Appendice (su un tentativo di pubblicare questo articolo)


 





Strana sensazione, quella di riprendere in mano il precedente lavoro, che avevo per la verita' alquanto dimenticato, a 10 anni di tempo dalla sua composizione: quasi un salto indietro nel passato, ai primi tentativi di "comunicare" quanto era stato elaborato durante il lungo periodo iniziale di studio della questione "fondamenti della fisica", e la consistente frequentazione di pensieri (e persone) "eretici" in proposito. Ritengo che qualche ulteriore informazione sia necessaria al lettore per poter capire meglio...
 
 

1 - La Rivista a cui si fa cenno nelle prime righe dell'articolo e' "La Fisica nella Scuola", Bollettino dell'Associazione per l'Insegnamento della Fisica (AIF; vedi link N. 23). Ad essa inviai il nostro elaborato per un'eventuale pubblicazione nell'agosto del 1990, e rimasi quindi in attesa di risposta:
 
 

"... Invio con piacere per un'eventuale pubblicazione sul Bollettino dell'A.I.F. l'accluso articolo, ispirato da alcuni recenti studi svolti qui a Perugia e dalla lettura di una nota del Prof. Piazzoli apparsa sulla rivista pochi mesi fa. Con l'occasione, ho il piacere di inviare anche un paio di preprints che si legano in modo piu' approfondito alla questione che viene trattata ... Si tratta di tutte cose un po' fuori dell'ordinario, non troppo "alla regola", ma a parer mio suscettibili di interessanti sviluppi, e comunque importanti ai fini del mantenimento di quel minimo di dialettica indispensabile per un approfondimento critico ed un'acquisizione consapevole dei PRINCIPI ...".
 
 

2 - Nel frattempo, stavamo ultimando (con lo stesso collaboratore) il ben piu' sostanzioso "Symmetries and Asymmetries..." (vedi punto 8 in questa stessa pagina), e un altro lavoro ad esso collegato. Proprio nei giorni immediatamente successivi alla spedizione della lettera precedente, iniziammo i tentativi di pubblicazione di questi due articoli: con "Foundations of Physics", per quanto riguardava quello piu' rilevante; con "American Journal of Physics", per quanto riguardava un breve "corollario" che ne era stato tratto, in ordine a un'osservazione del noto relativista Wolfgang Rindler, su "Relativity and electromagnetism: The force on a magnetic monopole" (AJP, 57, (11), Nov. 1989)
 
 

3 - Con mia relativa sorpresa (al tempo non ero ancora ben consapevole di certo "ostruzionismo", e pensavo che le difficolta' nelle quali si erano imbattuti diverse persone ormai diventate amiche, fossero dovute piuttosto a qualche loro carenza - che, nel caso del nostro studio, eminentemente matematico, ero sicuro non avrebbe potuto essere rilevata), accadde che "Foundations of Physics" accetto' imediatamente la proposta di pubblicazione, mentre con l'altra rivista nordamericana si apri' una discussione che fu risolta da un onesto riconoscimento dello stesso Rindler (autore del conosciuto: "Introduction to Special Relativity", Clarendon, Oxford, 1982), che ebbe in quell'occasione a scriverci, con nostra grande soddisfazione:
 
 

"... As you probably know, the editor of the AJP has sent a copy of your paper "Some Remarks on Classical Electromagnetism…" (Ms. # 2479) to me, so that I can have a chance to "defend myself"! But there is nothing to defend, and you are quite right. In my paragraph containing eq. (2) I had wrongly assumed that the classical argument would reproduce the relativistic result (although this does not affect the main gist of my paper!). Your criticism is fully justified …".
 
