(Una delle immagini incise sulle fantastiche "pietre di Ica")

 

L'ENIGMA DELLE PIETRE DI ICA

(Luciana Petruccelli)

 

"Tra il mondo contemporaneo e l'antichità sudamericana è calata una cortina impenetrabile. Tutte le tribù indie hanno ereditato le loro tradizioni da una grande civiltà remota, da un popolo misterioso che ha lasciato resti giganteschi. Con l'aiuto di molti dati che ho già raccolto, intendo far luce nel buio che circonda la storia di quel continente, perché sono convinto che laggiù giacciano, tuttora nascosti, i più grandi segreti del passato".

Così aveva dichiarato l'esploratore e topografo inglese Percy H. Fawcett nel 1925, alla vigilia della partenza per la sua quarta spedizione nell'America del sud, sponsorizzata dalla Royal Geographical Society. Ma quando credeva di essere sul punto di raggiungere il primo obiettivo, come aveva scritto nella sua ultima lettera alla moglie, era scomparso misteriosamente nelle foreste del Mato Grosso, in Brasile, con i suoi compagni di avventura, il figlio maggiore Jack e Raleigh Rimmel.

Furono organizzate molte spedizioni, che purtroppo non ebbero esito positivo, per scoprire la causa della fine tragica e inspiegabile dei tre sfortunati esploratori, ma nessuno più tentò di portare a termine la loro ricerca.

Eppure una scoperta che potrebbe aprire uno spiraglio nella cortina impenetrabile di cui parlava Fawcett, e confermare l'esattezza della sua ipotesi, c'è stata.

Dove? Naturalmente nel paese più magico e misterioso dell'America del sud: il Perù. E proprio in Perù, negli ultimi anni molti ritrovamenti hanno riportato alla luce altre splendide testimonianze delle antiche civiltà precolombiane, anche con l'aiuto di missioni archeologiche italiane, però di quella scoperta non si parla, perché troppo scomoda e inspiegabile per essere accettata da un buon numero di studiosi, ancora tenacemente aggrappati alle teorie dominanti sull'evoluzione dell'uomo.

D'altra parte la comunità scientifica ha sempre contestato qualsiasi novità che non rientrasse negli schemi ormai codificati. Il motivo di un simile atteggiamento lo hanno spiegato Michael Cremo e Richard Thompson nell'introduzione al loro monumentale studio ricco di dati e di informazioni "Archeologia proibita: la storia segreta della razza umana": "Il mondo accademico tradizionale ha soppresso o intenzionalmente ignorato molte testimonianze, per evitare che le teorie scientifiche ufficiali fossero messe in crisi. Un vero e proprio insabbiamento".

E così è stato anche per questa scoperta, assolutamente casuale, forse perché i cosiddetti archeologi accreditati non se ne potevano attribuire il merito.

Cosa era successo? Verso la fine del 1961, nei mercatini di souvenir di Ica, il capoluogo di una regione del sud del Perù, cominciarono a essere vendute, in gran quantità, delle pietre con incise strane figure di omuncoli, di animali sconosciuti, di scene enigmatiche. Ma il 1961 segnò solo l'inizio del commercio semiclandestino. In realtà quel tipo di pietre doveva essere già conosciuto da tempo se un cronista indio del 16° secolo, Juan de Santa Cruz Pachacuti Llamqui, ne aveva dato una descrizione precisa - le aveva chiamate piedras manco, ossia "pietre di potere" - e aveva scritto che durante il regno del re inca Pachacutec facevano parte del corredo funerario dei nobili, secondo un'antica tradizione.

Herman Buse, un noto studioso peruviano, nel suo libro "Introducción al Perù", sostenne che quel gran numero di pietre, comparse improvvisamente, doveva essere messo in relazione con l'inondazione che aveva sconvolto la vallata del rio Ica in quello stesso anno. Infatti aveva notato che avevano cominciato a portarle in città i contadini di Ocucaje, un villaggio a una trentina di chilometri più a valle, dove era stata costruita una vasca di raccolta delle acque per l'irrigazione. Buse era convinto che le ruspe usate per i lavori di scavo dovevano aver intaccato la copertura di un deposito sconosciuto, e che l'impeto della piena aveva portato in superficie le pietre.

Ocucaje è un agglomerato di poche casupole al centro di un deserto considerato il paradiso degli archeologi da quando, all'inizio del 1900, furono scoperte vastissime necropoli delle culture Nasca e Paracas (datate fra il 400 a.C. e il 400 d.C.) contenenti centinaia di mummie avvolte nei famosi mantos e circondate da bellissime ceramiche e da oggetti d'oro.

I contadini del luogo, di generazione in generazione, arrotondano i magri guadagni che ricavano da una terra arida e avara dedicandosi a un'attività clandestina, ma molto più redditizia. Escono di notte, avvolti fino al naso nei loro mantelli per proteggersi dall'aria mefitica dei cunicoli, e vanno a huaquear le tombe, per vendere gli oggetti rubati ai collezionisti di pochi scrupoli.

In quechua, l'antica lingua del luogo, huaca è ogni oggetto sacro, e siccome i doni lasciati a corredo dei defunti sono considerati sacri, viene chiamato huaquero chi li ruba. E' la versione peruviana dei nostri tombaroli.

