Appendice: due articoli di Antonio Socci e Marco Tarchi,

che toccano il tema della distinzione tra Destra e Sinistra...

 

Dopo che avevo completato il precedente "testamento spirituale", mi sono pervenute, tramite i soliti gruppi di discussione in rete, due articoli, rispettivamente di Antonio Socci e Marco Tarchi (purtroppo non so esattamente dove e quando sia stato pubblicato il primo), che mi sembra utile proporre ai lettori, in quanto vi si affronta, tra l'altro, il tema della distinzione tra DESTRA e SINISTRA, che gia' ponevo al centro della riflessione. Tarchi, per esempio, sostiene che: "pur essendo molto lontano dalle sinistre, trovo molti più punti di confronto e dialogo con esse...", e tale considerazione spiega molti apparenti "paradossi" (soprattutto "linguistici", e maggiormente voluti cola' dove si puote che non "reali"). Tra essi, l'antico apprezzamento da parte del sottoscritto per le analisi del marxista Claudio Moffa, citato nell'articolo di Socci, in cui ci si imbatte altrove in questo sito:

http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/rifunivta'.htm.

Dico soltanto che il primo ha il merito di citare due personaggi, Moffa appunto e Geminello Alvi, proponenti al solito osservazioni assai acute e fuori dal coro, degne quindi di ogni attenzione, mentre il secondo contiene una sorta di "manifesto", sintetico pure assai chiaro, che mi piace isolare qui di seguito, assieme all'unica nota "critica" che ho comunicato all'autore, e alla sua gentile replica...

> Io, che da decenni critico il senso stesso dell'opposizione di facciata sinistra/destra, detesto l'occidentalizzazione del mondo e l'egemonia degli Usa, preferisco la giustizia sociale distributiva alle "leggi del mercato" e al profitto, io che vorrei una società sobria ed ecologica e amerei veder ridotti i consumi e la produzione industriale, che mi sento europeo molto più che italiano, che imputo alla mentalità individualistica gran parte dei danni di cui soffre la nostra società, che reputo il multiculturalismo la soluzione meno peggiore alle tensioni delle società multietniche - e che queste idee le ho più o meno sempre sostenute, non lo sono davvero [intellettuale di destra]

>> ... da un punto di vista ideale appare naturale che gli esseri umani si sentano tutti "uniti" in qualche misura, sicche' non e' difficile dirsi "cittadini del mondo". Da un punto di vista culturale, e' poi ovvio che noi italiani ci sentiamo piu' vicini alla cultura europea (compresa quella USA!), che non ad altre culture, ma questo non basta per farmi sentire per esempio un francese (e cito la nazione che amo di piu'): resto diviso da un vero francese da troppe cose, tra cui la lingua madre, che e' difficile cancellare. Infine, da un punto di vista politico, si tratta secondo me di determinare l'UNITA' massima in cui un popolo possa sentirsi autenticamente rappresentato-difeso, e non direi che questa possa essere l'Europa, tanto meno l'attuale Europa intesa in senso sempre piu' lato, in quanto fondata esclusivamente su interessi "economici", che non riesce a sganciarsi dall'egemonia anglo-americana, che partecipa a iniziative belliche assai dubbie, etc. ...

>>> ... nel mio caso è un amore carnale per un'Europa metafisica e ideale; però me lo porto dentro da sempre. E, come sa, geopoliticamente credo nei grandi spazi continentali...

 

UB, giugno 2002

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EXTRACOMUNITARI, MARXISMO E CRISI DEL BUONISMO

FUORI I SOLDI E FUORI GLI IMMIGRATI:

TEORIA CONTROCORRENTE A SINISTRA

"Le imprese hanno l'esigenza di ricorrere agli immigrati". Così Guidalberto Guidi, consigliere di Confindustria per le relazioni industriali, alla Stampa. L'intervistatore ha obiettato che ci sono tanti disoccupati italiani, in certe zone sono il 20 per cento della popolazione attiva ed è paradossale perciò ricorrere a manodopera proveniente dall'estero. Guidi ha ribattuto: "I nostri concittadini non sono più disposti a svolgere certi tipi di mestieri". E' l'argomento principale di chi chiede maglie più larghe per l'immigrazione. Ma è un'affermazione statisticamente fondata o è uno dei luoghi comuni più diffusi e longevi che serve da pretesto per non dire qualcosa di indicibile? Una volta questo stereotipo fu preso di mira da Altán con una vignetta micidiale. C'era un marito che tornava a casa e trovava la moglie a letto con uno sconosciuto: "E questo cos'è?", strillava. "I lavori che gli italiani non vogliono più fare" gli fu risposto. Una demolizione di questo concetto è venuta sorprendentemente da sinistra. In un documento della Cgil di Bologna si legge: "E' necessario superare lo stereotipo espresso dallo slogan 'gli immigrati fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare'. Tutti noi, anni addietro, abbiamo usato questo concetto per tamponare le velleità di una parte dell'opinione pubblica che tendeva a stigmatizzare in modo molto forte la presenza degli immigrati In Italia". Adesso è "ormai venuto il tempo di dire come stanno realmente le cose... Ci sono moltissimi esempi che testimoniano quanto questo slogan sia sbagliato".

