Il cristianesimo e la guerra...

 

Mi ero ripromesso di chiudere definitivamente questa rubrica, ma faccio un'eccezione perche' mi sembra doveroso condividere con eventuali lettori un notevole autentico messaggio cristiano di pace da poco pervenutomi. Nel ringraziare vivamente il vescovo di Alba per aver offerto tale fulgido esempio, purtroppo raro di questi tempi, non posso non aggiungere quanto viceversa sia deluso da altri commenti che arrivano dal "mondo cattolico", tra i quali brilla in modo particolare, si fa per dire, il seguente:

> Può l'Occidente del Terzo Millennio continuare a sopportare che un miliardo di persone vivano o si apprestino a vivere secondo norme risalenti al settimo secolo? Lo "scontro di civiltà" non è infatti fra cristianesimo e islam, ma fra modernità e islam; non è contro s. Tommaso ma contro Voltaire che il fondamentalismo combatte. E lo scontro è impari perché la modernità ha le mani legate dalla sua tolleranza, laddove i fondamentalisti non hanno nemmeno la remora della lealtà.

[da: Rino Cammilleri, "I limiti della tolleranza"

(C) Il Giornale 16.11. 2001]

A prescindere dal tema della lealta', che poi Cammilleri sviluppa all'interno del suo articolo, ma stiamo scherzando? Come "PUO'"? Non c'e' dubbio che DEVE, rispettando la naturale evoluzione delle diverse culture, con le quali si debbono imbastire rapporti improntati sempre al piu' alto rispetto e solidarieta', salvo dare l'esempio di un'INTOLLERANZA senza precedenti nella storia dell'umanita', accresciuta dalla disponibilita' di "mezzi di persuasione" che la moderna tecnologia offre alle tentazioni imperialistiche della civilta' occidentale. E poi, si puo' chiedere a un cristiano a quando risalgono viceversa gli eventi che ispirano il suo comportamento di vita? Addirittura a qualche secolo prima di Maometto! Oppure da quando in qua un cristiano e' chiamato a difende Voltaire, e alcuni portati etici della "modernita'"? Molti cattolici si rivolterebbero nella tomba, e mi vengono in mente le attualissime (quasi profetiche) parole di Leone XIII (Enciclica "Humanum genus", 20 aprile 1884):

> ... tutt'i loro sforzi hanno questo unico fine - a distruggere dalle fondamenta qualsiasi disciplina religiosa e sociale, che sia nata dalle istituzioni cristiane, per sostituirla con una nuova conforme alle loro idee, ed i cui principii fondamentali e le leggi sono improntati al "Naturalismo" [...] esagerando le forze e l'eccellenza della natura, e collocando in lei il principio e la norma unica della giustizia, non sanno più concepire che, a frenare i moti e moderarne gli appetiti, ci vogliono sforzi continui e somma costanza. E questa è la ragione, per cui vediamo offerte pubblicamente alle passioni tante attrattive: giornali e periodici senza freno e senza pudore; rappresentazioni teatrali oltre ogni dire disoneste; arti coltivate secondo i principii di uno sfacciato verismo; con raffinate invenzioni promosso il molle e delicato vivere; insomma cercate avidamente tutte le lusinghe capaci di sedurre e addormentare la virtù. Ed a conferma di ciò che abbiamo detto può servire un fatto più strano a dirsi, che a credersi. Imperocché gli uomini scaltriti ed accorti non trovando anime più docilmente servili di quelle già dome e fiaccate dalla tirannide delle passioni, vi fu nella setta massonica chi disse aperto e propose, doversi con ogni arte ed accorgimento tirare le moltitudini a satollarsi di licenza: così le si avrebbero poi docile strumento ad ogni più audace disegno...

