Il Mali, la terra dei Dogon

(Da: http://www.arpnet.it/~cisv/paesi/mali/)

[Ci sembra di far cosa opportuna ai lettori, col proporre il seguente saggio - già apparso presso le Edizioni del Centro Studi La Runa di Chiavari, 1999 - ad ampia integrazione e commento dei due precedenti.

Si fa presente che qui, come in altri articoli, la versione in rete è semplificata rispetto alla versione a stampa; nel caso presente sono state per esempio traslitterate parole scritte nella redazione originale in caratteri arabi od ebraici. Nonostante ciò, si può rilevare ancora qualche difficoltà di lettura di altri caratteri speciali.

In ogni caso, sia qui che nella versione a stampa, nella trascrizione in lettere greche, per meri motivi tipografici, sono stati omessi accenti e spiriti]
 
 


LA SCANDINAVIA E L'AFRICA

(Bruno d'Ausser Berrau)



Nel ragguardevole lavoro di Felice Vinci "Omero nel Baltico",1 inteso a dimostrare come le vicende degli Achei abbiano avuto quale scenario, piuttosto che il Mediterraneo, una ben più settentrionale collocazione in terre e mari che vanno dal Nord Atlantico al bacino baltico, c'è2 la scoperta che i versi:
 
 

All'o men AiqiopaV metekiaqe thloq ''eontaV

AiqiopaV , toi dicqa dedaiatai, escatoi andrw n,

oi men dusomenou UperionoV , oi d 'aniontoV 3


Ma se n'andò Poseidone fra gli Etiopi lontani,

gli Etiopi che in due si dividono, gli estremi degli uomini,

quelli del sole che cade e quelli del sole che nasce4



Trovano un singolare riscontro nella presenza nel Nord dell'attuale Norvegia di un grande fiordo - il Tanafjorden - estuario a sua volta di un omonimo fiume, che si getta nel Mar Glaciale dopo aver avuto un corso Sud/Nord. Questo toponimo rimanda inevitabilmente al grande lago tra le Ambe senza perdere, in tal modo, la congruenza della tipologia geografica, sia perché gli scandinavi debbono aver sempre vissuto i rapporti rivieraschi, tra quei profondi bracci di mare, più in una Stimmung lacustre anziché marittima, sia perché - in un remoto, comune ambito linguistico ellenico - l'attribuzione del nome potrebbe esser venuta, in tutta naturalezza, da tanaoH, disteso, lungo, ampio; cfr. il nome greco del Don (e questo poi da quello): TanaiH . Un senso dunque, che ben si adatta a tutti e tre i casi: i due fiumi ed il fiordo.

Lo studio attento delle mappe - e in questa circostanza mi è stata utile una riproduzione al 400.000 dell'estremo Nord della Norvegia - fornisce però ulteriori sorprese: Omero ci dice che <<gli Etiopi … in due si dividono … quelli del sole che cade e quelli del sole che nasce>>. Ebbene, parallelo al Tana c'è il Laksefjorden: entrambi, con il loro andamento, determinano la penisola di Nordkinhalvøya. Questa, in alto, viene profondamente tagliata da due fiordi più piccoli, aventi l'ingresso nei due solchi principali e così conseguendo una contrapposizione secondo un asse Ovest/Est: l'incisione è tanto netta e profonda da far sì che, a collegare le due parti della penisola, non rimanga altro che un sottile istmo.5 Il nome del solco occidentale (<<quelli del sole che tramonta>>) è Eidsfjorden, l'altro (<<quelli del sole che nasce>>) è chiamato Hopsfjorden: Eid-Hops dunque. Se si pensa che l'etnonimo viene da aih i@R , si rimane stupefatti ed è molto difficile attribuire il tutto alla casualità di qualche assonanza. Mentre la sequenza di lettura nella toponomastica e la concordanza con il testo dell'Odissea perfettamente si corrispondono, i due termini del composto appaiono invertiti nel nome del piccolo centro, che sorge proprio sull'istmo: Hopseidet. A mio parere questo è avvenuto perché le popolazioni germaniche, sopravvenute nell'area scandinava dopo la migrazione achea, avevano perso cognizione del reale significato della parola, conservando soltanto una vaga coscienza della necessità dell'assemblaggio. Tanto più che il nuovo composto non suonava del tutto privo di senso nel nuovo contesto linguistico; tolto il suffisso locativo -et, si ottiene un curioso riferimento all'avifauna nordica: l'edredone (-eid) che saltella (Hops-). Quest'inversione dei componenti - nella fattispecie rispetto ad un originario aih i@R- è fenomeno assai comune dell'interpretatio vulgaris, specialmente quando, nella lingua succeduta alla precedente, si venga in tal modo ad ottenere un nuovo, comprensibile e qualche volta, accettabile significato: in un'area toscana, già sede di arimannie (ari-mann) longobarde è presente, con significativa frequenza, il cognome Mannari6 (mann-ari) ed ancora, sempre nella stessa zona ma attribuito in modo assai incongruo alla cima di un colle: Valberga. Visto dunque che la valle non c’è, sarebbe sembrato più ragionevole Bergwald, ma tutto si spiega con Wald (bosco), ancora testimoniato, sulla cima, da una modesta copertura di querce e pini.

Verificata questa corrispondenza, che per la sua precisione ci permette di mettere in relazione gli abitanti di due continenti, sorge ora qualche problema sulla reale natura di quel popolo.

Gli AiqiopaV traggono con immediatezza il loro nome da aiqiopy, dove aiq(w ) è "bruciare" e oy"faccia", ovvero "faccia bruciata" e questo parrebbe far propendere per un'appartenenza alla razza nera ma l'etnonimo <<…ait jamais été appliquée aux pays habités par des peuples appartenant proprement à la race noire>>.7 In effetti, benché strano ciò possa sembrare, gli Etiopi si definiscono "rosei"8 e tali si rappresentano nell'iconografia tradizionale. Per complicare le cose, <<…les anciens donnèrent en fait le même nom d'Éthiopie à des pays très divers>>9 in particolare all'India ma - oltre al luogo normalmente noto con tale nome - <<…l'Atlantide elle-même, dit-on, fut aussi appelée Éthiopie>>.10

A questa luce, ci appare assai enigmatico un riferimento geografico di Virgilio; è nei versi nei quali si manifesta la disperazione di Didone per la fuga di Enea:11
 
 

