[Quelle che seguono sono diverse comunicazioni originate dalla lettura di alcuni articoli sul Corriere della Sera, che non ho proprio la forza per copiare e mettere a disposizione in rete; il "senso" delle questioni in discussione si dovrebbe comunque comprendere ugualmente…]

 

 

Lettera N. 1

 

Caro Navarra,

ho letto con fastidio l’arrogante replica di Montanelli alla sua lettera pubblicata sul Corriere della Sera del 15 u.s., e le esprimo pertanto la mia solidarieta’. Il mio personale parere e’ che certi intellettuali ricevano ormai lauti compensi (di diversi tipi) da parte di chi sta "occupando" e "svendendo" il nostro paese, e che non ci siano ormai piu’ molte possibilita’ di opposizione. Anche gli esponenti politici che dovrebbero farsi portavoce delle legittime preoccupazioni provenienti dalla gente che dicono di rappresentare sembrano essere ormai legati tutti allo stesso carro, e allora non resta che far sentire il peso di una forte disapprovazione culturale, in attesa che cresca il numero delle persone che si rendono conto di cio’ che sta accadendo, e si crei un vero movimento di "resistenza"...

La saluto cordialmente, e le invio con l’occasione copia di altra lettera da me appena spedita al Corriere della Sera (si trattava dello stesso numero del giornale), sempre relativa all’argomento trattato [si tratta della comunicazione qui riportata come Lettera N. 2],

 

il suo Umberto Bartocci

 

(Professore di Geometria e di Storia delle Matematiche

presso l’Universita’ di Perugia)

 

 

Lettera N. 2

 

Caro Chiaberge,

nonostante i "buoni propositi" del periodo natalizio, e il tentativo di dimenticare la sua presentazione del libro del Prof. Rojas di qualche giorno fa, non riesco proprio a superare lo stato di irritazione che essa mi ha causato. Cosi’, le scrivo queste righe, desumendo dall’indicazione del suo indirizzo e-mail che lei desidera ricevere commenti. Non mi dilunghero’ troppo - del resto, da "profeta di sventura", ritengo sia inutile ormai dialogare con i "ciechi" a tutti i costi, i "venduti", o le persone in cattiva fede - a cercare di argomentare come il quadro da lei dipinto (che vorrebbe addirittura portare nelle scuole; come parte dell’istruzione obbligatoria?!), sia quanto meno discutibile, o nel replicare all’invito di leggere il libro di Rojas con quello di sfogliare almeno, invece, l’inquietante "L’orrore economico" (Ponte alle Grazie Ed, Firenze, 1997), di Viviane Forrester. Se lei non si e’ accorto finora da solo dello stato di degrado e sfacelo sempre crescente della nostra societa’, non sara’ utile certo alcuna mia parola. Una curiosita’ pero’ me la tolga, se crede: se non dagli "intellettuali", da chi bisognerebbe aspettarsi una reazione critica?, dai camionisti, o dagli agenti d’assicurazione (con tutto il rispetto per entrambe le categorie, ovviamente meno privilegiate dei primi, ma allora aventi anche minori "doveri", nel campo dello studio, e del sapere)? E se non quelli "europei", oggi ovviamente in trincea nel percepire il possibile imminente "collasso", chi vorrebbe vedere impegnati in questo dibattito?, gli intellettuali africani, o quelli cinesi?

 

Mah, auspico vivamente che abbiano ragione le persone come lei, lo spero tanto per i miei figli (io sono ormai vecchio e non ho piu’ molto da chiedere alla vita), avremo modo di riparlarne tra qualche anno (sebbene, pur dalle "rovine", lei potra’ sempre dire che prima era peggio, e che e’ sempre meglio cosi’...)

 

con sincerita’, il suo Umberto Bartocci

 

Pensierino sul quale non sarebbe male meditare: "In tempi nei quali molte verita’ sono taciute, avvilite, mortificate, non rimane altro compito che testimoniare per esse, preparando con estrema rigorosa razionalita’ le premesse filosofiche, etiche, scientifiche, tecnologiche per il momento in cui questo sistema assistera’ impotente al suo inevitabile crollo".

 

 

Replica (cortesemente immediata):

 

Subject: Re: Qualche commento a suoi pensieri...