 

4 - Avviati cosi' i due lavori in inglese alla confortante pubblicazione, il pensiero torno' al "lavoretto" sul paradosso elettromagnetico, della cui sorte non avevamo saputo ancora nulla. Scrissi allora (gennaio 91) alla direttrice del tempo della rivista dell'AIF, persona assai gentile con la quale ero in amichevoli rapporti, chiedendole informazioni in merito, ed informandola che entrambi gli articoli, di cui quello inviato poteva dirsi un "corollario", erano stati trovati accettabili negli Stati Uniti, con nostra legittimo compiacimento. Riporto (quasi) integralmente la lettera in oggetto.
 
 

"Carissima Professoressa,

ho inviato piu' o meno negli stessi giorni il lavoro su un paradosso relativistico al Bollettino dell'AIF ed altri due lavori a due giornali americani (Am. J. of Physics e Found. of Phys.). Ora mi viene fatto di osservare che mentre ho gia' ricevuto dagli USA la risposta dei referees, ho provveduto a fare una revised version dei due manoscritti, e sono in possesso di una lettera di accettazione ufficiale, dal Bollettino dell'AIF non ho ricevuto alcuna risposta. Non potrebbe cortesemente farmi sapere qualcosa in proposito?

Poiche' sono in argomento, sono molto lieto di dirle che i due lavori che abbiamo inviato negli USA, e che a suo tempo inviai anche a lei come preprint, hanno avuto un'accoglienza molto favorevole (le invio il parere di uno dei referees di Found. of Phys.), al punto che W. Rindler ha riconosciuto, con molta onesta' intellettuale, di avere sbagliato nel credere che la soluzione di un problema elettromagnetico determinata risolvendo le equazioni di Maxwell dovesse necessariamente coincidere con la previsione relativistica (le accludo la relativa lettera). Altra eco favorevole l'abbiamo trovata in URSS, in Inghilterra, etc., solo qui da noi purtroppo, nel comunicare con i fisici, mi trovo come davanti a un muro di indifferenza verso questo tipo di questioni, che pure sono di grande rilevanza anche solo a volerle vedere sotto l'aspetto "didattico", visto che errori continuano ad essere allegramente insegnati e tramandati nei nostri corsi universitari, e da questi ai nostri insegnanti liceali e quindi ai futuri studenti di matematica e di fisica. Recentissimamente, Spavieri conferma le mie impressioni di matematico che procede per rigore logico, quando scrive esplicitamente (Found. of Phys. Letters, 1990, p. 300) che: "there are no direct experimental verifications of the relativistic transformations of em fields in SR"; e questo e' quanto da tempo sospettavo, anche se la "cortina" fumogena eretta dai fisici a difesa dei loro paradigmi mi ha fatto ritenere di essere in torto (per mancanza di conoscenza) per lungo tempo. Molti altri "misfatti" sono venuti fuori dal nostro studio critico di alcune esperienze "fondamentali", come ad esempio quella tanto celebrata di Michelson e Morley, e senz'altro le faro' avere una copia anche di questo nuovo lavoro. Ma a parte tutto resta il fatto che bisogna assolutamente favorire l'esigenza di una riflessione critica sui fondamenti della fisica, per intenderci del tipo di quella che la matematica ha fatto all'inizio di questo secolo, e che i fisici non hanno mai avuto il tempo di fare, correndo sempre in avanti, e accontentandosi troppo presto delle loro "conclusioni".

Termino informandola sul programma, ancora non formalizzato, dell'attivita' che ho proposto qui a Perugia per il 1991 ...
 
 

5 - Una gentile risposta interlocutoria non si fece attendere, dicendo che l'iter della "pratica" relativa al nostro lavoro era stata piu' difficile del previsto, e che presto mi sarebbe stata inviata una risposta ufficiale. Questa arrivo' infatti nel mese di maggio, e diceva:
 
 

