(Immagine tratta dal sito:
http://www.diocesinardogallipoli.it/San_Giuseppe_Don_Quintino/index.htm)

Il caso S. Giuseppe da Copertino
Un commento dalla redazione di Episteme

Thomas Paine ebbe a osservare che: <<A cruel God makes a cruel man>>;
si potrebbe completarne il pensiero affermando
che un Dio assurdo rende gli uomini assurdi.
La vicenda di Giuseppe Desa da Copertino può definirsi invero sconcertante, e bisogna riconoscere che il testo di G. Sebasti ne offre una ricostruzione soddisfacentemente accurata (almeno per chi non voglia, o non possa, approfondire al di là di un certo punto). Il lato sorprendente di essa, per un razionalista, è naturalmente la sua storicità, in quanto gli eventi si sono svolti in tempi piuttosto recenti, e non ci si può pertanto appigliare, per respingerne senza fatica l'aspetto fantastico, alla mancanza di "documentazione", o al carattere frammentario - e inaffidabile, date le sue presumibili finalità - dell'informazione che ci proviene da periodi più antichi, dalle età dei "miti"1. Non dimentichiamoci infatti che siamo nello stesso secolo di Galileo e di Cartesio, peraltro curiosamente apparentati con il "santo volante" da pellegrinaggi a Loreto2, località contigua all'ultimo luogo di reclusione (questo è il termine che bisogna usare per rendere conto della realtà dei fatti, come chiaramente fa il Sebasti quando parla di rapimento, sequestro) del povero "idioto".

Detto diversamente, l'autore pone in maniera corretta al razionalista una sorta di sfida intellettuale, mettendolo di fronte al dilemma se manifestarsi affètto, davanti al resoconto di "fatti" che escono dalla sua esperienza ordinaria, da quel pathological disbelief di cui si parla in questo stesso numero della rivista3, oppure se accettare, foss'anche solo presuntivamente, i detti fatti, con il rischio di passare alla fine per uno sciocco credulone. Non a caso Sebasti afferma che: <<Non ho argomenti da opporre a chi neghi a priori l'autenticità dei fenomeni aerei attribuiti al nostro frate>> (p. 117).

Abbiamo usato due volte il termine "razionalista", il che non è fuor di luogo per una rivista che si ispira esplicitamente a Cartesio, e ciò introduce all'unico appunto che ci sentiamo di poter muovere al Dott. A. Papi, uno dei preziosi collaboratori di Episteme. Vale a dire, l'aver definito "razionalista" l'autore del testo recensito, mentre palesemente questi non appare tale: laico sì, razionalista no! Bastino per convalidare siffatto giudizio affermazioni quali le seguenti, espresse con ogni serietà (corsivi aggiunti): <<Ritengo ad ogni modo indispensabile precisare che le motivazioni che mi hanno spinto ad affrontare questa indagine rientrano tutte in una ricerca storica intesa a far luce, per quanto possibile, sui famosi prodigi aerei che tanto hanno gravato sulla memoria di questo eletto del Signore>>, p. 6; <<C'è dell'altro, difficilmente rintracciabile nelle cronache. C'è quello che diversifica l'unto del Signore>>, p. 23; <<L'anabasi del corpo, oltre che dello spirito, è sicuramente avvenuta, ed è di origine divina in quanto legata all'estasi>>, p. 117; etc..

Ecco, le dichiarazioni precedenti testimoniano la presenza di quella comune forma di irrazionalità (è il termine giusto, che non vuol essere offensivo, ma soltanto alludere a una differenziazione metodologica) che indulge nel voler a tutti i costi credere nell'esistenza di un lato misterioso, occulto, e in certa misura "consolante", della realtà. Un atteggiamento che non è fondato di solito su esperienza personale - che allora sarebbe pure accettabile, ancorché difficilmente trasmissibile da persona a persona - ma solo su sentito dire, su un atto generico di "fede". Ci piace a tale proposito citare estesamente quanto ebbe a dire Thomas Paine sia sul rispetto di ogni opinione, sia sul valore di "rivelazioni" di seconda o terza mano4.

<<You will do me the justice to remember, that I have always strenuously supported the Right of every Man to his own opinion, however different that opinion might be to mine. He who denies to another this right, makes a slave of himself to his present opinion, because he precludes himself the right of changing it. [...] I do not mean by this declaration to condemn those who believe otherwise; they have the same right to their belief as I have to mine. But it is necessary to the happiness of man, that he be mentally faithful to himself. Infidelity does not consist in believing, or in disbelieving; it consists in professing to believe what he does not believe>>.

<<Each of those churches show certain books, which they call revelation, or the word of God. The Jews say, that their word of God was given by God to Moses, face to face; the Christians say, that their word of God came by divine inspiration: and the Turks say, that their word of God (the Koran) was brought by an angel from Heaven. Each of those churches accuse the other of unbelief; and for my own part, I disbelieve them all. As it is necessary to affix right ideas to words, I will, before I proceed further into the subject, offer some other observations on the word revelation. Revelation, when applied to religion, means something communicated immediately from God to man. No one will deny or dispute the power of the Almighty to make such a communication, if he pleases. But admitting, for the sake of a case, that something has been revealed to a certain person, and not revealed to any other person, it is revelation to that person only. When he tells it to a second person, a second to a third, a third to a fourth, and so on, it ceases to be a revelation to all those persons. It is revelation to the first person only, and hearsay to every other, and consequently they are not obliged to believe it. It is a contradiction in terms and ideas, to call anything a revelation that comes to us at second-hand, either verbally or in writing. Revelation is necessarily limited to the first communication -- after this, it is only an account of something which that person says was a revelation made to him; and though he may find himself obliged to believe it, it cannot be incumbent on me to believe it in the same manner; for it was not a revelation made to me, and I have only his word for it that it was made to him. When Moses told the children of Israel that he received the two tables of the commandments from the hands of God, they were not obliged to believe him, because they had no other authority for it than his telling them so; and I have no other authority for it than some historian telling me so>>.