Date: Fri, 24 Dec 1999 17:51:47 +0100

 

La ringrazio del messaggio. Apprezzo molto la sua sincerità, odio le ipocrisie. E sono convinto che il nostro compito di giornalisti sia anche quello di generare un po' di sana irritazione nei lettori, non soltanto scrivere cose che li rassicurano o li confermano nelle loro idee o nei loro pregiudizi. in attesa di incontrarla di persona, vorrei solo farle alcune domande:

1) ha letto il libro di cui stiamo parlando (in trenta righe non ho potuto riassumere in dettaglio tutte le argomentazioni)? io in compenso ho letto quello della signora Forrester, e l'ho trovato infarcito di retorica molto francese e di affermazioni eleganti ma non sostenute da statistiche e dati (per inciso, contrariamente alle sue funeste profezie, l'economia francese sta andando a gonfie vele e sta creando molti posti di lavoro).

2) tra un economista e una signora che fa la critica letteraria su le monde (anche se figlia di un banchiere: complesso di edipo?), chi pensa che abbia più titolo a scrivere di economia?

3) crede che spargere sfiducia e pessimismo tra i giovani sia un buon modo per aiutarli a cercarsi (o a inventarsi) un lavoro? o non alimenti piuttosto il cinismo, la rassegnazione, la passività?

4) quanti intellettuali degli anni settanta, compresi certi grandi nomi

ancora sulla cresta dell'onda, hanno capito qualcosa di quello che stava succedendo in questo paese? si ricorda quelli che dicevano che il capitalismo sarebbe crollato nel giro di pochi anni? o che volevano fare la rivoluzione culturale alla cinese? lo lasci dire a uno che gli intellettuali li ha dovuti frequentare e sopportare per tutti questi anni, facendo il responsabile della pagina culturale: la maggior parte di questi signori vive nei libri, in un universo letterario, non ha mai lavorato e non capisce quasi niente del mondo in cui viviamo. forse, davvero, ne capisce di più il camionista...

 

cordiali saluti, e buon natale! riccardo chiaberge

 

 

Risposta interlocutoria, altrettanto immediata:

 

Caro Chiaberge,

sto purtroppo per partire per alcuni giorni, ma non voglio lasciare la sua cortese risposta senza un minimo riscontro. Mi rifaro’ senz’altro vivo al mio ritorno, tra 4/5 giorni, e la ringrazio tanto in ogni caso per la franchezza (che anch’io apprezzo molto) e la sollecitudine, oggi veramente inusuale!

 

Grazie ancora, a risentirci

 

il suo Umberto Bartocci

 

P.S. Solo un assaggio, se mi consente, a proposito per esempio del degrado (irreversibile?!) delle strutture che conosco meglio (cito da un mio recente libro [vedi punto B della sezione Storia della Scienza]):

 

"La ricostruzione così godibilmente offerta da Sciascia, seguendo la credibilissima testimonianza di Laura Fermi (al solito, quale avrebbe potuto essere l’interesse a mentire?!), non contiene in effetti nulla di particolarmente scandaloso. I concorsi universitari si sono sempre svolti nel modo descritto, in piena aderenza allo spirito della cooptazione in un "ambiente chiuso", in un club esclusivo, l’appartenenza al quale è un privilegio. La successione è decisa allora dai membri più anziani, e influenti, della corporazione, in altre sedi e in precedenza; ogni iniziato deve avere un iniziatore, un garante. Questo sistema ha del resto consentito per anni la conservazione dell’università a un livello di dignità almeno decente, e chi scrive queste pagine può affermarlo per esperienza diretta: essendosi laureato a Roma nel 1967, e quindi prima della tempesta parificatrice e massificante del 1968, ha avuto modo almeno di intravedere le superstiti vestigia della ‘vecchia’ università, e i cosiddetti "baroni"1 all’opera. Crollati gli argini, e impostate le cose dal punto di vista democratico-sindacale, delle leggi dei ‘grandi numeri’2, delle riforme solo nominali, della rissosa aggressiva volgarità dei ‘gruppi’, nella dialettica dei quali (ispirata quasi esclusivamente da motivazioni d’ordine economico, e spesso solo per pochi soldi) emergono piuttosto i talenti dei capopopolo che quelli dei caposcuola, non c’è da meravigliarsi che oggi la situazione dell’università italiana sia quella descritta dalla seguente lettera.