Naturalmente gli huaqueros, dopo anni di attività, erano in grado di riconoscere perfettamente gli stili degli oggetti lasciati dai loro antenati. Quando trovarono inaspettatamente centinaia di pietre con disegni totalmente diversi da quelli delle ceramiche e di qualsiasi altro reperto Nasca o Paracas, pensarono che si trattasse di sassi privi di valore archeologico e li offrirono per poche decine di soles, la moneta peruviana di quegli anni, quando un dollaro valeva 350 soles.

All'inizio furono Pablo e Carlos Soldi, proprietari di grandi haciendas vicine a Ocucaje, a fare incetta di pietre, incuriositi dai disegni che giudicarono opera di fantasia di artisti sconosciuti, e nel giro di pochi anni collezionarono migliaia di pezzi. Poi altri seguirono il loro esempio e, tutti convinti di trovarsi di fronte a qualcosa di eccezionale, chiesero alle autorità di avviare delle indagini per scoprire il luogo del ritrovamento - che gli huaqueros mantenevano ben segreto - e di iniziare uno studio scientifico delle pietre. Ma inspiegabilmente, fin dall'inizio, ci fu un atteggiamento ostile da parte degli organi competenti, che poi diede origine a due opposti gruppi in lotta accanita: quello dei sostenitori dell'autenticità delle pietre, e quello degli oppositori.

Adesso conviene presentare il personaggio più importante nella storia di questa scoperta: Javier Cabrera Darquea, medico e chirurgo nell'Ospedale Regionale di Ica, il più appassionato estimatore delle pietre e, per ora, unico decifratore del linguaggio simbolico nascosto nelle incisioni.

Così inizia il suo libro "El mensaje de las Piedras Grabadas de Ica": "Erano i primi giorni di maggio del 1966. Felix Llosa Romero, un amico d'infanzia, attraversò la Plaza de Armas della città di Ica, ed entrò nel mio consultorio medico. Nella mano destra aveva una piccola pietra. ‘Te l'ho portata in regalo' mi disse. ‘E' bella e starà molto bene come fermacarte sulla tua scrivania'. La presi e fui meravigliato dal peso, eccessivo per la sua dimensione. Era una pietra ovale, nerastra, e su un lato era inciso il disegno di un pesce sconosciuto. Mi sembrò strana. Però mi tornò alla memoria che, molti anni prima, ne avevo vista estrarre una simile da uno scavo molto profondo che mio padre aveva fatto eseguire in una sua hacienda. Su quella pietra era inciso il disegno di un uccello che non conoscevo. Allora ero ancora un ragazzo e non vi diedi molta importanza.

Adesso mi incuriosiva sapere da dove veniva la pietra che avevo appena ricevuto e lo chiesi al mio amico. Mi rispose che gliela aveva data suo fratello, che ne possedeva una collezione notevole. La cosa mi sorprese perché a Ica si compravano di solito ceramiche, tessuti e oggetti di metallo, ma non pietre. E ancora di più fui sorpreso quando mi disse che da alcuni anni i contadini di Ocucaje ne stavano vendendo moltissime, a poco prezzo.

Chiesi al mio amico di vedere la collezione del fratello e lì mi trovai di fronte per la prima volta a una gran quantità di incisioni. Vidi disegni di uccelli, di pesci, di serpenti, di insetti e di molti animali strani; disegni di uomini, scene di caccia e di pesca, mappe zodiacali e planetarie, e parecchi altri soggetti. Notai però che quasi tutti gli animali rappresentati erano diversi da quelli delle specie ora viventi; e che anche gli esseri, apparentemente umani, non avevano una conformazione simile a quella dell'attuale umanità. Quella mia prima esperienza con le pietre incise insinuò una strana inquietudine nel mio spirito: sentii che bisognava scoprire la loro misteriosa origine per metterle in relazione con le culture classiche dell'antico Perù".

Preso dalla curiosità, Cabrera cominciò a indagare. Scoprì che anche il Museo Regionale di Ica possedeva un certo numero di pietre, che però non ricordava di aver mai visto. Chiese al direttore Adolfo Bermúdez perché non fossero esposte, e si sentì rispondere che aveva saputo da un suo amico che erano opera degli huaqueros. Perché non sottoporle a prove di laboratorio per accertarsi se fossero davvero dei falsi? suggerì Cabrera. Non ne valeva la pena, rispose Bermúdez, perentorio.

Cabrera non si arrese. Da poco era stato chiamato a dirigere la Casa di Cultura di Ica. Pensò che la sua posizione ufficiale gli avrebbe permesso di richiamare l'attenzione di archeologi e di studiosi su quella scoperta che ormai era diventata una specie di ossessione. Cominciò a comprare egli stesso quante più pietre poteva, e dopo qualche mese ne espose cinquemila nei locali della Casa di Cultura.

Nel frattempo era stata pubblicata una relazione di Agurto Calvo - allora Rettore dell'Università di Ingegneria - e di Alejandro Pezzia Assereto - del Patronato di Archeologia del Perù - a proposito di uno scavo eseguito nelle tombe pre-incaiche di Max Uhle e Tomaluz, nei pressi di Ocucaje (datate intorno al I secolo a.C.). Nella lista degli oggetti ritrovati erano descritte anche due pietre incise, simili a quelle allora in commercio. Erano senza dubbio due piedras manco.

