Kurt Gödel: un relativista incompleto

(Luca Umena)


  A tutti i ragionatori coerenti che non potranno mai dimostrare di esserlo. R. Smullyan


INTRODUZIONE

"Le implicazioni della parola gioiello - piccolezza preziosa, delicatezza non soggetta alla fragilità, […] limpidezza che non esclude l'impenetrabile, fiore per gli anni - ne rendono legittimo l'uso in tale contesto".

Con questa metafora Jorge Luis Borges ha scelto di definire nel suo Discusión la perpetua corsa di Achille e della tartaruga. La sua scelta, tuttavia, sarebbe non meno indicata a descrivere un'altra gemma del pensiero umano: mi riferisco al teorema d'incompletezza di Gödel. Non solo per la purezza logica e la luminosa semplicità che diffonde, ma soprattutto per l'intrinseco valore di ostacolo e di apertura all'insondabile, che nel fondarne l'essenza lo accomuna al geniale paradosso eleatico.

Dalla sua formulazione - avvenuta nel 1931 - il tentativo di ridurre la matematica ad un puro meccanismo deduttivo è destinato a mostrarsi illusorio. Se un sistema assiomatico risulta coerente (ovvero privo di contraddizioni interne) ne consegue che esso è necessariamente incompleto (vale a dire costellato da proposizioni vere che non riesce a dimostrare e da proposizioni indecidibili di cui non può stabilire la verità o la falsità)1. In altri termini, cioè, esistono delle limitazioni intrinseche che impediscono alla matematica di provare tutte le verità in essa contenute. Non ultima quella relativa alla propria coerenza.

Ciò sta a indicare che persino nel suo mondo verità e dimostrabilità rimarranno sempre due concetti distinti, separati inevitabilmente da una distanza incolmabile.

Nel lavoro che segue cercherò di mostrare che proprio la consapevolezza di tale distanza ha permesso a Gödel di formulare il suo celebre teorema.

E' solo ammettendo l'esistenza di uno sfondo platonico su cui proiettare verità matematiche eterne, preesistenti ad ogni processo inferenziale, che egli è riuscito a intravedere (e poi a dimostrare) l'intrinseca incompletezza dei sistemi formali. Incompletezza che nella sua prospettiva, non implicava affatto un'inevitabile deriva relativistica (o peggio ancora nichilistica) bensì uno stimolo prezioso a sviluppare forme di ricerca sempre più raffinate.

Di fronte all'inesauribile complessità della matematica, Gödel vedeva l'infinita capacità della mente umana di decifrarla.

Non è dunque in chiave relativistica che egli ha concepito e interpretato il suo teorema. Se ciò è avvenuto, è avvenuto suo malgrado e mistificando profondamente il suo pensiero.

VERITÀ, PLATONISMO E DIMOSTRABILITÀ2

All'epoca in cui Gödel formulò il suo teorema,3 la distinzione tra verità matematica e dimostrabilità non era così chiara. Malgrado la teoria elaborata da Tarski, il programma formalista continuava ad identificare i due concetti, escludendo l'esistenza di verità inattingibili dal punto di vista formale.

Il concetto di verità oggettiva era guardato con il massimo sospetto ed era in generale rifiutato come privo di senso.4 Al punto che perfino Gödel, che in realtà era incline a ritenerlo oggettivamente definito, aveva scelto di eliminarlo dai suoi risultati principali.

Eppure, come osservò lui stesso molti anni dopo, era stata proprio la percezione di tale concetto a costituire il principio euristico che gli aveva permesso di concepire i suoi teoremi. A partire da quello meno noto di completezza.

"Il teorema di completezza - confessava ad Hao Wang in una lettera del 1967 - dal punto di vista matematico è in realtà una conseguenza quasi banale dell'articolo di Skolem del 1922. Tuttavia resta il fatto che allora nessuno (nemmeno Skolem stesso) trasse quella conclusione (né da quell'articolo, né, come feci io, da considerazioni analoghe svolte autonomamente). […] Questa cecità (o pregiudizio) dei logici è davvero sorprendente, ma io credo che non sia difficile trovare la spiegazione nella diffusa mancanza, a quei tempi, del necessario atteggiamento epistemologico verso la metamatematica,[verso il concetto transfinito di verità], e verso il ragionamento non finitario".5

Infatti, prosegue Gödel:

"il ragionamento non finitario in matematica era per lo più ritenuto dotato di significato solo nella misura in cui era interpretabile o giustificabile nei termini di una matematica finitaria. […] [Questo, ovviamente], è un punto di vista che conduce […] a escludere il ragionamento non finitario dalla metamatematica. Esso, infatti, per essere ammissibile, richiederebbe una metamatematica finitaria, che in realtà sembra un doppione inutile e confusionario. Per di più, ammettere elementi transfiniti privi di significato nella metamatematica è in contraddizione con l'idea stessa che di questa scienza si aveva prevalentemente a quel tempo. Secondo questa idea, la metamatematica è la parte della matematica dotata di significato, per mezzo della quale i simboli matematici (in sé privi di significato) acquisiscono un qualche surrogato di significato, cioè le regole d'uso. Naturalmente l'essenza di questo punto di vista consiste nel rifiutare qualsiasi genere di oggetti astratti o infiniti, quali sono ad esempio i significati immediati dei simboli matematici. In altre parole, si riconosce un significato esclusivamente alle proposizioni che parlano di oggetti concreti e finiti, come le combinazioni dei simboli.

Ora, però, la facile inferenza che si trae dall'articolo di Skolem del 1922 citato, è senz'altro non finitaria, come lo è qualunque altra dimostrazione di completezza per il calcolo dei predicati. Perciò queste cose sfuggirono all'attenzione o furono trascurate".6

Già da queste righe emerge con evidenza l'originalità della posizione di Gödel rispetto a quella formalista, e più in generale a quelle caratterizzanti lo spirito del tempo.

Ma è il commento successivo che costituisce il punto cruciale per afferrare la differenza epistemologica tra il suo pensiero e quello hilbertiano.

