Umberto Bartocci

 

SENTIERI SEGRETI DELLA STORIA

 

Un'ipotesi sulle origini della scienza moderna,

dalla scoperta dell'America alla Rivoluzione copernicana

 

 

"Be a Columbus to whole new continents

and worlds within you,

opening new channels,

not of trade, but of thought."

 

(H.D. Thoreau, "Walden")

 

 

INDICE

 

Prefazione (Giorgio Galli)

 

Capitolo I

 

* Dove si discute di quale dovrebbe essere l'interrogativo fondamentale della ricerca storiografica, e della necessità del metodo indiziario per poter tentare di dargli una risposta. *

 

Capitolo II

 

* Dove si esemplifica il discorso precedente analizzando quanto

credito si possa dare alla ricostruzione 'ufficiale' delle origini

della scienza moderna, e più in generale degli avvenimenti che ad

essa si accompagnarono e seguirono. *

 

Capitolo III

 

* Dove ci si chiede in particolare se si può veramente credere a

quanto viene raccontato a proposito di Cristoforo Colombo e della

sua grande avventura, e si comincia con l'esaminare l'ereticità

della cosmografia colombiana, a favore della quale sembra intervenire addirittura un Papa. *

 

Capitolo IV

 

* Dove cercando di delineare un po' più verosimilmente la vera identità di Colombo si finisce con il dover fare i conti con le aspirazioni e le strategie di una minoranza perseguitata ma potente, e ci

si trova a proporre un'ipotesi sul perché del nome America. *

 

Capitolo V

 

* Dove studiando la genesi della grande scoperta si punta l'attenzione sul regno del Portogallo, e fa la sua apparizione a sorpresa

l'ombra misteriosa dei Cavalieri del Tempio. *

 

Capitolo VI

 

* Dove si ritorna sul retroterra scientifico della vicenda di Colombo, analizzando se è verosimile che questi avesse davvero intenzione di raggiungere l'Asia, e se la scoperta dell'America sia

stata quindi, come si afferma comunemente, un clamoroso caso di

serendipity. *

 

Capitolo VII

 

* Dove il discorso precedente si rafforza a partire da una antica

'dimostrazione logica' dell'esistenza di un Nuovo Mondo, e si suggeriscono alcuni dei modi con cui Colombo avrebbe potuto valutarne

la distanza dalle coste europee. *

 

Capitolo VIII

 

* Dove si fa un passo in avanti nella storia, investigando se sia

possibile rintracciare legami diretti tra l'ambiente di Colombo e

quello di Copernico, e si mettono in luce alcuni aspetti particolari della figura dell'"umile fraticello polacco". *

 

Capitolo IX

 

* Dove si intuisce che questa storia non finisce probabilmente al

punto in cui siamo costretti a lasciarla. *

 

Postfazione

 

Quadro cronologico riassuntivo dei principali avvenimenti collegati alle

ipotesi formulate nel presente libro

 

Indice Analitico

 

Postfazione

 

 

Edizioni Della Lisca, Milano, 1995

 

Via Guido d'Arezzo, 17

20145 Milano

 

Tel.: 02-433208

Fax: 02-5466661

 

 

* * * * *

 

 

POSTFAZIONE:

 

 

" - Com'è bello il nuovo vestito dell'Imperatore!,

dicevano i dignitari di Corte perché non volevano far credere di essere stupidi o inadatti ai loro uffici.

- Com'è bello il nuovo vestito dell'Imperatore!,

gridavano i sudditi, per non fare neanch'essi la figura degli sciocchi.

- Ma l'Imperatore è nudo! - gridò tra la folla un bambino innocente."

 

 

Tra le critiche più facilmente avanzabili nei confronti di un libro come questo sono ovviamente prevedibili quelle sul piano del metodo, la maggior parte delle quali probabilmente non saranno neppure espresse, visto che la soluzione più comoda è sempre quella dello sdegnato silenzio. Le altre, poche, che verranno invece esplicitamente mosse, e quasi certamente nella forma caratteristica e ben nota della farisaica indignazione, riguarderanno con ogni probabilità i già discussi problemi delle prove e delle fonti. A questo tipo di critiche è stato sostanzialmente già risposto nel corso del testo, e si potrebbero quindi dichiarare in linea di principio e sin d'ora tutte assolutamente ignorabili.

Qualcosa vorrei però aggiungere, ad esempio ricordare quel collega che al termine di una mia conferenza su questi temi osservò che per poter affermare qualsiasi cosa nel campo della storia occorrono almeno due testimonianze distinte, e mi venne voglia di rispondergli (ma non lo

feci!): "sì, certo, quelle del Gatto e della Volpe"!