Cabrera era convinto che l'articolo pubblicato da due studiosi di prestigio avrebbe stimolato anche gli archeologi più riluttanti a prendere visione della sua collezione. Arrivarono molti stranieri, scienziati seri, turisti curiosi e scrittori di libri di fantascienza, ma non gli specialisti peruviani su cui contava per avere un appoggio alla sua iniziativa. Anzi molti degli "esperti", senza aver mai esaminato da vicino una pietra, si valsero di una certa stampa scandalistica per sostenere che si trattava di una grossolana mistificazione ideata dallo stesso Cabrera. Il suo più accanito avversario, Roger Ravinez, archeologo e membro dell'Istituto Nazionale di Cultura del Perù, dovette ammettere che le due pietre estratte dalle tombe erano autentiche, ma continuò a sentenziare che le altre, in tutto simili, erano delle falsificazioni, senza tuttavia trovare argomenti per risolvere il mistero.

C'è da dire che a un certo momento furono gli stessi huaqueros a far credere di essere gli autori dei disegni. Per continuare a commerciare tranquillamente le pietre autentiche senza correre il pericolo di essere perseguiti per furto di reperti archeologici, cominciarono a vendere anche pezzi incisi da loro stessi, ma in modo talmente maldestro da essere immediatamente riconoscibili. Così contribuirono a inquinare e a screditare la scoperta agli occhi del mondo accademico.

E intanto, fra discussioni e contestazioni, campagne di stampa osannanti o denigratorie, le pietre continuarono a essere vendute in sempre maggior numero, tanto che nel 1980, secondo un calcolo approssimativo, pare che ne fossero state commerciate più di sessantamila. Un numero eccessivo per poter essere attribuite ai due contadini - Basilio Uchuya e Irma Gutierrez - che si dichiaravano autori delle incisioni. Per quanto tempo avrebbero dovuto lavorare, in gran segreto, per sfornare all'improvviso e in pochi anni un tale numero di pezzi? E come avrebbero potuto quei due, semianalfabeti, possedere conoscenze geologiche, mediche, naturalistiche, quali erano illustrate nelle incisioni con particolari di estrema precisione?

Robert Charroux, dopo aver fatto un'indagine all'insaputa di Cabrera, andando a intervistare i due contadini presunti autori delle incisioni ed essersi convinto che mentivano, confermò l'eccezionalità della scoperta. Espose tutta la storia nel suo libro L'Enigme des Andes e così concluse: "Accettando l'autenticità delle pietre la storia del mondo dovrebbe essere riscritta da capo, ma gli uomini di scienza non accetteranno mai di fare una simile rivoluzione".

Conviene ora tornare a Cabrera e seguirlo nel suo studio delle pietre, che poi durò anni, per conoscere le conclusioni parecchio sconvolgenti a cui però era giunto fin dall'inizio delle sue indagini. Infatti Cabrera sosteneva che le incisioni erano il lascito di un'umanità che, in tempi preistorici, aveva raggiunto un alto livello di conoscenze in tutti i campi dello scibile. Teoria decisamente troppo fantascientifica per poter essere accettata da persone di buon senso.

Incurante della campagna denigratoria che ormai era rivolta soprattutto contro di lui, decise di continuare da solo nel lavoro di raccolta e di catalogazione delle pietre. Trasformò in museo il suo consultorio medico, nell'antica casa di famiglia costruita dal suo antenato Don Jeronimo Cabrera, fondatore di Ica, e riempì tre sale con gli esemplari in suo possesso, allineando sui ripiani quelli di piccole e medie dimensioni, e ammassando sui pavimenti i pezzi enormi, pesanti fino a cinquecento chili.

A proposito degli esemplari di grandi dimensioni (che certamente non si può pensare che fossero stati incisi dagli huaqueros per venderli ai turisti - quale turista avrebbe acquistato delle pietre pesanti quintali?) Cabrera confidò a un giornalista amico di averli fatti estrarre da un deposito sotterraneo di cui era venuto a conoscenza e che conteneva altre centinaia di reperti. Un deposito probabilmente connesso ai misteriosi tunnel artificiali che attraversano tutto il sud America. Disse di essersi rivolto al governo perché il giacimento fosse presidiato per evitare atti di sabotaggio o di depredazione da parte degli huaqueros, e che solo a tali condizioni ne avrebbe rivelato l'ubicazione. Naturalmente la sua richiesta rimase senza risposta.

Deciso a raccogliere il maggior numero di informazioni possibili, fece eseguire gli esami petrologici di alcuni pezzi dalla Società Mineraria Maurizio Hochshild di Lima e dall'Istituto di Mineralogia e Petrografia dell'Università di Bonn. I risultati furono concordi: le pietre erano andesiti carbonizzate di natura vulcanica, provenienti dalla disintegrazione del massiccio andino fra i 100 e gli 80 milioni di anni fa, nel corso dell'era mesozoica. La durezza delle pietre fu calcolata in 4.5 della scala Mohs, e la loro forma arrotondata dovuta alla levigazione per il rotolio, durato secoli, in canaloni o letti di fiumi. Quanto alla patina di ossidazione, presente in modo uniforme sia sulle superfici non lavorate che nei tratti incisi, fu calcolata antica di almeno 12000 anni.

