(I continenti secondo una delle "pietre di Ica")

 

Qualche commento in proposito…

(con riflessioni di: Giuseppe Sermonti, Viviano Domenici,

Elisabetta Rosaspina, James Randi, Henri Broch)

Stories last longer than men,

stones than stories, stars than stones

(John Barth, Perseid)

Un giudizio di valore sull'argomento trattato nelle pagine precedenti è di quelli che non hanno vie di mezzo: o si tratta di una questione della massima importanza, capace di gettare una nuova luce sulla protostoria dell'umanità, oppure di una disprezzabile falsificazione senza valore. Accade purtroppo sovente, però, che ci si "schieri" in favore dell'uno o dell'altro "partito" soltanto in funzione della propria "ideologia", della proiezione dei propri "desideri" concettuali, anche inconsci, del grado di fiducia nella propria visione del mondo, o della resistenza a modificarla. Per esempio, gli estimatori della Weltanschauung scientifica, elaborata all'interno della civiltà occidentale a partire dal Rinascimento in poi, non esiteranno ad iscrivere questa vicenda nell'elenco delle "ciarlatanerie" di stampo fantarcheologico o ufologico che oggi imperversano - allo stesso modo che una mentalità "razionalistica" come quella dello scrivente respingerà senza esitazioni a priori il valore di considerazioni quali l'"esame psicoscopico eseguito da una sensitiva" cui fa riferimento la relazione della Petruccelli. Al contrario, coloro che sono già stati portati a dubitare dell'eccellenza del detto sistema filosofico, o nutrono antipatia per esso, o per alcune delle sue conseguenze in campo etico e sociale, presteranno invece attento orecchio a racconti del genere di quello qui narrato. Ma ubi est veritas? Ci sembra pertanto di fare al solito cosa utile ai lettori di Episteme con il renderli edotti di diversi punti di vista espressi sull'argomento*, a cominciare da un articolo di Giuseppe Sermonti che, tra le numerose altre decise stroncature provenienti dal mondo della scienza "ufficiale", si mostra sapientemente equilibrato (forse perché il suo autore ha il merito di essere sì uno scienziato, ma capace di uscire quando è necessario dal "coro").

Non possiamo qui che convenire con l'auspicio che Sermonti** - biologo di fama internazionale, e soprattutto noto per le sue critiche al darwinismo, oggi una componente essenziale della comune "concezione scientifica del mondo" - esprime alla fine delle sue considerazioni: bisogna studiare la questione più a fondo, evitando il rischio che venga trasferita "nel catalogo buffo degli extraterrestri e del paranormale" (si possono in effetti trovare ampie notizie sulla vicenda delle fenomenali pietre in riviste il cui contenuto oscilla sovente tra l'invenzione leggendaria, il sensazionalismo dei mitomani, e il resoconto affidabile, quali per esempio: Hera, N. 10, ottobre 2000, "Nuova luce sulle pietre di Ica"; Nexus, NN. 4 e 5, aprile e giugno 1996, "Perù 61 - Storie di pietra").

Sembra potersi onestamente affermare che pervenire a una conclusione affidabile con le informazioni che si hanno adesso a disposizione non è poi così agevole, tra numerose rappresentazioni più o meno deformate della realtà, a partire da quelli che dovrebbero essere invece i "dati" più semplici. Cabrera è un odontoiatra, ciò che afferma nel seguito Randi, o un medico-chirurgo dell'ospedale regionale di Ica, come scrive la Petruccelli? (Randi lo descrive addirittura quale persona che produce alcuni falsi da sé, in pochi minuti, usando appunto un trapano da dentista; ipotesi molto poco credibile, tanto più che successivamente lo stesso autore parla di espedienti per simulare l'antichità dei manufatti). E' del tutto uno sprovveduto in campo archeologico e paleontologico, secondo talune sue descrizioni, o no? Chi scrive queste righe lo ha conosciuto di persona, e per quanto la memoria sia affidabile, lo ricorda uno studioso che svolgeva anche funzioni di insegnamento universitario. Rammento per certo infatti di aver visto, tramite lui, delle foto che lo ritraevano durante escursioni "sul campo" assieme a suoi giovani allievi, e tra tali immagini alcune pareti rocciose nelle Ande, in cui uova di dinosauro erano inequivocabilmente al di sopra dei resti di rovine (mura etc.) di manifesta origine umana.

Se un'accorta prudenza è doverosa nell'affrontare una questione dai risvolti così importanti, l'atteggiamento di coloro che cercano frettolosamente ("Within an hour"!) di negare tutto appare invero costruito sulla base di indizi molto fragili, quali quelli riferiti da Randi, e soprattutto di "preconcetto"; non può dirsi quindi accettabile senza che vengano effettuate ulteriori approfondite indagini, e ne siano divulgati in modo esauriente i risultati. Che sia fiorito a un certo punto un "mercato" delle imitazioni delle pietre è facilmente concepibile, ma il dubbio se ce ne sia qualcuna autentica ovviamente rimane (anche i detrattori riferiscono di almeno due pietre rinvenute da "esperti" al di fuori di ogni dubbio di raggiro, ma non ci informano se questi particolari oggetti presentino raffigurazioni del tipo giudicato "impossibile", o no).

