PASQUINATE DALL'UNIVERSITA'...

 

Il titolo di questa pagina web è presto spiegato dal seguente commento, che ricevo a seguito di una delle mie periodiche "esternazioni" rivolte ad alcuni colleghi, scritte in verità più per sfogare un po' di amarezza (causa non secondaria della decisione di chiedere il pensionamento anticipato; ho da pochi mesi compiuto i 60 anni, e potrei rimanere al mio posto ancora per qualche anno) che per altro:

> Ti prego di non fare circolare questo mio messaggio perché non voglio generare polemiche. Penso che tu sei l'unico PASQUINO che ha il coraggio di dire quello che pensa, m qui pensiamo in molti le medesime cose! Il brutto della situazione è che non tutte le discipline hanno gli stessi problemi! Forse per le materie letterarie (che hanno subito di più il deterioramento del '68) la cosa è ora migliorata, ma ho dei sospetti anche su queste. Ci vorrà, comunque del tempo, prima che i giovani si accorgano del deterioramento generale delle Università, che era del tutto prevedibile. Qualche politico sarà anche contento perché esso fornirà il pretesto per poter attuare una certa "privatizzazione" del sapere, e annullare l'allargamento dell'Università a tutti...

Propongo allora qui di seguito un paio di queste pasquinate, lanciandole nelle profondità insondabili della rete allo stesso modo che un naufrago lancia bottiglie nell'oceano, così, tanto per mantenere in vita un'illusoria speranza di salvezza... (la prima pasquinata è quella che ha originato il precedente commento).

"Pasquino", febbraio 2005

* * * * *

Qualcosa su cui meditare...

<<Lege, lege, lege, relege, labora et invenies>>

(Suggerimento tradizionale, dal Mutus Liber, 1677)

Cari Colleghi,

constato che non a tutti e' arrivato il recente messaggio di aggiornamento del sito di Lettera Matematica Pristem, e allora ve ne giro l'essenziale, segnalando in modo particolare l'intervista al Prof. Vinicio Villani (che compare nel N. 53 della rivista).

> ...vi segnalo le novità di queste prime settimane del 2005, che trovate sul nostro sito http://matematica.unibocconi.it:

Anzitutto due articoli:

-un'intervista di Angelo Guerraggio a Vinicio Villani, che parla "di insegnamento e di libri di testo ma anche di Bourbaki e del '68, della Falcucci e di Berlinguer, ecc"; [...]

Non mi dilungo in commenti, ma mi piace estrarre dalle dichiarazioni di Villani alcuni passi sui quali mi sembra si dovrebbe tutti riflettere, specialmente coloro che hanno posizioni di responsabilità. Non si tratta tanto, come spesso viene rimproverato, di voler fare i "moralisti arcaicizzanti", bensì di rendersi conto con dispiacere (e questo è il primo passo necessario verso il rinsavimento) dei guasti provocati dall'infezione demagogica che si è abbattuta su strutture (università e scuola) che erano peraltro già traballanti di per sé, dopo la rovinosa sconfitta del paese...