Cabrera rinunciò invece a chiedere una possibile datazione delle incisioni, per l'alto costo delle analisi da eseguire sui microfossili presenti nei solchi delle incisioni.

Ordinando e classificando i pezzi che presentavano delle somiglianze, si rese conto che potevano essere raggruppati in serie, e che ogni serie svolgeva un determinato argomento: zoologia, botanica, geografia, astronomia, rituali, medicina, chirurgia, ecc. Avendo poi notato piccole variazioni nei dettagli dei disegni di ogni tema per la presenza di elementi complementari, si rese conto che era indispensabile possedere serie complete per evitare di giungere a conclusioni errate a causa di informazioni mutili. Perciò continuò ad aumentare la sua raccolta (dopo pochi anni era arrivato a possedere 12000 pietre) per avere una visione più ordinata e coerente delle incisioni, il che gli permise di dedicarsi a uno studio sempre più meticoloso. Il vantaggio del dottor Cabrera rispetto agli altri collezionisti, che avevano definito i disegni "raffigurazioni di animali fantastici", fu quello di avere una perfetta conoscenza della biologia (è docente di questa materia e anche di antropologia all'Università di Ica). Gli fu chiaro che gli animali riprodotti nelle incisioni appartenevano in realtà a specie estinte da milioni di anni. La loro identità morfologica con quelli illustrati nei manuali di paleozoologia era evidente.

In una serie composta da ben 205 pezzi trovò descritto il ciclo riproduttivo e lo sviluppo dell'agnato, un pesce paleozoico sprovvisto di mascelle, estinto da 400 milioni di anni. Un'altra, di 48 esemplari, mostrava le fasi di crescita di un megachirottero, un pipistrello gigante preistorico. E altre serie descrivevano le fasi evolutive dei rettili volanti e dei grandi sauri, dallo stato embrionale fino a quello di individui adulti. Le pietre di queste serie erano in ordine crescente di dimensioni, dalle più piccole, di pochi grammi di peso, a quelle di 50 e più chili.

Fin dal suo primo contatto con le pietre, Cabrera aveva avuto la sensazione che i disegni non avevano propositi artistici o decorativi: era convinto che non erano stati fatti per essere ammirati o contemplati, ma per essere interpretati. Ricordando che la conclusione delle indagini storiche sulle civiltà del Perù antico era stata che i popoli incaici e pre-incaici non disponevano di un sistema di scrittura, si chiese se le incisioni non fossero in effetti una forma di ideografia. In più, la minuzia e la precisione con cui erano disegnati gli animali, facevano pensare che gli autori delle incisioni dovevano avere avuto una conoscenza diretta dei soggetti rappresentati.

Però il fatto più sconcertante era la presenza di esseri apparentemente umani, nonostante il loro aspetto quasi deforme, accanto ad animali preistorici estinti da almeno 60 milioni di anni. Come era possibile una simile convivenza se la scienza asserisce che la presenza sul pianeta del nostro più antico progenitore risale a un paio di milioni di anni soltanto?

Facendo sua la convinzione di Levy-Strauss: "Negare dei fatti perché li si ritiene incomprensibili, sotto il profilo del progresso scientifico è certamente più sterile che formulare delle ipotesi", Cabrera non ebbe timore di rimettere in discussione le sue conoscenze scientifiche. Per quanto assurda potesse sembrare una simile idea, pensò che forse mancavano dei tasselli nel mosaico della storia dell'umanità.

Con un paziente lavoro di ricerca riuscì a scovare vecchie pubblicazioni ormai dimenticate. Fra queste le relazioni di alcuni antropologi e paleontologi sudamericani e russi che avevano dichiarato di aver estratto, dagli stessi strati geologici, resti fossilizzati di animali preistorici accanto a ossa umane, strumenti di caccia e altri utensili. Testimonianze che la scienza aveva rifiutato giudicandole inattendibili.

In "Perù, incidents of travel and explorations in the lands of Incas", pubblicato a New York nel 1887, trovò altre conferme alle sue supposizioni. L'autore, Ephraim George Squier, un archeologo nord americano, dopo aver studiato minuziosamente le civiltà dell'antico Perù, si era convinto che nella storia peruviana erano esistite due distinte epoche culturali: una situata in un tempo molto lontano, detentrice di una conoscenza scientifica molto avanzata, e l'altra - quella degli Incas - di un livello culturale molto più basso. Squier pensava che fra queste due culture doveva essere intercorso un tempo difficile da precisare, ma enorme. Era anche convinto che le gigantesche costruzioni sparse nel territorio peruviano erano la testimonianza di una tecnologia avanzatissima, patrimonio di una umanità sconosciuta. Altra teoria a sostegno dell'ipotesi di Fawcett.

