Un'antica sinagoga nel cuore paleocristiano di Cimitile?

(Sabato Scala)


 



La Basilica dei Martiri nel complesso Paleocristiano di Cimitile

Il complesso di Basiliche paleocristiane di Cimitile in provincia di Napoli, purtroppo ancora poco noto nel panorama dei tesori archeologici d'Italia, è stato definito dal Lehmann [1], archeologo tedesco che ha attivamente operato e studiato il sito, una vera e propria Pompei della cristianità.

Il complesso sorto intorno ad una antica necropoli ed al culto per la locale tomba di un Santo di cui si sa davvero poco, San Felice, ha subito notevoli ampliamenti, adattamenti, rifacimenti e ristrutturazioni a partire dal II secolo fino alle soglie del XVII secolo.

Il momento di maggiore sviluppo di questo antichissimo santuario è comunque connesso alla instancabile attività, sia edilizia che di promozione, voluta da Ponzio Anicio Paolino, importante esponente della aristocrazia romana nato a Bordeaux, che, dopo la conversione al cristianesimo, venduti i cospicui beni di cui disponeva, si trasferì qui con la moglie Terasia fondando un prestigioso monastero misto.

Il motivo del suo trasferimento, come ricorderà Paolino nel suo vasto epistolario e nei numerosi carmi che ci ha lasciato, fu proprio la devozione particolare che maturò per San Felice nata nel periodo della sua nomina quale governatore della Campania, ed alimentata dall'enorme afflusso di pellegrini e dalla particolarissima passione religiosa per il Santo che animò i campani.

Fu grazie ai numerosi ed importanti contatti che Paolino intrattenne con i maggiori esponenti del clero del tempo a mezzo di un continuo invio di messi e di epistole che il complesso basilicale di Cimitile aumentò la sua fama divenendo tra i più notevoli centri del cristianesimo di allora dopo Roma e Gerusalemme.

Una vera e propria cittadella nacque e crebbe intorno al santuario e la fama del luogo continuò quasi ininterrotta per oltre mille anni dopo la morte di Paolino alimentata, stavolta, non solo dal culto per San Felice ma anche da quello per questo straordinario personaggio che oggi possiamo continuare a conoscere e studiare grazie alla sua cospicua produzione letteraria ed epistolare.

Il visitatore che decidesse di uscire fuori dai tradizionali corridoi turistici dell'Italia meridionale recandosi a Cimitile, rimarrà sconcertato dalla varietà, sovrapposizione e mutevolezza di forme espressive artistiche ed architettoniche che si presentano nei circa 9000 m2 del complesso. Lo sconcerto ed il disorientamento è il medesimo che prova anche lo studioso che per la prima volta affronta lo studio di questo sito sul quale c'è ancora moltissimo lavoro da compiere.

Indizi iconografici gnostici in alcune pitture della Basilica dei Martiri

Il mio interesse per il santuario è nato osservando una straordinaria ed unica raffigurazione della Maddalena, una Maddalena Incoronata presente nella più antica e piccola delle basiliche del complesso, la Basilica dei Martiri.

Alla Maddalena ho dedicato un'approfondita analisi nel contesto di uno studio sul culto gnostico per la Santa [2]. Sinteticamente, sebbene non sia riuscito a raccogliere elementi che ricollegassero con certezza il dipinto ad una presenza gnostica presso le Basiliche, ho evidenziato una serie notevole di affinità tra la visione gnostica della funzione della Maddalena e la descrizione che della Santa viene proposta nelle lettere del vescovo Paolino. Queste affinità, comunque, sono da riconnettersi essenzialmente alla origine francese del Santo, ed all'enorme sviluppo che il culto per la Santa ebbe in Provenza, regione vicina al luogo di nascita di Paolino.

Una cosa è tuttavia evidente, nella bruna Maddalena Incoronata delle Basiliche di Cimitile si incarnano e si sovrappongono in maniera mirabile gli elementi iconografici delle due figure che Paolino indica come principali metafore della Chiesa, la Regina di Saba e, appunto, la Maddalena. Singolare è il fatto che proprio tali figure avessero assunto un ruolo centrale in ambito gnostico. Il mito di Sophia, espressione in ambito gnostico della morte e rinascita, e sintesi stessa del percorso gnostico per la riscoperta in sé della scintilla divina, era spesso simbolicamente rappresentato dalle figure della Regina di Saba e soprattutto dalla Maddalena.

Nel mio studio ho evidenziato vari elementi iconografici ma anche contestuali e documentali che mi spingono a ritenere il dipinto molto precedente alla datazione in genere proposta: l'XI secolo [2]. Non riprendo qui tali argomentazioni, che esulano dall'ambito della presente trattazione, e che mi hanno spinto a suggerire il V-VII secolo come possibile datazione.

Tra i vari elementi che mi hanno portato a predatare la Maddalena, quello che maggiormente interessa ai fini dell'analisi che intendo attualmente proporre, è legato alla collocazione del dipinto: esso si trova all'interno di una zona incavata nel più antico muro del complesso e, almeno in apparenza, non si evidenziano nelle parti mancanti dell'intonaco, fenomeni di stratificazione e sovrapposizione pittorica che, invece, ritroviamo in molti dei dipinti delle rimanenti basiliche.

Tralasciamo l'anomalo dipinto della seconda Maddalena a figura intera che campeggia a destra della Maddalena Incoronata, anche qui caso unico di replica di una stessa figura in uno spazio peraltro angusto e passiamo ad un altro caso iconografico straordinario e parimenti unico: l'affresco di Adamo ed Eva.

Tale affresco viene datato al III sec. d.C. [3], e costituisce pertanto uno dei reperti più antichi della storia cristiana, ma la sua straordinarietà non è solo nella datazione. In esso, infatti, Adamo ed Eva appaiono senza il tradizionale albero e senza il serpente. L'albero è da sempre iconograficamente legato al peccato originale come il serpente, sicché l'assenza di tali elementi, sottolineata dal notevole spazio che separa i due personaggi, deve essere interpretata come una chiara indicazione simbolica che l'artista ha voluto esprimere. Nel dipinto, come nell'evento narrato pittoricamente, per l'autore non c'è peccato.

In ambito gnostico l'assenza del peccato è un argomento centrale ed ineludibile, per comprendere ciò operiamo nuovamente una breve digressione.

Il cuore della Gnosi è una speranza di libertà e di liberazione basata su una singola idea: nell'uomo è nascosta una scintilla divina. La Gnosi è il processo di "ricordo" e di "ricostruzione" che porta l'uomo a riscoprire questa scintilla superando le nebbie dietro cui essa si nasconde.

Il Demiurgo, il Dio creatore del mondo materiale che si crede onnipotente e vero Dio, ha generato alcuni esseri malvagi: gli Arconti. Questi esseri sono quelli che combattono contro l'uomo e cercano di ingannarlo per nascondergli la sua origine divina che lo rende superiore al Demiurgo stesso e figlio del Padre del mondo spirituale: il vero Dio.

Per la Gnosi, quindi, non c'è peccato, poiché se peccato vi fu, la sua responsabilità è da addossare interamente al Demiurgo.

In pratica, il presunto peccato di Adamo ed Eva diviene in ambito gnostico il momento del riscatto e l'inizio della salvezza. E' nella disobbedienza al Demiurgo che l'uomo dichiara la sua indipendenza ed apre la battaglia per la riconquista della sua scintilla divina.

E' chiaro, quindi, perché Sant'Agostino, che in origine era uno gnostico, temette e combatté con veemenza l'eresia pelagiana, in apparenza così innocua. Tale eresia, infatti, metteva in discussione proprio il battesimo e, portata alle estreme conseguenze, si configurava chiaramente come gnostica.

Ecco perché, temendo una possibile deviazione dello stesso amico San Paolino, ed essendo fortemente preoccupato che la rinuncia al mondo ed alla ricchezza da parte di Paolino potesse nascondere molto più che un'eroica scelta di vita esemplare, Agostino lo ammonì consigliandogli di sospendere il rapporto di amicizia con Pelagio.

Spieghiamo così il messaggio forte che potrebbe, il condizionale è d'obbligo, celarsi dietro l'assenza dell'albero e del serpente nell'affresco di Adamo ed Eva.

Abbiamo, insomma, riscontrato una seconda antica anomalia nella piccola basilica dei Martiri. E, anche qui, è interessante notare che l'immagine è collocata su una delle pareti più antiche della più antica basilica del complesso paleocristiano cimitilese.