 

"Sono uno studente di ingegneria presso La Sapienza di Roma [...] dovevo sostenere l’esame di calcolo delle probabilità, di cui si sapeva soltanto che, forse, avrebbe dovuto tenersi stamane, chissà dove e a quale ora [...] arrivo alle 8.30 e sento da alcuni che l’esame pare ci sia ma non si sa dove. Alle 10 giunge il docente che ci conduce in un’aula già occupata da altri studenti per un altro esame. Ci dice che non ci sono altre aule a disposizione e pertanto ci invita, dopo aver effettuato l’appello in corridoio, a prendere posto in mezzo a quegli altri poveri studenti che avevano iniziato il loro compito già da un pezzo [...] in mancanza di cattedra su cui scrivere, ha preso un bidone dei rifiuti (vuoto per fortuna) e, ribaltandolo a mo’ di tavolino, ci ha invitato a segnarci sul foglio di prenotazione. Finalmente, in aula, stretto fra due studenti dell’altro esame che non cessavano di comunicarsi i risultati del loro compito a un discreto volume locale (del resto bisognava parlare per forza ad alta voce per farsi sentire, visto che c’era una docente che urlava a squarciagola contro chi, secondo lei, stava copiando), riesco ad iniziare il compito [...] Questa storiella, dottor Scalfari, è solo una fra le tante qui a ingegneria. Spesso, e mi rattrista constatarlo, è colpa degli stessi studenti se le cose non funzionano; si lamentano a voce alta, ma anche quando si offre loro un’occasione per cambiare [...] si annichiliscono e dicono che tanto non cambia niente [...]"3.

 

1 Non nel senso di grandi bari, ma in quello ‘nobiliare’!

2 Ma, come notava già Cicerone (nel De Republica; VI, 1), in certi contesti "quando i buoni valgono più dei molti, i cittadini si devono pesare e non contare". Questo non significa naturalmente che non è bene tenere conto di ogni opinione al momento delle decisioni finali, ma che non bisogna favorire la falsa e ‘comoda’ impressione che sia sufficiente il numero per fare la ragione. Certi attuali leaders della nostra società modificano freneticamente le norme (e perfino i ‘nomi’), cercando di ‘accontentare’ il maggior numero possibile di postulanti, e pensando (in buona fede?!) di riuscire così a migliorare certe situazioni, senza apparentemente rendersi conto che quelle che sono andate distrutte erano le norme non scritte di una tradizione, che segnavano la differenza tra il lecito e l’illecito, sancivano le azioni delle quali era necessario ‘vergognarsi’, regolavano il comportamento, all’interno dell’università, delle sue diverse componenti e dei diversi individui. Il problema è che una tradizione non si può improvvisare a colpi di regolamento (tanto più quando vengono modificati ogni giorno...).

3 Apparsa il 24.7.98 sul supplemento Il Venerdì del quotidiano la Repubblica, del quale il "dottor Scalfari" è il direttore. La reazione descritta alla fine della lettera è quella timidezza/vergogna su cui conta sempre ogni "potere" umano per proseguire indisturbato nei suoi abusi. Naturalmente, non può dirsi che simili episodi avvengano in ogni luogo, e allo stesso livello di degrado, ma il già citato Battistelli (Nota N. 3) conferma in qualche modo l’episodio, quando dice che deve doverosamente ringraziare il Collegio dei docenti del proprio ateneo perché: "i molteplici impegni politico-culturali in ambito cittadino e nazionale dei suoi membri si sono tradotti in una assoluta libertà scientifica accordata all’autore di queste righe"".

 

 

Lettera N. 3

 

Caro Chiaberge,

eccomi dunque rientrato in sede (ho Internet soltanto qui in Istituto, preferisco usare ancora questo nome reazionario, ancorche’ il piu’ moderno anglofilo Dipartimento), e pronto a un eventuale scambio di idee, non mi piace chi diserta le discussioni con una fuga dal campo.