A parte tutto il resto, ciò che più colpisce in interpretazioni "irrazionalistiche" quali quella che ispira indubbiamente l'opera in parola, non è tanto il fatto che i fenomeni "miracolosi" si manifestino con un'eclatante rottura con l'esperienza ordinaria, quanto la proposta di ricollegare tali pretese rotture con la "volontà" di un "essere superiore". Di fronte a queste concezioni teologiche - assai diffuse in area cattolica - il "filosofo" non può fare a meno di domandarsi come si possa concepire un "Dio" caratterizzato da un comportamento così imperscrutabile e bizzarro, quasi un imprevedibile, ma temibile (perché potente, e quindi pericoloso), giocherellone, che elargisce castighi e benedizioni in modo alquanto maldestro, e spesso "ingiustificabile" (sottinteso: per la razionalità umana, l'unico strumento d'altronde di cui ci si possa giovare senza abiurare la propria dignità di persona5).

E non si creda che la discussione investa un lato marginale dei rapporti tra religiosità e razionalità. Ancorché i numerosi spregiudicati artefici di ogni compromesso, per quanto assurdo, amino sostenere il contrario, preferiamo senz'altro la linea di pensiero logicamente coerente espressa in: http://sanlorenzo.dataport.it/apologetica/miracolo.htm, "I nemici del miracolo". Il miracolo viene descritto quale elemento essenziale, segno, della presenza di Dio nel mondo, e, ripetiamo, ne emerge una ben discutibile immagine della divinità6. Sull'argomento ci sembra abbia detto già tutto il citato Paine7, e che non ci sia nulla da aggiungere, in perpetuo, alle sue parole (i corsivi sono nostri):

<<In every point of view in which those things called miracles can be placed and considered, the reality of them is improbable and their existence unnecessary. They would not, as before observed, answer any useful purpose, even if they were true; for it is more difficult to obtain belief to a miracle, than to a principle evidently moral without any miracle. Moral principle speaks universally for itself. Miracle could be but a thing of the moment, and seen but by a few; after this it requires a transfer of faith from God to man to believe a miracle upon man's report>>.

Per tornare alla "sfida" di cui si diceva in esordio, Sebasti sottolinea, in sede di conclusione, che:

<<Negare tutto ciò significherebbe inoltre supporre un mostruoso complotto, una truffa organizzata, significherebbe tacciare di falso collettivo generazioni di testimoni oculari, religiosi e laici, e liquidare come falsa una ponderosa documentazione originale, tra l'altro ben conservata, completa, relativamente recente e a disposizione di tutti. Significherebbe considerare come contraffatta anche la ricchissima raccolta epistolare, costituita da lettere originali pervenute da molte corti d'Italia e d'Europa, conservata ad Osimo e in diversi altri archivi, a disposizione di chiunque volesse consultarla>> (p. 117).

Riteniamo opportuno partire da tale considerazione, affrontando anzitutto il problema filosofico generale della verità, al quale, in un'atmosfera concettuale che vede predominante lo scetticismo-nichilismo novecentesco, ci pare doveroso dedicare qualche riflessione apposita, anche per fugare il dubbio che possa essere l'adesione a questa deriva del pensiero moderno l'ispiratrice prima delle nostre critiche.

Coloro che ironizzano sul concetto stesso di "verità" si riferiscono usualmente ad essa con il singolare, e con una sottintesa iniziale maiuscola, laddove invece dovrebbe parlarsi di verità al plurale, e con la lettera "v" assolutamente minuscola. Tante piccole verità, dunque, al cui accertamento è preposta la conoscenza intellettiva, mossa da atti di volontà che hanno origine nella curiosità umana (<<Tutti gli uomini tendono per natura al sapere>>, con queste parole iniziano gli scritti metafisici di Aristotele). Sul loro complesso, faticosamente edificato, si fonda poi la Weltanschauung (variabile nel tempo) di ogni essere umano, quando essa è "onesta" (più a buon mercato la scelta dei "conformisti" di prendere in prestito qualcuna di quelle già confezionate, in vendita all'ingrosso in qualunque periodo storico, espressione dello "spirito del tempo" della società alla quale si appartiene). Esse si possono ripartire in tre classi fondamentali.

1 - Le verità di natura che potremmo dire logica8, che in senso kantiano comprendono i giudizi sintetici a priori, su cui si edifica per esempio la matematica, e i giudizi analitici che regolano i processi di deduzione logica, tanto in matematica come altrove9.

2 - Le verità di natura sperimentale, ovvero, ancora in senso kantiano, i giudizi sintetici a posteriori, che vengono desunti dall'osservazione della "realtà materiale"10. Esse consistono sostanzialmente nella descrizione di processi naturali che si ripetono identici nelle medesime condizioni, e nella formulazione di "leggi" generali che sono determinate attraverso un procedimento d'induzione, dei cui limiti epistemologici bisogna sempre essere consapevoli.

3 - Le verità di natura storica, che attengono anch'esse al campo dei giudizi a posteriori, con la differenza che si tratta di fenomeni unici, non (almeno esattamente) ripetibili11, oggetto esclusivamente di racconti, testimonianze, destinati alla "memoria".

E' chiaro che nella presente circostanza dobbiamo esaminare eventuali verità della terza categoria, che offrono gravi difficoltà di accertamento all'investigatore12, e impervi ostacoli di trasmissione interpersonale (intervenendo qui, inoltre, gli ordinari inevitabili fraintendimenti linguistici: le language est source de malentendus, come rammenta Saint-Exupéry in Le Petit Prince), ma non per questo possono essere espunte dall'ambito di ciò a cui è lecito attribuire le specificazioni "vero" o "falso". Se è arduo tracciare una netta linea di demarcazione tra "fatti" e "discorsi sui fatti", i primi restano in ogni caso gli elementi essenziali della trama costitutiva della storia, e con essi bisogna fare i conti - obbligo che vale pure per i mistificatori, gli esperti in disinformazione. Tutti i "creatori di storie" agiscono di solito innestando elementi fantastici su quelli reali, e favorendo resoconti ad arte parziali, che consentano le desiderate interpretazioni di comodo. Rimangono però, intorno a un evento realmente verificatosi, e significativo al punto da provocare conseguenze, una serie di concomitanti evidenze, indizi (vedi la nota 12), ed è lecito allora anche "accontentarsi" di poter solo intravedere la verità. Bernard Fay (nella Prefazione a La Franc-Maçonnerie et la révolution intellectuelle du XVIIIe siècle, Ed. de Cluny, Parigi, 1935), scrive che è possibile soddisfare <<la passion de comprendre>> dal momento che <<les hommes n'ont pas détruit tout ce qu'ils croyaient détruire ni caché tout ce qu'ils voulaient dissimuler; ce désordre permet a l'historien d'entrevoir parfois la vérité>>. Così, in questo senso, quando sia naturale presumere un deliberato intervento correttore dell'uomo sulla semplice verità fattuale, il lavoro dello storico può assomigliare a quello del decifratore: il suo compito è di separare il grano dal loglio, di scavare nelle zone d'ombra, sospette al pari delle zone di luce eccessiva, pervenendo semmai a individuare un ventaglio di ragionevoli alternative, e a descriverne la maggiore o minore probabilità. Un apprezzabilissimo esempio dell'applicazione di tale metodo ci sembra offerto da Flavio Barbiero, nel suo ottimo La Bibbia senza segreti, per il quale rimandiamo senz'altro alla presentazione che ne fu fatta in Episteme N. 2.