"… Il lavoro dal titolo "Un paradosso relativistico" e' stato discusso per la quarta volta nella riunione del comitato di redazione … Nella forma attuale purtroppo non e' stato giudicato adatto alla nostra rivista. Le allego i due pareri piu' esaustivi tra quelli inviati dai referees e discussi nelle varie riunioni. La prego di scusare il ritardo con cui Le rispondo: come Le avevo annunciato, il Suo lavoro ha creato un lungo e travagliato dibattito all'interno della Redazione … L'argomento da Lei proposto e' senza dubbio interessante e merita una discussione, ma tutti e quattro i referee interpellati sono d'accordo sul fatto che l'esame di una risposta strana di uno strumento che si trova in un altro sistema di riferimento non puo' essere considerato un paradosso, e anche la redazione ne e' convinta, proprio perche' non e' giusto esaminare la risposta di uno strumento che non si trova dove vengono eseguite le misure: cambiando il sistema di riferimento, va cambiato il modo in cui vengono eseguite le misure. Nella forma attuale il lavoro puo' creare confusione per tutti quegli insegnanti meno attenti a questi problemi e magari stimolati dal titolo ... "
 
 

6 - Ecco i pareri dei due referees che ci furono inviati.
 
 

6-1 - "Giudizio sintetico: scorretto dal punto di vista scientifico. Sarebbe di validita' didattica limitata anche se il problema fosse trattato correttamente. Non si possono suggerire modifiche: per renderlo pubblicabile andrebbe interamente riscritto.
 
 

Commenti addizionali:
 
 

Gli autori spendono due pagine in un'introduzione dove esprimono opinabili giudizi non tanto sulla relativita', quanto sull'atteggiamento dei fisici sulla medesima. Segue una pagina e mezza per dimostrare un fatto ben noto: che una spira neutra e percorsa da corrente appare carica se la si guarda da un riferimento in cui essa i muove. Il paradosso consisterebbe nel fatto che una misura fatta con un elettroscopio da' risultati diversi nei due riferimenti. Infine abbiamo una pagina di "spiegazione" del paradosso, che non centra il punto essenziale, ma si diffonde sull'elettroscopio che "tocca il filo in un solo punto", su "elementi infinitesimi di volume", e sulla "difficile convivenza del modello discreto e di quello continuo dell'elettricita'". Un solo commento a proposito di quest'ultima osservazione: l'invarianza della carica totale, e la non invarianza della densita', non richiedono affatto l'intervento del modello discreto.

Il punto centrale nella spiegazione del paradosso, che gli autori non colgono, e' la necessita' di distinguere il diverso comportamento di due elettroscopi: uno in quiete nel riferimento R, l'altro nel riferimento R'. I due elettroscopi danno realmente indicazioni diverse: quello in R' non si apre, quello in R si'. Si noti che ancora una volta parlare di "osservatori" aiuta a confondere le carte: non ha alcuna importanza quanti sono gli osservatori (uno, due, o centomila); quello che ha importanza e' quanti sono gli strumenti di misura!

Nel riferimento R l'elettroscopio segna: vediamo di spiegarlo richiamando il meccanismo di funzionamento dell'elettroscopio (supporro' di lavorare nei pressi della parte di spira che ha carica positiva). E' più semplice non mettere l'elettroscopio a contatto col filo: segnera' anche se sta vicino (per induzione). Il motivo e' che nei pressi del filo carico esiste un campo elettrico radiale; le cariche libere nei conduttori che costituiscono l'elettroscopio si spostano per effetto di questo campo (verso il filo, trattandosi di elettroni negativi): si forma cosi' un accumulo di carica positiva sulle foglie, che percio' si respingono e si divaricano.

Passando all'elettroscopio solidale al riferimento R', sappiamo che esso non segna: si tratta di vedere se dal riferimento R e' possibile spiegarlo. In questo riferimento l'elettroscopio e' in moto, in prossimita' di una spira percorsa da corrente: gli elettroni sentiranno percio' tanto la forza dovuta al campo elettrico prodotto dalla densita' di carica, quanto la forza (di Lorentz) dovuta al campo magnetico. Tutto si riduce dunque a dimostrare che la forza risultante e' nulla; cosa che si verifica agevolmente a partire dalle espressioni dei campi elettrico e magnetico prodotti dalla spira nel riferimento R. Ci si puo' anche risparmiare il calcolo, perche' la RS e' una teoria coerente, e percio' quando si sa che la forza sull'elettrone e' nulla e' certo che sara' nulla anche in R.