"Posso aggiungere - sottolinea - che la mia concezione oggettivistica della matematica e della metamatematica in generale, e del ragionamento transfinito in particolare, fu fondamentale anche per il resto del mio lavoro nel campo della logica. Come infatti si potrebbe pensare di esprimere la metamatematica nei sistemi matematici stessi, se si ritiene che questi ultimi consistano di simboli privi di significato che acquistano un qualche surrogato di significato solamente attraverso la metamatematica? […] Si dovrebbe notare che il principio euristico della mia costruzione, nei sistemi formali matematici, delle proposizioni indecidibili di teoria dei numeri è il concetto transfinito per eccellenza di verità matematica oggettiva in opposizione a quello di dimostrabilità con cui era generalmente confuso prima del mio lavoro e di quello di Tarski. […] Di nuovo l'uso di questo concetto transfinito conduce in fin dei conti a risultati dimostrabili finitariamente, per esempio ai teoremi generali sull'esistenza di proposizioni indecidibili in sistemi formali coerenti.7"[…] Ovviamente con ciò [non intendo dire] - continua Gödel in un'altra lettera - che il punto di vista formalista rendeva impossibili le dimostrazioni di coerenza per mezzo di modelli transfiniti, ma che rendeva soltanto molto più difficile scoprirle, perché esse sono in qualche modo poco congeniali a questo orientamento di pensiero.[…] I formalisti [infatti] consideravano la dimostrabilità formale come un'analisi del concetto di verità matematica, e quindi si trovavano chiaramente in una posizione che non consentiva loro di distinguere i due concetti. Vorrei aggiungere che c'era un'altra ragione che impedì ai logici di applicare alla metamatematica non solo il ragionamento transfinito, ma il ragionamento matematico in generale [e soprattutto, impedì di esprimere la metamatematica nella matematica stessa]. La ragione è questa: la metamatematica per lo più non era considerata una scienza che descrive stati di fatto matematici oggettivi, ma piuttosto una teoria relativa all'attività umana che si occupa di maneggiare dei simboli".8

Tale capoverso chiarisce definitivamente le ragioni per le quali Gödel credeva di essere riuscito dove gli altri avevano fallito.

Una spiegazione più diretta, tuttavia, è contenuta in una lettera che egli aveva scritto in risposta ad una missiva inviatagli da uno sconosciuto studente di dottorato. Nella minuta ( per la verità mai spedita e sbarrata con un segno di cancellatura) Gödel chiariva perché il formalismo non fosse pervenuto all'idea che alcuni enunciati matematici risultassero indecidibili. Era sua ferma convinzione che ciò fosse avvenuto:

"a motivo dei pregiudizi filosofici dell'epoca. [E in particolare perché] 1) nessuno cercava una dimostrazione di coerenza relativa, dal momento che era considerato assiomatico che una prova di coerenza dovesse essere finitaria per avere senso; 2) [perché] il concetto di verità matematica oggettiva in contrapposizione a quello di dimostrabilità era guardato con il massimo sospetto e dai più rifiutato come privo di senso".9

A differenza dei formalisti, insomma, Gödel credeva che la verità matematica fosse una verità oggettiva e non una mera costruzione della mente umana. Una concezione di tipo platonico animava la sua ricerca, e proprio tale concezione gli aveva fatto raggiungere i suoi celebri risultati.

Il realismo platonico, tuttavia, era una filosofia della matematica fortemente ostacolata dallo spirito del tempo, così egli non ne fece alcun cenno nella presentazione dei suoi teoremi, ed arrivò addirittura (come abbiamo già visto) a cancellarne ogni riferimento, seppur marginale, che ne potesse suggerire l'esistenza.

Solo anni dopo, quando ormai la sua grandezza di scienziato non era più in discussione, trovò il coraggio di dichiarare pubblicamente il proprio platonismo, e lo fece con la consueta profondità in alcune pagine del saggio filosofico La logica matematica di Russell.

Tale lavoro era stato concepito per la pubblicazione di un volume dedicato al pensiero del filosofo inglese ed era stato sollecitato da Russell stesso, che considerava Gödel come l'allievo più dotato nel campo della logica. In realtà nel suo saggio Gödel, pur elogiando la qualità del lavoro di Russell, ne attaccava duramente il principio del circolo vizioso e il progressivo passaggio da una concezione realistico-platonica ad una, più sfumata, in cui:

"le classi o i concetti non esistono come oggetti reali e gli enunciati che contengono questi termini hanno senso solo se possono essere interpretati come una façon de parler, come un modo di parlare di altre cose".10

In realtà osservava Gödel:

"Classi e concetti, si possono anche concepire come oggetti reali, e precisamente le classi come pluralità di cose o come strutture che consistono di una pluralità di cose, e i concetti come le proprietà e le relazioni fra le cose, che esistono indipendentemente dalle nostre definizioni e costruzioni.Sembra a me - proseguiva Gödel nel suo saggio - che l'assunzione di tali oggetti sia altrettanto legittima dei corpi fisici e che ci sia altrettanta ragione di credere nella loro esistenza. Essi sono necessari per ottenere un soddisfacente sistema di matematica nello stesso senso che i corpi fisici lo sono per una teoria soddisfacente delle nostre percezioni sensoriali e in entrambi i casi è impossibile interpretare le proposizioni che si vogliono asserire su queste entità come proposizioni sui dati, cioè nel secondo caso sulle effettive percezioni sensoriali"11.

Dopo questa prima esplicita dichiarazione di platonismo, Gödel ne rilasciò un'altra tre anni dopo (1947), ancor più dettagliata, in cui sosteneva che:

"[...] Gli oggetti della teoria degli insiemi transfiniti chiaramente non appartengono al mondo fisico, e anche la loro connessione indiretta con l'esperienza fisica è molto debole (soprattutto per il fatto che i concetti insiemistici giocano solo un ruolo trascurabile nelle teorie fisiche contemporanee).Ma, nonostante abbiano un carattere remoto dall'esperienza sensibile, noi abbiamo una specie di percezione anche degli oggetti della teoria degli insiemi, come si vede dal fatto che i loro assiomi s'impongono a noi come veri. Non vedo perché dovremo riporre meno fiducia in questa specie di percezione, cioè nell'intuizione matematica, di quella che riponiamo nella percezione sensibile, la quale ci induce a costruire su di essa le nostre teorie fisiche e ad aspettarci che le future percezioni sensoriali concordino con esse, e, di più, a credere che questioni oggi non decidibili abbiano nondimeno un senso e possano essere decise in futuro".[…] "Si noti [inoltre] che l'intuizione matematica non deve essere concepita come una facoltà che ci dà una conoscenza immediata degli oggetti interessati. Al contrario, sembra che, come nel caso della fisica, noi ci formiamo le nostre idee di quegli oggetti anche sulla base di qualcos'altro, che è dato direttamente. Solo che questo qualcos'altro non è, o non precipuamente, rappresentato dalle sensazioni. Che qualcos'altro oltre alle sensazioni sia dato immediatamente segue (senza alcun riferimento alla matematica) dal fatto che persino le nostre idee relative agli oggetti fisici contengono costituenti che sono qualitativamente differenti dalle sensazioni o da mere combinazioni di sensazioni, ad esempio l'idea stessa di oggetto, mentre, d'altra parte, nel nostro pensiero noi non possiamo creare nessun elemento qualitativamente nuovo, ma solo riprodurre e combinare quelli che sono dati. E' evidente che il dato che soggiace alla matematica è strettamente collegato agli elementi astratti che sono contenuti nelle idee empiriche. Non ne segue assolutamente, tuttavia, che i dati di questo secondo tipo, siccome non possono essere associati ad alcuna azione di certe cose sui nostri organi di senso, siano qualcosa di puramente soggettivo, come asseriva Kant. Al contrario, anch'essi possono rappresentare un aspetto della realtà oggettiva, se non che, a differenza delle sensazioni, la loro presenza in noi può essere dovuta ad una altro genere di relazione tra noi e la realtà.[…] Peraltro la questione dell'esistenza oggettiva degli oggetti dell'intuizione matematica (che sia detto per inciso, è un'esatta replica della questione dell'esistenza oggettiva del mondo esterno) non è decisiva per il problema in discussione. Il mero fatto psicologico dell'esistenza di un'intuizione che è sufficientemente chiara da produrre gli assiomi della teoria degli insiemi ed una serie aperta di loro estensioni è sufficiente a dare significato alla questione della verità o della falsità di proposizioni come l'ipotesi del continuo di Cantor.12 […] poiché secondo il punto di vista qui adottato […] i concetti e i teoremi della teoria degli insiemi descrivono una realtà ben determinata in cui la congettura di Cantor deve essere vera o falsa. Perciò la sua indecidibilità rispetto agli assiomi attualmente adoperati può significare soltanto che tali assiomi non contengono una descrizione completa di quella realtà. Questa opinione non è affatto una chimera poiché si possono dare dei metodi per decidere questioni indecidibili rispetto agli assiomi usuali". In particolare "il concetto di insieme […] suggerisce la possibilità di estenderli con nuovi assiomi che asseriscono l'esistenza di ulteriori ripetizioni dell'operazione "insieme di". Tali assiomi possono essere anche formulati come proposizioni che assicurano l'esistenza di numeri cardinali molto grandi".13

DAL PLATONISMO ALLA FENOMENOLOGIA

Assumendo tale prospettiva epistemologica, tuttavia, viene a delinearsi un nuovo problema teorico di difficile soluzione. Ovvero, come si riescono ad individuare i corretti assiomi aggiuntivi attraverso cui estendere proficuamente il sistema?

Nel saggio precedente Gödel indica una possibile soluzione sostenendo che un modo corretto per effettuare tale estensione è quello di studiarne la fecondità teorica, vale a dire la fecondità di conseguenze dimostrabili che l'uso dei nuovi assiomi permette di scoprire. Tuttavia la possibilità a cui Gödel guarderà sempre con maggior favore è quella di scoprire assiomi "che una più approfondita comprensione dei concetti base della logica e della matematica potrebbe consentirci di riconoscere come impliciti in tali concetti".14

Su questo punto è molto più esplicito in uno scritto del 1961 dal titolo "The modern development of Mathematics in the light of Philosophy, in cui sostiene che "siamo agli inizi di una scienza che aspira a possedere un metodo sistematico per una […] chiarificazione del significato e questo [metodo] è la fenomenologia di Husserl".15

In realtà nel saggio Gödel trattava questo tema solo nella parte finale. Inizialmente, infatti, si era proposto di:

"descrivere […] lo sviluppo della ricerca sui fondamenti della matematica a partire dalla svolta del secolo, [per] inquadrarla [poi] in uno schema generale di possibili concezioni del mondo,[…] classificate in base al grado […] della loro affinità o divergenza con la metafisica"16.

Nel suo schema Gödel aveva posto lo scetticismo, il materialismo e il positivismo a sinistra, mentre lo spiritualismo, l'idealismo e la teologia li aveva collocati a destra, dichiarando che era un fatto noto che "a partire dal Rinascimento lo sviluppo della filosofia era andato progressivamente da destra verso sinistra".

Aveva osservato, poi, che "la matematica, per la sua natura di scienza a priori" aveva resistito a lungo a questa tendenza a spostarsi a sinistra, ma al volgere del secolo aveva parzialmente abbandonato la sua resistenza per lo stato di crisi in cui era finita a causa delle antinomie della teoria degli insiemi, la cui importanza era stata amplificata dagli "scettici e dagli empiristi" allo scopo di favorire questa tendenza. In effetti, notava Gödel, le antinomie:

"non compaiono all'interno della matematica, ma in prossimità della sua frontiera più esterna, […] e precisamente nella direzione della filosofia", senza contare poi che ormai "sono state risolte in un modo del tutto soddisfacente e quasi ovvio per chiunque comprenda la teoria degli insiemi". Tuttavia, proseguiva Gödel, questo non è servito a nulla "contro lo spirito del tempo, e perciò il risultato è che molti o la maggior parte dei matematici negano che la matematica, quale si era sviluppata precedentemente, sia un sistema di verità; essi invece riconoscono ciò solo per una parte della matematica" e intendono "la parte rimanente in un senso ipotetico, cioè nel senso che la teoria asserisce propriamente soltanto che da certe assunzioni( da non giustificare) si possono derivare giustificabilmente certe conclusioni". Ma così "la matematica diventa una scienza empirica, perché se in qualche modo dimostro, a partire da assiomi postulati arbitrariamente, che ogni numero naturale è la somma di quattro quadrati, non ne segue affatto con certezza che non troverò mai un controesempio di questo teorema perché i miei assiomi potrebbero in realtà essere incoerenti, e posso dire tutt'al più che ciò segue con una certa probabilità, perché nonostante molte deduzioni finora non è stata scoperta alcuna contraddizione. Inoltre, con questa concezione ipotetica della matematica, molte questioni perdono la forma: la proposizione A vale o non vale? Infatti, in senso assoluto, da assunzioni arbitrarie non posso certo aspettarmi che esse abbiano la strana proprietà di implicare esattamente A oppure ~ A".17