Di fronte alle verità del terzo tipo si riscontra un ampio spettro di atteggiamenti. E' frequente oggi imbattersi, specialmente in ambito accademico, in "scettici" part time, che si mostrano dubbiosi dello stesso concetto di verità storica13, ma non di quelle (e quindi dei connessi "giudizi di valore") che costituiscono il fondamento incriticabile (se non a prezzo di sgradevoli contestazioni) della società a cui appartengono. Ci piace concludere il presente intermezzo accennando al parere più accettabile, e "umano", espresso da Marguerite Yourcenar ("Taccuini di appunti" per le Memorie di Adriano, 1971): <<Tutto ci sfugge. Tutti. Anche noi stessi. La vita di mio padre la conosco meno di quella di Adriano. La mia stessa esistenza, se dovessi raccontarla per iscritto, la ricostruirei dall'esterno, a fatica, come se fosse quella d'un altro. [...] Il che non significa affatto, come si dice troppo spesso, che la verità storica sia sempre e totalmente inafferrabile; accade della verità storica né più né meno come di tutte le altre: ci si sbaglia, più o meno>>.

Fatta tale indispensabile premessa, torniamo al punto fondamentale dell'analisi di Sebasti, che viene rafforzato nella recensione del Dott. Papi da una citazione di Sir Arthur Conan Doyle14, il creatore del celebre personaggio di Sherlock Holmes: <<O si ammette che i fatti sono tali e quali quelli riportati, o la possibilità di accertare i fatti per mezzo della testimonianza umana deve essere abbandonata>>. Occorre in effetti affrontare senza mezzi termini la questione della "verità" dei voli (e conseguentemente del relativo "contorno", incluse le presenze "diaboliche" che perseguitarono il santo, e ricordano tanto, nella loro fenomenologia, un'analoga storia moderna, pure ambientata in Puglia: ci riferiamo ovviamente alle gesta del venerato Padre Pio, opportunamente menzionato nella recensione del Dott. Papi), e formulare talune ipotesi.

La prima alternativa con cui ci sembra legittimo rispondere all'interrogativo di Sebasti, è del tutto radicale: non è affatto assurdo pensare a un trucco esplicito, ancorché da determinare nei dettagli, simile al numero della corda indiana ricordato dal Dott. Papi. Un trucco messo in atto le prime volte dietro suggerimento, forse, di quell'oscuro personaggio che è il padre Antonio da Santo Mauro, provinciale dei Minori Conventuali (p. 35)15. Una magnifica trovata, realizzata probabilmente solo poche volte, e facilitata dalla lontananza del santo dalla folla dei credenti. Al resto avrebbe potuto contribuire, al di là delle primitive intenzioni (limitate a un ristretto ambito locale), il noto meccanismo di produzione e sviluppo delle "leggende metropolitane", oltre ai modi di fare propri del frate - da immaginare più nel ruolo di vittima, data la sua debole personalità, che di protagonista. Un espediente di cui naturalmente non ogni componente delle gerarchie ecclesiastiche era al corrente, né sarebbe stato consapevolmente accettato, in una molteplicità di reazioni e di complicità (le une e le altre facilmente prevedibili da parte di chi era al corrente, o indovinava, la realtà dei fatti) che spiegano passabilmente certi comportamenti all'apparenza incoerenti (ma appunto di diversi soggetti, ancorché ad essi si faccia riferimento con l'unico termine: "Chiesa"). Non va dimenticato infatti che nella vicenda del "santo volante" non tutto è propriamente innocente. Tralasciando la presumibile esistenza in generale di differenti strategie all'interno della Chiesa del tempo, volte a contrastare le tendenze materialistiche, antireligiose, dell'età dei lumi - esigenze che avrebbero potuto in qualche caso far balenare la possibilità di un uso ideologico dei fenomeni miracolosi che si accompagnavano alla vita del santo - è accertato anche, almeno in un caso, un uso politico di essi. Vediamo in che modo riporta gli eventi il Sebasti.

<<Giovanni Federico di Sassonia [...] era particolarmente corteggiato dalla Santa Sede in vista di una possibile conversione che avrebbe dato notevole lustro al partito cattolico della Bassa Sassonia. Non per nulla il cardinale Facchinetti scrive al nostro frate annunciandogli che il duca, in occasione dell'Anno Santo 1650, sarebbe andato a Roma e che per parte sua avrebbe fatto di tutto per condurlo ad Assisi. Il porporato si raccomanda affinché Giuseppe si adoperi per la sua conversione e conclude testualmente: "Il Principe che dev'essere la sua pecorella è già a Roma...">> (duca o principe, per i nostri scopi è lo stesso).

Come andò a finire questa storia è presto detto.

<<Durante la seconda messa, il duca assiste a uno spettacolo sconvolgente: alla consacrazione Giuseppe, tenendo alta l'ostia tra le mani, si solleva da terra. Il "duro" Giovanni Federico di Sassonia cade in ginocchio sciogliendosi in lacrime: rimarrà devotissimo al nostro frate per tutta la durata della sua vita e del suo regno>>.

Peccato però che non tutto il seguito del duca fosse toccato dal "miracolo", ed evidentemente sospettasse la presenza di qualche intrigo.

<<Va ricordato tra l'altro che il suo [del duca] accompagnatore, l'intransigente consigliere marchese Reolcan, aveva deciso di uccidere di sua mano quel "maledetto frate". Ma gli andò male: Giuseppe "sentì" il pericolo e ne parlò al principe, che punì severamente il suo suddito>> (come non ci è dato sapere; pp. 66 e segg.).