In maniera del tutto simile, si puo' spiegare nel riferimento R' come mai le foglie dell'elettroscopio fermo in R debbano aprirsi, sebbene in R' non si veda nessuna carica: quell'elettroscopio si muove in un campo magnetico, ecc.

Dunque il paradosso non esiste, da qualunque parte lo si guardi. Per usare le parole degli autori, abbiamo solo "l'effetto di una indebita commistione tra schemi concettuali diversi"!
 
 

6-2 - "I motivi per cui ritengo che il lavoro vada respinto sono i seguenti:

a) L'esempio riportato non e' "inedito" (come affermato a pg 3) in quanto riportato in molti libri di testo quali ad esempio Panofsky-Philips, "Elettricita' e magnetismo" pg. 336, 337, o R. Resnick "Introduction to special relativity" pg. 160-161. In questi testi l'esempio e' descritto in modo molto piu' efficace e chiaro che non nel manoscritto in questione.

b) A pg. 5 gli autori affermano che il "paradosso" consisterebbe nella difficolta' dell'osservatore per cui la spira e' in moto di capire perche' la spira a cui lui attribuisce un momento di dipolo e' invece omogeneamente neutra per l'altro. La difficolta' mi sembra sia solo degli autori e non della teoria. Questa "difficolta'" assomiglia a quella per cui una stessa distribuzione di carica puo' dare origine a campi elettrici in un riferimento e a campi elettrici e magnetici in un altro.

c) Il fatto che la carica totale sia omogeneamente nulla in un riferimento e dia invece origine a un momento di dipolo nell'altro e le possibili conseguenze in termini di misure da parte di elettroscopi non rappresenta un paradosso allo stesso modo in cui non conducono a paradossi la relativita' della simultaneita (di cui questo esempio e' un'applicazione), la contrazione delle lunghezze etc. I paradossi nascono non quando due osservatori giungono a conclusioni diverse (sulla simultaneita' di eventi, sulla misura di regoli o, in questo caso, sul divaricarsi delle foglioline di un elettroscopio) ma quando la previsione in base alla teoria che l'osservatore 1 fa sul risultato di una misura dell'osservatore 2 non coincide su quello che questo effettivamente osserva; cosi' ad esempio nell'(apparente) paradosso dei gemelli etc.

d) Gli autori affermano che l'effetto sarebbe presente a basse velocita' (pg 3 sottolineatura) mentre ovviamente la possibile diversita' nelle letture degli elettroscopi come ogni altro effetto relativistico va a zero per valori piccoli della velocita' relativa rispetto a c."
 
 

7 - Impegnato ormai in altri progetti, risposi a questa comunicazione solo alcuni mesi piu' tardi. Ecco la copia integrale della lettera.
 
 

"Carissima Professoressa,

dovevo da vario tempo una risposta alla sua del 10.5 u.s. nella quale mi comunicava la non accettazione del lavoro "Un paradosso relativistico", di cui sono uno degli autori, da parte della Redazione del giornale da lei diretto, e mi scuso vivamente per il ritardo con cui le scrivo (purtroppo l'organizzazione prima, e la preparazione del volume degli Atti del convegno "Quale fisica per il 2000?" poi, hanno assorbito molto del mio tempo negli ultimi mesi).