Reperti e documenti a testimonianza di una presenza ebraica a Cimitile

Veniamo adesso ad una nuova anomala scoperta, avvenuta nel 1988 e analizzata nel 1990 in un articolo dell'archeologo tedesco Dieter Korol apparso sulla rivista Boreas [4]: si tratta del ritrovamento di una antica lampada ebraica ad olio in terracotta su cui è raffigurata una Menorah (il candelabro ebraico a 7 bracci - vedi Figura 1).

Il reperto, di origine sicuramente ebraica, è correlato dal Korol ad una serie di lanterne simili ritrovate principalmente nel mediterraneo occidentale e di origine africana, o comunque costruite ad imitazione di queste.

Sempre il Korol ricorda come il ritrovamento fosse stato preceduto da quello di un'altra lucerna decorata con una conchiglia in una zona non distante da quella dell'altro ritrovamento. La fabbricazione di questa lucerna sembrerebbe, invece, collocarsi in territorio tunisino.

La datazione proposta dal Korol per la seconda delle due lucerne varia tra la seconda metà del IV secolo e la prima metà del VI secolo.

Relativamente, poi, al ritrovamento di oggetti simili tra le numerose tipologie di lucerne analizzate, il Korol propone due soli esempi che alla presenza della Menorah nel disco centrale aggiungono una serie di incisioni sulla spalla: una lucerna ritrovata ad Augusta e l'altra a Cartagine.

Esiste, però una lucerna estremamente simile per forma e per analogo disegno della Menorah, sebbene priva della serie di incisioni sulla spalla, che ci ha colpito per il particolare contesto del ritrovamento: la lucerna di Aquileia (Figura 2).
 
Figura 1: Lampada ad olio ebraica con Menorah rinvenuta negli scavi archeologici effettuati
presso le Basiliche di Cimitile
Figura 2: Lampada ad olio ebraica con Menorah rinvenuta presso le rovine di Aquileia

La lucerna viene proposta nell'ambito di uno studio di Samuel Kurninsky sul mosaico pavimentale contenuto nel Museo paleocristiano di Aquileia [5].

Lo studio del Kurisky è teso a dimostrare come il mosaico pavimentale sia appartenuto ad una antica sinagoga ebraica, e come l'intera regione sia stata, intorno al IV secolo, oggetto di una forte immigrazione ebraica.

Il Kurisky, estendendo l'analisi applicata al mosaico del Museo paleocristiano, ritiene di poter identificare anche nel mosaico pavimentale della cattedrale di Aquileia elementi di origine ebraica che lo farebbero associare ad una antica sinagoga.

E' singolare osservare come Renato Jacumin, nella appendice alla Pistis Sophia a cura di Luigi Moraldi, consigli, invece, una lettura gnostica della medesima opera musiva, utilizzando gli strumenti simbolici di questo antico testo [6].

Tornando, invece, al lavoro del Korol, desideriamo segnalare un'altra lampada degna di nota, ritrovata ad Atripalda presso Avellino (Figura 4), databile al quarto secolo ed ora conservata presso il Museo di Gerusalemme [15].
 

Figura 3: funzionamento di una antica lampada ad olio di tipo Nordafricano

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Figura 4: Museo di Gerusalemme, lampada ebraica proveniente da Atripalda (AV)

L'importanza di tale lampada risiede, prima di tutto, nella rarità dello stampo. Come fa notare il Korol segnalando uno studio del Pavolini [16], lampade simili sono presenti solo in Italia ed in Tunisia, ma non si fa menzione della lampada qui illustrata.

Il secondo elemento di rilievo, a nostro avviso, è la relativa vicinanza geografica del ritrovamento di tale lampada ebraica, avvenuta nel territorio campano a non molti chilometri da Cimitile.

La somiglianza tra la fisionomia delle due lampade è notevole e, stante la rarità della raffigurazione, potrebbe testimoniare la presenza di artigiani locali che hanno elaborato senza distaccarsene di molto questa particolare scelta stilistica, adoperando stampi similari per la colatura (in Figura 5 ne illustriamo uno tipico).
 
 



Figura 5: antico stampo adoperato per la realizzazione delle lampade ad olio


 










Torniamo, però, alle analisi del Korol. Una volta identificata la chiara provenienza ebraica del reperto, il Korol nel suo studio cerca di verificare se il ritrovamento risulti isolato in zona, e quindi possa associarsi ad un riuso casuale di un oggetto di provenienza ebraica, oppure se vi fossero testimonianze precedenti di simili ritrovamenti nel Nolano.

In tal senso vengono citati due ritrovamenti documentati nel 1747 dallo storico Gianstefano Remondini:

1) Un medaglione ebreo "in cui dall'una parte si leggono tutti i nomi che diede quel Popolo all'Altissimo Iddio e son nel rovescio tutti i nomi degli Angioli".

2) Un candelabro di bronzo ad 8 lumi recante una iscrizione tratta dai Proverbi (cap. 6, 23): "poiché il comando è una lampada e l'insegnamento una luce" (caso raro ma non unico di Menorah ad 8 bracci; molto più rara, invece, è la presenza della iscrizione).

Attraverso il parallelo con un ritrovamento simile avvenuto in Israele a Beth-Shean, e richiamando la datazione proposta da Jean-Baptiste Frey, nel lavoro del Korol viene suggerito il V sec. d.C. quale possibile datazione del candelabro oggi scomparso. Ovviamente tale conclusione, in assenza del reperto originale, rimane opinabile.

Ma probabilmente, possiamo spingerci un po' oltre le osservazioni del Korol per le nostre riflessioni. Il candelabro a 6-8 bracci è tipico di un particolare uso liturgico all'interno delle sinagoghe. La sua funzione è brillare accanto al Tamid, la lampada eterna, nell'Arca, ovvero all'interno della zona solitamente absidale delle sinagoghe, destinata a contenere i rotoli della Torah. L'uso di un candelabro ad 8 bracci testimonia una precisa scelta di ortodossia, comune anche alle moderne sinagoghe: la volontà di non replicare ma solo richiamare la Menorah a 7 bracci che faceva parte dell'arredo sacro del Tempio distrutto dalle legioni di Tito [18].

Ciò non impedisce, peraltro, come nel caso di Bova Marina che esamineremo più avanti, che il candelabro a 7 braccia, o Menorah, non solo venga rappresentato nei mosaici pavimentali e nelle decorazioni della sinagoga, ma sia pure fisicamente presente accanto alla Torah.

Tale Menorah va distinta, in ogni caso, da quella a 9 bracci che, invece, poteva essere forse già al tempo destinata anche ad un uso familiare oltre che liturgico. L'oggetto in questione, infatti, è connesso alla cosiddetta Chanukah o festa delle luci, richiamata per la prima volta da Giuseppe Flavio nelle Antichità Giudaiche, e legata alla sconfitta delle truppe siriache nel 165 a.c. da parte dei rivoltosi guidati da Giuda il Maccabeo, ma soprattutto alla liberazione del Tempio dai riti impuri imposti dall'invasore.

Successivamente, e se ne trova la prima testimonianza nel talmud Babilonese intorno al 500, tale festa viene connessa ad un evento miracoloso: la straordinaria durata, nel corso della rivolta, di una esigua razione d'olio che era destinata alla Menorah del Tempio, sufficiente a coprire una sola giornata, ma che durò, invece, 8 giorni. [19]

Come per la Menorah, l'accensione da destra a sinistra di una singola luce al giorno scandisce il succedersi degli 8 giorni della festa. Il rito è seguito dalla intera comunità con un candelabro a 9 bracci con la luce centrale sempre accesa, di solito posto visibilmente su una finestra.

Tenuto conto, quindi, della Menorah del Remondini e della lampada del Korol, la datazione di entrambe è indizio forte di una presenza ebraica nel nolano che oscilla tra il IV sec d.C. ed il V d.C., e con essa anche di una indispensabile sinagoga.

Ma torniamo all'approfondimento del Korol. L'archeologo prosegue l'analisi cercando ulteriori indizi di un possibile insediamento ebraico nella zona, e in tal senso segnala un altro ritrovamento, che sembrerebbe confermare in pieno tale ipotesi.

A pochi Km da Nola, in Brusciano, fu rinvenuta nel 1979 una iscrizione funeraria risalente al IV secolo, pubblicata da Elena Miranda, in cui il defunto viene citato con il titolo di Rabbi.