Per quel che riguarda invece il problema delle fonti, il libro non si avvale ovviamente (tranne in qualche sporadico caso) di fonti primarie, né presenta novità documentarie; ma, di fatto, allo scopo di comporre un mosaico del tipo di quello che si è andato svolgendo sotto gli occhi del lettore che avrà avuto la pazienza di arrivare fino a questo punto, non ce n'era alcun bisogno. Basta, lo ripeto, l'esame di documenti già noti e riconosciuti dagli specialisti dei diversi periodi della storia che abbiamo preso in esame: non c'è alcun bisogno di spingere la critica nei confronti dei 'professionisti' fino a dubitare della validità delle prove che hanno raccolto, delle traduzioni che hanno effettuato, etc..

Ciò che si richiede, per continuare la metafora 'gialla' che pervade questo libro, è l'intervento di un investigatore che sappia valutare e mettere insieme tutte le testimonianze disponibili con occhi privi di interessi e di pregiudizi. E' questo lavoro, e questa disposizione d'animo, che invito il lettore a formarsi, allo scopo di esprimere il proprio personale giudizio sull'ipotesi che è stata qui illustrata, senza restare condizionato da presunte 'autorità'. L'unico genio, l'unica autorità che può essere riconosciuta è quella di coloro che mettono le proprie particolari capacità e talenti al servizio degli altri meno dotati e fortunati, abbassandosi fino al punto di lavare loro i piedi (Giovanni, 13: 5). Come si può ancora oggi non aver capito che bisogna diffidare di coloro che "tutte le loro opere le fanno per essere osservati dagli uomini [...] ed amano i primi posti nei conviti e i primi seggi nelle sinagoghe" (Matteo, 23: 5-6)?

Spero invece che non molte obiezioni potranno essere rivolte all'opera sul piano del contenuto, ovvero delle singole affermazioni su cui ho basato questa ricostruzione storica. Ringrazio comunque in anticipo quanti mi permetteranno di correggere sviste ed errori in previsione di un'eventuale futura nuova edizione (per questo motivo indico il mio indirizzo in calce a questa Postfazione), scusandomi altresì con gli altri lettori per qualche errore-orrore che mi possa essere involontariamente sfuggito, e con il quale possa averli 'contagiati', spero almeno con qualche possibilità di rimedio.

Assolutamente accettabili, e giustificate, saranno infine anche le critiche relative al piano della forma, ma, pur se non è una motivazione adeguata, o un'attenuante, va detto che questo libro ha preso corpo sì dopo vari anni di studio sull'argomento, ma è stato poi redatto come opera (abbastanza) organica sostanzialmente nel giro di poche settimane, in una situazione di cronica mancanza di tempo e di accentuato disagio psicologico. E' soltanto grazie alle sollecitazioni ed esortazioni ricevute da parte di alcuni amici - quali ad esempio Alessandro Campi, che mi aveva richiesto di procedere ad una stesura unitaria del materiale che era contenuto fino a quel momento in diversi articoli sparsi in varie riviste 'minori', se non addirittura in preprints poi rimasti sempre tali - che questo lavoro è stato finalmente portato a compimento, dopo avere albergato per troppo tempo nella mia mente e sulle mie labbra (né dovrei dimenticare per la verità anche un affettuoso, prezioso, determinante incoraggiamento, ma si tratta di una questione troppo personale sulla quale preferisco sorvolare).

Del resto, ho ritenuto più opportuno che una tesi del tipo di quella qui delineata venisse comunque divulgata, anche se in modo sintetico, e cominciasse pertanto a venire, almeno in certi ambienti, discussa - auspicio di futuri ulteriori approfondimenti, non soltanto del sottoscritto, ma, si spera, anche di altri 'ricercatori della verità' - anziché attendere ad una redazione più estesa, attenta e meditata, ma il cui prodotto sarebbe stato allora certamente differito nel tempo. Mi è parso che essenziale fosse comunicare un'ipotesi, informare di fatti e circostanze, e credo che questo risultato sia stato bene o male raggiunto.