Oceani finem iuxta solemque cadentem

Ultimus Aethiopum locus est, ubi maximus Atlans

Axem umero torquet, stellis ardentibus aptum …


Presso le rive d'Oceano e il sole cadente

c'è l'ultimo lembo d'Etiopia, dove il massimo Atlante

regge a spalla a spalla la volta d'ardenti stelle preziosa …



Ma torniamo a ciò che ci suggerisce l'etimo: laÖaidh12 ha il senso d'un luogo dove si fa fuoco. Infatti, ne derivano ædes che, in una specifica accezione, è anche un tempio Ædes Vestæ. Poi naturalmente æstus ma anche, in senso più ampio, Æstas e - con un ancor più indiretto riferimento al ribollire delle acque - æstuarium; il che può, di nuovo, far pensare al Tanafjorden, estuario dell'omonimo fiume. Il derivato però più significativo della radice è, a mio parere, l'etere, aiqhr, che nelle dottrine tradizionali non è soltanto la fons prima dei quattro elementi (la quinta essentia alchemica) ma, superando l'ambito cosmologico, proprio per questo suo ruolo, può - per analogia - essere preso tout court a simbolo del Principio stesso. Nell'Induismo, infatti, il centro vitale dell'essere umano è considerato risiedere nel più piccolo ventricolo del cuore <<… in questo soggiorno di Brahma c'è un piccolo loto, una dimora nella quale è una cavità occupata dall'Etere; si deve cercare ciò che è in questo luogo e Lo si conoscerà>>.13 Chi, dunque, avrà realizzato questa "conoscenza del cuore"14 sarà nella luce del Sol Spiritualis e "bruciato" da quel fuoco superiore che è l'Etere del Cielo Empireo. Non a caso del resto <<Aiqhr, per il senso originario, richiama i "cieli templa" di Ennio e di Lucrezio>>.15

Ecco dunque perché c'è quest'ambivalenza geografica del nome etnico: esso può essere inteso sia come nomen, sia come vocabolum. In quest'ultima accezione, ne deriva il riferimento ad un'intera classe di persone; la cui funzione, nell'ambito "sociale" - quando cioè esse, si trovano riunite in una collettività - viste le loro qualificazioni interiori, altra non può essere se non quella di dare vita ad un sodalicium spiritualis. A quel punto, il nostro vocabolum, si trasformerà nel nomen sodalicii diventando il titolo distintivo di un preciso istituto. A riprova, mi sembra rilevante ricordare come, nel Medio Evo, fosse detto che il regno del Prete Gianni, si trovasse, appunto, in Etiopia. Ovvero; tale era la virtus attinente il termine da poter adombrare il Centro per eccellenza di questo nostro mondo; perché quella era, all’epoca, la designazione di ciò che gli indù chiamano Agartha e Agarthi i mongoli. Pure significativo è constatare che in ebraico il nome biblico del paese sia Kush, da unaÖksh: che implica <<…l'idée d'un mouvement de vibration, qui agite l'air et la dilate>>16 da essa: ebr. kush, <<ce qui est de la nature du feu, et communique le même mouvement. Au figuré, ce qui est spirituel, igné>>17.

Se tutto questo è esatto dovremmo avere un qualche riscontro della particolare natura di questa remota comunità nordica dalla lettura dei poemi omerici.

A mio parere, in tale direzione, ci sono oltre alla visita di Poseidone, citata all'inizio di questo studio18 e l'altra:19
 
 

Ton de> Aiqiopwn aniwn Enosicqwn
 
 

Ma dagli Etiopi tornando il potente Enosíctono …



Due ulteriori passi assai significativi; nel primo è Teti (QetiH) che parla:20
 
 

<<... Zeus gar eH Wkeanon met'amumonaH AiqiophH

cqi. oH ebh kata daita, qeoi d'ama panteH eponto.>>
 
 

Però che Zeus verso l'Oceano, verso gli Etiopi senza macchia

ieri partì, per un pranzo; e tutti gli dèi lo seguivano.



Nell'altro la parola è a Iri (Iride,IriH):21

<<... ouc edoH eimi gar autiH ep Okeanoio reeqra,

AiqiopT n eH gaian, oqi re. ous'ekatombaH

aqanatoiH , ina dh kai egw metadaisomai irwn.>>
 
 

Non posso sedere: vado sulle correnti d'Oceano,

degli Etiopi alla terra, dove fanno ecatombi

ai numi, ch'io pure abbia parte alle offerte.



Da tutto ciò, sappiamo che gli Etiopi sono immacolati, eccellenti,22 che la loro compagnia sia addirittura ambita dall'intero Olimpo così come - sempre per gli eterni - l'aver parte alle loro offerte sacrificali abbia la precedenza su qualsiasi altro impegno: non è sicuramente da popoli normali godere di un tale status e mi sembra pertanto di aver trovato, in questi versi dell'Iliade, la cercata, interna conferma dell'assunto acquisito dai riscontri storici e linguistici.

Chiarito che siamo in presenza di un centro spirituale, più arduo è comprenderne il riferimento tradizionale. Nel maggior spazio che ho dedicato all'argomento in un altro lavoro23 ho messo in evidenza i motivi per i quali l'attuale razza europea sia il frutto della fusione di due correnti principali: una - che nettamente prevalse - proveniva dall'estremo settentrione, ed era rappresentata dalla razza bianca o nordica che dir si voglia, l'altra, si trovava stanziata grosso modo, su tutto l'arco occidentale del continente eurasiatico - area mediterranea e Vicino Oriente compresi - quale residuo della tramontata civiltà atlantidea ed era costituita - nella sua principale componente - dalla razza rossa. L'aspetto di questa non fu certo meno "bianco" della controparte tant'è che oggi, dopo millenni,24 il tipo "rosso" è percepito quasi semplice variante e non certo quale razza a sé stante anche se, a suo riguardo, sussistono tutta una serie di significativi, curiosi pregiudizi.

A mio parere, la suddetta distribuzione dell'espansione coloniale del continente scomparso suggerita, oltre un secolo fa da Ignatius Donnely,25 resta ancor oggi assai valida. Posso solo precisare, per evidenti ragioni connesse agli esiti del presente studio, che - a mio avviso - tale insediamento dovesse comprendere anche la parte più settentrionale della Scandinavia, esclusa invece dallo studioso anglosassone: gli Iperborei, eredi della tradizione primordiale, provenivano quindi da terre, in parte sommerse dopo il cataclisma,26 poste ancora più a Nord e ad Est dell'Eurasia: <<…le siège de la tradition primordial …a pu devenir … occidental [la fase atlantidea] pour certaines périodes et oriental pour d'autres, et, en tout cas, sûrement oriental en dernier lieu et déjà bien avant le commencement des temps dits "historiques">>.27

A questo punto anche la specificazione che questi Etiopi omerici <<in due si dividono … quelli del sole che cade e quelli del sole che nasce>> assume un senso che, senza negarla, travalica la semplice accezione geografica e ci suggerisce come potesse essere quello, uno dei centri in cui si operò la fondamentale giunzione - non solo razziale28 - tra le due correnti: <<jonction dont devait résulter la constitution des différentes formes traditionnelles propres à la dernière partie du Manvantara>>. Da essa, oltre alle primarie conseguenze, cui allude il Guénon, dovevano scaturire, per le genti iperboree, alcune importantissime acquisizioni, presenti poi in proporzioni anche molto diverse da popolo a popolo ma che determinarono tutto il successivo svolgersi del ciclo sino ai giorni nostri: l'arte della navigazione, il commercio, il matrimonio esogamico ed alcuni corollari caratteriali riassumibili nell'astuzia, che erano estranei all'originario eh@Hdella stirpe.29

Questa fase di "sistemazione" tradizionale, iniziata, come già accennato intorno al -8000, è proseguita molto a lungo. Due episodi d’estrema rilevanza - la nascita della tradizione ebraica e di quella cinese - hanno quasi lo stesso starting point: il –3468 la prima ed il –3760 la seconda. In tutti questi casi, la "componente" iperborea dà luogo ad un apporto determinante se non costituisce il vero e proprio "lievito" per "vivificare" situazioni letargiche o di conclamata degenerazione.