Ritornando sull'argomento, lo stesso Papa nella Lettera al Popolo Italiano "Custodi di quella fede" dell'8 dicembre 1892, scriveva:

> Senza esagerare la potenza massonica attribuendo all'azione diretta e immediata di lei tutti i mali che nell'ordine religioso presentemente ci travagliano, ... vi si sente il suo spirito; quello spirito ... nemico implacabile di Cristo e della sua Chiesa... Dalle rovine religiose alle sociali brevissima è la via. Non più sollevato alle speranze e agli amori celesti il cuore dell'uomo, capace e bisognoso dell'infinito, gittasi con ardore insaziabile sui beni della terra; ed ecco necessariamente, inevitabilmente una lotta perpetua di passioni avide di godere, di arricchire, di salire, e quindi una larga ed inesausta sorgente di rancori, di scissure, di corruttele, di delitti. Nella nostra Italia morali e sociali disordini non mancavano certo anche prima delle presenti vicende; ma che doloroso spettacolo non ci porge essa ai dì nostri! Nelle famiglie è assai menomato quell'amoroso rispetto che forma le domestiche armonie: l'autorità paterna è troppo sovente sconosciuta e dai figli e dai genitori; i dissidii sono frequenti, i divorzi non rari. Nelle città crescono ogni dì le discordie civili, le ire astiose tra i varii ordini della cittadinanza, lo sfrenamento delle generazioni novelle che cresciute all'aura di malintesa libertà non rispettano più nulla né in alto né in basso, gl'incitamenti al vizio, i delitti precoci, i pubblici scandali. ... L'ordine sociale infine è generalmente scalzato nelle sue fondamenta. Libri e giornali, scuole e cattedre, circoli e teatri, monumenti e discorsi politici, fotografie e arti belle, tutto cospira a pervertire le menti e corrompere i cuori. Intanto i popoli oppressi e ammiseriti fremono; le sette anarchiche si agitano; le classi operaie levano il capo e vanno a ingrossare le file del socialismo, del comunismo, dell'anarchia; i caratteri si fiaccano, e tante anime non sapendo più né degnamente patire, né virilmente redimersi dai patimenti, abbandonano da se stesse, col suicidio, codardamente la vita.

[citazione da http://www.totustuus.it/ , F. Giantulli s.j., L'essenza della Massoneria italiana: il Naturalismo]

Papa Leone XIII il solito "folle" sorpassato anti-modernista, fonte di ogni reazionaria "resistenza", e quindi nefandezza? Mah, anche da non cristiano (e da intelletto che apprezza la modernita', ma NON ESISTE UNA SOLA MODERNITA'!) mi permetto di dubitarne, e concludo citando degli altri pensieri significativi concernenti le stesse questioni, ancora provenienti di parte cattolica.

> ttp://www.alleanzacattolica.org/indici/mag_episcopale/marrag204.htm

Conferenza dell'Arcivescovo Ordinario Militare per l'Italia, tenuta il 20 gennaio 1992 a Roma, nella sala conferenze di Palazzo Salviati, in occasione della XLIII Sessione 1991-1992 del Centro Alti Studi per la Difesa, trascritta con l'autorizzazione del presule da un opuscolo edito da questo organismo, titolo compreso. S.E. mons. GIOVANNI MARRA, Arcivescovo titolare di Ravello, Ordinario Militare per l'Italia, Cristianità, 204 (1992), Tendenze del mondo cattolico sul tema della pace e della guerra.

A tale riguardo già Pio XII in una allocuzione del 19-10-1953 afferma questo principio: "Non basta dunque doversi difendere da qualche ingiustizia per utilizzare il metodo violento della guerra. Quando i danni che questa comporta non hanno confronto con quelli dell'"ingiustizia tollerata", si può avere l'obbligo di "subire l'ingiustizia"". In conseguenza di quanto sopra esposto, lo stesso Concilio Vaticano II, nel citato documento Gaudium et Spes afferma con chiarezza: "Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato" (n. 80).

> (http://utenti.tripod.it/armeria/tyn02.htm, I limiti della vita, P. Thomas M. Tyn O.P.).