Tuttavia, benché queste conseguenze nichilistiche si accordino molto bene con lo spirito del tempo, contro di esse è parzialmente insorto l'istinto matematico. Così Hilbert ha concepito il suo programma non solo cercando di rendere giustizia allo spirito del tempo, ma anche alla natura della matematica, realizzando quello "strano ermafrodito matematico" che è noto a tutti con il nome di formalismo. In esso, infatti, da un lato "in conformità con le idee prevalenti nella filosofia attuale, si ammette che la verità degli assiomi da cui parte la matematica non può essere giustificata o riconosciuta in alcun modo, e perciò che trarre conseguenze da essi ha significato solo in un senso ipotetico, per cui questo stesso trarre conseguenze (per soddisfare ancora di più lo spirito del tempo) è costruito come mero gioco di simboli secondo certe regole, anch'esse non sostenute dall'intuizione. Dall'altro lato si tende a conservare, allontanandosi dallo spirito del tempo, una credenza corrispondente all'istinto del matematico che una dimostrazione della correttezza di una proposizione come la rappresentabilità di ogni numero come somma di quattro quadrati debba fornire un sicuro fondamento per tale proposizione; ed inoltre, anche che ogni questione sì-o-no precisamente formulata nella matematica debba avere una risposta chiara".18

Alla luce dei teoremi di incompletezza, tuttavia, "la combinazione hilbertiana di materialismo e di aspetti della matematica classica si dimostra impossibile". E ciò sembrerebbe implicare un'inevitabile deriva nichilistica. Gödel, tuttavia, rifiutando lo spirito del tempo, non vuole rassegnarsi a tale esito e cerca di scongiurarlo affidandosi, come abbiamo anticipato, alla teoria fenomenologica di Husserl. Secondo tale prospettiva:

"la certezza della matematica non deve essere assicurata, come voleva Hilbert, dimostrando certe proprietà mediante una proiezione su sistemi materiali, cioè con la manipolazione di simboli fisici, ma piuttosto coltivando (approfondendo) la conoscenza dei concetti astratti stessi che portano alla formulazione di tali sistemi meccanici" e inoltre " cercando di ottenere, mediante le stesse procedure, intuizioni sulla solubilità e sugli effettivi metodi di soluzione di tutte le proposizioni matematiche senza significato". Per " estendere la nostra conoscenza di questi concetti astratti, cioè per rendere precisi tali concetti e per raggiungere un'intuizione esauriente e sicura delle relazioni fondamentali che sussistono tra essi, cioè degli assiomi che valgono per essi" non è sufficiente cercare di "dare definizioni esplicite dei concetti e dimostrazione degli assiomi. Per questo, infatti, ovviamente occorrono altri concetti astratti indefinibili e assiomi che valgono per essi. Altrimenti non avremmo nulla a partire da cui definire o dimostrare. La procedura deve consistere invece, almeno in larga misura, in una chiarificazione del significato, che non consiste nel definire".19

E per effettuare tale chiarificazione la scelta più indicata consiste nel far riferimento alla fenomenologia di Husserl. "In essa la chiarificazione del significato consiste nell'appuntare più acutamente lo sguardo sui concetti interessati, dirigendo la nostra attenzione in un certo modo, cioè sui nostri atti nell'uso di questi concetti, sulla nostra capacità di compiere quegli atti, ecc. [Certo la fenomenologia] […] non è una scienza nello stesso senso delle altre scienze. E' piuttosto (o comunque dovrebbe essere) una procedura o una tecnica che deve produrre in noi un nuovo stato di coscienza in cui descriviamo dettagliatamente i concetti basilari che usiamo nel nostro pensiero, o afferriamo altri concetti basilari finora a noi sconosciuti. [Tuttavia] […]non vi è alcuna ragione per respingere dall'inizio come vana tale procedura, [anche perché] […] nell'estensione sistematica degli assiomi della matematica diventano evidenti [in virtù del significato delle nozioni basilari] sempre nuovi assiomi che non seguono da quelli stabiliti precedentemente e i risultati di incompletezza non escludono affatto che ogni questione matematica del tipo sì-o-no posta chiaramente sia solubile in questo modo, perché è proprio questo diventar evidenti di sempre nuovi assiomi in virtù del significato delle nozioni basilari che non può essere imitato da una macchina".20

Il processo di chiarificazione, infatti, non avviene meccanicamente, ma in modo simile a quello utilizzato dai bambini per comprendere nuovi concetti, vale a dire passando attraverso una serie di stati di consapevolezza sempre maggiori. Per usare la parole di Gödel:

"se l'intero sviluppo delle scienze empiriche si può vedere come una sistematica e conscia estensione di ciò che il bambino fa quando sviluppa nella prima direzione [della sperimentazione con gli oggetti del mondo esterno], è del tutto possibile un analogo sviluppo sistematico e conscio anche nella direzione dell'introspezione". […] "Ci sono esempi in cui, anche senza l'applicazione di una procedura sistematica e conscia, avvengono considerevoli sviluppi nella seconda direzione, quella che trascende il buon senso".

Seguendo le indicazioni fenomenologiche è possibile, quindi, dirigere la nostra attenzione in modo corretto.

"Ciò che Husserl ha fatto [è] insegnare un atteggiamento mentale che ci ha messo in grado di dirigere la nostra attenzione [in modo innaturale], ma corretto.

