nelle dovute forme il consenso esplicito dei cittadini che pretendono di rappresentare - quando i loro interessi, sapientemente spacciati per motivazioni "umanitarie", li spingano a farlo. O di quale internazionalizzazione, concetto che si puo' sospettare occulti piuttosto la volonta' di "distruggere le basi tradizionali della cultura italiana, oscurare le sue radici", in un tentativo di colonizzazione economica e culturale senza precedenti, di cui il nostro paese, con la sua alta tradizione artistica e civile, non ha certo bisogno.

Va da se', non mi illudo che sia semplice avversare efficacemente talune tendenze in atto. Nel caso che ci riguarda, si puo' essere facili profeti, asserendo che esse porteranno a una proliferazione di "corsetti" (che saranno tenuti spesso da docenti saltuari privi di adeguata "vocazione", comunque, per un poco ancora almeno, soddisfatti del prestigio che il termine "universita'" tuttora possiede) e di titoli accademici, dalla denominazione tanto piu' accattivante quanto piu' ambigua ed oscura in ordine ad effettive competenze del titolato; a un ulteriore abbassamento del livello degli studi e degli esami, allo scopo di eliminare per esempio la pretesa "disfunzione" dei fuoricorso, in un modo al tempo stesso banale e nocivo - mentre si tratta invece di un fenomeno che puo' essere ricondotto a una serie di motivazioni, non tutte negative, che poco hanno a che vedere con la pretesa insufficienza della "vecchia" didattica universitaria (beato chi capisce quali saranno le principali caratteristiche della "nuova"!). Ne risultera' viepiu' accentuata la dequalificazione gia' in atto (nelle nostre aule si sente ormai dire che Manzoni e' uno scrittore del Cinquecento; che Cristo e' nato 1000 anni fa, alla faccia delle celebrazioni per il 2000; che l'alta tensione si chiama cosi' perche' i fili stanno in alto, etc. - ovviamente durante gli esami, non ancora durante le lezioni!, ma a mio figlio di scuola media e' stato proposto, nonostante le sue caute obiezioni, che per fare i 2/3 di una quantita' bisogna dividere per 2/3, e non moltiplicare), sicuro preludio a una prossima, da alcuni auspicata e prevista da tempo, abolizione del valore legale del titolo di studio, ovvero, della garanzia e del controllo dello Stato, che erano a favore dell'intera collettivita', sull'organizzazione e la qualita' dell'istruzione superiore.

Del resto, a siffatta incontestabile progressiva decadenza (l'unico "progresso" di cui si puo' parlare!) miravano da tempo le diverse riforme sciagurate che l'Universita', come peraltro il mondo della scuola, ha dovuto subire (chissa' quali e quante altre sono in lista d'attesa), e ciascuna di esse, invece dei proclamati miglioramenti, ha diligentemente portato il suo modesto ma concreto contributo negativo. Tra questi: l'abolizione di effettivi collaboratori didattici; di ore di "esercitazione" a latere delle lezioni principali (purtroppo appagando egoismi ed ambizioni dei docenti, si sta pure cercando di far scomparire la distinzione tra cio' che e' fondamentale apprendere, in un determinato indirizzo di studi, e cio' che non lo e', o lo e' in misura minore - per restare nel mio campo, conosco tanti "esperti di cose nuove", che non saprebbero spiegare decentemente cosa e' il famoso pi greco); l'impossibilita' di fatto di insediare regolari commissioni d'esame (come si puo' d'altro canto, di fronte al proliferare di appelli ed insegnamenti, assicurare tale regolarita'?); la scomparsa di ogni forma di "rispetto" (anche solo formale) per le gerarchie, e l'esperienza dei professori piu' anziani (una recente disposizione di legge, in ossequio al cosiddetto principio di unitarieta' della funzione docente, prevede che le graduatorie per gli affidamenti dei corsi si facciano soltanto a colpi di maggioranza durante le sopra descritte assemblee, tra tutti i richiedenti senza distinzioni), e cosi' via, si potrebbe ahime' continuare a lungo.

Le difficolta' di un'opposizione significativa risiedono principalmente nella circostanza che i sostenitori del processo di trasformazione in atto controllano tutti gli strumenti finanziari e di comunicazione, e per conseguire i loro scopi si giovano di regole ispirate al motto baconiano "Mediocria firma". Si possono pero' fortunatamente ancora utilizzare le stesse regole, quali la liberta' di espressione e di voto, contro di loro (vero che si tratta di una liberta' sostanzialmente vigilata, il recentissimo caso austriaco ne e' tristemente riprova: Vienna come Belgrado?!), perche' anche dalla piccola nostra sede arrivi un chiaro segnale

di REAZIONE e di RESISTENZA,

al mondo della scuola, alla societa' italiana, dimostrando che si puo' continuare a testimoniare con dignita' a favore di una diversa interpretazione della civilta' e della vita. Al detto: "Sventurata la terra che non ha eroi", Brecht rispondeva: "Sventurata la terra che ha bisogno di eroi", ma bisognerebbe dire invece:

 

"Sventurata la terra che ha bisogno di eroi e non ne ha".

 

In conclusione, rispondiamo un chiaro NO a chi fa continuo sfoggio, a proposito dell'istruzione universitaria, di parole chiave quali: incentivi (e sanzioni - per ora fortunatamente solo finanziarie), managerialita', mercato, azienda, produttivita', cliente, risorse, territorio, competitivita', o ritiene che tutti i problemi del nostro Ateneo consistano nel decidere sul polo unico ospedaliero, sulla sorte degli edifici della "conca", su come e dove "fare economie" (quando poi si bruciano senza fiatare migliaia di miliardi in poche settimane per aiutare a risolvere con le bombe e il terrore dolorose situazioni sociali e politiche). Proponiamo che risuonino invece parole quali: probita', passione, attaccamento, trasparenza, disponibilita', impegno, spirito di collaborazione, rigore, dignita'...

 

REAGIRE SI PUO', E SI DEVE.

 

Per esempio, manifestando senza cedimenti una decisa disapprovazione culturale nei confronti di coloro che, con maggiore o minore consapevolezza, sono saliti con disinvoltura sul "dorso della tigre", ed esprimendo un voto che sia un forte e chiaro segno di DISSENSO. Spero naturalmente che di qui ad aprile altre mani piu' capaci e piu' energiche delle mie possano portare avanti questi stessi principi, ma restero' a disposizione con spirito di servizio qualora cio' non si verifichi.

Certo, non si vincera', troppo radicati sono ormai anche nelle nostre file egoismo, mediocrita', disinteresse, e soprattutto rassegnazione, ma sarebbe forse possibile utilizzare proficuamente nelle votazioni successive alla prima una presenza ideale che auspico numerosa, a riprova di una non completa estinzione dell'intelligenza e dell'autonomia di giudizio morale negli intellettuali italiani.

 

Ringrazio dell'attenzione, e saluto, anche chi mi detestera' o deridera'...

 

Umberto Bartocci

 

(Tranne che nella circostanza piu' rilevante, non ho ritenuto il caso di citare esplicitamente le diverse fonti, o i colleghi, che mi hanno in qualche punto ispirato!)