Il lavoro del Korol termina analizzando due elementi documentali di estremo rilievo:

1) La 19ma lettera di Paolino in cui si parla di un ebreo convertito di nome Piroforo unitosi alla sua comunità monastica.

2) Una lettera del sacerdote Uranio in cui si fa menzione della presenza di ebrei al funerale di Paolino nel 431,

A questo punto ci pare ragionevole, come del resto fa il Korol, ammettere una significativa presenza ebraica nel nolano nei secoli IV e V, con ciò significando che tale presenza doveva essere anche relativamente folta, se si ricollegano la Menorah di Nola e l'epigrafe di Cimitile alla esistenza di due distinte sinagoghe a distanza, tutto sommato, limitata.

Orientazione absidale della basilica dei Martiri

Delineato il precedente scenario, in cui la presenza ebraica nel nolano nel periodo IV-V sec. d.C. sembrerebbe ormai accertata, possiamo introdurre il passo successivo: una constatazione singolare avvenuta agli inizi di febbraio e da me segnalata al I Forum della cultura nolana tenutosi a Cicciano il 13/02/2004.

Analizzando la anomala orientazione della Basilica dei Martiri e delle tombe che la circondano, ma anche di altri edifici come l'abside della basilica Vetus e, con qualche lieve variazione, anche dell'abside della Basilica di San Calionio, ho potuto constatare un fatto davvero singolare. L'orientazione dell'asse che collega i centri delle diagonali della sala di accesso alla basilica e di quella della Cappella di San Giacomo con il centro dell'abside di quest'ultima cappella è di -27 gradi est, e quindi punta decisamente, con uno scarto di un sol grado, su Gerusalemme. A nostra conoscenza questa particolare orientazione, che ritroviamo anche nelle numerose tombe del sito basilicale, è correlabile, nel periodo in esame, solo ad una tipologia di edifici: le Sinagoghe.

A conferma della Ns ipotesi viene la epistola 32 di Paolino che al paragrafo 13 recita "La facciata (della basilica Nova) non è rivolta verso oriente com'è usanza più comune, ma guarda verso la Basilica di San Felice". In pratica Paolino ci dice che, in quel periodo, le facciate e non le absidi, come avverrà per le chiese del tardo medioevo, erano orientate verso est.

In ogni caso la nostra abside ha una orientazione anomala verso Gerusalemme che le conferisce una vistosa deviazione da est verso sud; ciò esclude anche la possibilità di una orientazione absidale ad est, divenuta, comunque, norma architettonica per la orientazione delle chiese solo nel tardo medioevo.
 
 



Figura 6: orientazione absidale della Basilica dei Martiri verso Gerusalemme


 










Affinità architettoniche ed evolutive tra la Basilica dei Martiri e la sinagoga di Bova Marina

Ma la conferma più interessante alla nostra ipotesi ci viene dal un recente ritrovamento della sinagoga di Bova Marina in Calabria [7]. Numerose sono, infatti, le similitudini architettoniche e contestuali che confermano indirettamente l'ipotesi formulata circa la possibilità di identificare nella basilica dei Martiri ciò che in origine dovette essere verosimilmente una sinagoga. Il primo elemento interessante da notare è inerente all'evoluzione del complesso che, almeno in pianta, presenta notevoli analogie con il caso cimitilese. Nella Figura 7, infatti, si nota come, da quella che in origine fu probabilmente una abitazione civile ebraica, si fosse isolata una particolare ala (in altro a destra in figura) che fu adibita a sinagoga. Successivamente, abbattendo gran parte delle camere a sud ovest, venne privilegiato l'asse nord-ovest/sud-est e quindi l'orientamento dell'edificio verso Gerusalemme, realizzando una ulteriore camera a nord-ovest all'interno della quale è stato rinvenuto un dolium ed un tesoretto monetale. Fondamentale è l'aggiunta di una abside nel muro a sud-est rialzata rispetto al livello dell'aula a mezzo di un gradone e circondata da una balaustra. La funzione di questa abside è tipica nelle sinagoghe: in essa venivano custoditi i rotoli della Torah.
 
Figura 7: Evoluzione architettonica della sinagoga di Bova Marina - fase I, IV sec.
Figura 8: Evoluzione architettonica della sinagoga di Bova Marina - fase II, VI sec.

All'edificio principale fu aggiunto, successivamente, un edificio a sud che l'archeologo Augusto Cosentino identifica come possibile albergo destinato ai pellegrini. Al di sotto dell'albergo sono state ritrovate alcune sepolture.

Infine è interessante notare come nell'ala est dell'edificio il mosaico che ornava il pavimento, e che con i suoi chiari riferimenti ebraici (il nodo di Salomone, la Menorah, ecc.) ha consentito l'identificazione della funzione dell'edificio, sia stato rotto per interrare un dolio nel quale sono state ritrovate lampade ad olio di tipo palestinese, e 7 sostegni per stoppino probabilmente appartenuti ad una Menorah.

Il Cosentino non esita, anche per il luogo in cui è avvenuto il ritrovamento, e la presenza dei resti di una Menorah, a collegare le lampade palestinesi con la Menorah, ad una funzione rituale: questi elementi, secondo il Cosentino, probabilmente adornavano la zona absidale.

A questo punto avremmo trovato anche una possibile funzione delle due lampade ritrovate a Cimitile. Ma ciò che interessa di più è il confronto tra la pianta della Basilica dei Martiri e quella della fase evolutiva conclusiva della sinagoga di Bova Marina.
 
Figura 9: Comparazione tra la struttura della Basilica dei Martiri di Cimitile
e della sinagoga di Bova Marina

La similitudine, come illustrano le immagini, è davvero notevole, peccato che non si disponga di elementi del pavimento della cappella di San Giacomo nella Basilica dei Martiri per verificare la eventuale presenza di un mosaico analogo a quello di Bova Marina. Ciò che però possiamo ancora confrontare è il tipo di pavimentazione della camera di ingresso delle strutture in questione: in tutti e due i casi il pavimento è stato realizzato in laterizi. Altro elemento interessante è la posizione dell'ingresso nei due edifici. In entrambi l'accesso avveniva con una porta nel lato sud-ovest. Ciò che infatti si vede nella pianta della Basilica dei Martiri è l'attuale ingresso, mentre quello originario era aperto nella parete opposta; di tale accesso parla approfonditamente il Korol [20], descrivendo come fosse estremamente curato ed adorno.

L'antico ingresso descritto dal Korol era fiancheggiato da due muri lunghi 1,49 metri ed alti 1,74, terminanti con due semicolonne. I muri risultavano affrescati in colore chiaro e riquadri multicolore; l'ingresso era pavimentato in marmo bianco, come testimoniano alcuni suoi resti.

Per completare il raffronto con sinagoghe italiche coeve, non possiamo, comunque, esimerci dal verificare possibili analogie anche con la sinagoga di Ostia che, insieme a quella di Bova Marina, costituiscono gli unici due casi archeologicamente certi di antichissime sinagoghe in Italia. Nella figura seguente è illustrato, in assonometria, l'impianto architettonico di questa sinagoga:
 
 



Figura 10: Sinagoga di Ostia - I sec. d.C.


 










Sebbene la struttura appaia profondamente diversa dai casi ora presentati, è comunque possibile effettuare alcune utili riflessioni comparative, prima tra tutte quella inerente l'orientazione di questa struttura, che appare identica a quella della ipotetica sinagoga della Basilica dei Martiri a Cimitile (circa - 30 gradi est).

Il secondo elemento interessante è dovuto alla datazione di questa struttura: il I sec. d.C., ed alla sua evoluzione architettonica. E' significativo notare come la sinagoga di Ostia sembri convalidare le ipotesi da noi in precedenza formulate, circa l'uso civile delle sinagoghe. Questa struttura fu, infatti, dotata di cucina, un'ampia sala da pranzo, una sala di studio, in buona sostanza, indipendentemente dall'uso precedente, questo edificio era un luogo di soggiorno ed insieme di preghiera.

La cosa, che, però, ci attrae maggiormente è l'inversione dell'orientazione che si osserva nella sala del Sancta Sanctorum. Inizialmente, infatti, si era mantenuto l'ingresso orientato verso Gerusalemme; successivamente, nel IV secolo, fu ricavata la piccola abside sul lato sinistro dell'ingresso alla sala principale, evitando la revisione architettonica drastica dell'edificio. E' la datazione della piccola abside che individua, ancora una volta, il IV secolo come periodo distintivo del cambio di architettura delle sinagoghe e della scelta della edificazione di piccole absidi con orientazione verso Gerusalemme destinate a contenere i rotoli della Torah.