In questa prospettiva, tornando al nostro caso, intorno all'inizio del II millennio a.C., si muovono dalle loro sedi settentrionali quelle genti, che nel Mediterraneo prenderanno il nome di "popoli del mare" mettendo a dura prova le capacità belliche degli autoctoni. Essi costituiranno la cultura micenea progenitrice di quella greca e - nel contempo - diventeranno in molti casi il "sale" delle più diverse popolazioni dell'area.30 A riprova, <<nella zona settentrionale in cui la tradizione ebraica colloca definitivamente la tribù [israelitica] di Dan è stata trovata ceramica micenea>>.31 Tribù questa, che ha origine nei Danai, come quelle di Issacar e Aser provengono dai Teucri e Zabulon dai Sardi. Tutti e tre questi popoli, citati appunto nella lista onomastica dei popoli del mare, fatta stilare dal Faraone Amenemope (-1100), si insediano nel Nord della Palestina.32 Si stabiliscono a Sud i congeneri Filistei, i quali - non assimilandosi invece al popolo ebraico - manterranno con esso un lungo ed aspro rapporto conflittuale.

Ma cosa avvenne in quella terra che oggi conosciamo con il nome di Etiopia ? <<Agli albori della storia … l'altopiano era abitato da popolazioni cuscitiche.33 Il Nilo Azzurro ed il suo spartiacque con il Hawash segnavano, all'incirca, la linea di separazione tra le genti (cuscitiche) degli Agau che tenevano la parte settentrionale … e le genti cuscitiche dei Sidama che occupavano la zona meridionale. Nel settore occidentale, sui declivi dell'acrocoro … verso il Sudan, nuclei di negri… si mantenevano indipendenti o assoggettati ad Agau e Sidama.>>.34 <<… [Gli] Agau che furono la popolazione dell'Abissinia propriamente detta prima della semitizzazione del paese>>.35 Gli Agau o Agiw (ma anche Agaw) all'uso inglese rappresentano dunque, per quanto - in una prospettiva puramente storiografica - ne possiamo oggi sapere, uno dei popoli più antichi del paese. Questo dovrebbe esserne anzi il vero e proprio nucleo originario. Inoltre, poiché abbiamo visto che i primi coloni semiti, provenienti dall'Arabia felix, il mitico regno di Saba, non giungono in zona prima del VI sec. a.C. è dunque certo che, la presenza di quest'ultimi corrisponda ad una fase successiva del popolamento.

Agli Agiw o Agaw, la cui lingua fa appunto parte del gruppo cuscitico,36 appartengono le popolazioni dei Qemant e dei Falasha.37 Di questi ultimi, noti anche come "Black Jews", è piuttosto conosciuta l'appartenenza ad un ebraismo pre-talmudico, dai tratti "settentrionali" e pertanto con caratteristiche tutte decisamente arcaiche;38 del resto la tradizione che li vuole discendenti di Dan ne è la conferma. Le puntuali osservazioni di un ricercatore indipendente, quale Graham Hancock39 - ancorché espresse in una forma assai prossima allo scoop e quindi non la migliore per essere ascoltato in ambiente accademico - sono a mio parere nettamente condivisibili e ci permettono pertanto di fissare, a parte ante la costruzione del primo Tempio ovvero il – 931, l'arrivo dei loro antenati nei dintorni del lago Tana. Quanto ai Qemant, le peculiarità pre-ebraiche,40 che li contraddistinguono, ci riportano, se possibile, ancor più indietro nel tempo: a quando la terra dei Cananei, quella "dove scorrono latte e miele"41 era contesa tra gli Ebrei, che entravano da Sud ed i "popoli del mare", che sbarcavano insediandosi lungo le coste e nel Nord (circa -1200).

La concomitanza di tutti questi fattori, ci permette di ipotizzare uno scenario nel quale, le tesi del Vinci e quelle di Hancock diano luogo, integrandosi, ad un verosimile svolgimento di quegli eventi remoti. Nel momento in cui gli Achei, si mossero dalle sedi scandinave anche il "centro", dal quale traeva senso il nome degli Etiopi, si spostò oppure dette luogo ad una "proiezione", la quale seguì o guidò i partenti o almeno quella loro compagine, che scelse di migrare sulle coste orientali del Mediterraneo. Il trasferimento - come fu per i Variaghi millenni più tardi - avvenne attraverso il sistema idrografico, ricco di fiumi, laghi e paludi, che tuttora mette in comunicazione il bacino del Baltico a quello del Mar Nero. Dopo una prima sosta nell'area delle sorgenti del Giordano,42 non sufficiente però ad una completa ebraizzazione,43 "gli estremi tra gli uomini", decisero di rimanere tali anche nel nuovo contesto geografico44 e, approfittando pure qui di un fiume, seguirono il corso del Nilo fino al grande lago che lo alimenta ad oltre 1800 m. di altitudine. In breve, su quel remoto acrocoro, si costituirono quale gruppo dominante, acquisirono la lingua cuscita degli indigeni ma - come è avvenuto per molti altri popoli45 - conservarono (vedremo tra poco come) il nome: Agaw o Agiw. Quanto all'appellativo di Etiopi - colporté jusque là - penso che, in quella prima fase, fosse limitato - come già spiegato - ad un gruppo specifico, sì da ritenerlo, di fatto, un titolo: l'indicazione d'una funzione insomma.

Secondo le leggi della "geografia sacra", un luogo santo non è tale ad arbitrio ma perché corrisponde a determinate condizioni: orografia, posizione relativa all'ambito tradizionale di competenza, correlazioni di geografia astronomica… Sgombrando il campo dalla patina sentimentale cui siamo abituati nel considerare quest’ordine di argomenti, si può quindi affermare che esso dovesse essere scelto in un'ottica strumentale e del tutto oggettiva; secondo criteri meramente tecnici insomma ma applicazione questi di una scienza della quale, oggi, emergono residue conoscenze e sorprendenti adattamenti all’urbanistica moderna, soltanto nei paesi di cultura estremo orientale. A riprova, è facilmente verificabile, sul piano archeologico, quanto frequente sia la constatazione della pluralità di forme tradizionali, testimoniate da una coerente e plurimillenaria stratificazione, presenti su uno stesso sito quand'esso appartenga appunto a quella specifica tipologia.