E ancora: esaminando le incisioni che mostravano cavalli e lama con cinque dita, Cabrera si ricordò che un archeologo peruviano - Julio C. Tello - aveva pubblicato uno studio sui queros di stile Tiahuanaco (stoffe con figure intessute), in cui vi erano lama con cinque dita, come nei lama preistorici e non come in quelli attuali che hanno zoccoli bipartiti. Alcuni studiosi avevano giudicato quei disegni come il prodotto della fantasia di artisti pre-colombiani che avevano voluto umanizzare i lama. Ma, a distanza di pochi anni, lo stesso Julio Tello aveva scoperto scheletri di lama con cinque dita. Questo ritrovamento, che avrebbe dovuto interessare archeologi e paleontologi, passò del tutto inosservato, così come era stata ignorata la scoperta di antropologi indiani, comunicata alla Accademia delle Scienze dell'U.R.S.S. nel 1973, di fossili umani estratti da rocce mesozoiche (fra i 230 e i 63 milioni di anni fa). Cabrera ebbe questa notizia dal dottor A. Zoubov, antropologo russo e membro dell'Accademia delle Scienze, in occasione di una sua visita per una serie di conferenze nei paesi latino americani.

E proprio a Ocucaje, nel 1989, Jimenez del Oso rinvenne una colonna vertebrale umana accanto a fossili di dinosauri. Con queste conferme Cabrera si convinse che la sua teoria aveva solide basi scientifiche.

A mano a mano che la collezione di pietre si arricchiva di nuovi esemplari, lo stupore di Cabrera aumentava. Quando vide incisioni che illustravano complesse operazioni chirurgiche, altre in cui degli uomini scrutavano il cielo con telescopi, o muniti di lenti di ingrandimento osservavano divisioni di cellule e altri dettagli microscopici, ed esemplari con disegni di macchine volanti, ebbe la certezza che quella specie di biblioteca di pietre era stata creata per tramandare una serie di notizie sul grado di civiltà e di sviluppo scientifico e tecnologico di un'umanità che aveva abitato il pianeta in un'epoca imprecisata, ma certamente remota.

Con lo studio sistematico di oltre cinquecento pietre, si accorse che certi segni si ripetevano in posizioni diverse a seconda delle diverse situazioni. Ne dedusse che si doveva trattare di una forma di crittografia. E alla fine, con una buona dose di intuizione e di fortuna, riuscì a interpretare il significato di un buon numero di segni: spirali, triangoli, rombi, reticoli, foglie, frecce, linee, e arrivò a decodificare quella specie di linguaggio simbolico. La foglia era il simbolo della vita e indicava la trasformazione dell'energia solare in energia elettronica; le linee parallele erano il simbolo della vita vegetale, di un'energia organica e biologica di grado inferiore; le quadrettature oblique e le losanghe indicavano la vita animale; le linee verticali e orizzontali, la vita umana; le piramidi, complessi energetici di assorbimento, accumulo e distribuzione di energia.

Ma le incisioni che più interessarono Cabrera, proprio per il fatto di essere medico e chirurgo, furono quelle della serie sulla medicina e sulla chirurgia, Su pietre di enormi dimensioni - circa 90 centimetri di diametro e quasi 500 chili di peso - vide illustrate le varie fasi di parti naturali e di parti con taglio cesareo; molti tipi di anestesia - compresa quella per agopuntura - operazioni di asportazione di tumori, di trasfusioni di sangue e, impensabili in quegli anni (Christian Barnard non aveva ancora compiuto il suo primo trapianto di cuore), operazioni di trapianti di cuore, appunto, oltre che di fegato, di reni e addirittura di emisferi cerebrali.

Notò che gli individui impegnati in attività importanti portavano dei copricapo apparentemente fatti di piume - ma che a un più attento esame capì che erano foglie - mentre altri esseri ne erano sprovvisti, quasi a suggerire la presenza di vari tipi con caratteristiche diverse.

Fu proprio la foglia a fornirgli la prima chiave di lettura di quel linguaggio ermetico. Aveva contato più di cento posizioni in cui la foglia era collocata all'interno delle composizioni, evidentemente per suggerire differenti interpretazioni a seconda di come era accostata ai vari elementi.

Cabrera si chiese se la costante presenza di foglie non indicasse una funzione particolare. Esaminando una serie di incisioni in cui dei raggi di sole si insinuavano fra le foglie dei copricapo dei personaggi importanti, e terminavano alla base delle loro teste, arrivò a puntare la sua attenzione sulla ghiandola pineale, o epifisi, presente alla base del cervello, in prossimità della nuca.

Dell'epifisi la scienza sa poco, perché solo recentemente ha cominciato a interrogarsi sulla sua funzione. Oggi sappiamo che produce la melatonina, un ormone legato al sistema delle endorfine, che presiede ai ritmi del sonno e della veglia, e quindi all'alternanza energetica senza la quale un organismo non può reggere. Benché si trovi all'interno della scatola cranica, riceve la luce del sole attraverso un circuito nervoso che trasmette la luce dalla retina fino alla ghiandola.