L'evoluzione architettonica proposta dal Korol e dal Lehmann e l'ipotesi Belting della doppia abside

A questo punto analizziamo il piano evolutivo proposto dal Korol e dal Lehmann [1] per la Basilica dei Martiri confrontandolo con quanto avvenuto per la sinagoga di Bova Marina. Secondo il Lehmann, fino al II/III secolo la sala centrale che contiene i dipinti della Maddalena e di Adamo ed Eva era l'unica esistente con una funzione di mausoleo funerario. Successivamente furono aggiunte nuove camere sulle pareti nord-ovest e sud-est. La situazione rimane, secondo tale studioso, immutata fino al VII secolo, periodo durante il quale viene abolita la camera a sud-est, e quella centrale viene dotata di una abside, la cui presenza fu ipotizzata per la prima volta dal Belting [8]. Infine nel X sec. viene ricostruita e viene dotata di un'abside la stanza a sud-est dedicata a San Giacomo. Essa viene collegata a quella antica e centrale sfondando l'abside ipotizzata dal Belting.

E' evidente che, accettando questa proposta evolutiva, l'ipotesi da noi formulata sarebbe da escludere, visto che l'abside del Sancta Sanctorum coincidente con la Cappella dedicata a San Giacomo sarebbe stata realizzata durante un periodo in cui l'edificio era ormai da 5 secoli adibito ad uso cristiano. In verità alcuni dubbi sul quadro evolutivo delineato restano.

Il primo concerne l'abside proposta dal Belting, e ripresa dall'evoluzione congetturata dal Lehmann. Se si osserva la pianta in Figura 9 è facile notare che, se è ben evidente la preesistenza di una struttura muraria successivamente abolita in cui sono interrate alcune tombe, appare difficile ipotizzare la presenza di un'abside nella camera centrale, considerato il fatto che per realizzare la base muraria di questa si sarebbero dovute abolire almeno due delle tombe che sono sopravvissute fino a oggi, e considerato che di tale base muraria concava esterna al muro non v'è alcuna traccia. E' da escludere, inoltre, dato lo spessore limitato del muro, che l'abside fosse stata ricavata solo incavando quest'ultimo, poiché l'apparente profondità conferita dal prolungamento della forma convessa dell'arco porterebbe il centro dell'abside oltre lo spessore del muro. Tale affermazione appare evidente osservando i resti di un semicerchio disegnato da alcune parti mancanti del pavimento della sala centrale proprio in corrispondenza della presunta abside e che, probabilmente, ha indotto la deduzione del Belting. La freccia dell'arco disegnato dal semicerchio risulta, infatti, pari proprio allo spessore del muro, ed è, quindi, evidente la impossibilità di realizzare un'abside se non costruendo una base muraria fuoriuscente il muro stesso di cui non v'è, come già segnalato, traccia alcuna.

Come si spiega allora il semicerchio nel pavimento? A nostro avviso, l'unica possibile spiegazione è la presenza di un disegno ad intarsio di laterizi nel pavimento, con funzione ornamentale, atto a simulare il prolungamento ottico virtuale dell'abside.
 
 



Figura 11: Parete est della Cappella dei Martiri nella ricostruzione del Belting


 










Se supponiamo quindi che l'abside proposta dal Belting non sia mai esistita, allora lo sfondamento della parete e l'allargamento della camera a sud est, con la creazione della Cappella di San Giacomo completa di abside, potrebbero essere avvenuti quasi contemporaneamente, ed in epoche precedenti il V secolo. Anche la presenza di tombe all'interno dell'edificio potrebbe non essere coeva alle strutture, il che condurrebbe a non configurarlo come originariamente funerarie. Se, infatti, si osserva la tomba isolata che è presente nella Cappella di San Giacomo - che appare peraltro lievemente più alta delle altre, sebbene simile per forma - è chiaro che essa potrebbe essere stata aggiunta in epoca successiva al X secolo, salvo a supporre che fosse stata tenuta fuori dall'edificio preesistente alla cappella.
 
Fase 1: II/III sec. Fase 2: IV Sec. Fase 3: IV Sec.
 
Fase 4: V/VI sec.
 
Fase 5: VII-X sec.
Fase 6: X sec.

Figura 12: Evoluzione del complesso delle Basiliche di Cimitile dal II al X sec


 










Escludendo tale eventualità, si può anche ipotizzare che le tombe siano state inserite nel pavimento in un periodo successivo, occupando gli spazi messi a disposizione dalla particolare conformazione prodotta dallo spessore della base muraria. In questo caso è evidente che, anziché abbattere lo spessore del muro che si nota in pianta, siano state rimosse solo le parti in terreno, creando le tombe sia dentro la base dell'antico muro, sia fuori (l'unica presente sulla parete nord).

Una ulteriore conferma indiretta ci proviene dallo stesso Paolino, che nel carme 18 (177/119) parla di 5 basiliche, includendo, come hanno già ritenuto il Testini ed il Krautheimer [13] [14], anche la Basilica dei Martiri.

Se prendessimo in considerazione l'ipotesi illustrata, la funzione originaria dell'edificio era quella di luogo di culto e non di mausoleo sepolcrale. Se ciò fosse vero, è difficile credere che l'edificio non disponesse di alcun elemento architettonico che lo configurasse appunto come luogo di culto: primo tra tutti un'abside, quella della Cappella di San Giacomo.

Lo stesso Paolino identifica esplicitamente con il nome di basilica solo edifici con abside (vedi ad esempio la lettera 35). Anche accettando l'evoluzione proposta dal Lehmann, è evidente che gli edifici principali antichi, come la Basilica Vetus e la Cappella di san Calonio, furono edificati con una posizione e direzione absidale anomala, probabilmente tratta per imitazione dalla Cappella dei Martiri.

Va anche aggiunta l'anomalia della insistenza fuori dal mausoleo funerario, durante il periodo del trasferimento a Cimitile del Vescovo Paolino, delle tre più importanti tombe: quelle dei vescovi Quinto, Massimo e Felice, come ricorda Paolino sempre nel carme 18 (131/137; 327/360). E' credibile che tombe anonime fossero costruite al di sotto di un mausoleo, e che la tomba del santo più venerato fosse mantenuta all'aperto in un "orto"?

Sepolcreti e dipinti veterotestamentari nella Basilica dei Martiri

Soffermiamoci, però, sul lavoro del Korol [20] e sulla struttura della Cappella di San Giacomo, cercando di verificare la possibilità che tutte le tombe in essa presenti siano state realizzate in epoche successive alla costruzione dell'edificio. Osservando la pianta della Cappella di San Giacomo si notano 4 tombe appoggiate all'esterno della parete contenente l'abside del Belting, ed una isolata sul lato nord-est, quella cui abbiamo fatto cenno nel precedente paragrafo. Le quattro tombe sono perpendicolari a due arcosolii ricavati nella parete. In mezzo, tra la terza e la quarta tomba, è presente la base muraria del prolungamento degli archi dei due arcosolii fuori dal muro verso il centro della sala: tale prolungamento fu privato della parte superiore per la realizzazione del pavimento della cappella di San Giacomo. Il Korol segnala come, attraverso una analisi dello strato di intonaco, si siano identificati i dipinti nei due arcosolii come coevi a quelli veterotestamentari che ornavano le pareti dell'edificio preesistente alla Cappella di San Giacomo. Sempre quest'autore, attraverso la comparazione con una locale tomba sicuramente risalente al IV secolo d.C., data tali tombe alla medesima epoca; quindi sulla base di tali rilievi e, smentendo una precedente erronea deduzione, segnala come anche le tombe a testata arrotondata presenti a Cimitile, e non solo quelle a testata rettangolare, siano risalenti al periodo cristiano. A questo punto, però il Korol, dando per scontato che le tombe siano coeve all'edificio ed ai dipinti, posticipa la datazione di entrambe, collocando la realizzazione dei dipinti, precedentemente ritenuti del II o III secolo, nel V secolo, e datando l'edificio al IV.