Per tali ragioni, è da supporre che la scelta non fosse avvenuta a caso e, in tal senso, anche il nome di Cusciti è rivelatore essendo, come ho già indicato,46 pressoché sinonimo di Etiopi con tutto quello che ciò comporta. Le motivazioni all'origine della costituzione di questo "polo" furono probabilmente sempre quelle inerenti le tematiche della giunzione tra "correnti" spirituali: nello specifico, doveva trattarsi d'un compito correttivo m'anche assuntivo, destinato a quanto rimaneva della tradizione "meridionale". Tradizione che, in epoche più remote, ebbe comunque a dare importanti contributi alla costituzione della civiltà egizia mentre, quasi in contemporanea con gli eventi in argomento, li stava trasferendo anche alla civiltà indù, essendo quel popolo da poco sceso nel sub-continente dove, in quest'ultima fase del ciclo, avrebbe compiuto il suo destino storico.

Seguendo la ricostruzione dello Hancock,47 lo stesso percorso fu seguito da un gruppo sacerdotale, che, per sottrarre l'Arca alla contaminazione in animo dell'eretico Re Manasse

(-697/-642), riuscì a toglierla dal Tempio e si mosse verso l'Egitto dove, più tardi, raggiunto da gruppi di transfughi, cacciati dalla distruzione del Regno di Giuda e del Tempio gerosolimetano (-580), edificò nell'Alto Egitto e, precisamente, nell'isola nilotica di Elefantina, il Tempio detto di Yaho48 (prob. pronuncia: Jèho). Quando poi nel -411, l'ostilità dei sacerdoti egiziani ebbe la meglio sulle reticenze delle occupanti truppe persiane, reticenti ad intervenire, anche quel Tempio fu distrutto e l'Arca, scampata al disastro, fu portata ancora più a Sud, fino a raggiungere l'isola di Tana Kirkos nel lago omonimo, circondato allora dalle fiorenti comunità ebraiche dei Beta Israel non ancora disprezzati come stranieri, qual è, appunto, il significato dell’attuale nome di falasha. Soltanto all'avvento del Cristianesimo i nuovi invasori del paese ormai convertiti - i semiti sud-arabici, portatori della lingua ge‘ez - l'avrebbero tolta da lì per trasportarla nella cattedrale della loro capitale Axum. Indipendentemente dall’improbabile, attuale permanenza dell’Arca in questa sede, come prospettato dall’avventuroso autore, è comunque significativo che le isole del lago conservassero, pur con questa perdita di status, i connotati sacrali (cfr. Kirkos) e rimanessero luogo di pellegrinaggio anche per la nuova religione del paese.49

A mio parere, di tutto questo, sono ancor oggi riscontrabili alcune tracce che, nel quadro delineato, assumono notevole rilevanza. Ho detto più sopra che l'etnonimo di riferimento è Agiw/Agaw; ebbene, a mio parere, ci sono i presupposti linguistici perché esso scaturisca dalla deformazione di Achei (Acaioi) e del resto, in conformità con il quadro che si è andato delineando, esso <<désigne les Grecs de l'épopée homérique et de la civilisation mycénienne, dans divers documents attestés hors du monde grec>>.50 Il termine di partenza è Acaiú oi ma anche Argaiú oi, che, per l'opportunità offerta dal latino di formulare lezioni attestanti una fase antica della dictio greca, ritroviamo in Achivi e Argivi.51 A questo punto, un esito come Agiw o Agaw non mi sembra implichi forzature o difficoltà.

S'impone qui una breve digressione che ci permetterà di ricollegarci con le posizioni scandinave di partenza: l'etimo greco riposa su unaÖarg,, il cui senso di fondo è bianco splendente, brillante, lampeggiante (i.e. fulminis lux). Questo ha comportato - in ambito indoeuropeo - una serie di derivazioni, la più gran parte delle quali è molto significativa per il punto di vista qui esposto: aD( oÏ , aD( urion, argentum, tok.A ârki, tok.B arkui, itt. harkiš, skr. arjun, tutti col significato di fondo indicato dalla radice. Da essa vengono anche arktoH52 ovvero l' orso, da intendersi quindi tout court - nell'accezione originaria, propria alla specie polare - come il bianco, assunto in senso onomastico; a riprova abbiamo sia che lo stesso termine possa indicare l'omonima costellazione boreale, sia artikoH , quest'ultimo non necessita d'ulteriori commenti.53 Per completare il quadro, si può aggiungere che, quale epiteto, <<le mot est interprété par les Anciens "aux yeux brillants">> e qui viene alla mente come i Romani, nei loro contatti con i popoli d'oltre Reno, che avevano ben conservato le caratteristiche del tipo originario, restassero impressionati dalla qualità dello sguardo: l'acies germanica. Essa, nella sua chiarezza e, soprattutto, per una certa, caratteristica fissità, richiamava, infatti, l'acies divina. In definitiva, ritengo che, per le molteplici implicazioni di carattere razziale e geografico, connesse al nome di Achei, esso dia luogo a significative conferme degli assunti di questo lavoro.

Ritornando al lago Tana, c'è un'ulteriore e non trascurabile traccia: l'isola Tana Kirkos non è la sola ad avere connotati sacrali; lì presso se ne trova un'altra chiamata Dag (o Daga) Stephanos, così dedicata per il monastero che ospita. Ed è proprio il nome dell'isola, per un altro di quegli indizi convergenti tanto frequenti in questa ricerca, a ricondurci ai "popoli del mare". Ma andiamo con ordine: la tradizione propria a questi popoli, per le premesse da cui mi sono mosso, non poteva essere diversa da una delle possibili articolazioni del mondo religioso54 acheo, quale c’è giunto attraverso i poemi omerici. Oltre alle diversità formali, inevitabili tra tribù e tribù, l'elemento ebraico nei primi Agaw - riscontrabile dalla vivente testimonianza dei Qemant - doveva dipendere da una di quelle acquisizioni non infrequenti nel mondo antico e che noi ben conosciamo dalla facilità con la quale sappiamo essere penetrati in Roma gli esotici ed apparentemente non assimilabili, culti orientali.55 Presso i Filistei, i quali, fedeli invece alle loro origini, mantennero, nell'antagonismo con gli Ebrei, anche culti alternativi a quest'ultimi, il dio principale, come ci è stato tramandato dalla Bibbia,56 era Dagon (Dag-on). Poiché non si conoscono dèi di questo nome nel mondo greco, sembrerebbe d'esser finiti in una via senza uscita; invece un popolo molto lontano dai nostri Etiopi ma pur sempre africano, ci fornisce utilissimi suggerimenti.