Un principio valido per la ragione e per la fede è quello secondo il quale la vita umana, la sopravvivenza biologica non è né potrà mai essere il fine ultimo dell'uomo ... Vi è, nel mondo cattolico e fuori di esso, chi tende a minimizzare questioni come la liceità della pena di morte o quella della guerra giusta. Contro le inequivocabili prese di posizione del Magistero ecclesiale (DS 795) si suole controbattere che si tratta di verità suscettibili di cangiamento con lo sviluppo della civiltà da costumi più selvaggi e rozzi a leggi di convivenza più umana e raffinata. Si tratterebbe in fondo di questioni del tutto secondarie in quella che di solito si chiama "gerarchia delle verità". Ora, a parte la predilezione, tipicamente modernistica, di quelli tra i figli della Chiesa, che non sono dei più fedeli ed esemplari, a datare ogni pronunciamento magisteriale e a maneggiare la scala delle verità con una disinvoltura che minaccia di trasformarla piuttosto in una graduatoria di bugie sottilmente sfumate, rimane il fatto che nelle soluzioni contrapposte del problema dell'universalità o meno del diritto alla vita si celano due concezioni di etica e di dottrina morale fondamentalmente e radicalmente opposte. Non si tratta di quisquilie modificabili a piacimento, ma di contenuti della legge morale naturale dei quali o si riconosce la portata metafisica, superiore alla fisicità dei fatti biologici e quindi la specificità morale o lì si riduce alla fenomenicità materiale dello stesso dato fisico con conseguenze disastrose per le sorti della moralità ut sic. Basta pensare alla mentalità corrente che scagiona impudentemente l'aborto, mentre con lo stesso fiato denuncia la ferocia barbarica della pena capitale. Ebbene la differenza è proprio qui: tra chi ritiene che il criterio decisivo stia nella linea di demarcazione tra innocente e reo (realtà morali metafisicamente e obiettivamente fondate) e chi invece riduce tutto alla sola diversità, del tutto soggettiva, fenomenica, materialisticamente fisicistica, di un organismo più o meno sviluppato e capace di sopravvivenza autonoma. Vogliamo dire che si tratta di cose serie che implicano al di là dei temi particolari la base stessa della moralità e ribadiamo altresì che in questa materia il magistero della Chiesa non può ammettere arbitrari mutamenti, pena il decadimento totale della stima di cui esso gode negli stessi tempi nostri. Infatti, se qualche Papa medievale ha sbagliato in una materia così gravosa nel contesto di una solenne dichiarazione, non si vede perché non potrebbe sbagliare anche il magistero attuale e, se si dice, assai modernisticamente, che l'attualità è comunque un innegabile vantaggio, non si sfugge alla domanda della "durata" di quella effimera attualità (1 anno, 10 anni, 100 anni per i "dogmi" più robusti?). Siamo nel ridicolo. Infine ci sia permesso di premettere che, certo, de gustibus non est disputandum, ma che ciononostante troviamo perlomeno sconcertante quella concezione del progresso che si limita ai soli fatti di civiltà ignorando ottusamente quelli della cultura veramente degna di tal nome - che i chirurghi moderni ammazzano i feti con bisturi sofisticatissimi, mentre il boia medievale mozzava le teste ai delinquenti con scuri rozze segna un innegabile miglioramento dal punto di vista tecnico, ma, per anime che non hanno ancora del tutto perso il senso della moralità, ciò significa un altrettanto innegabile decadimento dal punto di vista umano, perché, se al reo la testa può essere anche talvolta de iure tagliata, non vi è nessuna legittimazione per il massacro di soggetti moralmente e per conseguenza anche giuridicamente del tutto innocenti. E' nella natura stessa del tema trattato e dei tempi che corrono che con questa presa di posizione non guadagneremo un gran che di simpatie, ma tutto ciò non sarà doloroso più di tanto se avremo la consolazione di rendere qualche modesto, eppure sincero, servizio alla verità conculcata da quell'egoismo di massa che fin troppo facilmente si affermò come una moda pseudointellettuale perfettamente proporzionata