Tra le molte critiche, dicevo, non ci sarà certamente quella più importante, che solo potrebbe avanzare - ma non lo farebbe mai, conosco bene la sua riservatezza - l'amico Geminello Alvi, ed è quella di aver scritto una storia che sembra soltanto voler "indagare l'umano", e non già "scopri[re] il divino" (vedi la 33ø Asserzione alla p. 451 del suo testo citato nella Nota 5 al Cap. I). A questa possibile obiezione sola vorrei cercare di rispondere, dicendo che avverto una coincidenza quasi ontologica tra il progressivo disvelarsi dello Spirito nel Mondo e le umane vicende, e che anzi questa mia fatica, perché non di altro si è trattato, è ispirata proprio a favorire una tale evoluzione. Infatti, sono persuaso che verso la mèta auspicata dallo stesso Alvi, verso l'instaurazione cioè di un'epoca in cui predominino la "mitezza" ed un "volere pio, fraterno e femminile" (loc. cit., p. 450 - c'è da dire, per amor del vero, che lo stesso Alvi mi ha fatto rilevare, in un momento di pessimismo, di avere auspicato l'avvento di tali caratteristiche soltanto per quel che riguarda l'"agire economico", e di ritenere invece che a volte sia necessaria una particolare durezza nei confronti di persone che si comportano in certi modi!), si camminerà tanto più in fretta quanto più si conosceranno le autentiche radici del nostro passato, per riuscirne ad individuare gli elementi positivi, da conservare, e quelli negativi, da rifiutare. Compito questo più arduo di quel che possa sembrare, perché se davvero la storia è magistra vitae, pure bisogna ammettere che si tratta di una maestra il cui linguaggio è difficile, ed il cui messaggio è celato, e può quindi essere carpito soltanto a fatica. Circostanza questa che contrasta con quella forma di 'pigrizia' innata in ogni essere umano (Principio del minimo sforzo), che ostacola la formazione di successive sempre più ampie sintesi. Queste risultano invero sempre scoraggiate, e talvolta anche in assoluta 'buona fede', da parte di coloro che tendono a fermarsi invece sulle posizioni raggiunte, elevando a punto di arrivo quelle che non possono non essere considerate altro che delle tappe. Così, invece di godere del meritato riposo offerto da esse, e di riprendervi slancio e vigore per il nuovo cammino che aspetta di essere compiuto, vi costruiscono intorno case e mura dalle quali non si vogliono più staccare, dimenticando che nessuna Dialettica deve essere chiamata a sopravvivere oltre al suo tempo.

Sotto quest'ottica, se l'avvento del Cristo sulla Terra non può non essere interpretato che come la cessazione definitiva dell'età della barbarie, e l'inizio dell'era della compassione, l'introduzione della scienza e della razionalità non può non essere ritenuta 'necessaria' da parte di coloro che hanno a cuore l'edificazione di una società autenticamente pluralista, nella quale ad ogni essere umano sia consentito di esprimere liberamente tutte le sue potenzialità espressive. Infatti il cristianesimo, dopo i primissimi tempi, finì con l'organizzarsi intorno ad una struttura cristallizzata e totalitaria (motivata nel 'suo' momento della storia), erede diretta dell'Impero Romano, e la scienza moderna fu costruita attraverso gli sforzi congiunti di coloro che si opposero in un anelito di libertà a quell'oppressione, dando così inizio alla più recente fase della storia contrassegnata dal predominio del 'pensiero scientifico'. Ma anche la scienza sembra oggi essere diventata a sua volta oggetto di celebrazione all'interno di una potente nuova struttura totalitaria, una nuova Chiesa, di cui gli scienziati appaiono essere i nuovi sacerdoti, i nuovi "dotti custodi dell'Ordine". Alle soglie del nuovo millennio, è forse finalmente giunto il momento di tentare la Sintesi, di riunire insieme queste due tendenze apparentemente contrapposte, di riportare all'interno della concezione dell'uomo e dell'universo quel che di 'sacro' ne era stato espunto nei primi più aspri momenti di lotta. Di edificare in altre parole una nuova metafisica, che riconosca la presenza di uno Spirito nel Mondo - e non già di uno Spirito fuori del Mondo o trascendente il Mondo, o di un Mondo senza Spirito, o, peggio, di uno Spirito senza Mondo - e ne favorisca la progressiva futura libera manifestazione.

 

* * * * *

 

Perugia, Agosto 1994

(Revisionato, Marzo 1995)

 

Umberto Bartocci

Dipartimento di Matematica

Università degli Studi

Via Vanvitelli - 06100 Perugia

 

 

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OSSERVAZIONI SULLA COPERTINA DI QUESTO LIBRO:

 

[Da una risposta ad alcune osservazioni di un lettore]

 

Per quanto riguarda l’illustrazione di Vespucci che osserva la Croce del Sud, e il riferimento al passo dantesco del Purgatorio, Canto I, vv. 22/24:

 

"I’ mi volsi a man destra, e puosi mente

all’altro polo, e vidi quattro stelle

non viste mai fuor ch’alla prima gente.

 

Goder pareva il ciel di lor fiammelle:

oh settentrional vedovo sito

poi che privato se’ di mirar quelle".

 

posso dirti diverse cose.