Più di venti anni fa, quando l'epifisi veniva ancora definita inutile, Javier Cabrera rilasciò queste dichiarazioni alla rivista argentina "El Insolito": "Si sa che le foglie si sviluppano per mezzo della fotosintesi, e perché la fotosintesi avvenga è necessaria la luce del sole, fonte primaria di energia. Allo stesso modo la ghiandola pineale cattura l'energia solare cosmica e la trasforma in un altro tipo sconosciuto di energia, che io chiamo energia conoscitiva. Le foglie che compaiono sulle teste di alcuni individui sono una rappresentazione simbolica di un mezzo che permetteva loro di stimolare il cervello, per sviluppare le loro funzioni conoscitive, così come di convertire l'energia solare e cosmica in un tipo di energia conoscitiva. Sfruttando l'attività della loro ghiandola pineale, quegli esseri erano in grado di trasformare il corpo organico in corpo puramente energetico. Mi chiedo se la nostra umanità sarebbe in grado di gestire una simile fonte di energia. Guardando a quanto accade oggi con il nucleare, direi di no".

Un altro dettaglio a conferma del ruolo che l'epifisi doveva avere nel fornire non solo energia conoscitiva ma anche organica appare nelle medesime incisioni con gli individui trafitti dai raggi di sole. Le teste, disegnate di profilo, hanno una bocca piccolissima, chiusa dietro da una specie di graffa, chiara allusione al fatto che quegli esseri non si alimentavano per via orale.

Stupefatto dall'enorme sapere di quegli strani esseri, Cabrera decise di chiamarli "Antenati Superiori" e definì la loro civiltà "Glittolitica". E così spiega il loro aspetto inconsueto - corpi piccoli e tondi da bimbi e teste grandi con profili adunchi da vecchi : "Per quanto riguarda le figure umane rappresentate nelle incisioni, anche se è probabile che non vi sia una estrema fedeltà ai modelli, dato che si tratta di disegni simbolici, penso tuttavia che per certi aspetti non fossero diversi da come appaiono. E' evidente la sproporzione fra la testa, il corpo e gli arti. La testa è voluminosa, e ancor più il ventre; gli arti superiori sono lunghi, le mani hanno dita sottili e il pollice non è in posizione opposta. Gli arti inferiori sono robusti e corti. Dato che la finalità dell'umanità glittolitica era l'aumento delle qualità intellettive per incrementare e conservare le conoscenze acquisite, la conformazioni fisica degli individui dovette adattarsi al costante esercizio delle funzioni conoscitive. Pertanto il cervello doveva avere dimensioni notevoli; le braccia potevano non essere robuste e le mani, non dovendo assolvere a funzioni meccaniche, non avevano bisogno di un pollice in posizione opposta. Le gambe corte e forti e il ventre pesante, spostato in basso, bilanciavano il peso della testa, sproporzionatamente grossa".

I vari individui appartenenti a un diverso livello evolutivo - che Cabrera identificò in cinque tipi differenti - sono riconoscibili da certi segni caratteristici che rivelano le loro diverse capacità e attitudini.

Un'altra serie di pietre di eccezionale interesse è quella sui trapianti di cuore, composta da otto esemplari fra i più imponenti della collezione - misurano dai 60 agli 80 cm di diametro, e pesano fino a 400 chili - su cui si possono seguire le varie fasi dell'intervento, dall'espianto dell'organo dal corpo del donatore al reimpianto nel paziente ricevente. Il particolare che più colpì Cabrera fu la costante presenza di una donna in evidente stato di gravidanza collegata, per mezzo di una cannula inserita nell'arteria radiale, sia al cuore già rimosso e pronto per essere trapiantato, sia al paziente ricevente, con l'evidente funzione di trasfondere sangue. Riflettendo su quel dettaglio sorprendente, Cabrera si rese conto che le incisioni suggerivano che nel sangue di una donna incinta esiste un principio attivo che impedisce il rigetto di un organo estraneo. Infatti, cos'è un feto se non un individuo per metà estraneo alla madre che lo ospita? Eppure è tollerato nonostante sia anche il prodotto di un codice genetico diverso, e cioè quello contenuto nel nucleo degli spermatozoi del padre.

Dai dottori Ronald Finn e Charles St. Hill, del Royal Southern Hospital di Liverpool, nel 1980 venne la conferma dell'esattezza di quell'applicazione. Infatti i due ricercatori ebbero esiti positivi, ossia non ebbero rigetti, in esperimenti di trapianti di fegato, di reni e di cuore in animali trasfusi con plasma sanguigno prelevato da femmine gravide, per la presenza di una sostanza immuno-depressoria non bene identificata. Probabilmente un ormone diverso dal progesterone, già sintetizzato e sperimentato, ma che non sempre si è rivelato efficace per prevenire l'aborto, che in effetti è un rigetto.

La conclusione di Cabrera fu che l'umanità glittolitica aveva raggiunto una vasta e profonda conoscenza della scienza medica. Le cinquanta pagine del V capitolo del suo libro sono dedicate alla spiegazione di come venivano eseguite operazioni chirurgiche molto complesse, soprattutto quelle di trapianto di vari organi. Quanto alle terapie mediche, unendo le conoscenze desunte dalle incisioni con quelle acquisite dalla moderna medicina occidentale, Cabrera ha proposto un nuovo ordinamento molecolare che ha descritto in una tesi dal titolo "Teoria Biomicrofisica di Immunologia del Cancro", a cui ha collaborato il suo assistente, il dottor Luíz Cáhua Acuña.