[…] Husserl ha ripreso il lavoro di chiarificazione svolto da Kant, e lo ha reso più sistematico.[…] Kant [aveva riconosciuto] che tutte le categorie dovevano essere ridotte a qualcosa di più fondamentale. Husserl […] ha cercato di trovare [proprio]questa idea fondamentale, [l'idea, cioè, ] che si trova dietro tutte quelle categorie".21

Per Gödel, quindi, l'intero metodo fenomenologico "risale nella sua idea a Kant" e Husserl lo ha solo:

"formulato per primo più precisamente, lo ha reso pienamente consapevole e lo ha applicato realmente a particolari domini. In effetti, già dalla terminologia usata da Husserl, si vede quanto positivamente egli stesso valuti il proprio rapporto con Kant".22

La mancanza di chiarezza di Kant, però, ha condotto a deviazioni come l'idealismo e il positivismo. Solo Husserl con la sua teoria fenomenologica ha reso veramente giustizia a Kant, "evitando sia il salto mortale dell'idealismo verso una nuova metafisica, sia il rifiuto positivistico di ogni metafisica".23

Malgrado questi meriti, tuttavia, il metodo fenomenologico si è rivelato alla fine insufficiente. Gödel, infatti, pur usandolo con continuità, non è mai riuscito a scoprire un gruppo di assiomi in grado di estendere proficuamente la teoria degli insiemi.(Per essere precisi un gruppo di assiomi Gödel l'ha anche scoperto, ma come ha osservato John W. Dawson jr. "praticamente nessun logico ha mai trovato qualche motivo per credere nell'intrinseca verità di quegli assiomi").24

D'altra parte, per il matematico italiano Carlo Cellucci, non c'era alcun motivo perché ciò avvenisse. L'insuccesso del metodo fenomenologico, infatti, era intrinsecamente inevitabile. Cellucci ha descritto così questa ineluttabile conclusione:

"L'insuccesso di Gödel non è da ascriversi ad una mancanza di sagacia da parte sua, ma ad una ragione di principio. La speranza di ottenere una penetrazione più profonda del concetto di insieme, è vana proprio a causa del primo teorema d'incompletezza. Supponiamo, infatti, di aver ottenuto, mediante il metodo fenomenologico, un'intuizione del concetto d'insieme I. Sia S un sistema formale della teoria degli insiemi i cui assiomi l'intuizione ci assicura essere veri rispetto ad I. Poiché I è un modello di S, ne segue che S è coerente, e quindi è appropriato. Ma allora, per il primo teorema d'incompletezza di Gödel, esiste un enunciato G di S che è vero in I ma non è dimostrabile in S. Dal fatto che G non è dimostrabile in S segue che SÈ { Ø G} è coerente. Perciò, per il teorema dell'esistenza del modello, SÈ { Ø G} ha un modello diciamo I¢ . Allora I e I¢ sono entrambi modelli di S, ma G è vero in I ed è falso in I¢ (poiché Ø G è vero in I¢ ). Dunque i concetti di insieme I e I¢ non sono equivalenti. Ora se, di nuovo mediante il metodo fenomenologico, appuntiamo più acutamente lo sguardo sul modo in cui abbiamo ottenuto I¢ , arriviamo ad un'intuizione anche di I¢ . Abbiamo così due diverse intuizioni, una delle quali ci assicura che il vero concetto di insieme è I mentre l'altra ci assicura che il vero concetto di insieme è I¢ , e l'enunciato G è vero in base alla prima intuizione mentre è falso in base alla seconda. Quale dei due concetti I e I¢ è il vero concetto di insieme? Il metodo fenomenologico non ci sa dare una risposta. Ciò mostra la vanità della speranza di Gödel di giustificare la matematica facendo ricorso all'intuizione intellettuale, e, in unione col fallimento dei programmi di Hilbert, suggerisce che l'intera impresa della concezione fondazionalista di giustificare la matematica facendo appello all'intuizione è impossibile".25

CONCLUSIONI

Secondo l'analisi di Cellucci, che peraltro riflette il pensiero generale, è dunque, è un'impossibilità costitutiva quella che deriva dal teorema di Gödel, un divieto teorico assoluto. A prescindere dai suoi futuri sviluppi, la matematica risulterà sempre ingiustificabile a livello formale. Come non c'è una geometria assoluta alla quale riferirsi, così non c'è una ragione matematica in senso assoluto, ovvero un unico modo di procedere, ragionare, dedurre. Non esiste alcun metodo - neppure fenomenologico - per stabilire con inconfutabile certezza quale sia tra diversi modelli quello realmente corretto. Così l'ipotesi del continuo di Cantor può risultare vera in un modello assiomatico e falsa in un altro, senza che questo peraltro conduca ad alcuna contraddizione. Il concetto di verità unica e assoluta non appartiene, quindi, nemmeno al limpido e circoscritto mondo del pensiero matematico. Per estrapolazione ciò potrebbe indurci a ipotizzare che tutte le indagini scientifiche basate su modelli matematici debbano essere allo stesso modo incomplete e relative. Così la cosmologia e più in generale tutte le scienze espresse in un linguaggio matematico, potrebbero trovarsi in una preoccupante condizione di parzialità. Di questo avviso è il fisico e teologo ungherese Stanley Jaki, il quale ha espresso la ferma convinzione che i risultati di Gödel ci impediscano di acquisire una reale comprensione del cosmo: alla luce dei teoremi di incompletezza Jaki ritiene che:

"nessuna cosmologia scientifica - che necessariamente deve essere altamente matematica - [può] trovare la dimostrazione della propria coerenza. [Ma] una teoria necessariamente vera che non può contenere una prova della propria coerenza [risulta] inevitabilmente una contraddizione in termini. Da ciò deriva la principale conseguenza dei teoremi di Gödel sulla cosmologia, ossia che la contingenza del cosmo non può essere contraddetta."26

Per contro molti scienziati, tra cui lo stesso Gödel, hanno invece interpretato il teorema d'incompletezza in chiave positiva.

Opponendosi all'interpretazione pessimistica dei suoi risultati, Gödel riteneva che essi non implicassero alcuna limitazione alle possibilità del ragionamento logico; al contrario credeva che essi comportassero soltanto delle limitazioni formali, ovvero che "il tipo di ragionamento necessario in matematica non [potesse] essere meccanizzato completamente".

A differenza di Kant, la cui linea di pensiero era interamente inscritta in un orizzonte pre-evoluzionista, Gödel credeva che le nostre menti "non fossero statiche ma in continuo sviluppo", e che quindi la scienza fosse in grado di avvicinarsi progressivamente alla verità, superando le limitazioni psico-fisiche della nostra natura.27

Interpretati in questa chiave, i suoi risultati non forniscono un risultato negativo, ma rappresentano al contrario un inno all'inesauribilità della matematica e dell'intelligenza umana in generale. Così vengono percepiti, ad esempio, dallo scienziato americano Freeman Dyson, il quale considera i teoremi di incompletezza come una garanzia teorica che l'attività scientifica continuerà per sempre:

"Gödel - afferma Dyson - ha mostrato che il mondo della matematica pura non è racchiudibile. Nessun insieme finito di assiomi o di regole di inferenza potrà mai abbracciare la matematica nella sua interezza; dato un qualunque insieme di assiomi, è possibile trovare dei problemi matematici significativi che quegli assiomi lasciano senza risposta. Io spero che una situazione analoga esista anche nel mondo fisico. Se il mio modo di concepire la natura è corretto, ciò significa che anche il mondo della fisica e dell'astronomia è inesauribile; non importa quanto lontano ci spingiamo nel futuro, accadranno sempre nuove cose, arriveranno sempre nuove informazioni, ci saranno nuovi mondi da esplorare e un dominio di vita, coscienza e memoria in continua espansione."28

In effetti la plausibilità della tesi di Dyson sembra confermata dai risultati che Greg Chaitin ha tratto recentemente dai teoremi di Gödel a livello cibernetico.