A citare questo documento è Claudio Moffa, un intellettuale marxista, che proprio da sinistra denuncia l'attuale fenomeno dell'immigrazione "ingovernata politicamente" e attacca la "sociologia dominante", buonista e di sinistra, ma "in realtà subalterna ai poteri forti che sul piano nazionale e internazionale determinano, indirizzano, condizionano la grande migrazione in atto".

Insomma un rovesciamento delle parti: contrordine compagni l'immigrazione incontrollata serve al capitale. Bisogna riconoscere che Moffa per lanciare quest'analisi controcorrente si avvale del più classico dei testi marxisti, "Il Capitale", laddove Marx parla dell"'esercito industriale di riserva". Scriveva il filosofo: "Alla produzione capitalistica non basta affatto la quantità di forza-lavoro disponibile che fornisce l'aumento naturale della popolazione. Per avere mano libera essa abbisogna di un esercito industriale di riserva indipendentemente da questo limite naturale... I movimenti generali del salario sono regolati dall'espansione e contrazione dell'esercito industriale di riserva".

Non che Marx sia stato un proto-leghista. E' l'attuale sinistra che ha perso di vista "la struttura". Moffa segnala la "straordinaria convergenza" fra "gli interessi della Confindustria ad avere a disposizione una massa di immigrati stranieri da utilizzare secondo l'esclusivo bisogno del suo apparato produttivo e le utopie pseudorivoluzionarie degli "eredi" della galassia post sessantottina-autonoma".

Se chiedete dunque a Moffa "qual è stata e qual è la vera funzione dell'immigrazione nel mercato del lavoro italiano", da un punto di vista marxista, vi dirà: "L'immigrazione extracomunitaria non ha fatto che accompagnare questi processi di squilibrizzazione fra capitale e lavoro salariato, facendo pendere la bilancia dalla parte del primo ai danni del secondo: svolgendo cioè, suo malgrado, una funzione oggettiva di indebolimento del movimento operaio in Italia e delle sue conquiste".

Ancor più se consideriamo il fenomeno dei lavoro illegale. Un documento del Congresso americano, che Moffa riprende da "I nuovi intoccabili" di Nigel Harris, afferma che "l'effetto reale prodotto (dal lavoratore illegale) è quello di deprimere i livelli salariali. Egli lavora per una paga inferiore, vive nella clandestinità, non protesta". E'comprensibile dunque che poi, in paesi come la Francia, a dare il consenso elettorale a Le Pen siano le fasce popolari più disagiate che si sentono più danneggiate da questo fenomeno.

Analogo richiamo a Marx è venuto anche da Geminello Alvi, economista di valore, nient'affatto marxista. Di recente ha notato sul Corriere Economia: "Mentre le sinistre in Europa e Italia seguitano ad amministrare la questione degli emigrati con pedagogie da parrocchia, che compiacciono solo preti e boy scout, Fortuyn non aveva dubbi. Negli emigrati, proprio come insegna Marx, vedeva un modo per tener bassi i salari, lo diceva e perciò prendeva voti". In sostanza Alvi, che non è marxista e che mi scuserà per come semplifico il suo pensiero, dice questo: al Nord c'è richiesta di manodopera, al Sud ci sono migliaia di disoccupati, per far incontrare domanda e offerta - secondo le corrette leggi del mercato - c'è una sola strada: aumentare gli stipendi, rendere appetibili per gli italiani quei lavori "che gli italiani non vogliono più fare". Tutti i parametri ideologici escono sconvolti. Gli imprenditori alla legge del mercato (che imporrebbe di aumentare i salari in carenza di manodopera) preferiscono la scorciatoia dell'immigrato. Le sinistre europee che hanno dimenticato Marx, le questioni di struttura, i rapporti di classe e la distribuzione del reddito, vorrebbero spalancare le porte all'immigrazione anziché battersi per l'adeguamento dei salari. E così regalano voti popolari ai partiti che vorrebbero limitare l'immigrazione. Dov'è la destra? Dov'è la sinistra? Cos'è di destra e cosa di sinistra? Boh. Traggo un'unica conclusione: riflettere sui dati di fatto anziché sui preconcetti, le scomuniche e i sentimenti, è forse uno dei mestieri che non vogliamo più fare?

