IL DECENNIO DELLA PAZZIA

Dopo l'89 in Argentina è stato applicato rigorosamente il modello neoliberista dettato dalla grande finanza internazionale. Cronaca di un disastro.

di Davide Malacaria

Il "modello Argentina", il Paese prediletto dai guru economici del Fondo monetario internazionale e che ha portato alle estreme conseguenze il liberismo economico, è un monito per il mondo. L'economia è crollata, risucchiata dai vortici della grande finanza speculativa. A farne le spese è la povera gente, sempre più povera e senza prospettive, e una classe media che, unica nel continente latinoamericano, ora rischia di sparire. Dieci anni di follia, che hanno distrutto un Paese.

Il disastro e il tentativo di Duhalde

Ma come spiegare quello che è successo in Argentina? Iniziamo nella maniera più semplice, cioè da oggi. Attualmente il tasso di disoccupazione, secondo dati ufficiali, è del 20%. Ma in diversi organismi circolano indici molto più alti. Il 40% della popolazione vive sotto la soglia della povertà, ma se non cambia qualcosa, si paventa che nei prossimi mesi circa il 60% della popolazione potrebbe avere problemi di approvvigionamento alimentare. Sono in crisi tutte le produzioni nazionali.

Ma in crisi nera è soprattutto il settore industriale, con imprese che, quando riescono a sopravvivere, sono costrette ad abbassare i salari, diminuire le ore di lavoro e licenziare. Il celebre distretto industriale di Matanzas, nell'area della "Gran Buenos Aires", è la fotografia di un perverso meccanismo finanziario che, nella sua prosperità, ha ucciso le industrie tradizionali. La popolazione, oltre a subire un progressivo impoverimento, ha visto saltare tutte le protezioni sociali, in particolare i servizi sanitari che, dopo anni di tagli e finanziamenti inadeguati, hanno strutture fatiscenti e macchinari scadenti. Il sindaco di Buenos Aires ha parlato di emergenza sanità. La scuola è al collasso e quasi la metà degli insegnanti vive al di sotto della soglia di povertà. Nel Paese non circolano molti soldi per il semplice motivo che non ce ne sono più. I conti in banca sono stati bloccati da una legge detta corralito, e la gente non può ritirare il denaro che vi ha versato, se non in minima parte. Anche perché se i risparmiatori chiedessero indietro i propri soldi le banche sarebbero costrette a dichiarare bancarotta.

Dopo le dimissioni del radicale Fernando de La Rúa (21 dicembre 2001), cui non si riconosce altra responsabilità se non l'incapacità, e la fugace presidenza di Adolfo Rodriguez Saá e di altri due "presidenti per un giorno", a guidare l'Argentina è la coalizione che si è stretta attorno a Eduardo Duhalde (per due anni vicepresidente di Carlos Saúl Menem e ora in aperto contrasto con lo stesso), formata dal Partito giustizialista e dalla gran parte dei parlamentari radicali. Un esperimento di compromesso per tentare di far uscire il Paese dalla spaventosa crisi. Tutti, anche dall'opposizione, vedono nel tentativo di Duhalde l'ultima spiaggia e paventano un suo eventuale fallimento come un disastro, che aprirebbe le porte a chi sa che cosa, forse ancora ai militari, anche se l'ipotesi, pur circolando, appare molto remota. Troppo sangue è stato versato in passato, troppi desaparecidos. Ma non si sa mai.

La società è in preda al panico. Ogni giorno, in diverse zone del Paese, si organizzano proteste con gente che batte sulle pentole, il cacerolazo, oppure con picchetti posti a sbarramento delle strade, i piqueteros. "E' una protesta non localizzabile, che nasce spontanea", commenta Julián Dominguez, del Partito giustizialista, ministro delle Opere pubbliche per la provincia di Buenos Aires: "La rabbia della gente è contro il corralito, contro la Corte suprema, contro le carenze sanitarie... Un'esplosione di malcontento sociale multiforme che non può avere una risposta specifica. E' la protesta contro una situazione generale degradata e si placherà solo con l'uscita dalla crisi".

A essere preso dì mira dalla rabbia popolare, oltre alla classe politica, è il mondo finanziario e bancario. Gli istituti di credito vengono presi d'assalto, le scritte sui muri della città sono inequivocabili: "ladroni" è l'appellativo più gentile rivolto a chi avrebbe dovuto vigilare sul risparmio. Il motivo di tanto furore è ovviamente il corralito, ma anche l'insano meccanismo speculativo-finanziario che per anni si è arricchito sulla pelle della popolazione; infine la fuga di capitali all'estero, che ha permesso ad alcuni grandi e noti beneficiari di crearsi fondi al sicuro per milioni di dollari. Un documento del Banco centrale della Repubblica Argentina, pubblicato dalla rivista argentina Veintitres, evidenzia come solo dall'aprile del 2001 fino all'istituzione del corralito (3 dicembre 2001), attraverso prestiti a proprie filiali o banche collegate, sono stati inviati all'estero minimo duemila milioni di dollari. Su questo e altre vicende sta indagando la magistratura e già alcuni grandi banchieri sono finiti in carcere.

