Perugia, 15 novembre 2000

Caro Umberto,

scusami se non ho potuto risponderti prima.

Ma veniamo al dunque.

Mentre fino a qualche anno fa la nostra discussione si svolgeva "pigramente" a livello accademico, negli ultimi anni c’è stata un precipitare di eventi che ha posto in primo piano all’attenzione delle Istituzioni e del pubblico (leggi: la Stampa e i Mass-media) l’argomento delle Terapie Alternative in generale e della Omeopatia in particolare: l’esortazione del Parlamento Europeo ai vari stati membri a regolamentare le terapie non convenzionali del maggio ’97, ribadita nell’ottobre 1999; l’elaborazione in Italia di una proposta di legge sulle Terapie non convenzionali in corso presso la Commissione Affari Sociali della Camera; la circolare della FNOMCeO (Federazione Italiana degli Ordini dei Medici) a tutti gli Ordini provinciali per il censimento dei medici non convenzionali; etc.

Riguardo al nostro esperimento sui ratti, tenendo conto del clima che si è instaurato negli ultimi tempi (la trasmissione di Piero Angela dell’11 luglio contro l’Omeopatia, il documento della Conferenza Episcopale Italiana del 20 ottobre sulle medicine alternative), ritengo estremamente utile tentare di chiarire la situazione sulla validità dell’Omeopatia al più presto. Si risparmierebbero tante chiacchiere inutili.

Come già scrissi al CICAP nel dicembre 1999, nel tempo mi sono fatto questa opinione: la legge dei simili è valida e le dosi infinitesimali hanno una qualche efficacia sull'organismo vivente. Tutte le impalcature teoriche che sono state costruite sopra a questi due assunti (vitalismo, miasmi, costituzioni, etc.) hanno un valore epistemologico molto dubbio e vanno eventualmente prese in considerazione solo in un secondo tempo, correttamente definite e utilizzate come "ipotesi euristiche" o "schemi e percorsi logici" per arrivare ad una esatta diagnosi di rimedio. L'esperienza clinica di 200 anni ha invece un valore notevole, ma va giudicata, riciclata e utilizzata con un filtro metodologico severo e fra l'altro in sostanza anche più produttivo.

In soldoni: l’identità e la validità della terapia omeopatica si identificano esclusivamente con la ricerca della similitudine fra i sintomi peculiari della malato e l’azione tossica di una sostanza che verrà utilizzata terapeuticamente.

Già il fatto dell’utilizzo delle dosi infinitesimali non è indispensabile per identificare l’Omeopatia, tant’è vero che l’azione terapeutica si può verificare a qualsiasi diluizione, anche bassa, o addirittura a dosi ponderali, a rischio però di avere effetti di aggravamento dovuti all’azione tossica diretta. Comunque l’uso empirico delle alte diluizioni è patrimonio tradizionale dell’Omeopatia ed è anche un fatto che non si può ignorare, per l’importanza che avrebbe, se confermato, nel panorama della farmacologia in generale.

Tornando al nostro esperimento sui ratti, l’obiettivo è stato quello di isolare e dimostrare semplicemente i due assunti empirici (legge dei simili e dosi infinitesimali) sui quali le generazioni di omeopati, a partire da Hahnemann, hanno edificato le loro opinabili teorie. Nell’esperimento, la similitudine è stata peraltro limitata al semplice livello istologico-tessutale: l’analogia fra la lesione primaria indotta dal tetracloruro di carbonio e l’azione tossica del fosforo, che è stato utilizzato in senso terapeutico omeopatico.

Come dice giustamente il Prof. Federspil, se anche si dimostrasse la legge dei simili, non con questo avremmo dimostrato la validità delle teorie omeopatiche; ma è anche vero che se i due assunti di cui sopra fossero dimostrati in laboratorio, il discorso sull’Omeopatia dovrebbe essere condotto in maniera completamente diversa: dopo aver ammesso che il metodo terapeutico è efficace, si dovrebbe sottoporre ad un severo vaglio metodologico tutta l’esperienza clinica omeopatica di due secoli ed elaborare nuovi schemi epistemologici più corretti.

Vorrei ora parlare della proposta di Randi, la quale mi sembra molto semplice e intelligente ed assolutamente dirimente. Direi che si può tentare.

Venendo al pratico, ho già parlato con il professore universitario che a suo tempo effettuò personalmente l’esperimento dei topi. Mi ha detto che attualmente non si occupa più di tale settore di sperimentazione e non può favorirci operativamente. Si è detto però disposto ad offrire una consulenza tecnica a chi eventualmente volesse riprodurre l’esperimento.

Dovrò cercare un’altra possibilità, ma lo farò con determinazione perché ho molta fiducia nel nostro esperimento: credo che la nostra esperienza sia valida e riproducibile.

Se riuscissi comunque ad effettuare l’esperimento in tempo utile, questo potrebbe essere presentato al congresso del CICAP del 2001. Al congresso parteciperò comunque senz’altro.

Sempre a tua disposizione, ti invio

Fraterni Saluti

Pindaro Mattòli

P.S.: sul sito web della Federazione Italiana delle Associazioni e dei Medici Omeopati (www.fiamo.it) è consultabile l’esperimento del ’92 sui ratti (sotto "Dipartimento Scientifico") e le risposte alla trasmissione di Piero Angela e alla Conferenza Episcopale Italiana (sotto "notizie")