L'utilizzazione ideologica dei <<fenomeni aerei>> (e di conseguenza la presumibile medesima origine) è stata verosimilmente respinta in quanto imbarazzante per la maggioranza delle coscienze degli stessi componenti della gerarchia ecclesiale romana del XVII secolo, e ciò sembra capace di rendere adeguatamente conto dell'oblio altrimenti inspiegabile a cui è stato condannato questo santo "moderno". Il <<sospetto silenzio>> al quale accenna il Dott. Papi, che il Sebasti descrive con le seguenti parole:

<<mi incuriosì il fatto che, al di fuori dei confratelli del suo Ordine, e lontano dai luoghi strettamente legati al suo culto, essa fosse così poco nota>> (p. 5); <<Condannato due volte, prima all'allontanamento dall'"umano consorzio", poi all'oblio, la figura di questo grande santo sembrava inevitabilmente legata a una progressiva emarginazione. Ma ora, all'alba del nuovo millennio, l'oscuramento si sta rivelando una semplice eclissi>>, (p. 117).

Una storia presumibilmente troppo anacronistica per la stessa parte cattolica maggiormente informata dei fatti, e culturalmente più aggiornata, la quale avrebbe deciso che sarebbe stato quindi preferibile sorvolare, è proprio il caso di dire.

<<Un mostruoso complotto, una truffa organizzata>>, ammonisce Sebasti, ma bisogna riconoscere che infinito è purtroppo il numero degli stolti16, e corrispondentemente elevato il numero di coloro che in ogni tempo di tale "stoltezza" (talora uno stato di beatitudine non pensante, un rifugio deliberatamente prescelto dalle angustie del mondo) hanno inteso approfittare. Si minimizzano a volte gli effetti di certe invenzioni, contrabbandate come aventi fini comunque benevoli, trascurando il fatto che potrebbero avere invece conseguenze da biasimare decisamente, seppure non sempre esse siano immediatamente visibili17.

Del resto, la creazione di leggende a beneficio della credenza popolare è un fenomeno ancora oggi sotto i nostri occhi18, bastino per tutte le storie di Padre Pio19, o di Monsignor Milingo20. Vogliamo accennare a un altro caso interessante su cui vale la pena di rendere testimonianza personale a distanza di molti anni. Intorno al 1980 (non ci è possibile purtroppo essere più precisi), girava in taluni ambienti mistico-esoterici la voce che un fenomeno solare prodigioso come quello che si dice avvenuto a Fatima, in occasione delle famose apparizioni mariane del 191721, si sarebbe ripetuto presso il Santuario della Madonna delle Tre Fontane, a Roma. Mi recai allora sul posto, di buon mattino, assieme a un caro amico dalla fervida fede22. Mano mano convennero in loco diverse persone, infine una piccola folla. Tra una conversazione e l'altra passarono le ore, e non mancavano previsioni sul momento in cui l'atteso fenomeno si sarebbe verificato: chi diceva a mezzogiorno, chi proponeva un'ipotesi differente. Insomma, per farla breve, rimanemmo lì fino al tramonto, quando i convenuti più resistenti cominciarono gradualmente a fare ritorno a casa. Nulla avvenne, e non solo non ne ebbi percezione io, ma neppure l'amico, né qualcuno sostenne di vedere qualcosa che ad altri non era dato scorgere. Orbene, messa agli atti questa ulteriore delusione nel campo del "prodigioso", mi accadde di leggere su un quotidiano, o l'indomani, o poco dopo (di nuovo, purtroppo non rammento bene i particolari), che il giorno tal dei tali, alle Tre Fontane, si era ripetuto il prodigio di Fatima: il sole aveva ruotato, etc.! Una "piccola" bugia, confinata in una breve nota marginale, forse a vergognarsi di se stessa sin dal suo nascere (per far piacere a chi?!), ma capace comunque di circolare e confondere, al punto da far ritenere alla persona con la quale mi ero trovato a vivere l'evento, che forse qualcosa era davvero avvenuto, e che per qualche motivo non ce ne eravamo resi conto; in una parola, fu indotto a dubitare della sua stessa diretta esperienza ed intelligenza, una delle cose peggiori che possano capitare a un essere umano.

Non è pertanto sorprendente che di simili indubitabili favole siano costellati anche i racconti della vita del santo da Copertino23. Storie di cui la mentalità moderna sorride, ma non dovrebbe (quante persone sono state ingannate attraverso di esse?), e il Sebasti sembra viceversa deliziarsi (<<Sentite alcuni di questi incantevoli fioretti>>, p. 32), a riprova del carattere niente affatto razionalistico dell'opera in discussione. Citarne una (che coinvolge addirittura la resurrezione dalla morte, ancorché in tono "minore": inventare di più sarebbe stato forse troppo ardito24) basterà per tutte, come esempio del livello di assurdità nel quale ci troviamo qui immersi.

<<Un giorno scoppia un temporale spaventoso, un diluvio dalle proporzioni mai viste [...] Con grande disperazione dei pastori un intero gregge di pecore è travolto dalla furia degli elementi e le povere bestie vengono ritrovate giacenti a terra, stecchite. Le grida dei pecorai arrivano all'orecchio del santo che si precipita sul posto, e dopo averli consolati, si inginocchia per alcuni istanti raccogliendosi in preghiera. Terminata la quale, ordina alla pecorella che gli sta più vicino di alzarsi, e quella subito si alza. Poi fra [sic] Giuseppe si rivolge alle altre, e ad una ad una comanda loro la stessa cosa, finché tutte le bestiole non sono tornate a pascolare tranquillamente>> (p. 33)25.

Ammettiamo senza esitazione che nulla nasce da nulla: l'invenzione dei voli non può avere la medesima origine di quella dei fioretti, che si aggiungono verosimilmente a qualche altro fenomeno sorprendente e non interamente fantastico (semmai, manipolato). Ripetiamo che, in ogni caso, rimane difficile portare avanti un'analisi razionale tra tante mistificazioni. Infatti, alla naturale confusione dei pasticcioni, degli imprecisi (un numero percentualmente ragguardevole, come lo scrivente può testimoniare dopo 40 anni di esami in una materia riservata a pochi appassionati quale la matematica), si aggiunge spesso la menzogna costruita ad arte. Talora, si diceva prima, a fin di bene, talora ispirata invece da smania di protagonismo, o da soggezione verso l'autorità26. Bugie a buono o a caro mercato, sulle quali si instaura poi il noto "effetto valanga". Eppure, la menzogna è nettamente la faccia opposta della verità, dove c'è l'una (per lo meno nelle intenzioni) non ci può essere l'altra, e contro di essa tuona chiaramente lo stesso testo di riferimento, il Vangelo, di molte delle persone di cui ci stiamo, direttamente o indirettamente occupando:

<<Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità>> (Giovanni, 8, 43-45).