>> [...] Berlinguer ha legato il suo nome ad una riforma - quella universitaria - che, partita con la buona intenzione di ridurre l'eccessiva durata media reale degli studi universitari, nella sua attuazione concreta sta facendo molti danni. Ci vantiamo di aver portato un maggior numero di giovani a studiare sino al conseguimento della laurea triennale. Bene; (forse) è vero. Ma che cosa gli insegniamo? Data l'enorme eterogeneità della loro preparazione al momento dell'ingresso nell'Università, più o meno le stesse cose - e allo stesso livello - che prima venivano insegnate nella scuola media superiore. E i (pochi) studenti ben preparati dagli studi preuniversitari e interessati a uno studio universitario serio e impegnativo? È possibile "tenerli in panchina" e annoiarli per tre anni e poi - a 22 0 23 anni, appunto - dirgli: "adesso, si comincia a fare sul serio"? Quando - nel frattempo - sono cresciuti e hanno altre sollecitazioni, altre esigenze, cominciano a pensare concretamente al lavoro, vogliono rendersi autonomi dalla famiglia ecc. Aggiungo che la laurea triennale, se vale poco dal punto di vista scientifico, vale ancor meno da quello della sua spendibilità. [...] Si tratta del modo con cui oggi - dopo la "rivoluzione informatica" - i ragazzi apprendono. Imparano con un'ostentata velocità e superficialità. La Matematica è invece "lenta" e richiede una lenta assimilazione. Come dicevo poc'anzi, l'insegnamento è oggi segmentato in moduli brevi e frammentari. Un insegnamento quasi "usa e getta". Non si coltiva più la memoria a lungo termine. La "maturità", intesa come controllo di tredici anni di scolarità, di fatto è stata abolita. La Matematica conosce altri percorsi, differenti. [...]

E noi abbiamo pure cercato di favorire la velocità sulla qualità con l'istituzione di un "premio" finale ai rapidi ma somari in sede di votazione di laurea!

Vive cordialità, UB

P.S. E' istruttiva anche la lettura del seguente allegato:

<<... Ebbene, sì: parliamo di nuovo di scuola. E, sia chiaro, non m'importa niente se queste righe saranno prese per un elogio di Madame Moratti o per un attacco alla sua riforma. Il discorso è più ampio: e, ohimè, ben più drammatico. Una confessione, anzitutto. Dopo oltre un quarantennio di onorato servizio nell'insegnamento pubblico, di cui ben trentasette anni passati nell'Università, mi trovo a non esser più in grado di fare il mio lavoro di professore di storia: e non, che io sappia, per un principio di Alzheimer, quod Deus avertat. No. Per un altro, semplicissimo motivo. Insegno storia medievale a ragazzi di età oscillante fra i 19 e i 23 anni circa. Per lungo tempo, quando all'inizio di ogni anno accademico mi sono trovato dinanzi delle "matricole", dei ragazzini del primo anno, ho sempre saputo come parlar loro. Venivano dal Liceo Classico, avevano sulle loro care spallucce otto anni di latino, cinque di greco, tutta la Divina Commedia letta e commentata verso per verso, con ampi passi a memoria. Era facile far lezione a studenti così. Sono poi giunti gli anni della contestazione e della liberalizzazione. Alla Facoltà di Lettere accedevano anche ragazzi da scuole diverse dal Classico. Ma, anche allora, mi barcamenavo bene: erano in genere motivati, interessati, pieni di buona volontà. Da alcuni anni a questa parte, tutto è cambiato. Prima di tutto perché ormai a Lettere vengono sempre meno studenti interessati e motivati e sempre più studenti che non sanno né che pesci prendere né che cosa fare e che hanno scelto tale Facoltà ritenendola meno impegnativa di altre; ragazzi che poco si curano anche delle future prospettive di lavoro e che spesso sono apatici e demotivati. E poi perché la loro preparazione specificamente storica non solo è quasi sempre scarsa e di cattiva qualità, ma è soprattutto molto superficiale e generica. Prima, sapevo di poter tranquillamente usare anche parlando a principianti parole come "papato", "impero", "feudi", "comuni", "signorie", "diritto", "stato", "diocesi", "monasteri", "leggi", "tasse", "insediamenti", "stanziamenti" e così via. Ora, mi trovo dinanzi a ragazzi che in genere sono praticamente incapaci di definire tali concetti; e che spesso non riescono nemmeno a spiegarne alla buona il significato a utilizzarli correttamente in un discorso. Date queste condizioni, la lezione universitaria è nel primo anno - e in realtà nel triennio propedeutico - diventata un esercizio impraticabile. Non parliamo di critica o di ricerca.