Traducendo l'incompletezza nel linguaggio dell'informazione e della casualità, Chaitin ha provato che non è possibile dimostrare l'incomprimibilità di una particolare stringa di simboli. Ovvero che dato un certo problema, la relativa stringa che lo rappresenta non è ulteriormente comprimibile.Se si assume che l'attività scientifica consiste nel tentativo di comprimere stringhe di dati in codificazioni sempre più brevi, ne deriva l'impossibilità di stabilire se una certa teoria fisica sia quella definitiva oppure no.29

Alla luce di tale risultato, sfuma chiaramente il sogno riduzionista di Stephen Hawking e dei vari sostenitori della soluzione finale.30 La possibilità di provare la verità assoluta di una teoria rimarrà sempre unicamente un'illusione.

"La verità è come una cima montuosa, normalmente avvolta fra le nuvole. Uno scalatore può non solo avere difficoltà a raggiungerla, ma anche non accorgersene quando vi giunge, poiché può non riuscire a distinguere nelle nuvole fra la vetta principale e un picco secondario".31

Tuttavia, come ha osservato F. Selleri in Paradossi e realtà, sarebbe un grave errore concludere che l'incertezza di una teoria, il suo carattere ipotetico o congetturale, sminuisca la sua capacità descrittiva o il suo valore gnoseologico: pur non avendo la possibilità di provare che la teoria che stiamo usando è la teoria definitiva, abbiamo comunque la certezza che la scienza - cui essa appartiene - abbia prodotto nel tempo risultati cognitivi indiscutibili. E' semplicemente assurdo, ad esempio, che in futuro si possano negare teorie scientifiche come quella atomica della materia o quella genetica del DNA.

E' anche vero però che l'esistenza di elementi cognitivi irreversibili non pone la scienza al riparo da tutta una serie di contrasti e difficoltà interne che la rendono sempre più somigliante ad un labirinto di filosofie e di linee divergenti.

Tuttavia, parafrasando una riflessione di Italo Calvino a proposito di letteratura e società:

"Da una parte c'è l'attitudine oggi necessaria per affrontare la complessità del reale, rifiutandosi alle visioni semplicistiche che non fanno che confermare le nostre abitudini di rappresentazione del mondo; quello che oggi ci serve è la mappa del labirinto la più particolareggiata possibile. Dall'altra parte c'è il fascino del labirinto in quanto tale, del perdersi nel labirinto, del rappresentare questa assenza di vie d'uscita come la vera condizione dell'uomo. Nello sceverare l'uno dall'altro i due atteggiamenti vogliamo porre la nostra attenzione critica, pur tenendo presente che non si possono sempre distinguere con un taglio netto [...]. Resta fuori chi crede di poter vincere i labirinti sfuggendo alla loro difficoltà [...] E' la sfida al labirinto che vogliamo salvare […] e che vogliamo enucleare e distinguere dalla resa al labirinto"32.

In questo senso il teorema di Gödel si rivela uno strumento indispensabile. I labirinti che esso propone, infatti, rappresentano una sicura difesa contro ogni tentativo iper-riduzionista, e al tempo stesso una spinta importante a sviluppare forme di creatività e di analisi sempre più raffinate.

E paradossalmente anche i limiti che stabiliscono, non devono costituire motivo di avvilimento, o peggio ancora di sfiducia nelle possibilità del pensiero scientifico. Se la scienza è possibile, infatti, è proprio perché essa vieta alcune cose e pone dei limiti ben precisi ad altre. E' sulla categoria dell'impossibilità che si basa l'impresa scientifica, non su quella dell'onnipotenza. Una teoria risulta tanto più profonda quanto più essa è in grado di stabilire i propri limiti di applicabilità, ovvero la propria impossibilità di prevedere. Solo le teorie estremamente semplici non mostrano questo carattere autolimitante, ma, come ha osservato l'astrofisico John D. Barrow,

"un mondo così semplice da poter essere conosciuto da tali teorie sarebbe troppo semplice per ospitare osservatori coscienti in grado di conoscerlo".33
 
 





Note


 


















1 Tutto questo comunque nell'ipotesi non trascurabile che tale sistema sia abbastanza ampio da contenere l'aritmetica ordinaria. Sistemi assiomatici più semplici, come l'aritmetica di Presburger o la geometria di Euclide, non soffrono, infatti, di queste limitazioni e risultano essere formalmente completi.

2 Come è noto Gödel ha dedicato ampio spazio all'interpretazione filosofica del proprio lavoro, analizzandone in modo esaustivo i presupposti teoretici e le possibili chiavi di lettura. In genere quando uno scienziato tenta un'impresa di questo tipo raramente riesce ad essere limpido e neutrale. Gödel, tuttavia, vi è riuscito, e la sua analisi è divenuta un punto di riferimento imprescindibile per chiunque tenti di avvicinarsi alla sua opera. Alla luce di tali considerazioni ho scelto di articolare la mia indagine privilegiando una linea di ricerca più storiografica che interpretativa, riportando quasi integralmente i numerosi e illuminanti articoli che egli ha elaborato via via nel corso degli anni. Per quanto possibile ho cercato di seguire fedelmente la linea di sviluppo del suo pensiero, in qualche caso, tuttavia, sono stato costretto ad invertirne l'ordine temporale per rendere la mia trattazione più chiara e intelligibile.