Alcuni elementi di questa analisi ci lasciano perplessi, e si aggiungono a quello già menzionato nel precedente paragrafo in merito alla tomba isolata che, a nostro avviso è stata realizzata successivamente alla edificazione della Cappella di San Giacomo, ma nel contempo prima del X secolo, data proposta per l'edificazione di questa parte dell'edificio. I nostri dubbi sono relativi da un lato al prolungamento in muratura dei due arcosolii che, sebbene privato della parte superiore dalla presenza del pavimento, è ancora ben visibile in mezzo alle 4 tombe interrate, e dall'altro alla anomala disposizione dei due arcosolii che spezzano, l'unicum pittorico formale a quadroni di cui parla il Korol.

Esaminiamo nel dettaglio le nostre perplessità. In primo luogo il sostegno centrale rimasto dei due archi di prolungamento degli arcosolii appare alquanto strano se si ipotizza che per realizzare il pavimento si sia interamente riempito il vano delineato dal muro del vecchio edificio: perché lasciare quella struttura e non ripulire e consolidare il suolo? Il sostegno murario, inoltre, appare estremamente rozzo a confronto della cura, che lo stesso Korol segnala, con cui sono state realizzate le pitture. Strano appare, inoltre, che, sebbene molto deteriorate, le pitture si siano conservate all'interramento in un ambiente così ricco di umidità.

Tali anomalie potrebbero trovare spiegazione nella ipotesi che esponiamo di seguito. Se le tombe che si vedono molto più basse rispetto al pavimento della sala sono state, come riteniamo, realizzate in epoche successive alla costruzione dell'edificio, che già al tempo di Paolino doveva contenere l'ala absidata di San Giacomo, è possibile che se ne sia voluta, comunque, lasciar la visione al pubblico per la venerazione. In questo caso la rozza struttura muraria ad arco poteva essere stata realizzata contemporaneamente alla edificazione delle tombe scavate nel pavimento dell'antico edificio. Siffatta struttura aveva mera funzione di sostegno, facendo in modo che l'ambiente funerario realizzato sotto il pavimento della Cappella di San Giacomo fosse, seppure chiuso, visibile a mezzo di grate. In questo caso non ci troveremmo di fronte a due arcosolii, bensì a due archi che si sono appoggiati ai preesistenti dipinti a quadroni che ornavano l'antico edificio.

Vediamo, però, gli elementi concreti, nel lavoro in oggetto, che si oppongono alla nostra proposta interpretativa. Nell'articolo si formula una possibile datazione della antica sala che precedette la Cappella di San Giacomo, successiva all'edificio centrale della Cappella dei Martiri (per intenderci, quello che contiene i dipinti di Adamo ed Eva e di Giona). Tale posteriorità cronologica viene avanzata sulla base delle lievi differenze di struttura muraria tra la sala centrale della Basilica dei Martiri e quella antica rettangolare nella Cappella di San Giacomo. Lo stesso Korol, però, non può esimersi dall'osservare come questo edificio appaia inspiegabilmente molto più interrato, rispetto a questa sala, allo stesso modo del resto che le altre camere rettangolari che la circondano, e suggerisce quindi per esso una datazione più antica, anziché più recente. Siffatto maggiore interramento potrebbe, a nostro avviso, essere invece dovuto all'originario piano di sviluppo dell'edificio, e ad un sollevamento stratigrafico della struttura centrale riutilizzata, come tutto il complesso, in ambito cristiano, e nel IV secolo come mausoleo funerario.

A tale proposito solleviamo anche dubbi sulla possibile funzione dei 4 arcosolii, di cui 2 con i già indicati dipinti veterotestamentari, della sala centrale della Basilica dei Martiri, presenti nella parte bassa del muro. Korol ritiene, anzi, che gli arcosolii fossero in tutto 6, 3 per lato sulle pareti ovest, nord ed est, e che quelli ad est siano stati coperti dagli altarini medievali oggi visibili e sormontati dai due dipinti del Sant'Eusebio e della Maddalena.

A nostro avviso, le dimensioni di tali strutture ad arco, di poco superiori al metro, non sono sufficienti ad una disposizione longitudinale del corpo (con parete lunga appoggiata al muro). Il nostro dubbio dimensionale è evidente, ad esempio, osservando gli arcosolii contenenti gli affreschi di Adamo ed Eva e di Giona.


 
 



Figura 13: Pianta della Basilica dei Martiri


 










Questi due improbabili arcosolii sarebbero disposti ad angolo e si toccherebbero nella parte nord-ovest rendendo, a nostro avviso, impossibile una sepoltura longitudinale, per quanto già detto; inoltre, per lo spazio ulteriormente ridotto dalla configurazione, sarebbe impossibile anche una sepoltura perpendicolare all'arcosolio, in quanto le due tombe risulterebbero allora disposte a croce. Nella immagine seguente mostriamo una tipica tomba cristiana con arcosolio (tomba ad arcosolio di Veneranda a Roma, catacomba di Domitilla). Si nota come la dimensione dell'arcosolio, sebbene appaia simile a quella qui analizzata, viene ulteriormente ampliata da un secondo arco in modo da portarne le dimensioni complessive ad una longitudine compatibile con la lunghezza della tomba. E' chiaro, dalla figura, che lo spessore della tomba impedisce la presenza di una analoga tomba con arcosolio a destra di questa se, come nel caso della Basilica dei Martiri, i due arcosoli si toccassero ad angolo.
 
 



Figura 14: Tomba con arcosolio nelle catacombe di Domitilla a Roma


 










Nonostante i dubbi esposti, un elemento di estremo interesse ci viene comunque dal lavoro del Korol sulle numerosissime pitture parietali della vecchia struttura muraria rettangolare della Cappella di San Giacomo. L'autore elenca una serie di dipinti murali: ben 27 quadri di cui solo 13 mostrano immagini più o meno riconoscibili, e tutte tratte dal Vecchio Testamento.

Tali immagini vanno da Adamo ed Eva, alla proibizione di Dio di mangiare i frutti dell'albero, a Giuseppe viceré d'Egitto che giura dinanzi al padre Giacobbe di seppellirlo in terra di Canaan, alla benedizione di Giacobbe ad Efraim e Manasse, fino a due rappresentazioni di Giona rigettato dal mostro marino e poi raffigurato in riposo. Il Korol segnala quella che è, a suo avviso, una evidente unità pittorica di tali dipinti, espressione di un progetto unitario e non di una sovrapposizione casuale. L'ipotesi da lui formulata è che i dipinti siano dei primi decenni del V secolo, smentendo così il Belting e la datazione da questi proposta al II-III secolo, in analogia con i dipinti della sala centrale dell'edificio dei Martiri. Risulta, però, oggettivamente strano pensare che l'unità pittorica dei dipinti della Cappella di San Giacomo sia stata rotta nel passaggio dall'una all'altra sala della Cappella dei Martiri, lasciando un vuoto di oltre un secolo, salvo accettare il fatto che questo edificio, seppure più interrato, sia più recente della sala centrale, e sia stato edificato nel IV secolo d.C.. Se, invece, riteniamo corretta l'ipotesi di datazione del Belting, l'unità pittorica dell'insieme veterotestamentario degli affreschi di entrambe le sale, la impossibilità che gli affreschi in arcosolio abbiano sovrastato originariamente tombe, e la datazione al IV secolo delle tombe della Cappella di San Giacomo, non possiamo che pervenire alla conclusione che tali tombe furono inserite successivamente su una struttura interamente preesistente già nel III secolo, ed il cui uso non era, in origine, funerario.

Ad ogni modo dalla analisi del Korol emerge un dato evidente: il numero degli antichi dipinti veterotestamenatri è, nella Cappella di San Giacomo, davvero straordinario e differenzia questo ambiente sia da quello centrale sia da quello a lato nord-ovest, ove, sebbene siano presenti pregevoli dipinti, essi ritraggono solo decori floreali e vegetali.

L'unità rappresentativa pittorica, la datazione proposta dal Belting e le osservazioni già effettuate, insieme con la ipotesi da noi formulata relativa al precedente uso di questo edificio come sinagoga, ci spinge a dire che questi dipinti sono una evidente ulteriore prova che la Cappella di San Giacomo, già prima dell'allargamento absidato, avesse la funzione di sinagoga.La camera che abbiamo descritto, in particolare, era a nostro avviso già adoperata come sala del Sancta Sanctorum nel III secolo.

In analogia a quanto avvenuto a Bova Marina e ad Ostia, è all'inizio del IV secolo che venne realizzata l'abside per l'Arca accentuando l'orientazione a sud-est verso Gerusalemme. Successivamente, quando durante il IV secolo il contesto storico mutò, dapprima con l'editto di Costantino, e poi con l'editto di Tessalonica (380) emanato da Teodosio, ed il Cristianesimo divenne infine religione di stato, è probabile che una certa ostilità, se non proprio una persecuzione aperta, si sia rivolta repentinamente sulla popolazione ebraica anche in territorio campano, dando così vita alla possibilità di espropri o riutilizzazione di edifici abbandonati dalle comunità in fuga.