 

In primo luogo, si tratta invero di versi molto sorprendenti, che fanno sorgere diverse domande naturali: Dante "sapeva qualcosa"? e come? chi mai era stato già nel XIII-XIV secolo sotto l’equatore? La gran parte dei commentatori parla di una creazione di fantasia, con valenza allegorica, e nient’altro, insomma, una mera coincidenza, chissà..., il fatto è che Dante conosceva diverse fonti arabe, e che dalla città de La Mecca la Croce del Sud si vede (come mi segnala un altro lettore, citandomi tra l'altro i seguenti studi: Enrico Cerulli: "Il Libro della Scala e la questione delle fonti arabo-spagnole della Divina Commedia", Città del Vaticano, biblioteca Apostolica Vaticana, MCMXLIX; "Nuove ricerche sul libro della scala e la conoscenza dell'Islam in Occidente", come sopra, MCMLXXII).

Per quanto riguarda l'altra questione, direi che ormai non ci sono più dubbi che anche l’immagine che io ho ripreso nella copertina del mio libro rappresenti Vespucci e non Colombo, circostanza questa che ormai segnalo esplicitamente negli aggiornamenti (sintetici) successivamente usciti del mio lavoro:

 

"Una riproduzione dell’affresco costituisce la copertina di Bartocci 1995, e si può trovare anche alla p. 43 di Lequenne 1992 [si tratta di "Cristoforo Colombo ammiraglio del mare oceano", della Electa/Gallimard]. Corre l’obbligo di segnalare che c’è chi sostiene possa trattarsi di Vespucci anziché di Colombo, il che nulla toglierebbe alla nostra ricostruzione, anzi aggiungerebbe, mostrando come in tal caso anche Vespucci potrebbe eventualmente essere ricollegato alle vicende dei cavalieri templari successive allo scioglimento dell’Ordine".

 

Sono oggi in grado di farti una storia abbastanza completa di questa illustrazione. Quella che mi hai inviato tu (te ne invio anche una copia che appare sulla copertina di un altro libro interessante) è opera di Jean Théodore de Bry, famoso incisore*, che pubblicò a Francoforte (1590/1625) un volume intitolato "Historia Americae sive Novi Orbis". Lo stesso identico tema (noterai analogia fin in alcuni particolari) si trova in un disegno di un certo Giovanni Stradano (vedi la seconda fotocopia che ti invio), che era stata fatto a Firenze intorno al 1587 (l’originale si trova presso la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze). Resta il problema del piccolo affresco che si trova a Palazzo Pitti.

 

CHI L’HA FATTO?, FORSE LO STESSO STRADANO? E PRIMA O DOPO IL DISEGNO? O UN ALTRO ARTISTA, DAL QUALE LO STRADANO AVREBBE TRATTO ISPIRAZIONE, SE FATTO PRIMA, OPPURE VICEVERSA, SE FATTO DOPO?

 

Noterai pure che sembrano esserci in realtà maggiori analogie tra l’incisione di de Bry e l’affresco, che non tra il disegno e l’affresco, ma direi che è chiaro che il de Bry si è limitato a trovare ispirazione in cose che erano già state fatte a Firenze, e che è queste che bisogna investigare.

A diverse domande non so dare risposta, né so se ci sia qualcuno oggi in grado di dar loro una risposta abbastanza precisa e convincente; nei libri non trovo nulla al riguardo. Quello che è certo, però, è che abbiamo tre immagini assai simili tra di loro, due delle quali si riferiscono apertamente a Vespucci (e si trovano in molti libri dedicati a questo personaggio), mentre della terza non si sa (né l’ho mai trovata finora inserita in testi "vespucciani"), ed anzi quella mia fonte parla esplicitamente di Colombo. Mi sembra però che possa concludersi onestamente che, a causa delle richiamate forti analogie, non possa non trattarsi che di Vespucci anche in questo terzo caso, e che quindi il detto Lequenne 1992 ha sbagliato (ed io con lui).

Resta comunque il fatto richiamato nella citata Nota, a conferma della linea generale che seguo, che la croce in oggetto fa chiaro riferimento al ben noto simbolo templare, e che questa potrebbe essere considerata allora un ulteriore indizio abbastanza interessante e "diretto" a favore di una connessione di Vespucci (e dei Medici, probabili patroni dei detti artisti fiorentini) con il famoso ordine perseguitato...

 

* Questo Jean Théodore de Bry è un personaggio molto interessante a certi fini, e di lui, e della sua famiglia, si occupa diffusamente Frances Yates nel suo interessante saggio "L'Illuminismo dei Rosa-Croce" (Einaudi, Torino, 2a ed. 1976). Si suggerisce che i de Bry possano essere stati affiliati alla setta della "Famiglia d'Amore" ("una societa' segreta realmente esistente … che contava molti membri, in segreto, tra gli stampatori", pp. 254-255). A p. 89 si trova anche l'informazione che il fratello di Jean Theodore si chiamava J. Israel de Bry! Gira gira, sembra che, ad occuparsi di talune questioni, ci si vada sempre ad imbattere in rappresentanti di ben determinati "ambienti"…