Ho comprato in effetti il libro di Rojas (in cui vedo si cita la Forrester), ma non ne ho ancora completato la lettura. Prima che mi accinga a tentarne poi un’analisi scritta, che sara’ comunque abbastanza impegnativa, desidero chiederle esplicitamente se le interessa davvero (o se ha tempo, oggi tutti mancano di tempo!) proseguire questa conversazione, mi capita a volte di dedicare tante energie a scrivere cose che poi gli interlocutori neppure leggono...

Una riflessione volevo comunque inviarle fin d’ora, a proposito di quell’errore logico comune segnalato nella presentazione del libro (p. 15): far diventare legge generale un’osservazione fatta in ambito locale.

Spero converra’ infatti che quella che viene indicata come l’origine di tutte le falsita’ che lo studio di Rojas cerca di confutare, e’ invece un principio assai pericoloso dal punto di vista epistemologico. Se io non posso verificare sul piano locale la corrispondenza di quella che mi viene proposta come una legge generale, dovro’ per forza ricorrere a un atto di fede nelle supreme strutture informatrici, che avrebbero, ma soltanto per loro dichiarazione, una conoscenza globale al di fuori della portata di ogni singolo essere umano (una conoscenza come quella che il libro utilizza largamente, una conoscenza statistica, con cui si possono imbrogliare tante persone, ma non degli esperti che conoscono bene per esempio il testo: "How to lie with statistics" - la mia prima moglie e’ una docente proprio di Statistica). Se io dico che certe strutture che conosco sono state (o saranno) distrutte dalla tempesta innovatrice liberista, i fautori di quel principio potranno asserire che si tratta di un’osservazione locale di nessuna importanza. Se io cerco di dimostrare che la cosa si verifica per tutte le strutture italiane, ecco che mi diranno che l’Italia e’ una realta’ solo locale. Se mi spingo a controllare la corrispondenza di quanto asserisco con quello che sta avvenendo in Europa, mi si dira’ che anche l’Europa in fondo e’ solo una parte del mondo, cioe’ qualcosa di locale. Con suprema maestria, ecco confezionato un principio di infalsificabilita’ sostanziale, che rende i pretesi detentori della corretta informazione globale assolutamente inattaccabili.

Ma cosa sarebbe della scienza, le chiedo, se le sue affermazioni non si potessero sempre verificare quotidianamente in ogni Istituto, in ogni Laboratorio?

 

Ancora cordialita’ e auguri, il suo Umberto Bartocci

 

P.S. A proposito di informazione che, deformando "di poco" la complessa realta’ di certe situazioni, finisce poi con stravolgere del tutto la verita’, le segnalo l’articolo del suo collega Francesco Merlo, apparso sul supplemento Sette della scorsa settimana, dall’eloquente sotto-titolo: Non finira’ mai la guerra dei forti contro i deboli? (esempio di terrorismo psicologico sin dall’inizio: chi osa esprimere un’opinione contraria appare subito come lo sceriffo di Nottingham contro Robin Hood).

Potrebbe cortesemente girargli le seguenti mie considerazioni, o farmi avere un suo indirizzo e-mail?, grazie.

 

1 - Non e’ vero che la proposta di riforma della docenza non cambia nulla, trattandosi di questione del tutto "nominale", come Merlo lascia credere (e forse crede - un amico giornalista mi dice che ormai la sua categoria e’ ridotta a fare da portavoce di dichiarazioni provenienti da fonti interessate): "la sola cosa che cambia e’ dunque il titolo, il nome". La questione e’ invece che si sta cercando di eliminare ogni differenziazione degli ordinari da tutti gli altri professori, compresi appunto gli ex-ricercatori (resterebbero in piedi solo alcune distinzioni in ordine all’elettorato passivo per alcune cariche accademiche), con grande soddisfazione dei sindacati di categoria, e di tutti gli egoismi dei mediocri. Per chiamare qualcuno a insegnare in un corso non bisognera’ tenere piu’ in conto alcuna differenza "ufficialmente riconosciuta" tra persone piu’ esperte e persone meno (di solito anche pluri-bocciate nei tanti concorsi che si sono succeduti negli ultimi anni, ma e’ facile calunniarne tutti gli esiti dicendo che: "come si sa, i professori ordinari assegnano le cattedre in base a criteri di spartizione", quasi che i pochi rimasti fuori siano gli unici bravi e onesti), ma solo una designazione in base al criterio un uomo-un voto, espressa da parte di consessi nei quali le mezze-calzette e i politicizzati (e’ giocoforza chiamarli cosi’) saranno la maggioranza. Uno splendido esempio di demagogia senza pari! Visto che si dice sempre che bisogna adeguare (io dico abbassare) l’universita’ italiana agli standard europei, posso chiedere a Merlo se mi sa citare un esempio di paese in cui si sia cosi’ "egualitari" nella scienza? Io ho studiato a Cambridge e le assicuro che si era molto lontani anche solo dal pensare queste assurdita’...