Nell'Africa nord-occidentale, vive infatti una gente tenace, che ha mantenuto una tradizione assai complessa non cedendo alle lusinghe missionarie di cristiani e mussulmani: è il popolo dei Dogon da me, precedentemente,57 citato quale appartenente al novero di quei popoli coloureds, da considerare però d'incerta appartenenza alla négritude. A mio giudizio, nel loro caso, i dubbi sono da limitare ad un remoto imprinting originario. Infatti, in precedenza, ho parlato di "lievito" e "sale" per esprimere la funzione che la tradizione iperborea ebbe a compiere durante il presente ciclo nei confronti delle più diverse culture con cui venne a contatto; nella fattispecie dei Dogon, l'impressione è che essa sia stata una greffe, un innesto remoto e che il tronco principale sia rimasto largamente dominato ed in molte riprese implementato, da componenti ad essa allogene.

Nel racconto che il vecchio e saggio dogon Ogotemmêli fa all'antropologo Griaule58 c'è, comunque, un preciso riferimento a questa eterogeneità originaria: <<…les hommes d'autrefois étaient dits "banu", c'est-à-dire rouges, ainsi qu'on appelle encore les peaux claires>>.59 Il richiamo è molto esplicito ed anche il riferimento al rutilismo è tutt'altro che trascurabile.60 In tutta l'area dell'Alto Volta, compresa nella grande ansa del Niger, la diffusa presenza "chiara" è - nell'immediato - dovuta ad evidenti infiltrazioni berbere (Tuaregh) mentre, per un più remoto passato, il ruolo dei Garamanti della Phazania (tracce sino al V sec.) sarebbe tutto da verificare. Per i Dogon però l’intero svolgersi delle loro vicende è nell'incertezza ed anche in merito a tempi relativamente più prossimi, non c'è concordanza di vedute tra gli studiosi:

In ogni caso, sembra che - prima ancora di questi eventi, c'è chi dice nel V sec., sempre della nostra era - gli antenati dei Dogon siano venuti dall'Alto Egitto seguendo una via Est/Ovest percorsa, per altro, da molte popolazioni presenti ora in Africa Occidentale. A questo punto, si può supporre che, in virtù del nome così prossimo a quello del dio dei Filistei e del preciso riferimento razziale di Ogotemmêli, quello stesso primo nucleo o meglio, la gente di cui esso era il tardo epigono, avesse la sua origine nelle avventurose escursioni nilotiche dei "popoli del mare".

Nella complessa cosmologia e nell'antropologia esposte a Griaule dal vecchio saggio, tutti i principali mitologhemi sembrano riposare sul concetto di gemellarità. Già per l'etimo di Achei - ma è questo, in ogni caso, fenomeno frequentissimo - abbiamo visto l'interscambiabilità dei suoni consonantici c (k) e g (j); allora, per tale motivo, <<dokana, .... , simbolo di Castore e Polluce; i.e. due legni paralleli uniti da 2 trasversali; cfr. segno dei Gemelli [` ], Plut. M. 478>>61 è di fatto l’omofono del nome di questa popolazione e, semanticamente, prossimo al suo mondo culturale. Sorge adesso un problema; il dio Dagon, da quanto si può leggere nelle Scritture, non ha un gemello e la sua statua, per quanto si sa, rappresenta una figura unica. C'è però l'episodio di Sansone:62 in esso, vengono in evidenza due colonne e così ravvicinate tra loro da potervi esercitare, soltanto con l’estensione delle braccia, una forza notevolissima. L'immagine che viene alla mente ripete il segno astrologico `ed inoltre quest'azione, nella quale si trovano le componenti "forza" (Sansone) e "stabilità" (le colonne), ci rimanda alle colonne poste all'ingresso del Tempio di Salomone chiamate appunto forza (ebr. bo‘z) e stabilità (ebr. yakyn). Se poi <<ricordiamo [che] il ciclo narrativo di Sansone, l'eroe della tribù di Dan, che vive in ambiente filisteo e che come un filisteo si comporta; il suo stesso nome ("solare"63) ne rivela l'origine non israelitica …. [comprendiamo come sia] … significativo che, quando l'eroe è stato fatto proprio dalla tradizione ebraica, egli sia stato assegnato alla tribù di Dan>>.64

A questo punto, si precisa il già accennato, complicato intreccio che la presenza Achea ha determinato in tutta l'area, rilevabile, del resto, dalla presenza delle due emblematiche colonne anche in templi dei paesi posti a Nord e ad Oriente della Palestina. Ma c'è di più, questo legame viene espressamente dichiarato e la controparte è, per la fattispecie in esame, assai rilevante:

Sparta è significativa non soltanto perché erede di una Weltanschauung sicuramente prossima al prisco e2@H acheo m'anche perché sede del culto dei sacri gemelli Castore e Polideuce. <<Gli Spartani rappresentano i Dioscuri con due travi di legno parallele unite da altre due travi trasversali. I loro co-re portano sempre questo simulacro in battaglia>>,68 che è appunto la precitata dokana . Il Vinci, nel suo lavoro, per tutta una serie di considerazioni legate all'economia generale dell'opera, pone la Laconia originaria nell'isola danese di Sjælland, la più grande di quell'arcipelago. Ebbene, su questa, è reperibile un toponimo: Sparresholm (Sparr-es-holm)69 dove holm è isola (in questo contesto non ha rilevanza ed inoltre la località è sulla terraferma), -es è un semplice suffisso è resta però Sparr, che ha il significato - sorprendente - di trave (td. der Sparren). In sv. spår, è il binario (i.e. ferroviario); il che rende, se possibile, ancor più evidente ed anche visivamente percepibile il senso - così significativo per noi - di gémelliparité.70 La radice è par71, s- è un durativo come nell'affine it. Spartire,72 che trae sì immediata origine dal lt. pars ma bene rende, nella totale omofonia (spart-ire), la lettura del nome della città in argomento, con evidenza concettualmente identico al suo emblema e conforme al culto che la caratterizzava.

Questo studio è iniziato citando proprio l'enigmatica duplicità degli Etiopi omerici della quale ho mostrato il sorprendente, attuale riscontro geografico. Esso si è poi sviluppato disvelando, di questa duplicità, anche il senso etnico e storico.73 Vorrei ora sottolineare la pregnanza d'altre valenze ad essa sottese.