Non si fa una casistica, non si stilano elenchi di eccezioni, non si introducono diversi ordini di bugie, "veniali" e "mortali"; non si dice che sono concesse menzogne "benefiche" (e sottolineiamo ciò anche senza voler arrivare a proporre l'integralismo di Kant, o di Croce, al riguardo).

La seconda ipotesi che vogliamo tratteggiare - e ci sembra esaurisca il campo delle spiegazioni razionali: tutto il resto è, per definizione, irrazionale27 - è ispirata dall'opportunità di evitare il nominato pathological disbelief. Se si ammette che qualcosa di straordinario possa essere accaduta, bisognerebbe allora ricercarne le cause "naturali", nel tentativo di descriverla e comprenderne precisamente le modalità (quanto meno da parte dello stesso protagonista, di cui deve essere però accertata l'assoluta onestà, oltre che "intelligenza" - è un peccato che i "testimoni", che godono di tanto credito presso Sebasti, non avessero manifestamente quella che oggi si dice una "mentalità scientifica"), e cercare di ripetere, nei limiti del possibile, il fenomeno. Tale assunto esclude - in linea di principio - l'intervento capriccioso e indispensabile di una "volontà superiore". Si può soltanto convenire che alcuni fenomeni potrebbero essere prodotti da un'interazione uomo-materia, ancora sconosciuta fino al momento attuale, e in effetti assai dubbia in ordine alla sua stessa esistenza28. Infatti ciò che è nelle capacità di un uomo, deve essere nelle capacità di un altro. Il miracolo viene descritto, nel citato "I nemici del miracolo", come <<fatto sensibile, che supera tutte le forze e le leggi della natura>>, una definizione che è quindi, a un primo livello di interpretazione, intrinsecamente relativa alla nostra conoscenza di dette forze, e delle leggi della natura che le regolano. Un miracolo sarebbe allora un evento del tipo che abbiamo detto storico, inspiegabile in un dato periodo secondo le teorie accettate sulla "natura" (dal punto di vista della fisica unifenomenica cartesiana, potremmo specificare: materia ed energia, ossia materia in movimento), e le sue conosciute (o ipotizzabili) manifestazioni. Si può intendere naturalmente la definizione in un senso più esteso, per non correre il rischio di dover introdurre l'intervento di una "divinità" per rendere conto dei fulmini: ovvero, un miracolo sarebbe un fenomeno la cui spiegazione superi potenzialmente tutte le leggi di natura, sia quelle note quando il fatto si constata, o se ne parla, sia quelle che si può immaginare saranno possibilmente note in futuro. Un evento che trascenda cioè qualsiasi possibilità "concepibile" della res extensa, e che pertanto per essere spiegato richieda una voluntas (res cogitans) capace di intervenire nella materia e sulla materia. Viste le cose da tale prospettiva, i miracoli sarebbero allora sotto i nostri occhi quotidianamente: ogni deviazione dall'ordine naturale provocata dall'azione dell'uomo, rispetto a ciò che sarebbe viceversa accaduto senza che un'esplicita volontà contraria lo avesse impedito. Ma è chiaro che conviene evitare fraintendimenti linguistici, e continuare a riservare al termine miracolo una qual certa "straordinarietà", e qui è ammessa l'incredulità a priori, fino cioè a prova contraria. In altre parole, l'unico atteggiamento razionale da assumere sembra essere quello detto di San Tommaso, ovvero l'osservanza del principio: crederò solo quando avrò visto e toccato personalmente con mano, e quando avrò constatato, al di là di ogni ragionevole dubbio, di non essere caduto vittima di un inganno, sia pure solo dei miei sensi29.
 
 




Note


 














1 - Età che arrivano sino alle soglie dell'era moderna. Per esempio Emilio Michelone (Il mito di Cristoforo Colombo, Varani Ed., Milano, 1985), nel formulare l'ipotesi che Cristoforo Colombo non sia mai esistito, sostiene che la sua "invenzione" potrebbe essere frutto di <<un'assoluta minoranza di scribacchini colti osservanti delle prescrizioni religiose prima che del reale>> (p. 18). La situazione sembra oggi cambiata, almeno nella tecnologicamente progredita civiltà occidentale: i fatti si possono interpretare (fino a creare ossimori quali "soldati di pace"), ma non sembra altrettanto facile costruirli ex nihilo. Però, proprio mentre esprimiamo questa opinione, confessiamo di nutrire qualche dubbio al riguardo, esattamente in virtù di quella sofisticata tecnologia che può essere messa al servizio di pochi.