Sempre nella serie sulla chirurgia sono illustrate operazioni al cervello e sostituzioni di emisferi cerebrali. In una incisione appare chiaro, naturalmente in forma simbolica, il processo di trasmissione di codici di conoscenza fra esseri di diversa struttura ed evoluzione. Infatti un disegno mostra su un lato della pietra un individuo con il copricapo di foglie, perciò un essere superiore, e sull'altro un essere dall'aspetto quasi animalesco. Una delle foglie che coronano la testa dell'essere superiore si allunga fino a inserirsi nella testa dell'altro individuo pressoché scimmiesco. Ricordando che la foglia è il simbolo della carica energetica e dell'evoluzione intellettiva, è evidente l'allusione alla possibilità di trasmettere informazioni da soggetto a soggetto. Le incisioni suggerirebbero, insomma, che l'evoluzione umana non sarebbe stata un processo naturale e spontaneo, ma sarebbe stata programmata e diretta da individui appartenenti a una civiltà più avanzata su soggetti biologicamente e intellettualmente inferiori. Secondo Cabrera, gli autori delle incisioni sarebbero stati proprio questi individui che, una volta ricevuti i codici di conoscenza, furono in grado di tramandare quanto era stato loro trasmesso.

A questo punto mi permetto uno sconfinamento nel paranormale (d'altra parte, quanto c'è di normale in tutto quello che sto raccontando?). Ecco il risultato di un esame psicoscopico eseguito da una sensitiva in stato di trance su una pietra incisa, di cui non conosceva né la provenienza né la storia: "Vedo due individui. Un occhio vigile che guarda; un pungolo nella mano dell'altro. Com'è veloce il disegno! Quasi nemmeno pensato ed è già finito. E' l'occhio di chi guarda, però, che sta guidando. La pietra mi dice: pazienza e osservazione. La vedo in mezzo ad altre. Non a caso i disegni sono ripetuti in tutta una serie. La soluzione è nella serie: non c'è il tre senza il due, non c'è il quattro senza il tre. Io vado dentro la terra… vado a segnare. Io segno, tu mi guardi. Tu con gli occhi mi dici quello che devo segnare e io segno quello che tu dici, perché tu sei che sai. Io non so. Io eseguo con la mano quello che tu mi dici con gli occhi, perché tu sai. Tu sai la vita: tu sai il prima e il dopo; tu sai dirmi come sarà, tu sai dirmi quello che è stato. Io solo segno. Altri ancora segnano: altri già prima hanno segnato". Improvvisamente la sensitiva comincia ad agitarsi e a respirare affannosamente. "Acqua… vedo acqua. Acqua che bagna e liscia… acqua che lava… lava anche il ricordo! Lava tutto. Quanta acqua! Quanta acqua al passaggio di chi è stato! Basta! Non posso più tenere questa pietra! Non la voglio più! Toglietemela!… Ah, la mia testa! Che strano… la mia testa è una pietra nera come quella che avevo in mano… ".

L'acqua vista dalla sensitiva può essere il diluvio di cui si parla più avanti? Sembrerebbe di sì.

Altre pietre che si sono rivelate molto importanti per risolvere il mistero della scomparsa dell'umanità glittolitica, sono esposte nel Museo dell'Aeronautica di Lima, diretto dal colonnello Omar Chioino Carranza.

Un breve inciso: Adriano Forgione, un giornalista italiano, ha saputo proprio dal colonnello Chioino che il dottor Cabrera è rimasto sotto la sorveglianza del Servizio d'Informazione Peruviano negli anni settanta per un lungo periodo di tempo. "Non è emerso nulla che lo potesse far sospettare di essere il mandante delle presunte mistificazioni. La sua serietà è al di sopra di ogni sospetto" ha assicurato Chioino.

Nelle sale del museo sono documentati tutti i tipi di volo, da quello degli insetti a quello degli apparecchi supersonici, e si possono ammirare anche le ceramiche e i mantos dell'arte Nasca e Paracas in cui compaiono esseri alati e uomini uccello, temi ricorrenti nelle antiche culture peruviane. E anche su queste figure, sempre presenti nell'iconografia peruviana precolombiana, ci sarebbe da riflettere.

Sulle 65 pietre della collezione sono disegnati sia enormi uccelli che portano sul dorso degli uomini, come se fossero stati addomesticati, sia uccelli meccanici, che stanno a indicare che si tratta di macchine volanti. A bordo degli aeromobili vi sono uomini che osservano o cacciano dinosauri, mentre altri scrutano il cielo solcato da corpi celesti.

Riflettendo sulla ripetizione dei quattro elementi sempre associati - uomini, macchine volanti, dinosauri e corpi siderali - Cabrera dedusse che quell'umanità, straordinariamente progredita, presente sul pianeta contemporaneamente ai dinosauri, era stata messa in allarme dall'avvicinarsi di corpi celesti che stavano per entrare in collisione con la terra e provocare una tremenda catastrofe. Il timore per il pericolo incombente deve essere stato talmente angosciante, che la stessa informazione è stata ripetuta su esemplari di enormi dimensioni, quasi per accentuare l'eccezionalità dell'evento.