Voglio dirle innanzitutto che mi dispiace che il lavoro abbia causato tanti problemi e discussioni nella vostra Redazione. Leggendo le relazioni dei due Referees che mi ha inviato (e che allego in fotocopia, chiamandoli Ref. 1 e Ref. 2) mi sembra che il "senso" con cui abbiamo scritto l'articolo sia stato in parte frainteso. In verita', l'articolo voleva soltanto cercare di esprimere l'opinione che, piu' che nella cinematica relativistica, veri e propri "paradossi" si incontrano nell'elettromagnetismo relativistico (EMR nel seguito), che e' da tenere ben distinto- come si dimostra nell'articolo che le inviai tempo fa in preprint, e di cui le faccio adesso omaggio dell'estratto - dall'elettromagnetismo di Maxwell (EMC nel seguito, dove "C" sta per "classico"). La parola "paradosso" e' stata da noi usata nello stesso corretto contesto dell'articolo del Prof. Piazzoli a cui facevamo riferimento (tra l'altro, proprio la circostanza che questo scritto fosse apparso nel suo giornale, mi aveva fatto venire in mente di spedire il nostro a lei, senza immaginare di suscitare tanto scompiglio). E cioe' niente affatto nel senso, che del resto sarebbe estraneo al termine, di "contraddizione" della teoria (ovvero "antinomia"), bensi' di conseguenza della teoria difficile da immaginare a priori (proprio come il "paradosso dello sciatore"), perche' in contrasto con le aspettative dell'"intuizione ordinaria"; dal cui esame si puo' ricavare una maggiore consapevolezza del significato della teoria stessa, punto e basta. Questo e' scritto molto chiaramente nel nostro lavoro, sicche' non comprendo le ultime parole del Ref. 1: "dunque il paradosso non esiste [...] ". Sono perfettamente d'accordo con lui, e lo abbiamo anche scritto, ma non si puo' negare che il fatto in se' giunga quanto meno inaspettato a chi non vi abbia gia' posto sopra attenzione, d'onde il carattere "paradossale", che abbiamo sottolineato nel titolo. Il Ref. 2 dice, al punto a), che "l'esempio [...] non e' inedito", citando ad esempio Panofsky e Phillips, ma mi permetto di fare osservare che non e' il paradosso a non essere inedito, bensi' la ben nota circostanza che "una spira neutra e percorsa da corrente appare carica se la si guarda da un riferimento in cui essa si muove", per usare le perfette parole del Ref. 1, cosa che naturalmente sapevamo benissimo (e abbiamo anche scritto, citando Feynman anziche' Panofsky e Phillips; ma voglio per inciso osservare che si tratta di una pura previsione teorica della relativita', e non gia' di un "fatto" sperimentale). Il paradosso viene fuori quando si fa notare che, come risultato di una certa misura (sbagliata, siamo d'accordo!), si potrebbe essere indotti a pensare il contrario. Ancora, il Ref. 2 parla di una difficolta' degli autori anziche' della teoria, io direi che la difficolta' non e' degli autori ne' della teoria, cosi' come non lo e' il paradosso dello sciatore ne' per la teoria della relativita' ne' per il Prof. Piazzoli. Questo paradosso e' stato inviato a vari altri colleghi fisici, e quasi tutti l'avevano trovato nuovo e "divertente", sicche' ci era parso che a maggior ragione avrebbe potuto apparire tale a persone interessate alla didattica della fisica a vari livelli. Poiche' sono in argomento, vado a terminare con l'analisi delle osservazioni del Ref. 2, dal quale dissento piu' a fondo. Nel punto 3), parla di "due osservatori che giungono a conclusioni diverse", ma noi stavamo ben attenti a parlare di un solo osservatore, che guardava un elettroscopio in movimento che "non segna" (abbiamo anche detto che il fatto che le foglioline siano aperte o chiuse e' un invariante); va da se', come dice bene il Ref. 1, qui il "gioco" consiste nel non far notare che contano gli strumenti anziche' gli osservatori, ma un "paradosso" serve proprio a far notare questo genere di distinzioni. Nel punto d), segnala come errata la nostra affermazione che l'effetto sarebbe presente "a basse velocita'", ma qui bisogna intendersi sul significato di questa espressione. La questione esula adesso dall'ambito specifico del lavoro, e in effetti l'osservazione contestata appartiene gia' alla "chiusa" del lavoro, che tende per la verita' ad ampliare la questione, coinvolgendo la stessa osservazione nell'ambito di un confronto tra due diverse teorie, nella fattispecie EMR ed EMC, ma voglio lo stesso soffermarmici sopra un poco. Per chiarire meglio questo punto, puo' forse fare avere a questo Referee una fotocopia del lavoro che le invio, nel quale e' dimostrato (cosa niente affatto difficile peraltro) che in EMC si puo' prevedere in certi casi, come questo, un "grande" effetto anche per "piccole" velocita', ma naturalmente allora pero' per "alte" intensita' di corrente. Si tratterebbe allora di un esperimento a piccola o ad alta velocita'?!