2 - Galileo risulta presente a Loreto nel 1618 e nel 1624 (cfr. per esempio:
http://www.conchigliaverde.it/html/loreto.htm), e nello stesso anno 1624 pare sia passato nella cittadina marchigiana anche Cartesio, per adempiere a un voto fatto alcuni anni prima (fonte: Adrien Baillet, Vita di Monsieur Descartes, Adelphi, 1996). Ciò costituisce un problema nel problema, sia in forza dell'incredibile coincidenza cronologica (i due grandi esponenti del cosiddetto "secolo dei geni" si sono incontrati?), sia perché appare inverosimile, almeno secondo l'opinione dello scrivente, supporre siffatto zelo - esprimente una forma speciale di religiosità - tanto nell'uno quanto nell'altro. Si vedano al riguardo la nota N. 45 in "La scienza come strumento ideologico - Il caso Galilei e la falsificazione della cosmologia tolemaica", Episteme N. 4, e "Alle origini della modernità: il programma di ricerca cartesiano..." (in http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/st/ARTMOSCH.htm). Per ciò che concerne in particolare un'eventuale "devozione mariana", possiamo completare l'informazione fornita nella citata nota aggiungendo che nei grossi 19 volumi dell'Edizione Nazionale delle Opere di Galileo non si trova nominata mai, nemmeno per sbaglio, la madonna, né come vergine, o Maria, o madre di Dio, etc.! C'è da chiedersi quali saranno state allora le più autentiche motivazioni dei due "pellegrinaggi", e per avere un'idea di una possibile pista sulla quale sarebbe interessante indagare, rimandiamo alla pagina web: http://www.dimoradeisaggi.it/accademie.htm, dove si sostiene che la <<Madonna Santissima di Loreto>> veniva eletta in zona a protettrice di "Accademici" devoti alla <<Vergine Nera>>, e alla <<prodigiosa traslocazione della Santa Casa a Loreto>>. <<La vergine nera, deità criptica del culto pagano, veniva venerata nelle parti più oscure e nascoste del Tempio, in quanto simbolo della madre terra prima di essere fecondata dal Sole>>. Questo quadrerebbe tra l'altro con la curiosità - più che legittima - di Cartesio nei confronti delle "società segrete", e delle loro pretese conoscenze riservate. E' noto per esempio che egli andò alla ricerca dei Rosacroce (intorno al 1620), ma che ebbe poi a definire tali esperienze in modo da ispirare il seguente commento al suo primo biografo (il nominato Baillet): <<Egli [...] professava apertamente il suo disprezzo generale nei confronti dei sapienti, poiché non ne aveva mai incontrato uno veramente tale>>.

3 - In sede di presentazione del commento di Roberto Germano, "Silvano Fuso, divulgatore a modo suo".

4 - Da Age of Reason (1794-1796), http://www.ushistory.org/paine/.

5 - Ancora secondo Thomas Paine (loc. cit.): <<The most formidable weapon against errors of every kind is Reason. I have never used any other, and I trust I never shall>>.

6 - Ciò che una "metafisica razionale" dovrebbe comunque escludere è una rappresentazione di un Dio crudele, di umore variabile, etc., che si diverte inspiegabilmente a intervenire nel mondo facendo volare un povero "idioto" pugliese, o dandogli una mano, come vedremo, a far risorgere pecore. Meno ridicolo, quantunque ancora lontanissimo da un'immagine accettabile, il Signore dispotico e barbarico dell'Antico Testamento, un'invenzione dei "popoli del deserto" a perfetta somiglianza dei loro capi tribali (il che fa venire in mente un'"inversione" della citazione di Paine di cui in epigrafe: un uomo crudele inventa un Dio crudele, e uno stupido inventa un Dio stupido - e la circostanza appare essere all'origine di un processo di feedback niente affatto virtuoso). Critichiamo qui una concezione di Dio <<teologicamente mostruosa, deformata dal più primitivo antropomorfismo>> (Aldo Spranzi, Anticritica dei Promessi Sposi, EGEA, Milano, 1995, p. 827), anche se non consideriamo l'antropomorfismo una pècca in sé, ma solo nella misura in cui riferisce a "Dio" una natura simile a quella peggiore dell'uomo (la sua "parte animale"). Ci sembra opportuno rammentare a tale riguardo il libro di Bruno Franchi, Siamo Dio (http://space.tin.it/io/brufran), presentato in Episteme N. 4 (sezione "Pubblicazioni e informazioni ricevute"): <<Un inconsueto e interessante saggio filosofico in forma di dialogo, ispirato alle concezioni di Wilhelm Reich, la cui finalità ultima è di persuadere che: "Siamo qui per ricordare di essere Dio">>.

7 - Ibidem.

8 - Qui naturalmente la specificazione "logica" appare in un ambito più ampio di quello tradizionale, dove il termine viene usato sostanzialmente, ancora in un contesto kantiano, in relazione ai soli giudizi analitici.

9 - In Willem Kuyk, Il discreto e il continuo, 1977 (ed. it. Boringhieri, 1982, Prefazione) si trova riportato che: <<Il mio vecchio professore, il defunto E.W. Beth [Autore di un enciclopedico The Foundations of Mathematics, NdR] affermava spesso che se soltanto i giuristi e i politici e, più in generale, gli studiosi delle artes humaniores si sforzassero di pensare maggiormente in termini di logica matematica (e formale), il mondo sarebbe un posto migliore per viverci>>.

10 - Ovvero, la res extensa, che si trova al di "fuori" dello spirito dell'uomo, il quale appartiene per contro al campo della res cogitans, almeno in prima approssimazione. Per Kant la "realtà materiale" costituisce il fenomeno, dal momento che in ogni caso essa è percepibile soltanto attraverso la mediazione delle forme pure dell'intelletto, spazio e tempo.

11 - In tale senso, anche la teoria del big-bang, pur se elaborata da fisico-matematici, quindi da "scienziati", appartiene alla terza categoria, e non alla seconda, né tanto meno alla prima, e se si volesse si potrebbero qui distinguere due sottocategorie, quella delle verità storiche che concernono gesta umane (le vere e proprie "narrazioni"), e quelle che esulano invece da tale ambito. Sembra per queste seconde intervenire un processo di abduzione, ossia di deduzione a ritroso, ma un approfondimento della questione ci porterebbe troppo lontano, al di là dei limiti del presente commento.

12 - Il termine e' del tutto adeguato, in quanto la ricerca storica ha spesso le caratteristiche di un'indagine poliziesca, la quale pure tende ad accertare la verità su fatti storici, ancorché "minori", riguardanti cioè un numero esiguo di persone. Per ulteriori riflessioni sulla necessità del metodo indiziario nella ricerca storiografica, si veda: http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/st/indiz.htm.

13 - Rilevando così l'ovvio lato soggettivo di ogni tentativo di storiografia, come messo bene in evidenza da Hegel: <<E' giusto esigere che la storia, quale ne sia l'argomento, racconti i fatti senza parzialità, senza pretendere di avvalorare interessi o scopi particolari. Ma tale esigenza è un luogo comune che approda a ben poco, giacché la storia di un argomento è necessariamente collegata in modo strettissimo all'idea che ci facciamo di esso. Questa fissa già in precedenza che cosa si considera importante e conveniente per l'argomento prescelto, e siffatto rapporto tra quanto è accaduto e lo scopo che ci proponiamo porta seco la selezione dei particolari da raccontare, il modo d'interpretarli, i punti di vista sotto i quali collegarli>> (Lezioni sulla Storia della Filosofia). Ci piace in tale contesto citare anche le interessanti riflessioni del Prof. P. Emmolo: http://www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=2137.