Nel momento dello scontro tra lo stanziamento atlantideo e la corrente iperborea - scontro che, come abbiamo visto, trova corrispondenza nell'epopea indù di Parushu-Râma - pel moto precessionario, il punto vernale percorreva (-8700/-6540) l'asterismo oggi chiamato Cancer (a ) ma che, al tempo, era rappresentato dal polipo (Polypus, Polupoun) e, di questa sua diversa immagine, abbiamo testimonianze arcaiche diffuse in una vasta area, che va, appunto, dalla Scandinavia alla Grecia micenea.74 Astrologicamente,75 questo segno è domicilio della Luna, alla cui sfera compete l'elaborazione delle forme sottili che andranno poi a manifestarsi concretamente in questo nostro mondo. Inoltre, per essa e per la natura dei citati riferimenti zoomorfi, l'elemento acqua è dominante e le Acque corrispondono ad analoga funzione poiché stanno a simbolizzare il principio passivo e plastico del cosmo: in effetti, tutto il periodo, caotico per gli eventi guerreschi che lo contraddistinsero, fu determinante per l'elaborazione e la definizione cultuale ma anche razziale di quella parte del ciclo che s’estende sino ai nostri giorni. A tale momento embrionale, fa riferimento la forma ovulare del corpo del cefalopode e, allo stesso contesto, è da ricondurre il mito di Leda e dell'uovo da cui nasceranno i Dioscuri; ripreso quest'ultimo, nella loro iconografia, dagli elmi, che ne rappresentano le due metà e dai corti mantelli vestigia della membrana.

La costellazione che segue (-6540/-4380)76 è, appunto, quella dei Gemini ed essa è coerente emblema di un'epoca nella quale le due grandi correnti si fusero facendo sì che i nemici, al termine di un periodo tormentato, diventassero fratelli. In questa corrispondenza, si manifesta una costante e verificabile proprietà ossia la proiezione - con congrua evidenza, nell'immagine dell'asterismo vernale - del quid caratterizzante lo spirito del tempo. Spirito ed immagine poi in mille modi ripresi nei miti, nei culti e nell'arte del periodo considerato. Un esempio molto noto è la coincidenza tra il segno dei Pisces (i ) ed il suo uso nel Cristianesimo; ad es. IhsouH CristoH Qhon UioH Swthr: ICQUS, pesce, appunto.

Qui giunti, mi sembra importante sottolineare come la prospettiva evemeristica di molte delle interpretazioni che ho proposto nel presente studio, non voglia, in alcun modo, escludere gli altri piani - cosmologici e metafisici - impliciti in tutti i miti. Anche quello di Leda comporta chiari riferimenti storici agli eventi testé ricordati: Zeus, s’unisce a lei sotto forma di cigno ed è questa, dell'Ottimo e Massimo, un'evidente personificazione della tradizione iperborea; infatti nell'Induismo è Hamsa, cigno, il nome della razza primordiale e polare all'origine di questa umanità. Inoltre, Leda è chiamata anche NemesiH oppure, con essa, che di fatto è un'astratta potenza divina tutrice dell'ordine ed equilibrio universali, è spesso scambiata. Tutto ciò che nelle cose, negli uomini e negli eventi usciva per taratologica dismisura dalla norma; dall'ineluttabile intervento di questa potenza era riportato a giusta dimensione, proporzione e rango. E ciò, per quel senso della Dik0 , così consonante nella mente dei Greci con l'armonica moderazione d'ogni cosa. In definitiva, il mito ci dice che, la tradizione iperborea (il cigno), facendo giustizia - nello specifico unendosi alla Nemesi - della difforme e proterva grandezza (naturaliter di Titani e Giganti77 ovvero degli Atlantidei), implicita nelle stesse cause delle epifanie nella storia della temibile partner del dio, ristabilì tra i (giusti dei) due popoli un rapporto di fratellanza; in altri termini, li rese come gemelli.

Un riferimento a questo equilibrio lo ritroviamo nella versione architettonica della dokana: le due colonne Forza e Fermezza;78 infatti senza la seconda c'è solo eccesso. Non a caso, nella tradizione massonica, il nome della prima corrisponde alla parola di passo degli Apprendisti mentre quello dell'altra è attribuito ai Compagni, riproducendo nella sequenza gerarchica la corretta scala valori.

Approfondire però la misura in cui tutto questo, più ampiamente, si riverberasse in quella lontana filiazione che fu la società filistea e - per ciò che abbiamo constatato - in quella ebraica nonché nelle altre, solo accennate relazioni, è certo compito che supera la portata e gli scopi del presente lavoro.
 
 


NOTE

1 F.lli Palombi Editori, Roma, 1998. È pertanto in questa prospettiva che va inteso tutto il presente studio, il quale si avvale inoltre della fondamentale opera del Tilak (The Arctic Home in the Vedas, Poona Bombay, 1903) e delle notizie in tal senso più volte fornite da René Guénon nella sua vasta produzione nonché dal conforto di molti, analoghi e più recenti lavori apparsi in Italia ed altrove.

2 Ibidem, p. 372 e ss.

3 Od. I. 22-23.

4 Ibidem, trad. Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino.

5 Così sottile che, durante l'ultima guerra, i tedeschi occupanti ne progettarono il taglio per favorire la navigazione interna; avrebbero così evitato il passaggio nel mare aperto settentrionale assai più esposto alla minaccia delle flotte nemiche.

6 In questo caso l'ambiente agricolo ha favorito l'interpretatio vulgaris in senso strumentale: i Mannari ovvero quelli dalla "† mannàra" (*manuaria[m], agg. di manus) ossia una scure con lama larga o un pennato, comunque arnesi atti al taglio della legna.

7 R.Guénon, Symboles fondamentaux de la Science sacrée, Gallimard, Paris, 1962; ch. XVI. Numerosi sono i popoli che in Africa, sicuramente scuri per il colore della pelle però, a dispetto delle evidenti mistioni avvenute, negri da nessuno vengono considerati; alcuni di essi si trovano ai limiti meridionali della zona arabo-camito-cuscita settentrionale, con ciò determinando come per i Dogon, che incontreremo in chiusura di questo studio, qualche incertezza classificatoria.

8 In ogni caso, la composizione razziale del paese è assai complessa; non a caso l'altra designazione - Abissinia - proviene dall'ar. aHaBaSh ®Öhbsh, che ha il senso di radunare da cui l'accezione comunemente intesa di popoli misti: appellativo confermato dalla presenza di circa 84 lingue (attualmente parlate: almeno 70). L'ultimo apporto etnico, di grande rilevanza per i tempi storici, è quello semitico sud-arabico (intorno al VI sec. a.C. i primi insediamenti sull'altipiano), vettore della lingua ge‘ez (sing. di Ag‘âziyân, una delle tribù semitiche) e dell'alfabeto ancor oggi in uso.