Comparazione con gli affreschi della sinagoga di Dura Europos

La prima credenza che va sfatata sulla base delle recenti numerose scoperte archeologiche è relativa alla presunta incompatibilità tra raffigurazioni pittoriche ed antiche sinagoghe. La sinagoga di Dura Europos scoperta in Siria è databile al IV sec. d.C. ed è un esempio lampante e straordinario della libertà e varietà delle rappresentazioni pittoriche tipiche delle antiche sinagoghe; l'immagine seguente mostra, ad esempio, un gruppo di uomini che porta l'Arca dell'Alleanza in battaglia. Prima della scoperta di sinagoghe come questa, veniva categoricamente esclusa la possibilità di ritrovare rappresentazioni di figure umane e sacre in una sinagoga: nell'affresco che mostriamo è presente il più sacro dei simboli: l'Arca dell'Alleanza.
 
 



Figura 15: Sinagoga di Dura Europos - Arca portata in battaglia


 










Il Sancta Sanctorum di questa sinagoga presenta inoltre uno straordinario affresco ricchissimo di immagini veterotestamentarie. Nessuna figura pare trascurata, nemmeno quella di Dio, che nella immagine seguente, raffigurante l'Esodo, appare, come in altre dell'affresco, immortalato con una mano tesa dall'alto verso il Popolo.


 
 



Figura 16: Sinagoga di Dura Eudropos -Esodo


 










L'iscrizione aramaica recante la data del 244 d.C. consente una datazione relativamente precisa della sinagoga; tale data coinciderebbe con il periodo solitamente indicato per la realizzazione dei dipinti veterotestamentari della Basilica dei Martiri. Le immagini qui contenute, ispirate ancora all'Antico Testamento, quali l'affresco di Adamo ed Eva e quello di Giona, sono quindi almeno cronologicamente compatibili con l'ipotesi sinagoga da noi formulata: esse, inoltre, ci paiono avere notevoli affinità stilistiche con quelle di questa straordinaria testimonianza pittorica.
 

Figura 17: Comparazione dell'arcosolio di Adamo ed Eva a Cimitile con uno di Dura Europos


 










E' singolare constatare come tale affinità stilistica sia stata constatata anche dal Korol [20]. Sempre questo autore in diverse parti del suo lavoro si pone il problema della possibile attribuzione ebraica delle opere pittoriche ma conclude affermando che: "per le uniche rappresentazioni finora interpretabili negli arcosolii, i progenitori dopo il peccato originale e Giona, attualmente non sono conosciuti confronti antichi in ambiente chiaramente ebraico, ma soltanto in un contesto cristiano o neutrale", escludendo così, come ci ha confermato anche per via epistolare, qualunque coinvolgimento di una comunità ebraica nella edificazione e nello sviluppo della Cappella dei Martiri.

Una risposta alla ipotesi del Belting e della doppia abside: il Parochet di accesso al Sancta Sanctorum

Dopo aver sollevato, nel precedente paragrafo, i nostri dubbi sulla tesi avanzata dal Belting negli anni 60 relativa alla esistenza di una seconda abside nella sala principale della Basilica dei Martiri, successivamente distrutta al momento dell'edificazione della Cappella di San Giacomo, vogliamo proporre una possibile diversa soluzione al dilemma della forma particolare dell'ingresso alla detta cappella. Come abbiamo detto, prolungando il disegno semicircolare dell'ingresso alla Cappella di San Giacomo, si arriverebbe poco oltre lo spessore del muro, con una circonferenza quasi tangente al prolungamento della parete posteriore. Cominciamo con l'asserire che, proprio sulla base di quanto visto a Dura Europos, la presenza di due Angeli sarebbe perfettamente compatibile con la nostra ipotesi; ciò che è invece sicuramente non compatibile è la presenza della testa della Vergine di cui parla il Belting. Oggi ciò che è sicuramente riscontrabile è una corona isolata al centro dell'arco di volta. Parliamo di corona isolata poiché essa non reca al di sotto alcuna testa visibile, infatti la testa con l'aureola della Vergine indicata dal Belting, ed abbozzata nel suo testo, era discosta dalla corona. Tale corona presenta invero, ancora evidente, una sorta di aureola che la circonda. Accettando ciò che sostiene il Belting, ci troveremmo di fronte ad una strana rappresentazione di una corona isolata con aureola, che sormonterebbe una Vergine anch'essa con aureola. Se, invece, supponessimo che la parte superiore della testa, poiché di questo si tratta visto che il Belting non parla di volto, non fosse quella della Vergine, ma che sia stata mal interpretata dall'archeologo, rimarrebbe certa la sola presenza della corona isolata e dei due Angeli ai lati dell'ingresso che, come osserva il Belting, sono ritratti nell'atto di sorreggere qualcosa: ma che cosa? Nella ipotesi da noi proposta, l'oggetto potrebbe essere il velo di separazione della sala di ingresso dal Sancta Sanctorum. In pratica potremmo essere di fronte ad un Parochet, ovvero al velo che solitamente copre l'abside contenente i rotoli della Torah, la Menorah ed il Tamid. In questo caso, al velo che avrebbe dovuto coprire l'abside interna alla Cappella di San Giacomo potrebbe essere stato aggiunto, ad imitazione di ciò che accadeva per il Tempio, un secondo velo per impedire la visione del Sancta Sanctorum.

Vari sono gli esempi di Parochet caratterizzati da elementi contrapposti ad una corona centrale, ne mostriamo alcuni in figura.
 

Figura 18: Esempi di Parochet, velo che copre l'Arca con la Torah


 










Ripetiamo che, nel caso della Basilica (ex Sinagoga) dei Martiri, i due angeli potrebbero reggere proprio il Parochet. Nella successiva figura rappresentiamo una possibile ricostruzione della parete est completa di tale elemento. Avremmo, in pratica, i due angeli contrapposti che richiamano i cherubini sull'Arca dell'Alleanza sovrastati dalla rappresentazione della corona, il tutto dipinto direttamente sulla parete anziché sul Parochet, mentre al di sotto avremmo il Parochet riccamente decorato.
 

Figura 19: Ipotesi ricostruttiva della funzione della semiabside del Belting


 










Una raffigurazione di un tessuto con bordi riccamente decorati completo di drappeggio è segnalato dal Belting nella parte inferiore dei due lati curvi dell'ingresso; tale raffigurazione potrebbe richiamare sulla parete il Parochet che fungeva da porta di accesso al Sancta Sanctorum. E' anche interessante notare come l'affresco ai due lati della porta appaia diviso in due parti, di cui quella inferiore sembrerebbe rappresentate la base di un altare. Supponendo che il Parochet rappresentasse, per continuità, la parte centrale inferiore mancante dell'altare, rimarrebbe, nella parte superiore, una sorta di altarino absidato con un effetto ottico accentuato dalla curvatura del muro: tale altarino absidato potrebbe essere il luogo destinato all'Arca della sinagoga, e proprio questa doveva essere rappresentata sul telo.

Compatibilità tra necropoli e sinagoga

Un altro elemento che può generare perplessità è la presenza nel pavimento di antiche sepolture, che sembrerebbe contrastare con i requisiti di purezza che dovrebbero essere collegati alla costruzione di una sinagoga. In realtà a ben guardare sono molti i ritrovamenti che appaiono contrastare questa intuitiva deduzione teorica. Per l'edificio di Bova Marina è evidente che esso è stato costruito a breve distanza da una necropoli esistente ad Est della sinagoga, che sappiamo essere presente fin dalle prime fasi di vita dell'edificio [21], successivamente estesa a sud dello stesso durante i successivi periodi d'uso [22], e che, forse, la sinagoga era essa stessa una abitazione civile. Esistono altri esempi in cui la sinagoga è stata realizzata adattando un edificio civile, come il caso della sinagoga di Priene, anch'essa databile al IV-V sec. [9]. Del resto, pure in una roccaforte della purezza qual era la Qumran del I sec. a.C., il cimitero si trovava subito fuori l'abitato. Sono, comunque, moltissimi i casi in cui le sinagoghe erano collocate in vicinanza di aree cimiteriali, ed è forse proprio da Qumran che ci viene una possibile risposta a questa strana collocazione delle aree funerarie.