all'edonismo dell'ambiente in cui è nato. Rimane comunque una vera curiosità la facilità con cui accuse di arretratezza culturale, bieco fanatismo, sanguinaria crudeltà ecc., vengono lanciate da una sponda che peraltro si propone come modello di tolleranza, pluralismo, dialogo civile e rispettoso delle opinioni altrui ecc. Sarà forse che i temi della vita tagliano nel vivo di un qualcosa che è superiore persino alla vita stessa e ciò anche là dove non se ne ha la piena coscienza. Un principio di base valido parimenti per la ragione umana e la fede cristiana è quello secondo il quale la vita umana, la sopravvivenza biologica, fisica, non è né mai potrà essere il fine ultimo dell'uomo, né un qualcosa di essenzialmente legato alla realizzazione del fine ultimo suddetto. Cambiare le carte in tavola su questo punto vitale significa trasformare il cristianesimo in un'ideologia formalmente materialistica e implicitamente atea. Non è forse la principale intenzione della religio christiana quella di distogliere la mente umana dalle cose mondane per rivolgerla al mondo trascendente, al mondo dell'al di là, al mondo "a venire"? Ma anche la stessa ragione umana ci persuade che il nostro corpo con tutti i suoi beni compreso quello supremo (sul piano fisico) della vita, è mezzo e non fine. "E' cosa impossibile che di ciò che si ordina ad un altro come al suo fine l'ultimo fine sia la conservazione nell'essere" [San Tommaso, S. Th. 1-11, 2, 5 c.]. Di fatto, è qui il nerbo della questione: mentre il pensiero classico vede nell'uomo umilmente una creatura che trova il suo ultimo fine all'infuori di sé, la sovversione neoterica pone surrettiziamente il fine ultimo dell'uomo nell'uomo stesso divinizzandolo gnosticamente e dichiarandolo in seguito "dio fallito" in modo tale da ripercorrere le strade di quello spirito che da presuntuoso nel voler essere come Dio si fece disperato e triste nel non poter essere come Dio. Siamo dinanzi ad un quesito che può trovare una soluzione solo al di là dell'antropologia, nella metafisica e nella religione rivelata. O l'uomo è fine a se stesso e allora la sua vita è il bene supremo e assoluto e la morte è la sciagura definitiva, il naufragio, la caduta degli dèi, oppure l'uomo non ha l'ultimo senso nella sua sopravvivenza terrena, perché non l'ha nemmeno in se stesso, ma solo al di sopra di se stesso in Dio. E allora tutto cambia, perché il vivere sarà Cristo e il morire un guadagno (cf. Fil 1, 21), saranno da temere non gli uccisori del corpo, ma il giudice dell'anima (cf. Mt 10, 28 e par.), l'amore supremo sarà dare la vita per gli amici (cf. Gv 15, 13). ... nel caso di aggressione dalla parte di un'altra nazione sovrana ci si dovrà attenere al principio della difesa commisurata al moderamen inculpatae tutelae. Ci si può difendere, si, ma moderatamente e badando alla gravità dell'aggressione. E' lecito respingere con violenza giusta la violenza ingiusta (vim vi repellere), ma non sarebbe certo giusto spingere la "difesa" fino all'annientamento spietato dall'avversario. Similmente il diritto dei privati alla legittima difesa vige solo durante l'atto di aggressione, non quando l'aggressore è stato respinto e messo in fuga. Se un privato cittadino continuasse a danneggiare l'aggressore ormai respinto, la sua non sarebbe più difesa, ma vendetta che va lasciata interamente all'autorità giudiziaria che sola può punire senza vendicarsi. ... E' chiaro che non è lecito uccidere per difendersi in un modo per così dire "preventivo", caso in cui la pretesa difesa sarebbe slegata da ciò da cui ci si difende perdendo così il suo carattere e di legittimità e di difesa. ... Un'ultima considerazione riguarda la natura della pena e tramite essa il lato soggettivo dell'atto umano e la stessa dignità della persona umana. Tutti sono giustamente d'accordo che l'atto umano può subire e di fatto subisce degli influssi che ne attenuano la responsabilità o addirittura la tolgono di mezzo, ma voler sostituire al peccato la malattia e alla morale la psichiatria è solo una delle tipiche perversioni dei nostri tempi. ...