Antonio Socci

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"Il Giornale" mi ha chiesto una replica ad un articolo di Giordano Bruno Guerri in cui, per l'ennesima volta, vengo ributtato nel calderone degli "intellettuali di destra". Mi sembra il caso di inviarne agli amici e ai lettori di Diorama il testo. Mi scuso con chi insiste nel preferire comunque questa o quella delle destre a questa o quella delle sinistre. Come è a tutti noto, non è il mio caso, da un bel pezzo... Ecco l'articolo:

Il centrodestra ha vinto le elezioni del 2001 senza il mio sostegno. Gli ho votato contro, come già nel 1994 e nel 1996. Guerri mi fa torto inserendomi, nella sua reprimenda verso gli intellettuali di destra, nel novero dei presunti snob che non vogliono sporcarsi le mani con il governo Berlusconi e preferiscono rimanersene sdegnosi nell'iperuranio della purezza ideologica. Io le mani le ho tenute pulite, ma di olio di gomito ne ho profuso molto, fra il 1968 e il 1981, per rivoltare da capo a piedi l'ambiente politico in cui mi sono formato - il Msi - e la sua cultura. Le ho provate tutte, riuscendo ad occupare incarichi direttivi di rilievo. Nel 1977 le idee mie e dei miei amici erano le più popolari fra i giovani missini, stanchi di nostalgie del fascismo, tentazioni autoritarie, doppiogiochismi, manganelli e doppiopetti, nazionalismi fuori dal tempo, rancori ultraconservatori, tradizionalismi incartapecoriti, fisime occidentaliste, subalternità ai potenti di turno. Il consenso a quelle idee radicalmente innovative mi consentì di battere nettamente Fini nell'unica assemblea elettiva democratica che il Fronte della gioventù avesse sino ad allora conosciuto: malgrado l'ostilità feroce dei vertici del partito. Ma non c'era niente da fare: quel mondo era del tutto refrattario ai valori in cui mi riconoscevo, irriformabile. La rottura era inevitabile e non l'ho mai rimpianta.

In Italia, però, vige un pregiudizio genetico, per cui la frequentazione di ambienti malfamati provoca sospetti per tutta la vita, a meno di non discolparsene con genuflessioni e abiure. Io, a tutt'oggi, non ho abiurato niente. Ho discusso, criticato, rivisto, sottoposto a pubblica verifica le idee e le interpretazioni da cui ero partito, subendo un'evoluzione graduale e documentata, di cui chiunque può prendere atto. Non mi stupisco che in un paese dove regna la pigrizia mentale e scaricare sugli altri i propri errori è lo sport più diffuso ciò non interessi quasi a nessuno e si insista con l'attribuzione di etichette di comodo. Ma ne ho abbastanza.

Intellettuale di destra sarà Guerri. Sarà Baget Bozzo. Sarà Veneziani. Lo saranno, a modo loro, Panebianco, Cofrancesco, Romano, Galli della Loggia, e i non pochi altri che in qualche modo preferiscono l'una o l'altra delle tante destre esistenti alla concorrenza. Io, che da decenni critico il senso stesso dell'opposizione di facciata sinistra/destra, detesto l'occidentalizzazione del mondo e l'egemonia degli Usa, preferisco la giustizia sociale distributiva alle "leggi del mercato" e al profitto, io che vorrei una società sobria ed ecologica e amerei veder ridotti i consumi e la produzione industriale, che mi sento europeo molto più che italiano, che imputo alla mentalità individualistica gran parte dei danni di cui soffre la nostra società, che reputo il multiculturalismo la soluzione meno peggiore alle tensioni delle società multietniche - e che queste idee le ho più o meno sempre sostenute, non lo sono davvero. Con le destre ho chiuso da un pezzo, perché di questi miei punti di vista nella loro azione non trovo traccia. E, pur essendo molto lontano dalle sinistre, trovo molti più punti di confronto e dialogo con esse che con qualunque spezzone o satellite della galassia berlusconiana. Non sto con i vincenti, non chiedo prebende né le accetterei. Ma non vivo fuori dal mondo. Chi ne vuole conferma si procuri, in libreria, le riviste che dirigo, Diorama e Trasgressioni. Ci troverà idee ben radicate nella realtà. Ma fuori dai giochi di società che tanto piacciono a certi intellettuali. Di destra e di sinistra.

Marco Tarchi - 22.06.002