3 In forma estremamente semplificata il teorema di Gödel può essere così schematizzato: consideriamo la proposizione metaaritmetica G: "io non sono dimostrabile". Tale proposizione si può tradurre formalmente a livello matematico utilizzando una procedura, dovuta originariamente a Leibniz, in grado di istituire una stretta corrispondenza tra formule del calcolo e proposizioni teoriche su di esso. A questo punto è possibile provare che la proposizione G (che ricordo afferma di non essere dimostrabile) non può essere falsa perché altrimenti sarebbe dimostrabile; e dal momento che il sistema non dimostra falsità, ciò condurrebbe ad una contraddizione. La proposizione G, quindi, deve essere vera e pertanto non dimostrabile. Come corollario a tale teorema, poi, è possibile provare che nel sistema contenente G, la proposizione A: "l'aritmetica è coerente" è un esempio di proposizione vera e indimostrabile. Che A sia vera segue banalmente dalle ipotesi, poiché il sistema T per ipotesi è appunto coerente (ovvero non dimostra falsità). Che sia indimostrabile, invece, segue da un ragionamento più complicato, in cui viene sfruttato il risultato precedente. In esso, infatti, si è provato (informalmente ma rigorosamente) la correttezza dell'implicazione: Coer(T) É G (se T è coerente, allora G è vera). E siccome T dimostra Coer(T) É G, se dimostrasse Coer(T) dimostrerebbe anche G (per la nota proprietà dell'implicazione). Ma ciò, ovviamente, è impossibile perché G, per il teorema di incompletezza, risulta indimostrabile. Ne consegue, quindi, che neanche Coer(T) può essere dimostrata.

4 Quando Tarski fu invitato ad esporre la sua teoria semantica della verità all'International Congress of Scientific Philosophy, Rudolf Carnap osservò che "[egli] era molto scettico sulla riuscita della conferenza: pensava che la maggior parte dei filosofi, anche quelli che lavoravano sulla logica moderna, sarebbero stati non solo indifferenti, ma ostili all'esplicazione del concetto di verità". Ed in effetti "al congresso divenne chiaro dalle reazioni alle comunicazioni presentate da Tarski […] che le sue previsioni scettiche erano giuste.[…] Ci fu una violenta opposizione anche dalla parte dei filosofi [più favorevoli]". Solo Gödel accolse positivamente le sue tesi, anche perché era giunto alle stesse conclusioni attraverso un percorso analogo. Come osservò egli stesso "l'occasione di confrontare verità e dimostrabilità emerse da un tentativo di dare una dimostrazione di coerenza relativa tramite un modello dell'analisi nell'aritmetica. Questo porta quasi necessariamente a tale confronto. Perché un modello aritmetico dell'analisi non è nient'altro che una relazione Î di appartenenza sui naturali che soddisfa l'assioma di comprensione:
 
 





( $ n) ( x) [ x Î n º f ( x) ].


 


















Ora se in questa si sostituisce "f ( x) " con "f ( x) è dimostrabile", si può facilmente definire la relazione Î . Quindi, se la verità fosse equivalente alla dimostrabilità, avremmo raggiunto il nostro obiettivo. Tuttavia (e questo è il punto decisivo) da una corretta soluzione dei paradossi semantici segue che la verità per le proposizioni di un linguaggio, non può essere espressa nello stesso linguaggio, mentre la dimostrabilità (essendo una relazione aritmetica) può essere espressa. Quindi vero ¹ dimostrabile." (La precedente citazione di Carnap è stata tratta dalla sua Autobiografia intellettuale, mentre quella di Gödel dal terzo volume dei suoi Collected works)

5 H. Wang: Dalla matematica alla filosofia, Bollati Boringhieri, 2002, pag. 18. Per ulteriori dettagli riguardo all'articolo di Skolem si veda A survey of Skolem's Work in Logic, in T. Skolem, Selected Works in Logic, a cura di J.E. Fenstad 1970, pagg. 22-26.

6 Ibidem, pagg. 18-20.

7 Ibidem, pag. 19.

8 Ibidem pag. 20.

9 K. Gödel: Collected works, vol. III, Oxford University Press, 1995.

10 Quest'ultima affermazione di B. Russell contrasta apertamente con la concezione platonista della matematica che lo stesso Russell aveva adottato nella fase iniziale della sua carriera, quando pensava ancora che "la logica [avesse] a che fare con il mondo reale quanto la zoologia, sebbene in termini più astratti e generali". (B. Russell: Introduzione alla filosofia matematica, Newton, 1970).

11 K. Gödel: Opere complete vol. II, Bollati Boringhieri, 2002 pagg. 124-146.

12 Come è noto l'ipotesi del continuo di Cantor asserisce che non vi è alcun livello di infinito tra l'infinito numerabile dei numeri naturali e l'infinito non numerabile dei numeri reali.

13 K. Gödel: Opere complete vol. II, Bollati Boringhieri, 2002, pagg. 180-193.

14 Citazione tratta dalla rivista I grandi della scienza: Kurt Gödel, febbraio 2001, pagg. 78-79.

15 K. Gödel: Collected works vol. III, Oxford University Press, 1995, pagg. 375-388.

16 Ibidem.

17 Ibidem.

18 Ibidem.

19 Ibidem.

20 Ibidem.

21 Quest'ultima citazione è tratta dal libro-intervista di H. Wang: A Logical Journey: From Gödel to Philosophy, The MIT Press, 1996.

22 K. Gödel: Collected Works vol III, Oxford University Press, 1985, pag 383.

23 K. Gödel: Collected Works vol III, Oxford University Press, 1985, pag. 384.

24 J.W. Dawson jr.: Logical dilemmas. The life and work of Kurt Gödel, A.K. Peters, 1996.

25 C. Cellucci: Filosofia e matematica, Laterza, 2003, pag. 85.

26 S.L. Jaki: Dio e i cosmologi, Editrice Vaticana, 1992, pag. 108.

27 Secondo il suo punto di vista un'evidente dimostrazione di questo fatto era rappresentata dalla teoria della relatività di Einstein. Ad essa Gödel aveva lavorato alla fine degli anni quaranta, sviluppando un'analisi matematica dai cui risultati derivava l'esistenza di un modello cosmologico rotante. Il saggio in cui Gödel aveva elaborato tale modello faceva parte di un volume pubblicato nel 1949 per celebrare il settantesimo compleanno di Einstein. Inizialmente il suo titolo doveva essere La teoria della relatività e Kant, ma in seguito Gödel decise di sostituirlo con il più preciso: Un'osservazione sul rapporto tra la teoria della relatività e la filosofia idealista. In esso Gödel dopo aver sottolineato le analogie esistenti tra la concezione kantiana del tempo e quella einsteiniana, aveva scoperto "un esempio di un nuovo tipo di soluzioni cosmologiche delle equazioni del campo gravitazionale di Einstein". La cosa sconvolgente era che tali soluzioni davano origine ad un modello cosmologico rotante in cui "non poteva essere definita la simultaneità" per la presenza di linee temporali chiuse. Ciò comportava come conseguenza che "facendo un viaggio circolare su una nave spaziale con una curvatura sufficientemente ampia, era possibile viaggiare in qualsiasi regione del passato, del presente e del futuro." Tuttavia, avvertiva Gödel, […] "questa eventualità non si sarebbe mai verificata concretamente perché la sua realizzazione pratica richiedeva "velocità vicinissime a quelle della luce".