UB. 30 novembre 2001

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Subject: Fw: il vescovo di Alba

Date: Thu, 22 Nov 2001 10:20:17 +0100

From: "Marco Mamone Capria" <mamone@dipmat.unipg.it>

... vi mando questo articolo di un Vescovo per darvi un riscontro su ciò che pensano attualmente i cristiani (sia pure, in questo caso, con qualche cautela di troppo).

Ciao. MMC

A: <mir@peacelink.it

Data invio: mercoledì 21 novembre 2001 14.40

Oggetto: il vescovo di Alba

Crediamo che sia importante far conoscere la posizione del nostro vescovo sull'attuale situazione di guerra

Maria Chiara e Alvise Alba

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da "Gazzetta d'Alba" n.44 - 21 novembre 2001

Riflessioni di mons. Sebastiano Dho, a proposito di conflitti "giusti" e di vittime innocenti

OGNI GUERRA AVVENTURA SENZA RITORNO

di mons. SEBASTIANO DHO (vescovo di Alba)

Avventura senza ritorno: questa definizione lapidaria delle guerre, di ogni guerra, data da Giovanni Paolo II fin dai tempi dell'intervento militare americano nel Golfo, dovrebbe risuonare quale richiamo martellante e ineludibile, almeno per i cattolici tutti, pastori e fedeli laici, in questi drammatici momenti in cui stranamente sembrano prevalere dubbi al riguardo o un imbarazzante silenzio che finisce per attutire i rinnovati moniti del Pontefice.

Non pochi credenti, più attenti e sensibili alle problematiche della giustizia e della pace, si chiedono come mai, a livello di responsabili pastorali italiani, non si faccia debita eco alle prese di posizione chiare e coraggiose non di ideologi o estremisti politici, ma del Papa. Si interrogano e soffrono perché sinceramente pensano che la Chiesa debba essere più profetica e meno preoccupata di allinearsi alle scelte, peraltro legittime, di questo o quel governo.

Si tratta infatti di responsabilità diverse per cui, senza negare le competenze di chi rappresenta la pubblica autorità, non si può dimenticare che la Chiesa, a livello di annuncio e di denuncia, è chiamata a pronunciarsi, quando necessario, in modo diverso dalla logica mondana del potere, soprattutto in difesa della vita degli innocenti, che hanno tutti lo stesso valore e la stessa dignità, dalle vittime di New York a quelle dell'Afghanistan e a tante altre.

In effetti, parecchi diocesani, sacerdoti e laici, hanno richiesto una parola semplice, ma chiara, a chi porta la responsabilità di guidare la Chiesa, non solo a proposito della strage operata dai terroristi in Usa, ma pure sulla reazione, in primo tempo autoproclamatasi "giustizia infinita", da parte degli americani e dei loro alleati, con i bombardamenti e i massacri delle povere e innocenti popolazioni afghane. Credo sia giusto tentare di dare una risposta onesta a queste attese, senza alcuna pretesa di infallibilità, ma pure senza timore di scontentare qualcuno.

1. Innanzitutto mi pare importante denunciare la capziosità del dilemma molto gridato: "Chi non accetta la guerra proclamata dagli Usa sta con i terroristi". Si può e si deve condannare ogni forma di terrorismo, non solo quello contro l'America, e nel tempo stesso dissentire legittimamente dal modo con cui si vuole eliminare il gravissimo pericolo.

