FORUM DI EPISTEME



12 - La casa editrice Il Cerchio invia cortesemente alla (purtroppo ormai defunta!) redazione di Episteme il seguente interessante libro, che ci piace allora presentare nelle pagine del Forum.

(Pur con qualche ovvia riserva, dato il punto di vista di Episteme : non ci sembra proprio per esempio che la   "rivoluzione  quantistica" sia ignorata dal paradigma dominante, anzi. Di essa si potrebbe  fare benissimo a meno, sull'auspicata   strada di un rinnovamento scientifico-filosofico, semplicemente riconsiderando il "vecchio" dualismo cartesiano...)

Dalla critica al darwinismo agli albori di una scienza nuova

Esattamente 10 anni fa, il giornalista scientifico John Horgan, a lungo redattore presso "Scientific American", pubblicava un saggio, The End of Science (Trad. it. La fine della scienza , Milano 1998) che fece scalpore per il suo provocatorio annuncio di un'imminente "fine della scienza", intendendo con questo l'apparente impossibilità, per lo ricerca moderna, di indagare ancora oltre i limiti già raggiunti.
Secondo Horgan, infatti, la ricerca scientifica sarebbe oggi ad un punto di non ritorno, oltre il quale i tradizionali sistemi d'indagine non avrebbero più alcuna utilità: sarebbero incapaci, cioè, di aprire lo strada verso quella che è, in fin dei conti, lo vera Meta verso lo quale ogni ricercatore in cuor suo tende, quella che Horgan chiama La Risposta , il modello teorico capace di offrire una chiave di lettura organica e soddisfacente del reale.
Secondo questa pessimistica profezia, dunque, lo scienza del prossimo futuro si troverebbe costretta alla resa di fronte all'insuperabile muro dell'ignoto: destinata ad accontentarsi delle soluzioni trovate - lì dove esse sono state realmente trovate - condannata a brancolare nel buio delle mere ipotesi o, peggio ancora, ad essere ridotta al frustrante e pericoloso rango di ancilla tecnologiae , meramente asservita agli interessi per nulla speculativi e spesso inquietanti dell'industria e del business economico.
Oggi tuttavia, a diec'anni da quel provocatorio annuncio, molti si chiedono se la tanto temuta fine della scienza non possa considerarsi, piuttosto, come il travagliato avvio della nascita di una scienza nuova, tramite l'avvento di un diverso paradigma e di una differente chiave di lettura della realtà.
Certo, i segni di stasi e di involuzione che già spinsero Horgan a lanciare il suo clamoroso annuncio sono a tuttora ben visibili: mai come oggi, anzi, una parte ancora maggioritaria del mondo accademico sembra pigramente attardarsi su posizioni datate, protetta solo dalla consolante ma sterile barriera del conformismo.
Al tempo stesso, però, molti segni ci parlano di un cambiamento in atto, lento ma straordinariamente profondo, che vede l'ingresso a pieno titolo, nell'ambito scientifico, di paradigmi fino a ieri considerati eretici , ma che in un futuro prossimo potrebbero semplicemente rivelarsi come rivoluzionari.
Durante il XX secolo, ad esempio, si è assistito - con sorpresa e persino sgomento da parte di taluni - al passaggio dalla fisica c1assica, rigidamente meccanicista, agli orizzonti straordinariamente ampi della fisica quantistica, che coi suoi paradossi ha messo in crisi i concetti stessi di materia e di causa/effetto. Una rivoluzione questa solo a fatica addomesticata - e in qualche caso semplicemente ignorata - dall' establishment accademico.
Al tempo stesso, sul piano delle cosiddette "scienze umane", il vecchio materialismo ad una dimensione di cui fu paladino e corifeo un Freud, ha dovuto cedere pian piano il passo, causa inadeguatezza, alle più ampie prospettive di un Jung, di un Hillmann o di un Frankl: prospettive che presuppongono, a loro volta, una visione dell'uomo e dello stesso cosmo infinitamente più complessa e profonda.
Bisogna avere il coraggio di domandarsi, dunque, se questa tanto temuta fine della scienza non sia nient'altro, infondo, che la fine di un tipo di scienza, identificabile essenzialmente con quel paradigma materialista/meccanicista che è figlio della filosofia dell'Ottocento. Un paradigma, questo, che si dimostra ogni giorno sempre più limitato e incapace di offrire risposte soddisfacenti alle domande che la stessa scienza moderna tende vieppiù a riscoprire.
Ed è in quest'ottica di superamento che va letto il grande fenomeno oggi sempre più alla ribalta nonostante gli ostruzionismi dell'ortodossia accademica - della critica all'ipotesi neo-darwinista , ossia all'ultimo, grande dogma del materialismo classico.
In effetti, la cosiddetta teoria sintetica dell'evoluzione ha rappresentato per decenni una vera e propria colonna portante della Weltanschauung materialistico-meccanicista: il tentativo più completo e certamente ambizioso di ridurre la sorprendente ricchezza e sconcertante complessità della materia vivente a mero riflesso del Caso e della Necessità.
Per quasi un secolo, infatti, il neodarwinismo ha diffuso universalmente una visione paradossale della Natura vivente, dove ogni realtà o qualità, dalla grazia di una piuma alla potenza di un muscolo, dalla perfezione tecnica di un organo oculare all'astronomica complessità del cervello umano, non sarebbero altro che il frutto di meri errori di trascrizione del DNA (le cosiddette mutazioni casuali), addomesticate dal potere ritenuto onnipotente della convenienza e dell'adattabilità (la cosiddetta selezione naturale).
Questa visione totalizzante e monolitica, potentemente sostenuta dal clima filosofico dominante ancor prima che da intrinseche prove scientifiche, è però fatalmente entrata in crisi parallelamente alla crescita delle conoscenze sulla natura vivente. sulla genetica, sui fossili. Il modello neodarwinista, infatti, non sembra capace di dare risposta alcuna all'irriducibile complessità delle forme viventi, al ruolo che appare più conservativo che "creativo" della selezione naturale, alla mancanza di documenti fossili che dimostrino l'andamento "lento e progressivo" dell'evoluzione, al grande enigma dell'apparizione della vita sulla Terra.
Anche il neodarwinismo, dunque, al pari di altre visioni e ipotesi scaturite dal meccanicismo ottocentesco, ha dovuto arrendersi di fronte ad una realtà che appare, ogni giorno di più, totalmente altra rispetto ad ogni riduzionismo. Da questo punto di vista, la critica al neodarwinismo - finalmente redenta dalla sterile contrapposizione tra "mastini" di Darwin e improponibili fondamentalismi pseudoreligiosi - rappresenta la vera avanguardia di un nuovo modo di intendere la natura e la scienza, in una chiave di lettura organica e olistica, in cui la teoria dell'evoluzione, liberatasi da ogni forma di "evoluzionismo" ideologico, si sposa alle più recenti prospettive emerse dalla scienza moderna, su tutte la fisica quantistica.
Con questo numero speciale "Avallon" ha voluto, per la prima volta in Italia, presentare un'antologia di contributi, unica per varietà e qualità, delle più interessanti correnti del post-darwinismo, da cui emerge una visione della natura affascinante e straordinariamente ricca. Un'antologia che, all'inevitabile pars destruens rappresentata dalla critica al vecchio paradigma, fa seguire la necessaria pars construens rappresentata da un significativo excursus attraverso i nuovi paradigmi proposti.

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