Evento annunciato anche nella serie delle mappe planetarie, dove sono incisi i continenti nella posizione in cui probabilmente si trovavano al tempo dell'umanità glittolitica. Sul perimetro esterno delle pietre che mostrano gli emisferi terrestri, si notano dei gruppi di piramidi con i vertici rivolti verso i continenti, e tutt'intorno una larga striscia di linee ondulate che sembra indicare un accumulo di vapore nell' atmosfera. Sapendo che le piramidi erano il simbolo di sistemi che servivano per captare, conservare e distribuire energia, è evidente che l'uso incongruo di tali sistemi doveva aver provocato una situazione di squilibrio. Il pianeta, ricevendo calore dal sole e non potendolo dissipare a causa di quell'enorme strato di vapore, era diventato un sistema termico chiuso. Giunto al punto di massimo accumulo, il vapore si deve essere convertito in acqua, precipitando sulla terra sotto forma di una pioggia interminabile, un vero diluvio, con conseguenze spaventose. Nello stesso tempo, l'eccesso di energia calorifica poteva avere intaccato anche lo scudo di Van Allen, l'involucro magnetico che circonda la terra e che la protegge dalle particelle ionizzate emesse dal sole. Quest'insieme di fattori doveva aver provocato un aumento di intensità nel campo gravitazionale della terra, con la conseguente cattura di corpi celesti che, penetrando attraverso le falle aperte nelle fasce di Van Allen, colpirono la terra con effetti catastrofici.

Le tradizioni e i miti di tutti i popoli tramandano il ricordo di uno spaventoso cataclisma avvenuto in un lontanissimo passato. Alcuni lo attribuiscono alla caduta di asteroidi giganteschi; per altri fu il diluvio universale. Le Pietre di Ica riportano entrambi gli eventi. Ma anche gli studi geologici confermano che in passato avvennero catastrofi planetarie.

La cultura occidentale ha una concezione lineare della storia, per cui l'evoluzione umana avrebbe avuto inizio, alcune decine di migliaia di anni fa, nelle fertili vallate della Mesopotamia.

La cultura orientale e quella degli indios delle Americhe, al contrario, hanno una concezione ciclica della storia secondo la quale, nei miliardi di anni di vita della nostra terra, sarebbero nate, fiorite e poi scomparse molte civiltà. Teoria non improbabile se si pensa che sono bastate poche centinaia di migliaia di anni perché la nostra umanità uscisse dai tempi oscuri dell'età della pietra ed entrasse nell'era delle conquiste atomiche.

Per concludere, il dottor Cabrera si rende perfettamente conto di quanto sia difficile accettare le sue ipotesi, che oltretutto contraddicono sia la teoria darwiniana sia quella degli uniformitaristi sull'evoluzione della vita e del genere umano sul nostro pianeta. Eppure è assolutamente convinto di quanto afferma: è esistita un'umanità vissuta almeno sessanta milioni di anni fa, molto più evoluta di quanto lo sia ora la nostra, che prima di scomparire ha lasciato la somma delle sue conoscenze in una biblioteca litica. E con quell'archivio di nozioni ha voluto anche trasmettere un messaggio che è in realtà un ammonimento. Avendo compreso di aver compromesso l'equilibrio e il metabolismo del pianeta con un uso anarchico dell'energia, tanto da aver provocato una catastrofe immane, volle lasciare un avvertimento per impedire a dei probabili posteri di ripetere lo stesso errore che aveva portato alla scomparsa della loro civiltà.

E quest'avvertimento diviene ancora più allarmante e attuale per noi, alla luce dei tanti eventi climatici disastrosi che si stanno verificando con ritmo sempre più ravvicinato. Il nostro focolare planetario non è un paradiso sicuro sospeso nello spazio. Anche la nostra umanità rischia di camminare verso una catastrofe ecologica per l'impiego di tecnologie che non sempre riesce a controllare. Se non sarà adottato un atteggiamento più rispettoso della natura e delle sue leggi diminuendo lo sfrutta- mento irrazionale delle risorse della terra, riducendo la contaminazione atmosferica ed evitando la distruzione dissennata dell'habitat naturale, il futuro del nostro pianeta potrà essere drammatico.

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Luciana Petruccelli è nata a Castellammare di Stabia, nel 1924. Dopo gli studi in scuole d'arte a Milano - Brera e Umanitaria - inizia l'attività nel campo della grafica e della moda. Lavora per quattro stagioni nel reparto di scenografia del Teatro alla Scala. Successivamente svolge la sua professione in Brasile, impegnata come costumista e scenografa in teatri d'opera e di prosa (San Paolo, Rio de Janeiro). Insegna alla Scuola di Teatro dell'Università di Bahia. Rientrata in Italia, si dedica alla realizzazione di lungometraggi cinematografici, compiendo numerosi viaggi in Medio ed Estremo Oriente. Attualmente vive a Sori, vicino a Genova. E' venuta a conoscenza delle pietre di Ica nel 1983, quando si trovava in Brasile assieme al marito regista teatrale. Ha potuto conoscere personalmente il Dott. Javier Cabrera, di cui è diventata amica, e grazie a questo contatto diretto è in possesso di un ricco archivio fotografico, che ha messo cortesemente a disposizione di Episteme.

E-mail: lupetru@tiscalinet.it