14 - Conan Doyle è da ricordare, nel presente contesto, per la sua passione per il "paranormale", e per le mistificazioni in cui si è trovato, involontariamente, invischiato.

15 - Sulla scorta, non va dimenticato, ce ne rende edotti il Dott. Papi, di un prototipo del genere nello stesso ordine francescano: <<In un affresco del ciclo iconografico giottesco della Basilica Superiore di Assisi (il dodicesimo dei 28 riquadri complessivi, situato sulla grande parete di sinistra rispetto all'ingresso) S. Francesco viene rappresentato rapito in estasi mentre si solleva in una sorta di nube infuocata>>. Trascuriamo qui una differenza su cui invece insiste Sebasti, tra volo e levitazione, dal momento che i fenomeni ci sembrano comunque assai simili, ed entrambi incredibili al punto da dover essere accolti con particolare cautela, se non vogliamo dire sospetto. La distinzione poi sarebbe non sempre agevole, poiché almeno quanto accaduto davanti agli occhi di Giovanni Federico di Sassonia (presto se ne parlerà), appare un caso di semplice levitazione.

16 - Un "dato di fatto" comunque non necessariamente immutabile, almeno per chi crede in un "progresso" dello "spirito decaduto". La locuzione proviene da Erasmo da Rotterdam (Elogio della Follia, Cap. 63 - La Sacra Scrittura esalta la pazzia; vedi per esempio:
http://www.cronologia.it/storia/biografie/erasmo03.htm), il quale rimanda per essa, ma in modo non letterale, a Ecclesiaste, 1,15 (il passo in questione è infatti reso nelle traduzioni correnti, come: <<Ciò che è storto non si può raddrizzare e quel che manca non si può contare>>).

17 - Per citare ancora Paine (ibidem): <<All national institutions of churches, whether Jewish, Christian or Turkish, appear to me no other than human inventions, set up to terrify and enslave mankind, and monopolize power and profit>>. Bisogna stare bene attenti a non offrire fondamento a tale genere di critiche qualunque sia la nostra azione nella società (cioè, non necessariamente in una delle chiese storicamente affermatesi nella parte di mondo in cui viviamo).

18 - Quando si parla di fenomeni "straordinari" si sottolinea usualmente che il loro numero è diminuito, dato che nell'era della documentazione globale una telecamera svela impietosamente i più reconditi trucchi, al punto che negli stessi spettacoli di magia appare ormai opportuno gettarla sul piano dell'ironico. Ciò non toglie che le fantasticherie con cui una parte della popolazione si abbevera vengano create ancora oggi, con meccanismi che, in casi "storici", dovrebbero essere oggetto di corrispondente approfondita analisi, e di conseguente motivata condanna.

19 - Gira tra l'altro voce che il cuore di Padre Pio si senta ancora battere attraverso il marmo del sepolcro; è sottinteso però che per poterlo ascoltare bisogna essere fervidi credenti e non persone prevenute dalla fede debole (e chi ammetterà di esserlo, in determinati contesti, come accade nella celebre fiaba dei vestiti dell'imperatore?).

20 - Chi scrive queste righe ha assistito di persona a uno dei raduni di infelici (tra i quali molti curiosi) imploranti una grazia dal "toccato dal Signore", e nell'occasione ha notato l'intervento di individui sospetti, che interpretavano manifestamente un ruolo preordinato. Non è detto che lo stesso Milingo, palesemente attorniato da "strani" tomi, ne fosse a conoscenza: forse crede davvero ai suoi "poteri", quanto meno potrebbe essere certo della sua "fede", non lo mettiamo in dubbio.

21 - Si veda per esempio in http://xoomer.virgilio.it/elia1960/44.htm una critica da parte "ortodossa"; una critica da parte "protestante" si trova invece in: http://evangelici.altervista.org/maria.html. In quest'ultimo sito si parla esplicitamente, per quanto riguarda le apparizioni di Medjugorje (1981), di <<frod[i], perpetrat[e] dai Francescani locali>>, che sarebbero state rilevate dallo stesso vescovo incaricato delle relative "indagini", Pavao Zanic di Mostar-Duvno.

22 - Mi piace, a futura memoria, citarne il nome. Si trattava del compianto avvocato perugino Luigi Clementi, ben noto animatore di incontri e dibattiti nel capoluogo umbro: una personalità sincera ed avvincente, appassionata e colta, ancorché in certa misura impetuosa e disordinata, soprattutto da un determinato punto in poi della sua vita, in seguito ad un grave luttuoso evento.

23 - C'è da sottolineare, peraltro, che lo stesso avviene per ogni "santo", ma non solo: menzioniamo ad esempio gli analoghi miracolosi prodigi ascritti alle capacità del famoso conte di Cagliostro (al secolo Giuseppe Balsamo, nato a Palermo, 1743-1795), che stupirono molte corti d'Europa nel XVIII secolo (e qui ci troviamo ancora più decisamente in "epoca storica", rispetto al caso del povero "idioto"). Per quanto concerne i nostri giorni, si potrebbe forse ricordare il nome del torinese Gustavo Rol (1903-1994), di cui si diceva che: <<Poteva leggere nel pensiero, materializzare oggetti dal nulla, prevedere il futuro, etc.>>, insomma, bagattelle. In termine di nota, ci sembra di fare cosa utile rammentando le opere di Charles Binet-Sanglé citate nella recensione dell'e-book di Gianni Grana, L'invenzione di Dio, in Episteme N. 6, Parte I.

24 - Aggiungiamo che, in relazione al nostro santo, si parla pure, con evidente compiacimento, di guarigioni di ciechi, profezie, lettura del pensiero, etc., insomma, i soliti luoghi comuni presenti nella descrizione di tutte le persone che vengono dette capaci di compiere "miracoli":
http://www.smbsassari.com/personaggi/Giuseppe%20da%20Copertino.htm.