 

2 - Non e’ vero che "in Italia non v’e’ ricercatore che non faccia gia’ il professore", la questione e’ piu’ complessa, Merlo confonde il diritto di insegnare con la possibilita’ di insegnare. Oggi i ricercatori non hanno diritto a un corso, ma soltanto la possibilita’ di tenerne uno se c’e’ qualche corso che si vuole attivare e non si trova da ricoprirlo in altro modo (tra l’altro, fino a ieri i ricercatori erano preceduti nelle relative graduatorie da professori ordinari ed associati). Questa possibilita’ di docenza e’ tra l’altro una norma abbastanza recente, che ha avuto il disastroso effetto che Facolta’ compiacenti o pavide, che non se la sentivano di contrastare le "aspirazioni" dei ricercatori - che in verita’ non gradivano piu’ un’attivita’ subordinata, di solo "supporto didattico" - abbiano finito con attivare una miriade di corsi spesso inutili, frequentati da pochissimi studenti, tanto per fare "felici" tutti. La conseguenza fondamentale e’ stata pero’ che l’assistenza didattica agli studenti e’ di fatto diminuita notevolmente di qualita’, e so quello che dico (sono nell’universita’ dal giorno dopo la mia laurea, nel 67, e sono stato assistente prima di diventare ordinario, e marito di due ricercatrici), anche se a parole si puo’ sempre imbrogliare tutto. Come ogni cosa, le radici di certi mali sono lontane, quali la cretineria di voler cambiare nome agli assistenti chiamandoli ricercatori, sempre in ossequio a una demagogia che in realta’ e’ stata soltanto un pretesto per dequalificare l’universita’ italiana, per chissa’ quali oscuri fini ("Un’Universita’ di piccoli burocrati", come ha scritto Enrico De Mita, su Il Sole 24 Ore del 28.11.99, facendo eco all’articolo di Angelo Panebianco comparso sul Corriere della Sera del 25.11.99, "Se l’Universita’ perde la ricerca"). Ma ricercatori di cosa, mi sa dire Merlo, giovani di solito appena laureati o dottorati, rispetto alla ricerca che svolge di solito un professore esperto? Apprendisti, invece, ovviamente, che dovevano di solito ancora imparare tutto il mestiere, ma che sono stati con questo titolo ambiguamente incaricati in primo luogo di elusivi compiti "scientifici", ai quali gli impegni didattici sono sempre stati ufficialmente subordinati (non piu’ di 250 ore l’anno). Altro che ricercatori che hanno tenuto in piedi l’universita’ da anni, con docenti che, ancora "come si sa", non avevano molto tempo da dedicare all’insegnamento! Ma quale universita’ conosce Merlo? Se casi come quelli indicati possono invero darsi nelle Facolta’ piu’ professionalizzanti, come Medicina, Ingegneria, Giurisprudenza, ecco che i "ricercatori" che a tali compiti si sono prestati non l’hanno fatto certo per un dovere morale di salvare la baracca, ma soltanto perche’ speravano di poter goder presto dei benefici (non e’ cosi’ chiaro che siano "iniqui" in tali campi) dei loro superiori.

 

3 - Non e’ vero che i ricercatori siano tutti entrati nel ruolo per concorso pubblico, ci sono state generose iniezioni di idoneita’ ope legis, ma ormai sono stanco e lascio stare, sempre disponibile per ulteriori chiarimenti che mi vengano richiesti...

 

(Allego in attachment una lettera aperta che Merlo, se non si e’ limitato a scrivere quello che gli hanno dettato, farebbe bene a meditare).