Torno adesso al Ref. 1, il quale in effetti mi ha suggerito alcuni veri e propri miglioramenti del lavoro contestato, il primo consistente nell'opportunita' di spiegare per bene perche' l'osservatore che vede la spira muoversi deve anche capire che l'elettroscopio in movimento non segna, benche' la spira appaia per lui carica (cosa che gli rivelerebbe un elettroscopio solidale con lui); anzi diro', che l'elettroscopio in movimento non deve proprio segnare, perche' le cariche libere nelle foglioline dello strumento "sentono", come dice bene il Ref. 1, oltre all'effetto della carica presente nella spira, anche la forza di Lorentz (ma non solo questa, che non sarebbe sufficiente "a far tornare i conti", bisogna tenere presente anche la variazione temporale del potenziale vettore magnetico). Il Ref. 1 ha anche ragione quando dice che puo' apportare confusione nei lettori il fatto che abbiamo detto che l'elettroscopio tocca il filo in un solo punto, etc., certo, l'elettroscopio in movimento puo' benissimo mantenersi "vicino" al filo (comunque esprimera' sempre una misura "locale"), si tratta di un altro utile suggerimento di cui terro' conto in una prossima stesura del lavoro, e del quale ringrazio il Referee in parola. A parte questo fatto, mi sembra pero' che il Referee sbagli quando ritiene che noi non avremmo centrato il punto essenziale del fenomeno, quando parliamo di "elementi infinitesimi di volume", e di "difficile convivenza del modello discreto e di quello continuo". Se e' vero che esplicitare la gia' detta spiegazione sul comportamento delle cariche libere presenti nello strumento in moto e' utile a far capire perche' l'elettroscopio non dovrebbe segnare secondo EMR, e' anche vero che il fatto che il filo si carichi dipende proprio (come, so bene, e' del tutto noto, e noi ci siamo limitati semplicemente a ripeterlo) dalla diversa velocita' di cariche positive e cariche negative presenti nel filo, e dal fatto che quindi la densita' di carica vada calcolata (in teoria della relativita') con riferimento a due contrazioni di volume diverse, e che questi volumi (nella teoria "continua") debbono essere intesi come infinitesimi. Continuo a ritenere che non tanto nel "nostro" paradosso, bensi' nella previsione relativistica che la spira in moto "si carichi", c'e' una "difficile convivenza" del modello discreto e di quello continuo, ma non voglio argomentare qui troppo a lungo su questo punto; semmai, cerchero' di essere piu' chiaro anche in questo contesto nella prossima stesura del lavoro.