Di chi la colpa? Non certo dei ragazzi. Inutile cercar di ripartirla, più o meno impressionisticamente, tra scuola, famiglie, politici, sociologi, pedagogisti e chi altro vogliate. Il fatto è comunque che, come si dice a Napoli, 'o pesce fète d'a'capa. E la testa del nostro pesce è probabilmente la dissennata lotta che, negli Anni sessanta-Settanta, è stata condotta da insegnanti, pedagogisti e famiglie d'orientamento "progressista", tutti in illustre combutta, contro il cosiddetto nozionismo. Ricordo che Delio Cantimori, scomparso nel 1966, era stato invitato una volta a redigere un manuale scolastico di storia: si rifiutò di farlo, sostenendo che avrebbe dovuto essere un libro rigorosamente e duramente nozionistico, tutto nomi fatti definizioni e date, e che senza dubbio i colleghi lo avrebbero accusato di essere per questo un ottuso reazionario. Ma i risultati del fatto che per lunghi anni dai manuali (e dall'insegnamento pratico) mancassero nomi fatti definizioni e date, più tardi s'è sentito eccome. Del resto, tutto era cominciato con i bambini delle elementari. Il cervello è un computer fisiologico: e come tutti i computer va usato e tenuto in carica. Il deprecato esercizio dell'imparare a memoria, ad esempio, era una preziosa disciplina mnemotecnica, così come quelli consistenti nel star seduti composti sul banchino e nel far "il gioco del silenzio" insegnavano il controllo e la piena padronanza del proprio corpo. Anni d'insegnamento "intelligente" senza T'amo pio bove da imparar a memoria e senza rudimenti di autodisciplina, ci hanno portati a questo: a ragazzi schiavi della propria smemoratezza, della propria pigrizia, della propria mancanza di autocontrollo. La disciplina fu intesa, da quegli insegnanti democratici e da quei saggi pedagogisti, come pura e semplice repressione: il fatto che essa fosse la necessaria anticamera dell'autocontrollo, a sua volta poi fattore primario e fondamento indispensabile di libertà, non li toccava. Conosciamo le dirette conseguenze di questa lungimirante metodologia. Tutto è cominciato da qui: anche la droga, anche le morti del sabato sera. ...

10 novembre 2004 Franco Cardini>>

* * * * *

<<Ho voluto che l'agricoltura andasse al primo piano dell'economia italiana con fondate ragioni: i popoli che abbandonano la terra sono condannati alla decadenza. Ed e' inutile, quando la terra e' stata abbandonata, dire che bisogna ritornarvi: la terra e' una madre che respinge inesorabilmente i figli che l'hanno abbandonata>>. (Autore innominabile).

(cfr. http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/newecon.htm)

Leggo su Il Giornale dell'Umbria di ieri (4.2.005) la notizia di un ennesimo corso di formazione (di solito doppioni, o triploni di altre iniziative ancora finanziate con denaro pubblico come i corsi universitari, comunque utili per far venire in tasca qualche straordinario sempre alle medesime persone, leggi docenti) <<attivato dai Centri per l'impiego della provincia di Perugia e finanziati dal Fondo sociale europeo>>. Questa volta si tratta di preparare <<web project manager>>, ma, a parte le facili ironie sulla sicurezza, utilità sociale e stabilità di una siffatta professione, il bello viene con le seguenti parole: <<Il Corso ha lo scopo di formare i giovani disoccupati in possesso di laurea, avvicinandoli alla professione etc. etc.>>. Meno male che si comincia ad ammettere che esistono LAUREATI DISOCCUPATI (ma non si specifica quanti, e di quali lauree si tratti, sembra che una qualsiasi laurea vada bene), figure che costituiscono un problema sociale, e sempre più lo costituiranno in futuro, con buona pace di chi sosteneva, continua a sostenere, che il paese produce pochi laureati, e ha bisogno di un numero maggiore di essi. Bugie, stoltezze, false aspettative create nei giovani e nelle loro famiglie, dal momento che, allo scopo di "produrne" in maggior numero, si è scelta all'italiana la solita strada della minore fatica: corsi banali, esami ridicoli, todos caballeros, todos presi in giro, ed ecco fatto. Tutti contenti a breve termine, soprattutto chi come conseguenza di ciò si è messo dei soldi in tasca, ma non è difficile prevedere che queste "luci" lasceranno presto posto a un <<opaco, orrendo, straziato e plumbeo tramonto: oggi domina il nulla, col suo Inferno sempre più vicino e bruciante>>, come mi scrive un caro corrispondente. Mi spiace, ma non riesco a provare pietà per chi, padri, figli, e i politici ciechi da essi prescelti, ha trascurato (e ridicolizzato: in rete ne trovo solo tre citazioni, tra cui la mia, le altre due sono ovviamente critiche) il monito in epigrafe, vendendo l'anima o peggio per pochissimi illusori denari...