 

 

Conclusioni:

 

1 - Subject: Re: Qualche commento a suoi pensieri...

Date: Sun, 02 Jan 2000 17:50:23 +0100

 

Grazie del messaggio e dell'attachment, entrambi molto stimolanti.

comunque, non condivido una virgola di quello che ha scritto sui ricercatori

Si capisce che sono interessato a proseguire questa "conversazione". A una condizione: che lei non mi dia del venduto, soltanto perchè la penso diversamente su certe cose. cordiali saluti e buon

2000! riccardo chiaberge

 

 

2 - Caro Chiaberge,

lei e’ davvero molto gentile, e debbo confessare che questo mi spiazza un poco, sono abituato a molta piu’ "arroganza" da parte dei sostenitori del "tutto va bene, e chi non e’ d’accordo e’ uno scemo".

Mi scuso per alcune ruvidezze contenute nella mia prima lettera, quali l’uso del termine "venduto", che certo non potevo riferire a lei, non conoscendola. Pure, riconosco che l’ho utilizzato, ancorche’ genericamente, un po’ come risultato di una reazione emotiva incontrollata, e un po’ nella disperazione di avere spesso a che fare con interlocutori (di solito i piu’ intelligenti, cioe’ quelli che sono abbastanza informati, e non gli ingenui, che preferiscono "non sapere") che in qualche senso lo sono, traggono cioe’ vantaggi espliciti dal servire certe posizioni (in qualche caso vi sono purtroppo "costretti" dal loro ruolo), alle quali non "credono" poi necessariamente fino in fondo.

A proposito dei ricercatori, comprendera’ bene, dai cenni biografici contenuti nel mio scritto, che mi sento espertissimo della questione, e da matematico sono sempre sorpreso che ci possa essere divergenza di opinioni di fronte a dati che sembrano tanto oggettivi e indiscutibili. Lei mi dice addirittura: "non condivido una virgola di quello che ha scritto sui ricercatori", e comprendera’ bene come questo mi sconvolga, in quanto abituato a servire nel mio lavoro sempre la "verita’", anche quando questa mi possa riuscire scomoda. Io sono un cartesiano, e ritengo che l’unico metodo che si possa seguire per raggiungere ogni conoscenza, sia quello di "dividere ogni difficoltà in parti elementari fino al limite del possibile", cominciando "dagli oggetti più semplici e più facili da conoscere", salvo poi a "salire poco a poco e come per gradi alla conoscenza dei più complessi". Come dire, che una verita’ e’ fatta di tante singole piccole verita’, e quelle che ho enunciato mi sembrano invero tante piccole verita’. Ammetto che a volte a certe verita’ se ne possano aggiungere altre, capaci di modificare poi il quadro finale complessivo, ma le sarei gratissimo se volesse cominciare con l’indicarmi se c’e’ qualcuna delle mie affernazioni che ritiene non corretta. Poi, semmai, potremo discutere se esse siano sufficienti a determinare un certo giudizio di valore, o politico, o no, qui entriamo naturalmente nel campo dell’opinabile, e rispetto certamente ogni conclusione...

 

Sempre grazie per la sua attenzione, e mi scusi ancora,

 

il suo Umberto Bartocci

 

 

3 - Subject: Re: Qualche commento a suoi pensieri...

Date: Mon, 03 Jan 2000 10:09:53 +0100

 

per un equivoco linguistico, lei ha creduto che quel <non condivido una virgola> fosse riferito a <lei> bartocci, mentre io mi riferivo a <lui> merlo!!!!

 

cordialmente, riccardo chiaberge

 

 

3 - Grazie infinite,

quello che mi dice mi reca davvero molto sollievo...

Il suo Umberto Bartocci

 

P.S. Ricordando la sua cortese reazione alle mie rimostranze anti-moderniste, che ha avuto l'effetto di calmare un poco l'amarezza di chi come me si trova quasi da solo a sostenere certe tesi, le invio il seguente "programma rettorale", chissa' che non ci si diverta un poco. Ho notato che una cosa in comune ce l'abbiamo, il suo nome compare nella lista degli "amici di Sciascia", con i quali sono venuto in contatto dopo la pubblicazione di un mio libro sul caso Majorana...