2. Ma possono esistere (ancora) guerre "giuste"? Prescindendo da ogni discussione storica, ci limitiamo a ciò che oggi emerge a livello di magistero e di riflessione teologica ecclesiale. È vero che il Vaticano II, quando nella costituzione pastorale Gaudium et spes tratta il problema della guerra, al n. 79 ammette che, "finché non vi sarà un'autorità internazionale competente munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto alla legittima difesa", ma, subito dopo, il Concilio continua con altre affermazioni, tali da rendere praticamente impossibile l'applicazione concreta di questa possibilità teorica. Infatti, dopo aver brevemente descritto, e solo in parte (siamo nel 1965!), l'inumana tecnica bellica moderna, sostiene che comunque "ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato" (n. 80).

Il Vaticano II condanna perciò la guerra "totale" che di fatto mira a far vincere non importa come (è il caso dell'uso di armi nucleari, già tristemente collaudato proprio dagli Usa in Giappone). E per questo recentemente il cardinale Ratzinger ha dichiarato che "le risposte elaborate dalla tradizione cristiana, a proposito della guerra di difesa, devono essere aggiornate sulla base delle nuove possibilità di distruzione, dei nuovi pericoli. Provocare, ad esempio, con una bomba atomica la distruzione dell'umanità, può forse anche escludere ogni difesa".

3. Ma si impone un'ulteriore precisazione. È nella natura intrinseca della guerra che l'uomo sia armato per colpire e uccidere un altro uomo. Ciò senza alcun rapporto diretto con un avversario, come avviene in caso di legittima difesa. La quale, peraltro, anche quando è giustificabile, lascia sempre un segno indelebile e traumatizzante in una coscienza sensibile.

4. L'assurdità e l'immoralità della guerra consistono esattamente in questo: essa fa delle vittime non solo in coloro che sono colpiti a morte senza essere responsabili di alcun crimine e quindi innocenti, ma, con una logica perversa intrinseca alla natura della guerra stessa, fa delle vittime pure in coloro che colpiscono, perché diventano uomini costretti a uccidere altri uomini, a togliere la vita a fratelli e a ferire la propria per sempre. Questa pare essere la verità scomoda, ma autentica, al di là di ogni desueta retorica.

5. Senza pretendere affatto di giudicare o condannare alcuno, specie coloro che devono decidere della vita degli altri, a cominciare dai propri cittadini mandati a morire, non si può sottacere la perplessità che nasce dal fatto che in tanti altri casi di conflitti e di veri e propri massacri ci si sia ben guardati dall'intervenire, dando così l'impressione che alcune vittime siano più vittime di altre.

6. In ogni caso, pare che sia da ricordare un vecchio principio morale, sempre valido, per cui altro è sopportare il male fatto da altri e tentare di difendersi; altro è positivamente e direttamente causarne uno peggiore da parte nostra. Dimenticare questo significa cadere dalla logica della giustizia a quella della vendetta o rappresaglia, tipica del dramma israeliano e palestinese. Se vogliamo essere minimamente coerenti con il Vangelo, il magistero del Vaticano II e di Giovanni Paolo II, questa dovrebbe essere l'indicazione cristiana per un retto giudizio di coscienza di tutti coloro i quali dicono di riferirsi a questo insegnamento, compresi i parlamentari italiani che hanno votato per la guerra in grande maggioranza, a parte le (troppo) poche eccezioni.

7. Non possiamo concludere questa riflessione senza ricordare che, al di là delle decisioni dei potenti di turno, per noi esiste sempre un modo tipico di impegno: la preghiera a Dio, l'unico capace di toccare menti e cuori per costruire progetti di pace per tutti; naturalmente invocandolo non perché ci dia ragione ("Dio è con noi!"), ma perché ci converta. Dio, infatti, non sta dalla parte di nessuno, se non dei più deboli e degli ultimi. Soprattutto, non benedice mai la guerra, ma la pace. Sempre!

+Sebastiano Dho, vescovo