9 R. Guénon, op. cit.

10 Ibid.

11 En. 4.480-482, trad. Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi, 1989. Questo virgiliano riferimento all'oceano è molto esplicito in senso extra-mediterraneo ancorché non necessariamente settentrionale, in tale accezione non vengono invece comunemente intesi quelli presenti nelle successive (vd. p. 3) citazioni omeriche ma è sempre il Vinci, che (al Cap. XVII, op. cit.) brillantemente risolve l'enigma della frequente, oscura dizione potamoio Wkeanoio attribuendola al Gulf Stream, un cui ramo si spinge anch'oggi a lambire la Scandinavia fino l'estremità artica della Norvegia: vero fiume quindi, pure visibilmente percepibile, il quale, diverso per temperatura, riflessi e colori, tra liquide pareti, scorre per migliaia di chilometri nell'Atlantico.

12 Cfr. skr. édha, fuel [Hirish, aodh, Old High German, eit, Ang. Sax. âd]; Sir Monier Monier-Williams, Sanskrit-English Dict., N.Delhi, 1995.

13 Chândogya Upanishad. Per questa funzione del cuore cfr. anche Dante: <<… dico veracemente che lo spirito de la vita, lo quale dimora ne la secretissima camera de lo cuore …>>; Vita Nuova, 2.4.

14 Anche nell'Esichiasmo lo scopo del lavoro iniziatico è indicato con questa stessa definizione.

15 G.Semerano, Le Origini della Cultura europea, Diz. della Lingua Greca, Olschki, FI, 1994; s.v. aiqhr.

16 Fabre-d'Olivet, La Langue hébraïque restituée, L'Age d'Homme, Vevey, CH, 1985.

17 Ibid. Per l'ambivalenza dei simboli, l'aspetto igné implicito all'appellativo ha determinato la sua attribuzione anche ai rappresentanti della razza negra per il rapporto di questa con l'elemento fuoco. Da esso proviene il ns. cusciti <<… peoples of southern Nile-valley, or Upper Egypt, extending from Syene indefinitely to the South>>: Hebrew English Lexicon of the Old Testament, OUP, s.v. KUSh. È inoltre assai singolare come, ai suddetti derivati della Öaidh, sia affine esât, che in etiopico (ge‘ez) significa fuoco.

18 Cfr. supra, n. 4.

19 Od. 5.281; trad. op. cit.: Enosicqwn, è un attributo di Poseidone; scuotitore della terra (Rocci; op. cit.).

20 Il. 1.423-424; trad. op. cit.

21 Il. 23.206; trad. op. cit.

22 Cfr. L.Rocci, Voc. Greco-Italiano, s.v. a-: u:T< ma anche escatoi (cfr. supra Od. 1.23: <<…gli estremi…>>) può andar oltre l'accezione geografica: ibidem s.v. escatoH , traslato: il sommo, il più alto, il più grande.

23 "Il Nome e la Storia", in via di pubblicazione su questa stessa rivista.

24 Tracce mitiche di questo scontro/incontro, si trovano nell'epopea del 6°Avatâra di Vishnu cioè Parushu-Râma (rif. ad eventi collocabili intorno all'8000 a.C.), nelle storie dei Giganti, dei Titani e nella lotte tra Asi e Vani delle varie tradizioni europee: cfr. infra n. 60 e p. 8.

25 Atlantis: the antediluvian world, New York London, 1882.

26 -11.000 circa.

27 René Guénon, Formes traditionnelles et cycles cosmiques, Gallimard, Paris, 1970; p. 36: utilizzando <<le siège>> in riferimento al centro supremo, Guénon, per necessità espositiva, sceglie di non addentrarsi nella complessità del problema. In effetti, dopo la "caduta", la sede de la tradition primordial è nelle valenze sottili della Terra mentre nella nostra modalità grossolana non possono esservi che "accessi" e "proiezioni" più o meno secondarie, com'è appunto il caso del sodalicium in questione.

28 È piuttosto curioso che un popolo dell'Etiopia occidentale (Eritrea m'anche Somalia), i Danàkili (ma loro chiamano sé Afar o Adal), si suddivida in "uomini rossi" (asà ian mara, sono questi i nobili) ed "uomini bianchi" (adò ian mara e questi sono i commons): cfr. R.Biasutti, Razze e popoli della Terra, UTET, 1967, vol. III, p. 222. Quanto al nome fa pensare questo Dan-: l'assonanza con Danai è evidente e così le tracce di un culto preislamico affine a quello dei Qemant e la lingua cuscita richiamano gli Agaw dei quali parlerò più avanti.

29 Cfr. E.Benveniste, Le vocabulaire des institutions indo-européennes, Paris, 1969. Per una testimonianza della penetrazione di questo tratto caratteriale è caratteristico il personaggio di Ulisse.

30 Trovo, in questo senso, davvero illuminante il recente lavoro del Prof. Giovanni Garbini: I Filistei, Rusconi, 1997. Le considerazioni che seguiranno fanno in larga misura proprie le sue conclusioni ed a quell'esposizione non resta, per non troppo appesantire di citazioni il presente studio, che rimandare il lettore. Mi sembra infine importante non dimenticare che allora, anche per le origini di Roma, secondo il racconto di Virgilio, il cui status tradizionale non può essere contestato, il ruolo di quest’apporto, si riveli fondamentale.

31 Ibidem, p.67.

32 Significative ed illuminate da altra luce appaiono, dal punto di vista offerto da quest’ipotesi:

33 Cfr. supra, p. 3 e note nn. 16, 17.

34 Enciclopedia Italiana, s.v. Etiopia.

35 Ibidem.

36 Precisamente al cuscitico occidentale; le altre lingue del paese, oltre al già citato gruppo semitico, appartengono a quelli berbero e omotico.

37 Il nome ha il significato di estraneo, straniero ed è stato, con evidenza, loro attribuito dai più tardi invasori sud-arabici; in effetti essi chiamano sé stessi Beta Israel, la Casa d'Israele.

38 Senza voler insistere su un tema inesauribile come quello delle differenze cultuali tra Israele e Giuda, è evidente come l'attribuzione "settentrionale" di questi tratti sia importante al fine di una datazione della presenza ebraica nel paese. Cfr. supra n. 32.

39 The Sign and the Seal. A Quest for the lost Ark of Covenant, W.Heinemann Ltd., London, 1992; trad. it. Piemme,1995. Anche in questo caso, per chi desideri approfondire l'argomento, rimando alla lettura - del resto piacevole - del saggio,

40 Cfr. Frederik C.Gamst, The Qemant: a pagan hebraic peasantry of Ethiopia, New York, 1969.

41 Es. 3.8, Lv. 20.24, Nm. 13.27, Sir. 46.8, Bar. 1.20.

42 Da HEL; Jordan, yrdan:

id est: [il fiume che] scende da Dan; proprio la tribù quindi che origina dai Danai ed è considerata ancêtre dei Falasha.

43 Oppure essendosi parzialmente ebraizzati in seguito a contatto dei sopravvenuti Falasha.

44 Senza voler dare eccessiva importanza alla cosa, è curioso come la distanza tra la sede nordica e l'arcipelago danese (Dan-mark) e quella tra la sede africana e Israele sia, in linea d'aria, pressoché identica.