Dal Rotolo del Tempio [10] (cap. 48,11 e segg.), sappiamo infatti che le sepolture dovevano avvenire in un luogo unico e ben definito fuori dal centro abitato: analoga sorte toccava alle latrine (cap. 46,13), ma sappiamo anche che, durante la festività del sabato, non potevano essere compiuti più di 100 passi. Sebbene le norme restrittive citate nei testi esseni di Qumran già al tempo erano adottate con estrema flessibilità in ambito farisaico, e sebbene tale flessibilità si sia con grande probabilità ulteriormente accentuata dopo la diaspora seguita alla distruzione del 70 d.C., stante la necessità di adattarsi al contesto ambientale di chi si trovava in esilio, è anche verosimile che, entro centri limiti, alcune regole fondamentali come quelle del sabato si siano conservate. In particolare, è naturale attendersi che la sinagoga si trovasse al centro delle aree abitate da comunità ebraiche, fungendo da punto di riferimento per la realizzazione di nuovi edifici: ciò era chiaramente dovuto alla impossibilità di percorrere cammini troppo lunghi nel giorno di sabato. Posizionando la sinagoga al centro dell'abitato si poteva ridurre al massimo il percorso da compiere in quel giorno. Lo stesso probabilmente avveniva nel caso dei cimiteri, per consentire che le sepolture potessero avvenire senza allontanarsi troppo dal centro abitato, e forse anche per consentire di onorare il culto dei morti anche nel giorno del prescritto riposo. C'è ancora da supporre, a nostro avviso, che piccole sinagoghe fossero costruite lungo alcune linee di comunicazione, e che queste fossero corredate anche di alberghi per i pellegrini poiché, tenendo pure conto dei mezzi di trasporto dell'epoca, ci si potesse fermare nel giorno di sabato, e celebrare il rito religioso in sinagoga.

Ciò che, piuttosto, dovrebbe lasciare perplessi è la circostanza che in una civile abitazione potesse esistere una sala dedicata a luogo di culto, il che indicava, chiaramente, che l'edificio era già stato in origine costruito mantenendolo in asse con Gerusalemme, ma a ben guardare nemmeno questo è un fatto raro. Se si osserva infatti la pianta di Qumran [11], è possibile notare come tutte le strutture siano state orientate con asse verso la capitale di Israele e, sebbene non siano state identificate aree destinate a fungere da sinagoga, è anche vero che, stante l'orientazione degli edifici, in teoria qualunque casa o stanza sarebbe potuta servire come luogo di preghiera, poiché tutte erano orientate verso Gerusalemme, e consentivano quindi al fedele di rivolgere con sicurezza la preghiera verso il Tempio, orientando il corpo lungo la direzione longitudinale della stanza.

Il problema della orientazione: cenni al dilemma del calcolo della longitudine

Tra i problemi affrontati nel corso della nostra breve indagine sulla Basilica dei Martiri, partita dalla sua particolare orientazione, non possiamo non dedicare almeno qualche riga all'annoso problema della orientazione precisa di un edificio nella direzione di una specifica località, nel caso in esame Gerusalemme. Il problema già intuitivamente tutt'altro che banale se si tiene conto della enorme distanza che separa Cimitile da Gerusalemme lo diviene ancor di più se si tiene conto del periodo remoto in cui questa orientazione è stata realizzata, ed all'errore davvero irrisorio (-27 gradi est anziché -26 gradi est) commesso dai costruttori. La necessità di risposta a questo dilemma diviene ineludibile se si pensa che per calcolare la corretta direzione occorrono latitudine e longitudine delle due località, e che mentre la latitudine è calcolabile in maniera relativamente semplice attraverso l'azimuth astronomico (inclinazione delle stelle rispetto all'orizzonte), il calcolo della longitudine appare quasi impossibile con i mezzi del tempo: cerchiamo di capire il perché.

Data la enorme distanza delle stelle dalla terra si può ritenere che i raggi luminosi di queste siano tutti perfettamente paralleli tra di loro, di conseguenza due località terrestri che si trovano alla stessa latitudine vedranno il medesimo cielo stellato sebbene con una differenza oraria derivante dalla loro relativa distanza (appunto longitudine) terrestre. Tutto sembrerebbe risolto se si riuscisse a calcolare questa differenza oraria, ma qui interviene un problema davvero oneroso: la misura del tempo nelle due località è legato al calcolo del giorno e della notte, e quindi alla rotazione terrestre, in pratica essa viene effettuata proprio mediante la posizione degli astri, in particolare del sole, ed ha un valore locale relativo e non assoluto. In buona sostanza, leggendo i rispettivi orologi (che danno il tempo relativo a quella località) due città sul medesimo parallelo vedranno il medesimo cielo stellato alla medesima ora locale. Ciò che serve calcolare è, quindi, lo scarto di fuso orario. Se si tiene conto che per una rotazione completa di 360 gradi la Terra impiega 24 ore, è chiaro che dopo un'ora la Terra avrà compiuto una rotazione di 15 gradi, cioè che essa si muove alla velocità di 1 grado ogni 4 minuti. Orbene, la distanza in gradi di Cimitile da Gerusalemme è di circa 20. Se avessimo voluto utilizzare uno strumento per il calcolo orario assoluto (candele, clessidre, lampade ad olio, ecc., ma non meridiane, poiché esse misurano solo l'ora locale), avremmo dovuto avviarlo in partenza da Gerusalemme, misurare l'ora locale all'arrivo, e confrontarla con quella ricavata da questo "cronometro". Il problema è che, se si desidera ottenere un errore nel calcolo della longitudine di un grado al massimo, sarebbe stato necessario avere un "cronometro" in grado di mantenere un errore massimo di 4 minuti durante le settimane di viaggio che occorrevano per arrivare da una località all'altra usando per esempio una nave dell'epoca. E' evidente che questa strada è impraticabile, qualunque fosse lo strumento di misura del tempo ipotizzabile, e compatibile con l'epoca in esame. D'altro canto sappiamo anche che, in tutto il mondo, le sinagoghe venivano orientate con un ottimo grado di approssimazione: in Italia, ad esempio, la sinagoga di Ostia presenta una inclinazione di -30 gradi est rispetto a -29 gradi est, mentre quella di Bova Marina presenta una inclinazione di -20 gradi est anziché -18 gradi est. Sappiamo pure che Eratostene, nel famoso esperimento con il quale pervenne al calcolo della circonferenza terrestre con una precisione davvero impressionante (40.000 Km anziché 40.009 Km effettivi), partì dalla ipotesi che Syene ed Alessandria d'Egitto si trovassero sul medesimo meridiano, e quindi alla medesima longitudine. In pratica ciò che appare certo è che nell'antichità il problema era stato, in qualche modo, risolto, ma come se non con un cronometro, ovvero con il metodo del trasporto del tempo? Potremmo evitare di rispondere alla domanda, e limitarci ad osservare che, qualunque fosse il modo, è certo che un metodo fosse noto, ma vogliamo comunque dar conto di una riflessione e di una serie di scambi di vedute che abbiamo avuto con il caro prof. Bartocci (Univ. Perugia) e con l'amico dr. Papi, preparato astronomo dilettante.

Ragionando per diverse vie e separatamente, siamo pervenuti ad una medesima soluzione che sembra l'unica praticabile, sebbene ciascuno abbia proposto differenti metodi per metterla in pratica: l'uso del nostro satellite naturale, la Luna. La Luna, infatti, impiega 29,5 giorni per compiere un'orbita completa intorno alla terra, e ruota adoperando un piano che è quasi coincidente con il piano di rotazione terrestre. La velocità di movimento della Luna è, quindi, di mezzo grado circa l'ora. In buona sostanza la Luna segue le stelle nella rotazione notturna da est ad ovest. Ora, come detto, due città con la medesima latitudine vedono nelle stesse ore della notte il medesimo cielo, ma se esse distano in longitudine di 15 gradi (quasi come Cimitile e Gerusalemme) e cioè di un'ora, vedranno la Luna spostata le cielo di 30 gradi l'una rispetto all'altra. Il problema sembrerebbe, pure nel presente caso, risolto, se si disponesse però di uno strumento in grado di misurare con precisione frazioni di grado: si perviene così ad affrontare un altro dettaglio che appare abbastanza complesso, dovendosi tenere in conto che, per ottenere un'accuratezza sufficiente a giustificare la precisione delle orientazioni di Ostia e Bova Marina, sarebbe necessario per questa via discernere differenze angolari da 1/4 ad 1/6 di grado, cosa difficile ma forse non impossibile con strumenti meccanici mobili. Si può pensare comunque a dispositivi o fenomeni che amplifichino gli effetti della differenza di posizione lunare, e quello che appare più probabile, secondo l'opinione dei citati amici, con i quali in ciò concordo pienamente, è la differenza di percezione oraria nel fenomeno delle eclissi lunari o solari, e su tale questione limitiamoci a questi pochi cenni.