La pazzia della convertibilità

L'applicazione del liberismo selvaggio in Argentina parte da lontano. Molti osservatori, soprattutto nel sindacato e nei partiti di opposizione, indicano nel 1975, anno dell'ascesa al potere dei militari, l'avvio di una politica economica di stampo ultraliberale. Tra l'altro, con personaggi che ricorrono nelle cronache attuali. Il ministro dell'Economia che più di altri ha dato l'impronta al mercato sotto il regime militare era Martinez de Hoz, attualmente direttore del Banco general de negocios (una delle banche più esposte alle polemiche riguardanti la fuga dei capitali), mentre al Banco centrale sedeva Domingo Cavallo, il ministro dell'Economia che ha caratterizzato l'era Menem. Dati alla mano, l'erosione della classe media, in questo periodo, appare evidentissima: nel '75 l'Argentina aveva 22 milioni di abitanti di cui 2 milioni poveri; ora, su 37 milioni di abitanti, i poveri sono 14 milioni.

Nel 1989, anno della caduta del muro di Berlino e dell'apparente trionfo del modello capitalistico occidentale, Carlos Saúl Menem, di origine siriana, ma soprannominato "il turco", va al potere. Ci resterà per due mandati, fino al 1999. E' sotto la sua guida che l'Argentina diventa il Paese dove il modello liberista, senza vincoli e controlli, trova la sua più larga applicazione, grazie anche all'acquiescenza della Cgt (Confederazione generale dei lavoratori), il maggiore sindacato argentino. E ciò avviene con il compiacimento del Fondo monetario internazionale e sotto l'occhio benevolo degli Stati Uniti di Bill Clinton. E' celebre nel Paese la frase dei ministro degli Esteri argentino, che, nel 1992, parlava di "relazioni carnali" tra Argentina e Usa.

E il 1991 quando il ministro dell'Economia Cavallo, per frenare l'iperinflazione, vara la legge che è ritenuta la principale causa del disastro odierno: la parità tra la moneta argentina, il peso, e il dollaro statunitense. Daniel Pérez Enry, economista legato al Partito radicale, spiega: "Questa parità in realtà non poteva essere che virtuale, solo sulla carta, e ha creato una ricchezza fittizia. Allo stesso tempo ha depresso la produzione argentina: i prezzi delle materie prime sono aumentati come anche quelli dei prodotti finiti, cosicché le nostre industrie non sono riuscite più a competere con quelle straniere. La Banca centrale ha fatto una politica monetaria senza alcun interesse per la realtà economica del Paese, una politica per il cimitero". Claudio Lozano, economista della Cta (Centrale dei lavoratori argentini), il più grande sindacato dopo la Cgt, creato nel 1994 ed ora in grande ascesa, aggiunge: "Molte grandi industrie hanno preferito chiudere e spostarsi in Paesi come il vicino Brasile, che permetteva di produrre a costi più bassi, e poi far rientrare il prodotto finito nel mercato argentino. Ma la parità è servita anche a un altro scopo. La grande finanza poteva depositare pesos nelle nostre banche e poi ritirare l'equivalente in valuta pregiata, cioè dollari. Questo grazie a un meccanismo virtuale che però rendeva alla grande finanza guadagni reali". In una dichiarazione del 4 febbraio l'autorevole governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, ha dichiarato: "La politica monetaria dell'Argentina è stata una pazzia. Non l'ho detto prima perché temevo di provocare un disastro".

Sotto accusa anche le privatizzazioni, avvenute in maniera massiccia e selvaggia, appannaggio per lo più di imprese straniere. Dice Lozano: "Sono state realizzate senza alcun controllo. Prima si privatizzava e solo dopo si contrattava con il nuovo gestore prezzi e tariffe del servizio: un sistema a tutto vantaggio delle aziende che si aggiudicavano le gare, tra l'altro a prezzi minori che in altri Paesi. Avviene perciò, per fare un solo esempio, ma se ne potrebbero fare tanti, che un fax inviato dall'Argentina alla Spagna costa tre volte di più di uno che compie il tragitto inverso". Un documento redatto dalla Cta fa notare come le privatizzazioni, realizzate per sanare il debito dello Stato, hanno contribuito all'opposto: l'Argentina è passata da un debito di 65.000 milioni di dollari, prima delle privatizzazioni, a quello attuale di 135.000 milioni. Probabilmente la privatizzazione più disastrosa è stata quella delle pensioni. Spiega Enry: "Le imprese private che si sono aggiudicate la gestione delle pensioni incassavano tutti i contributi dei lavoratori, mentre i pensionati che in passato avevano goduto del sussidio pubblico restavano a carico dello Stato. Così lo Stato continuava a pagare le pensioni, senza incassare nulla". Lozano fornisce un dato ulteriore: "Abbiamo rilevato che solo il 30% dei lavoratori che hanno iniziato a pagare i contributi per la pensione ai privati ha continuato a versare le quote dovute, mentre il restante 70%, per la crescita della disoccupazione, del lavoro nero e per l'abbassamento dei salari, ha smesso. Così tra qualche anno ci troveremo con tantissime persone senza pensione. Lo Stato in futuro dovrà nuovamente farsi carico di questa gente?".