"Pasquino", febbraio 2005

P.S. Ripropongo in tema quanto ebbi a scrivervi qualche mese fa:

> Per coincidenza proprio oggi uno dei miei corrispondenti mi manda un articolo (wolfstep.splinder.it) dove si dice dei laureati dell'università attuale: <<Non sa una cippa, ha solo passato gli esami. Cosa fa? Fa la domanda. Tutti fanno la domanda, e cercano una poltrona. Una poltrona qualsiasi. Una poltrona comoda. Una poltrona sicura. Raccomandati che leggono bilanci e non li capiscono. Raccomandati che vedono operazioni finanziarie strane e non le capiscono. Raccomandati che dovrebbero indagare ma non lo sanno fare. Raccomandati che dovrebbero vigilare ma non sanno da dove si comincia.>> Aggiungiamo giudici, giornalisti, "professori", appunto, etc.!

* * * * *

[Qualche tempo prima avevo scritto le seguenti righe.]

... aggiungo un commento sulla "balla" che sta girando in questi giorni secondo cui i laureati in materie scientifiche sono pochi, che presto bisognerà importare docenti dall'estero, etc.. A me risultano invece, da contatti personali che ho continuato a tenere con alcuni nostri laureati, diverse scontentezze al riguardo. Una lavora nel solito campo informatico, con vari contratti rinnovati di anno in anno, in maniera assolutamente precaria, senza alcuna "sicurezza" per impostare la propria vita, la propria famiglia (come si fa a decidere di far venire al mondo dei figli in tali condizioni?) senza alcuna prospettiva di trovare qualcosa di meglio. Un'altra, laureata con noi addirittura nel '92, ha finora avuto diversi spezzoni di ore nelle scuole, e mi informa che quest'anno, con i recenti tagli alle cattedre, non avrà nulla. Potrei proseguire con testimonianze di questo tipo, di origine personale, e si potrebbe dire sfortunatamente singolare, ma preferisco riportare integralmente una lettera apparsa su Il Messaggero del 29 u.s..

> Laureata in matematica, rusada@katamail.it

Laureata in matematica (1995) con passione e desiderio di insegnare, non sono mai riuscita a entrare in un'aula e mi ritrovo a fare l'impiegata. Come me, solo nel mio piccolo centro, tanti altri, e mi tocca leggere che dovremo importare insegnanti dal 2006 ... e noi?

Ogni commento è superfluo, se non che di certe situazioni (a parer mio di affollamento e non viceversa; e poi, anche se ci fosse davvero penuria, non basta pronunciare la fatidica formula todos caballeros per risolvere il problema) siamo responsabili pure noi, dal momento che per quieto vivere, e per avere "numeri" da sfoggiare in giro, mandiamo avanti anche delle persone assolutamente incompetenti, a ingrossare (ingrassare) le fila di coloro che in seguito reclameranno qualche insussistente "diritto", e a danneggiare coloro che al contrario avrebbero legittime aspirazioni alla formazione dei giovani. Collego la situazione della scuola denunciata nel libro della Mastrocola Una barca nel bosco, agli incapaci - culturalmente ed eticamente - prodotti da un'università che ha rinunciato al suo ruolo di "filtro" (di "garante"), indispensabile a una società sana e onesta, successivamente finiti in qualche modo a vivacchiare nel mondo della scuola...