25 - Il Fra' Cristoforo di manzoniana memoria si sarebbe più semplicemente limitato a un severo monito del tipo: "è la volontà di Dio", che deve quindi essere non solo rispettata ma pure apprezzata, suggerendo implicitamente una possibile punizione per qualche colpa commessa: e chi potrebbe obiettare di non averne? Semmai, che non si capisce perché ad alcuni, spesso poveri miserabili, vengano subito contestate, e ad altri no, oppure che, per punire un colpevole, la folgore del giudice si abbatta allo stesso tempo su persone certamente innocenti (ma forse, ripetiamo, secondo talune concezioni innocente non è mai nessuno, sebbene sia stato mondato dal peccato originale con il battesimo). Il famoso "non cade foglia che Dio non voglia" riassume un'ulteriore concezione di Dio che può dirsi addirittura blasfema. Aggiungiamo che il caso di Manzoni potrebbe non essere così chiaro come appare, in conformità a quanto riferito dal citato Aldo Spranzi (nota 6), nella sua corposa e interessantissima Anticritica...: <<Tutto porta in una direzione precisa: il dubbio sulla cattolicità del Manzoni e del suo romanzo; il sospetto di una colossale e quasi imprendibile ipocrisia, di un'impostura>> (p. 822).

26 - Un caso paradigmatico è quello del Prof. Giuseppe Settele, di cui al punto 3-2-3 del "Breve profilo storico della matematica" in http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/mat/profilo3.doc. A parte le interessate testimonianze dei protagonisti, cosa c'è da aspettarsi del resto da storici che, invece di assumere il ruolo di investigatori, di difensori della verità, di smascheramento dei bugiardi, fanno spesso viceversa dell'ipocrisia e del servilismo una dote, o che sono ispirati da una caritatevole misericordia (di origine non solo cristiana), che viene ricondotta al seguente principio (raramente così esplicito): <<La storia ha le sue sacre bende che non è lecito sempre sollevare, ha i suoi claustri reconditi che non ogni piede deve varcare>> (Davide Albertario, "Intorno ad Alessandro Manzoni...", La Scuola Cattolica, giugno 1873; rist. in Otto/Novecento, N. 1, 1984, p. 90).

27 - Del resto, lo stesso Paolo riconosce l'"irrazionalità" della fede cristiana: <<noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani>> (I Lettera ai Corinzi, 1,23). Secondo il citato T. Paine (ibidem): <<It is upon this plain narrative of facts, together with another case I am going to mention, that the Christian Mythologists, calling themselves the Christian Church, have erected their fable, which, for absurdity and extravagance, is not exceeded by anything that is to be found in the mythology of the ancients>>.

28 - Nel Cap. IX ("L'Arca"), del suo ancora inedito Esodo... (vedi Episteme N. 6, Parte I), Lia Mangolini scrive: <<La scienza ufficiale non dà infatti nessun credito ai favolosi resoconti riportati da tavolette babilonesi e antiche fonti arabe, oltre che dai papiri egizi, perché in quelle storie si parla chiaro e tondo di fenomeni di levitazione, apparenti applicazioni dell'antigravità - che qualunque scienziato darebbe un occhio per riuscire a scoprire>>. Tali parole ripropongono il dilemma tra incredulità patologica, che si fonda su una constatata straordinaria capacità di elaborare chimere da parte degli esseri umani, ed eccessiva fiducia in inverificabili resoconti.

29 - L'adesione, più o meno integrale, al punto di vista qui delineato costituisce, ci pare, una delle accuse rivolte a Galileo Galilei dal padre domenicano Tommaso Caccini, quando riferì di una testimonianza di Ferdinando Ximenes, reggente di S. Maria Novella. I <<galileisti>> tenevano per vera l'opinione: <<i miracoli che si dicono esser fatti dai santi, non essere veri miracoli>> (fonte: Ludovico Geymonat, Galileo Galilei, Einaudi, Torino, 1969, p. 102). La circostanza sembra avvalorare l'ipotesi che dietro all'avversione della parte controriformista della Chiesa alla persona e all'influenza dell'illustre scienziato pisano (meno "cane sciolto" di quello che una certa vulgata tende a far ritenere) si potessero nascondere obiezioni teologiche sostanziali che andavano ben al di là della controversia cosmologica sul copernicanesimo. Tale possibilità è ampiamente illustrata nell'interessantissimo saggio di Pietro Redondi, Galileo eretico (Einaudi, Torino, 1983); riteniamo di far cosa utile ai lettori citando pressoché integralmente la presentazione in IV di copertina, anche perché solleva un punto cui Episteme ha dedicato spesso attenzione, e cioè che l'immagine che si ricava dalla storiografia attuale su molti eventi fondamentali della storia moderna appare irrimediabilmente lontana dalla loro reale essenza. <<Con questo libro profondamente, polemicamente innovatore, Pietro Redondi sgombra il campo sia dalla celebrazione laica di Galileo, santificato (reliquie comprese) in età risorgimentale e positivista, sia dagli odierni tentativi di riabilitazione compiuti dall'autorità pontificia. Con una ricostruzione rigorosa l'autore dimostra che Galileo è stato condannato dalla Chiesa per motivi estranei a Copernico, all'esegesi biblica, agli abusi di potere e agli scontri personali col papa. Un documento del 1624 - un documento mai prima cercato - rivela la vera imputazione lanciata segretamente contro Galileo dal Collegio romano dei gesuiti, la più autorevole istituzione culturale della Controriforma. Galileo era stato accusato di violare con le sue idee atomistiche il dogma tridentino dell'eucarestia. La storia della scoperta, nell'archivio romano del Sant'Uffizio, di questo documento decisivo s'intreccia a quella degli scontri (quello di facciata e quello reale) tra Galileo e i suoi avversari. Con la gioia di chi ricostruisce pezzo a pezzo una verità occultata per secoli, l'autore ci conduce attraverso processi, feste, scuole, biblioteche e gallerie; fa rivivere i riti e i sentimenti religiosi; le passioni politiche e intellettuali; i libri e gli uomini. La versione ufficiale si dissolve: e il processo a Galileo, simbolo del conflitto tra scienza e fede, appare in una luce completamente nuova>> (Einaudi, Torino, 1983; rist. 1988). Crediamo al solito di essere utili ai lettori menzionando al termine di questa lunga nota: Bianchi L., "Interventi divini, miracoli e ipotesi soprannaturali nel Dialogo di Galileo", in Potentia Dei - L'onnipotenza divina nel pensiero dei secoli XVI e XVII, a cura di G. Canziani, M.A. Granada, Y. Ch. Zarka, Ed. Angeli, Milano, 2000.