Non capisco infine cosa c'entra l'osservazione che "l'invarianza della carica totale [...] non richiede affatto l'intervento del modello discreto"; lo sappiamo benissimo, tanto e' vero che abbiamo sempre usato come sfondo teorico il modello continuo, non mi sembra che si sia mai affermato il contrario. Per riassumere, ritengo che quanto avvenuto, e questa stessa lettera, abbiano ampiamente provato - come supponevo quando le ho inviato il manoscritto - che il lavoro e' "capace" di suscitare un approfondimento e una maggiore consapevolezza di un fenomeno che dovrebbe essere ben chiaro a tutti coloro che discutono e insegnano la relativita'. Inoltre, se se ne prende lo spunto per introdurre due previsioni diverse in relazione a teorie diverse, vale a dire EMR ed EMC, allora il lavoro fa di piu', indica anche senza troppa fatica un esperimento, neanche troppo difficile da effettuarsi, discriminante tra le due teorie. Questo, mi permetta, non e' poco, il celebre e usatissimo ai fini didattici esperimento di Michelson e Morley assolve a questo stesso compito in modo molto piu' discutibile e controverso (l'esperimento che chiamiamo di Kennard-Marinov nel lavoro che le invio e' una sorta di esperimento di Michelson-Morley elettromagnetico, anziche' ottico - per inciso, le inviero' presto un interessantissimo lavoro del mio assai brillante collaboratore Marco Mamone Capria proprio su questa famosa esperienza, e sui "pasticci" che si riscontrano in quasi tutte le sue presentazioni "didattiche"). In altre parole, se siamo in un riferimento in cui si suppone valgano le equazioni di Maxwell, la previsione "classica", in un caso quale quello da noi esaminato, e' che l'elettroscopio in movimento segni (e, ripeto, bastano un metro al secondo, e un solenoide di un migliaio di spire con un solo Ampere per cominciare ad avere effetti apprezzabili), mentre la previsione relativistica e' che l'elettroscopio non segni, e mi piacerebbe proprio fare la prova per vedere chi ha ragione. Questa mia osservazione personale introduce efficacemente all'argomento con cui adesso concludero' (attiro l'attenzione sul termine "personale": ancorche' il lavoro sia a due nomi: questa replica e' infatti del tutto mia, e rivolta a lei in modo quasi confidenziale, con il valore di un semplice e interessante scambio di opinioni tra noi due, e i due anonimi Referees!). Ringrazio comunque lei, la vostra Redazione, e i Referees, per avermi permesso di stilare una versione migliore, e piu' estesa, del lavoro che le inviai, che sono certo verra' accettato per la pubblicazione da qualche rivista specializzata (ma mi dispiace, perche' mi sembrava "giusto" farne l'occasione di una discussione in un ambito "didattico", e per di piu' "italiano"), ma prima dei saluti voglio dire ancora un'ultima cosa, forse un po' polemica, perche' basata su una "presunzione"; ma io sono un tipo che ama le polemiche, e che crede anche molto alle sue "sensazioni". Ho cioe' "by the pricking of my thumbs" la sensazione che il lavoro sia stato cosi' male giudicato non tanto per suoi intrinseci difetti, quanto piuttosto per il mio noto atteggiamento anti-relativista, che non nascondo a nessuno, ma che non mi sembra affiori mai esplicitamente nel lavoro in esame. Anche perche', dico ancora una volta, l'articolo e' davvero a due nomi, e il mio giovane collaboratore non condivide ne' le mie posizioni "filosofiche" sulla questione, ne' le mie speranze su "come andra' a finire", ne' in generale tutte le mie "aspettative" sulle sorti della fisica "moderna" (per modo di dire). Pure se, debbo riconoscere, credo condivida i miei atteggiamenti "critici" nei confronti di un certo modo di presentare la teoria della relativita' come qualcosa di ormai scontato ed indiscutibile (C. Will ne parla come di una teoria "beyond the shadow of a doubt"; io mi aspetto invece prossimo un suo "crollo" improvviso, come quello del comunismo nell'Europa orientale!). Forse anche a questa disposizione critica, che viene "rimproverata" dal Ref. 1 quando parla di "opinabili giudizi, non tanto sulla relativita', quanto sull'atteggiamento dei fisici sulla medesima" (e il Ref. 1 ha ancora una volta colto il punto, anche se naturalmente non sono d'accordo con lui sul fatto che queste critiche siano immeritate), si deve l'errata a parer mio decisione della vostra Redazione di rifiutare il nostro lavoro (debbo confessare per la verita' che, un po' "malignamente", sono in fondo contento di quanto e' avvenuto, per la "storia futura" ... ). Spero di non averla troppo annoiata, e di non aver ulteriormente indisposto i Referees nei miei confronti; ho cercato di essere un po' "spiritoso" anche in una questione seria, ma spero di non essere andato al di la' dei leciti limiti di una controversia scientifica. La saluto ora cordialmente, inviandole anche tanti auguri di buon lavoro, e rimanendo, mi creda, sempre il suo
 