Errati restauri rendono difficile l'approfondimento archeologico

Se da un lato la proposta interpretazione dell'impianto architettonico della Basilica dei Martiri nel complesso paleocristiano di Cimitile e la convergenza di tutti gli altri indizi raccolti non ci consentono di affermare di essere in possesso di una prova definitiva della congettura che la basilica fosse in origine una sinagoga, dall'altro tale ipotesi ci pare, in maniera oggettiva, estremamente seria, e degna pertanto di ulteriori approfondimenti che andrebbero condotti principalmente sulla Cappella di San Giacomo. E' singolare notare come lo stesso nome di questa cappella, che rammentiamo secondo la nostra ricostruzione fungeva da Sancta Sanctorum per la sinagoga, sia quello del capo della comunità giudaico-cristiana di Gerusalemme: Giacomo il giusto, che nelle scritture neotestamentarie viene spesso identificato con l'appellativo "fratello di Gesù", ad indicare una stretta parentela.

Purtroppo va subito detto che in maniera davvero incomprensibile fu deciso, durante l'ultimo restauro della Basilica dei Martiri, di ricoprire ogni centimetro della Cappella di San Giacomo con un intonaco spesso ben 4 cm. Tale intonaco rende impossibile qualsiasi tipo di indagine visiva sulle pareti, ma i danni prodotti da esso sono ben più gravi. L'intonaco applicato è a base cementizia e, per lo scarso potere traspirante, mai andrebbe utilizzato, non solo su opere di valore archeologico, ma pure in qualunque tipo di edificio civile, in quanto, come accaduto nel caso della cappella, impedisce la traspirazione di umidità, facendola fuoriuscire dal lato opposto: nell'edificio che ci sta a cuore, purtroppo attraverso gli affreschi della parete est, tra cui quello raffigurante la Maddalena. Ecco, quindi, la causa della disastrosa situazione in cui versano attualmente affreschi mantenutisi a lungo in ottime condizioni di conservazione, come la Maddalena Incoronata e Sant'Eusebio, che notiamo oggi ricoperti di sali, vittime di fenomeni di efflorescenza con inesorabili e continue perdite di intonaco dipinto.

Il senso di impotenza di fronte ad una possibilità di analisi è reso ancor più doloroso dalla totale rimozione del pavimento di questa stanza. Tale scomparsa rende infatti impraticabile un'investigazione tesa ad evidenziare la preesistenza di un impianto pavimentale musivo tipico delle sinagoghe.

Nonostante tutto, comunque, le piste di indagine che possono essere tecnicamente ancora percorse sono varie, e vanno dalle termografie sugli affreschi per evidenziare eventuali sovrapposizioni pittoriche, alle scansioni con un georadar per verificare l'eventuale esistenza di cavità per dolia, quali quelle rinvenute nella sinagoga di Bova Marina.

Il disinteresse e la pessima capacità di gestione ed azione sul bene archeologico testimoniata da ogni singolo centimetro della Basilica dei Martiri non ci fanno, comunque, ben sperare per il futuro. Ovviamente nessuna di queste analisi, salvo eventi fortuiti, potrà darci più di ciò che ci è stato definitivamente tolto, e che era essenziale ai fini della corretta identificazione dell'importantissimo sito.

Per quanto ci riguarda, considereremmo uno straordinario risultato se, nell'ambito degli interventi di restauro che si spera vengano attuati, riusciremo a dirottare da lavori inutili se non dannosi le poche centinaia di Euro che occorrono per la rimozione dell'intonaco cementizio che sta distruggendo l'immagine della Maddalena Incoronata.
 
 



Figura 20: L'intonaco cementizio della Cappella di San Giacomo
come causa del degrado degli affreschi dei SS. Martiri
 

Note bibliografiche


 










[1] Lehmann T. - Lo sviluppo del complesso archeologico a Cimitile, Boreas, 1990, 13, 16, pp. 123-134.

[2] Scala S. - Il culto gnostico della Maddalena dal mosaico di Otranto alle basiliche paleocristiane di Cimitile, Episteme n. 6, ed. PORZI, 21 dicembre 2002.
rif. on-line: http://www.robotics.it/episteme

[3] Ebanista C., Fusaro F. - Cimitile: guida al complesso Basilicale e alla città, Comune di Cimitile, 2001

[4] Korol D. - Il primo ritrovamento di un oggetto sicuramente giudaico a Cimitile: una lucerna con rappresentazione della menorah, Boreas, 1990, 13, pp 94-102.

[5] Kurninsky S. - "Creativity and the Jews - Fact Papers on the Technological and Artistic Contributions of the Jews to the Evolution of Civilization", in The Jews of Aquileia: a Judaic Community - Lost to History, Paper Fact, 28.
rif on-line: http://www.hebrewhistory.org/factpapers/aquileia28.html

[6] Moraldi L. - Pistis Sophia, Biblioteca Adelphi, 1999; Appendice, pp 329-332.

[7] Cosentino A. - La sinagoga di Bova Marina
rif on-line: http://utenti.lycos.it/AugustoCosentino/Calabria.html

[8] Belting H. - Die Basilica dei SS.Martiri in Cimitile und ihr frumittelalterlicher Freskenzlus, Wiesbaden, 1962.

[9] Murray M. - Was there religious coesistence or competition in ancient Priene?, CCBS, Maggio 2001 - Draft Copy, Bishop's University, Religious Rivalries Seminar.

[10] Moraldi L. - I Manoscritti di Qumran, TEA, 1999.

[11] Charlesworth H.J. - Gesù e la comunità di Qumran, Piemme,1997.

[12] Delibera comunale n. 125 del luglio 2002 ed allegato progetto esecutivo per il PIT "Valle del Clanis - Antica terra di miti e di dei".

[13] Testini P. - Note per servire allo studio del complesso paleocristiano di S.Felice a Cimitile (Nola), MEFRA Antiquitè 97, 1985, 329-371 - menzionato in [1].

[14] Krautheimer R. - Architettura paleocristiana e bizantina, 1986, 140, 221-223 - menzionato in [1].

[15] http://www.ancientlamps.com/fafrica.html

[16] G.Pohi, in J.Werner (editore), Aus Bayerns Frühzeit, Studi in onore di F. Wagner, 1962, 220.

[17] L. Anselmino - C. Pavolini - in EAA, Atlante delle forme Ceramiche, menzionato in [3].

[18] C. Adler, J.M. Casanowicz, A.W. Brunner, Ark of Law, Jewish Encyclopedia.
rif on-line: http://www.jewishencyclopedia.com

[19] M. Tameanko - "The original Chanukah Gelt", American Israel Numismatic Association.
rif on-line: http://amerisrael.com/articles_chanukah_gelt_1.html

[20] D. Korol - I Sepolcreti paleocristiani e l'Aula soprastante le tombe dei santi Felice e Paolino a Cimitile/Nola, Didattica e Territorio, 30mo distretto scolastico, 30 marzo-8 giugno 1988.

[21] Liliana Costamagna - "La sinagoga di Bova Marina (RC): una proposta di interpretazione delle strutture", in 1983-1993: Dieci anni di archeologia cristiana in Italia, Atti del VII Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana, Cassino, 20-24 settembre 1993, a cura di Eugenio Russo, 2003, p. 806.

[22] Alla p. 803 del lavoro indicato nella precedente nota 21, la Prof.ssa Costamagna segnala la presenza di una fascia di 7 mt che distanziava la sinagoga dalla necropoli evidentemente ritenuta sufficiente ad assicurare la purezza dell'edificio. Viene, inoltre, segnalata la non visibilità della necropoli che si sviluppò nello spazio retrostante l'edificio, cosa analoga a quanto avviene a Cimitile, ove la tomba di San Felice è opposta agli antichi ingressi della Basilica dei Martiri, e la sua vista veniva occultata dalla mole della stessa.
 


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[Una presentazione dell'autore si trova nel numero 6 di Episteme.]

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