28 Tale citazione è tratta dal libro di J.D. Barrow: Impossibilità, Rizzoli, 2003, pag 310.

29 G.J. Chaitin: Information, randomness and incompleteness, World Scientific, Singapore, 1987 (Per un'analisi più dettagliata consultare anche: G.J.Chaitin, Information-Theoretic limitations of formal system, J. ACM, 1974, pagg. 403-424).

30 In realtà, in questi ultimi anni, il riduzionismo di Hawking si è fortemente attenuato, al punto che nel suo recente L'universo in un guscio di noce egli afferma: " nel 1988[…] sembrava imminente una Teoria del Tutto. E' cambiata, oggi, la situazione? Siamo più vicini all'obiettivo? [In effetti] da allora abbiamo compiuto notevoli progressi, ma il viaggio è tuttora in corso e non si scorge ancora la meta. Come si suol dire, però, in fondo è meglio viaggiare pieni di speranza che arrivare […] se arrivassimo al termine della strada il nostro spirito si inaridirebbe e spegnerebbe. Ma non credo che ci fermeremo mai; il nostro sapere aumenterà in complessità, se non in profondità, e saremo costantemente al centro di un orizzonte sempre più vasto di possibilità." (S. Hawking: L'universo in un guscio di noce, Mondadori, 2002, pag. 5). Per la precedente posizione riduzionistica di Hawking consultare invece S. Hawking: Dal big bang ai buchi neri, Rizzoli, 1988, pagg. 178-193, e anche S. Hawking: Inizio del tempo e fine della fisica, Mondadori, 1992, pagg. 1-37.

31 K.R. Popper: Congetture e confutazioni, Mulino, 1972, pag. 388.

32 I. Calvino: Una pietra sopra, Mondadori, 1995, pag. 116.

33 J.D. Barrow: Impossibilità, Rizzoli, 2003, pag. 13.
 


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Luca Umena si è laureato in Matematica e in Filosofia all'Università degli studi di Perugia. Dal Novembre 1996 al Giugno 1997 ha frequentato presso la SISSA di Trieste il primo corso di Giornalismo Scientifico organizzato in Italia. Attualmente, oltre ad insegnare Matematica e Fisica al Liceo Scientifico "E. Majorana" di Orvieto, ricopre l'incarico di Assistente (Tutor) per i corsi di Fisica Generale I e Fisica Generale II presso la Facoltà di Ingegneria dell'Università di Perugia. Oltre a queste attività, dallo scorso anno sta seguendo un dottorato di ricerca in Filosofia della Scienza presso l'Università Lateranense di Roma. Su questa rivista ha pubblicato in precedenza un articolo dal titolo "Voltaire e la fisica newtoniana".

lucaumena@interfree.it

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(A famous picture of Kurt Gödel and Albert Einstein in Princeton)


 


Kurt Gödel, born 28 April 1906 in Brünn, Austria-Hungary (now Brno, Czech Republic), died 14 Jan 1978 in Princeton, New Jersey, USA. Gödel entered the University of Vienna in 1923 still without having made a definite decision whether he wanted to specialise in mathematics or theoretical physics. He completed his doctoral dissertation under Hahn's supervision in 1929. He became a member of the faculty of the University of Vienna in 1930, where he belonged to the school of logical positivism until 1938. Gödel is best known for his proof of "Gödel's Incompleteness Theorems". In 1931 he published these results in Über formal unentscheidbare Sätze der Principia Mathematica und verwandter Systeme. Submitting his paper on incompleteness to the University of Vienna for his habilitation, this was accepted by Hahn on 1 December 1932. Gödel became a Privatdozent at the University of Vienna in March 1933. Now 1933 was the year that Hitler came to power. At first this had no effect on Gödel's life in Vienna; he had little interest in politics. In 1934 Gödel gave a series of lectures at Princeton entitled On undecidable propositions of formal mathematical systems. However, Gödel suffered a nervous breakdown as he arrived back in Europe. He was treated by a psychiatrist and spent several months in a sanatorium recovering from depression. He visited Göttingen in the summer of 1938, lecturing there on his set theory research. In March 1938 Austria had became part of Germany, and most who held the title of privatdozent in Austria became paid lecturers, but Gödel did not and his application made on 25 September 1939 was given an unenthusiastic response. It seems that he was thought to be Jewish, but in fact this was entirely wrong, although he did have many Jewish friends. Others also mistook him for a Jew, and he was once attacked by a gang of youths, believing him to be a Jew, while out walking with his wife in Vienna. When the war started Gödel feared that he might be conscripted into the German army. After lengthy negotiation to obtain a U.S. visa he was fortunate to be able to return to the United States, although he had to travel via Russia and Japan to do so. In 1940 Gödel arrived in the United States, becoming a U.S. citizen in 1948. He was an ordinary member of the Institute for Advanced Study from 1940 to 1946, then he was a permanent member until 1953. He held a chair at Princeton from 1953 until his death, holding a contract which explicitly stated that he had no lecturing duties. One of Gödel's closest friends at Princeton was Einstein. He received the Einstein Award in 1951, and National Medal of Science in 1974. He was a member of the National Academy of Sciences of the United States, a fellow of the Royal Society, a member of the Institute of France, a fellow of the Royal Academy and an Honorary Member of the London Mathematical Society. However, it says much about his feelings towards Austria that he refused membership of the Academy of Sciences in Vienna, and the highest National Medal for scientific and artistic achievement that Austria offered him. Towards the end of his life Gödel became convinced that he was being poisoned and, refusing to eat to avoid being poisoned, essentially starved himself to death.

(Excerpts from an article by J.J. O'Connor and E.F. Robertson:
http://www-gap.dcs.st-and.ac.uk/~history/Mathematicians/Godel.html)