 

Perugia, 10.9.91 (Umberto Bartocci)
 
 

8 - Nonostante l'intenzione espressa nella precedente lettera di cercare un'altra sede per la pubblicazione, nuove e piu' importanti questioni premevano alle porte, sicche' le pagine dedicate al paradosso furono a tutti gli effetti dimenticate.

Oggi che le riprendo in mano trovo l'intera vicenda ancora interessante, anche per quanto giustamente riconosciuto dal Referee 1:
 
 

"I due elettroscopi danno realmente indicazioni diverse: quello in R' non si apre, quello in R si'".
 
 

Eccoci quindi di fronte a una previsione VERIFICABILE della teoria della relativita', che ne attutisce il carattere "convenzionale", e mostra come siano ancora necessarie verifiche di tipo elettromagnetico prima di affermarne la validita' con tanta baldanzosa sicurezza. Non posso, a tale proposito, che rinviare all'esperimento descritto nel punto 10 di questa stessa pagina*, anche se ho qualche divergenza con gli altri autori in ordine alla sua interpretazione. Secondo me, si e' trattato solo dell'ennesimo caso nel quale il preteso "moto assoluto" della Terra non e' stato evidenziato, il che non mi sorprende perche' questo moto assai probabilmente non esiste affatto (almeno in misura rilevante). Prima di concludere che la relativita' e' "giusta", a parte suoi (peraltro ovvi) limiti di approssimazione, bisognerebbe ripetere un simile esperimento in un riferimento IN MOTO REALE rispetto a un laboratorio terrestre, e stare a vedere cosa succede (i POCHI esperimenti effettuati in queste condizioni, tanto piu' quelli di tipo ottico, hanno valore pressoche' nullo ai fini desiderati, per ragioni che sono state illustrate in diversi altri punti del presente sito web). Se il dispositivo "segna", e segna tanto piu' quanto piu' e' alta la velocita', la teoria di Einstein puo' essere relegata, come spero accadra' presto, nel dimenticatoio...
 
 

Conclusioni finali: ripensando alla vicenda della mancata pubblicazione dell'articolo, riconosco oggi sinceramente che i referees non avevano tutti i torti nello sconsigliarne la pubblicazione, non tanto (o non solo) per le ragioni da essi addotte (mancava comunque la "vera soluzione" del paradosso, che sarebbe stata abbastanza complicata dal punto di vista dei calcoli), quanto piuttosto perche' l'articolo era in effetti poco adatto alla rivista a cui era stato proposto. Posso solo dire, a parziale giustificazione di quella scelta, che esso era stato pensato come una replica all'altro simile articolo citato nelle righe introduttive, con l'intenzione di segnalare, ai frettolosi divulgatori della relativita' nelle scuole, che in realta' essa, nell'ambito dei fenomeni elettromagnetici, presenta dei problemi ancora sostanzialmente aperti, e quindi di formulare un invito a trattarla con una certa cautela, evitando "beatificazioni" premature...
 
 

(UB, 13 maggio 2000)
 
 

* Val forse la pena di informare che l'esperimento di Cardone si e' fatto comunque "strada", al punto che e' stato recentissimamente (8.5.2000) oggetto di dibattito con l'autore all'M.I.T. (alla presenza dei Proff. Jackiw e Coppi, dell'M.I.T., e Glashow e Coleman, di Harvard), e che al Prof. Cardone sia pervenuto un invito a discuterne anche a Princeton, da parte del Prof. Wheeler.