Gli indispensabili aiuti internazionali

L'unico modo per uscire dalla crisi ora è l'aiuto internazionale, in primo luogo del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, ma anche dei Paesi da sempre legati all'Argentina: gli Usa. l'Italia e la Spagna. La dirigenza del Fondo monetario più volte ha dichiarato l'intenzione di voler vincolare la possibilità di aiuti a un credibile piano economico. Altri ambienti finanziari internazionali che vantano crediti nel Paese latinoamericano hanno ammonito l'Argentina a non intraprendere politiche economiche tali da far pagare a loro la ripresa della crisi, ad esempio attraverso la svalutazione dei debiti. Insomma, le pressioni sono fortissime. Ma, in concomitanza con il delicatissimo viaggio del ministro degli Esteri Carlos Ruckauf, a fine gennaio, negli Usa, in Italia e Spagna, qualcosa sembra essersi mosso. Sono arrivati i primi aiuti del Fmi, duemila milioni di dollari destinati all'emergenza: mille milioni per l'aiuto economico ai capifamiglia, secondo un provvedimento presentato dallo stesso Duhalde e gestito dal Ministero del Lavoro, ed altrettanti per affrontare l'emergenza alimentare attraverso un ufficio presieduto dalla signora Hilda González de Duhalde, moglie del presidente.

Ma ovviamente non basta. Il viaggio del ministro degli Esteri del 28 gennaio doveva servire anche a convincere gli interlocutori internazionali dell'efficacia del nuovo piano economico, che è stato varato al termine dei vari incontri internazionali, per ottenere gli indispensabili aiuti. Da parte sua il governo punta tutto su alcune misure che appaiono imprescindibili: la "pesificazione dei crediti", ovvero il passaggio dei crediti dal dollaro al peso; severe misure di austerità; uscita dal corralito, attraverso norme che consentano ai risparmiatori l'accesso graduale ai propri conti bancari. Quest'ultima misura appare indispensabile anche per tentare di sedare il malcontento sociale. Ma decisivo sarà l'esito della nuova politica monetaria. Da gennaio il peso è stato svalutato, attestandosi all'1,4 rispetto al dollaro. Successivamente, lasciata la moneta americana alla libera fluttuazione, la svalutazione è aumentata. Tutto sta a vedere se ciò non finirà per innescare un processo incontrollabile o se produrrà gli esiti sperati, ovvero il rilancio delle imprese nazionali e la creazione di nuova occupazione.

Ma l'instabilità politica e sociale è un ulteriore freno agli investimenti. E c'è chi getta benzina sul fuoco. In particolare tutti indicano in Menem il grande mestatore che, dietro le quinte, tenta di far fallire in tutti i modi il tentativo di Duhalde, per tornare a prendere le redini del potere. E questo grazie anche agli appoggi di cui gode in ambienti nazionali ed internazionali che hanno fatto affari sotto la sua gestione e ora vedono minacciati i propri interessi. Menem sembra poter contare anche sull'appoggio della maggioranza della Corte suprema, riformata durante il suo governo, che può decidere sulla costituzionalità delle leggi dello Stato. E stata proprio una sentenza di questa Corte a fare uscire dal carcere l'ex presidente argentino, finito nei guai per riciclaggio e traffico d'armi in favore della Croazia. Ed è stata la stessa Corte, il 2 febbraio, a dichiarare illecito il corralito, mettendo in grave imbarazzo, proprio il giorno del varo del tanto atteso piano economico, il governo Duhalde. L'elezione del nuovo presidente, per ora, è riuscita a dare al Paese una qualche stabilità politica. Ma decisivo sarà il contesto internazionale che, tra l'altro, vede fronteggiarsi, non da oggi, due diversi modelli di riorganizzazione politico-economica dell'America Latina. Da una parte l'Alca, che prevede il libero scambio all'interno dell'intero continente americano, con oggettivo ruolo predominante degli Stati Uniti, dall'altra il Mercosur, ovvero l'area di libero commercio sudamericana cui aderiscono, attualmente, alcuni Stati latinoamericani, tra cui l'Argentina.

Troppe variabili e troppi fattori in gioco per poter prevedere come e quando l'Argentina uscirà da questa crisi. Il tentativo di Duhalde, per ora, rappresenta ancora solo una buona speranza.