45 I Franchi ad esempio ma anche i Rus o Variaghi e per gli Agaw cfr. infra stessa pagina.

46 Cfr. supra p. 3 e n.17.

47 Op. cit.

48 Sulle molto complesse ragioni di quest’insolita diminutio del Tetragramma (yhwh), cfr. d'Ausser Berrau, op. cit.

49 Nella ricostruzione dello H. l'unico punto che mi trova decisamente scettico è la sua convinzione che l'Arca, custodita ancora dalla locale chiesa copta, possa essere quella originale.

50 Chantraine, op. cit. s.v. AcaioH .

51 Poetico per greco in genere, cfr. F.Calonghi, Diz. Latino-Italiano, s.v. Argos.

52 Cfr. skr. [a]rkša, av. arša, lat. ursus, arm. arj.

53 Stessa derivazione ha la virgiliana Arcadia, che tanta parte ha nell'Eneide - "continuazione" dell'Iliade - dove Evandro, installato sul Palatino quale capo d'una colonia d'Arcadi, stabilisce con Enea quell'alleanza dimostratasi fondamentale per la riuscita dell'avventura dei Teucri nel Lazio. E l'Arcadia come l'Argolide e la Laconia è un nomo del Peloponneso, che con Sparta troveremo ancora.

54 Aggettivare la tradizione classica come "religiosa" – ovvero accomunarla, per la colorazione storicamente assunta dall’aggettivo, alle forme ed allo spirito delle tre religioni abraminiche - è pura comodità espositiva ma forza la realtà. La sua natura, come ben vide il Dumezil, era tale da renderla più prossima alle complessità dell'Induismo che non alla univocità semitica.

55 In ogni caso, i rapporti in Palestina tra un Ebraismo arcaico, le forme proprie ai nativi e quelle degli invasori che provenivano dal mare, debbono essere visti nella prospettiva d'una avvenuta coalescenza, insita del resto in quel concetto di "giunzione", qui più volte evocato e che - non dimentichiamolo - esclude il caso ma implica una precisa volontà, un progetto da parte dell'élite (gli "Etiopi" del "everywhere" nella loro migrazione dall'Artico all'Equatore) costituente il centro tradizionale in argomento.

56 Gdc. 16.23; 1 Sam. 5.2, 5.3-7; 1 Cr. 10.10; 1 Mac. 10.83-85, 11.4.

57 Cfr. supra n.7.

58 M.Griaule, Dieu d'Eau, Fayard, 1966.

59 Ibidem, p.88.

60 Cfr. supra, p. 3 e n. 24, inoltre, si potrebbe vedere in quel termine banu un relitto linguistico di Vani (guerra Asi/Vani), che nella mitologia nordico-germanica, sono la rappresentazione della controparte "rossa", "occidentale" con la quale si giunge infine all'armistizio, sinonimo bellico della giunzione più volte citata. La Scandinavia inizia a diventare germanica intorno al –2000, quando collassa, tra tempeste di neve, per il repentino abbassarsi della temperatura, l'optimum climatico e sopravviene il popolamento delle più temprate dai freddi continentali (provenivano dal "serbatoio" di Nord-Est, come assai prima gli iperborei antenati degli Achei, cfr. supra p. 3), genti dalle "asce di combattimento", le quali si fondono con il consistente nucleo di coloro, ch'erano rimasti dopo la grande migrazione ellenica. Ciò determina una continuità tradizionale che giustifica la presenza dell'eventuale, suddetto relitto altrimenti anacronistico.

61 Rocci, op. cit.

62 Gdc. 16.22-30.

63 Cfr. l'assonanza germ. San-son, figlio del sole.

64 G.Garbini, op. cit. p. 67.

65 1. Mac. 12.5.

66 Ibidem, 12.21.

67 2Mac. 5.9. Sono perfettamente consapevole che, per gli storici, siano queste della ricerca d'una comune ascendenza, soltanto antichi, ingenui vezzi diplomatici per ingraziarsi il possibile alleato (cfr. E.J. Bickerman, The Jews in the Greek Age, Harvard U.P. 1988, Chap. XX) così come l'Eneide sarebbe un'opera letteraria a nient'altro intesa se non al "bello" ed all'adulazione del Principe: il criterio da cui parte questo lavoro è invece quello di prendere au sérieaux ciò che traditum est ed attraverso un riscontro dell'interna coerenza dei dati e nella loro rispondenza a questa prospettiva - appunto tradizionale - deciderne o meno l'accettabilità.

68 R.Graves, Greek Myths, trad it., Longanesi, 1977; Cap.74, § p.

69 Non è in ogni caso questo l'unico toponimo su base Spar reperibile in Scandinavia come del resto il ruolo fondamentale di una coppia gemellare, si ritrova anche a Tebe ed a Roma stessa a dimostrazione del valore, in effetti, universale di tutti i simboli.

70 Neologismo coniato dal Graule per rendere le specificità dei miti dogon.

71 LaÖpar, esprime in i.e. il concetto base di coppia ma da questa base per ampliamento o specializzazione deriva una serie veramente imponente di vocaboli: lt. par, paris; ing. pair, td. das Paar, coppia; td. der Spalt, spacco, fenditura (un qualcosa che si apre e diventa due); skr. para, oltre, remoto, opposto (un qui ed un là alternativo); lt. pars, parte (una dualità data da una parte e dal suo confronto con un tutto).
 
 

72 Citato dal Kluge: Etymologisches Wörterbuch der deutschen Sprache, de Gruyter, Berlin, 1995; s.v. Sparta
 
 

73 Supra: p. 3 e n. 24.
 
 

74 Lo schema strutturale dell'ottopode, si presta a mostrarsi in raggianti immagini solari o in disposizioni svastikoidi ma n’esiste - com'è per tutti i simboli - anche una controparte tenebrosa data dalla Medusa con tutta la sua inquietante ambiguità: <<‘Tis the tempestuous loveliness of terror…>>.
 
 

75 I riferimenti di quest'ordine qui utilizzati sono tra quelli che davano giustamente un ruolo cosmologico a questa scienza oggi dimenticata ed ormai residuante nelle sue più banali, fantasiose e dubbie applicazioni divinatorie.
 
 

76 Al termine di quest'epoca di remissione, ci sarà l'inizio del Kaly Yuga, la "confusione delle lingue" e l'ingresso nella parte ultima del Manvantara, cfr. supra p. 3.
 
 

77 Nella Bibbia sono i Nephilim (NeFLYM,) i caduti, i.e. gli sconfitti.
 
 

78 Cfr. supra p. 9.
 
 

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Bruno d'Ausser Berrau, e-mail: ausserberrau@hotmail.com

[Una presentazione dell'autore si trova nel I numero di Episteme]