P.S. Ho ricevuto il seguente commento da parte di un giovane collaboratore di Episteme, ancora fresco di studi liceali. Sottolineo soprattutto le ultime righe, a proposito della mancanza di autorità da parte di chi avrebbe il dovere di esibirla, ma oggi se ne esime (per timore di critiche, di diminuzione della popolarità, per quello che essa può valere in un ambiente "corrotto"): interessi di brevissimo termine che danneggiano la società intera a lungo termine...

> ... le notizie che mi ha segnalato sono certamente realistiche, mi ricordano la mia stessa storia. Certo, almeno nel mio caso, non ho avuto mai problemi di voti, ma per il resto non noto grandi differenze. Il problema di fondo è che la velocità di apprendimento di una classe è quella del suo membro meno intelligente (e/o più svogliato): ho trascorso cinque anni di liceo con professori tutt'altro che motivati che dovevano trascorrere le loro ore a spiegare supreme banalità a degli studenti che non le capivano spesso perché a loro non importava nulla di capirle (ma allo stesso tempo guadagnavano in "popolarità" nella classe perché le loro domande inutili facevano perdere tempo e quindi evitavano che i professori proseguissero spiegando il programma). In genere il liceo insegna solo il conformismo con i propri compagni di classe, la peggiore piaggeria verso i professori e lo studio spasmodico giusto nelle ultime due settimane, nelle quali le miracolose interrogazioni in stile Giuseppe da Copertino si ripetono con incredibile frequenza, dopo un anno trascorso nel più totale ozio. Sicché cosa avveniva nella mia classe? C'ero io che, essendo da sempre il migliore, studiavo costantemente ed ero sempre il primo (senza sforzarmi molto, a dir il vero; inoltre il tempo libero che fino alla seconda superiore ho dedicato alle letture, negli ultimi anni di liceo era più spesso sprecato a giocare col computer, cosa che almeno mi dava qualcosa di cui parlare con gli altri), due ragazze e un ragazzo che studiavano forse anche più di me, ma dalla mentalità grettissima (ossia: studiavano diligentemente le materie scolastiche, ma non avevano la benché minima cultura nel senso più ampio e vero del termine; sottolineo che questo modo di fare era tipico della grande maggioranza dei vari "secchioni" che ho conosciuto, l'amore per la cultura era inesistente, di solito studiavano per solo gusto di competizione, a volte per fatalistico senso del dovere, spesso per aver vantaggi dai loro genitori) e che ottenevano voti un po' più bassi dei miei, qualcuno che si impegnava per aver qualche 7 (spesso ex primi della classe delle medie che però, resisi conto di non poter più ambire a tale posizione, almeno tentavano di distinguersi dai peggiori, anche solo per un misero voto) e poi la massa degli scansafatiche. In verità nei primi anni questi ultimi non erano tutti dei lavativi, ma solo un gruppetto; però, con l'andare del tempo, anche gli altri hanno capito come funzionava: chiunque alla fine dell'anno aveva il suo bel 6, ergo chi aveva studiato meritandoselo davvero si trovava ad aver lo stesso voto di chi aveva solo una media del 4 e poi, per miracolo, con una patetica interrogazioncina di recupero l'ultimo giorno di scuola, arrivava al 6 politico. A quel punto tutti si uniformarono verso il basso, non trovando alcun buon motivo per meritarsi un 6 che tanto era garantito. Ovviamente poi la popolarità all'interno della classe e della scuola era inversamente proporzionale ai voti, e direttamente proporzionale al grado di sfacciataggine, menefreghismo, ignoranza e interesse per la moda (oltre che alle abitudini meno morigerate: l'uso di alcolici e droghe era diffusissimo, e solo i primi rigorosamente fuori dalla scuola)...