Le "spiegazioni" degli "avversari" per partito preso, alcune delle quali qui di seguito riportate, si presentano talora un po' ingenue, perfino controproducenti, come ben sottolinea la Petruccelli. Una pietra di 500 chilogrammi è facilmente vendibile sul mercato dei turisti? Chi mai falsario si accingerebbe alla faticosa impresa? E perché non si mostrano le pagine di quei libri dove i contraffattori locali avrebbero trovato l'ispirazione per riprodurre immagini di trapianti negli anni '60, quando la prima famosa operazione del genere, effettuata dal cardiochirurgo Barnard, risale solo al 1967? Si può credere senza sforzo che una persona qualsiasi, non dotata di particolari competenze specifiche, abbia idee tanto accurate su alcuni dei dettagli concernenti siffatte pratiche chirurgiche? E avrebbe fantasticato di quegli strani uomini, la cui rappresentazione avrebbe dovuto far sospettare subito ai potenziali clienti una possibile simulazione, e sarebbe riuscita quindi svantaggiosa per gli interessi del falsario stesso? Da quale fantasia e cultura sarebbe originata l'idea di incidere sulle pietre il ciclo evolutivo di animali preistorici, contenente dettagli che solo oggi sono conosciuti agli scienziati? Un semplice tombarolo avrebbe davvero potuto pensare di raffigurare l'uccisione di un dinosauro attraverso un attacco sul dorso, dove è stato stabilito risiedesse uno dei centri del sistema nervoso dell'animale? E' questa una nozione di tipo "comune", che si trova negli ordinari libri di scuola del Perù? Si sostiene inoltre che le pietre siano manifestamente delle contraffazioni, per il fatto che il loro stile non ha niente a che fare con quello degli altri più comuni reperti archeologici del luogo, senza tenere conto che questo è un elemento a favore della tesi completamente opposta: solitamente, un falsario di antichità imita il già noto, non "crea".

Per quanto riguarda lo stesso Cabrera, prima viene descritto come un sempliciotto, caduto nella rete di furbi campesinos che avrebbero prodotto i falsi da soli, poi secondo Broch sarebbero in parte responsabili del raggiro addirittura anche degli esperti di Belle Arti; infine, lo si descrive pure impegnato in prima persona sul campo a ricercare dei reperti in proprio (quest'ultima circostanza risulta autentica, come si diceva, allo scrivente).

Bisogna poi soprattutto saper separare l'interpretazione che dà delle pietre colui che ne è il principale collezionista, dalla loro eventuale esistenza oggettiva come reperti degni di studio. Di fatto, le conclusioni del medico andino, così come riportate dalla Petruccelli o da Sermonti - tramite il libro da questi citato - appaiono a dir poco "ingenue", laddove si parla di: "un'umanità vissuta almeno sessanta milioni di anni fa [...] [che] ha voluto anche trasmettere un messaggio che è in realtà un ammonimento. Avendo compreso di aver compromesso l'equilibrio e il metabolismo del pianeta con un uso anarchico dell'energia, tanto da aver provocato una catastrofe immane, volle lasciare un avvertimento per impedire a dei probabili posteri di ripetere lo stesso errore che aveva portato alla scomparsa della loro civiltà"***, oppure quando ipotizza un intervento extraterrestre a favorire l'evoluzione umana.

Le cose da dire sarebbero ancora molte, ma è ormai tempo di lasciare spazio ai commenti annunciati, esprimendo l'auspicio finale che "ben altri studi, competenze e autorevolezze" riescano a dire una parola conclusiva sull'argomento - anche se l'impresa non sembra facile, vista tutta la cortina distesa a protezione delle concezioni darwiniste, sulla quale ritorneremo in questo stesso numero di Episteme nella rubrica che ospita le recensioni...

* Che pubblichiamo in conformità alle disposizioni in materia di stampa e diritto d'autore, in quanto secondo l'Art. 70 dell'attuale normativa: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti d'opera, per scopi di critica, di discussione ed anche di insegnamento sono liberi nei limiti giustificati da tali finalità e purché non costituiscano concorrenza nell'utilizzazione economica dell'opera … Il riassunto, la citazione o la riproduzione debbono essere sempre accompagnati dalla menzione del titolo dell'opera, dei nomi dell'autore, dell'editore … etc.".

** Il Prof. Sermonti si era peraltro già espresso a favore di un'umanità preistorica alquanto "evoluta" dal punto di vista delle conoscenze astronomiche (al corrente della precessione degli equinozi sin da 15/20mila anni prima di Cristo) nell'interessante: "Le nostre costellazioni nel cielo del paleolitico", Giornale di Astronomia, N. 3, 1994.

*** E non tanto perché debba ritenersi del tutto fantastica l'ipotesi di una (o più) immani catastrofi nel passato del nostro pianeta, ma perché queste sono state occasionate verosimilmente da eventi in nulla connessi con la volontà degli esseri umani, i quali, se c'erano!, ne hanno soltanto forzatamente subito le conseguenze.

(UB)

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Le pietre magiche precolombiane

restituiscono un Adamo tecnologico

Le incisioni di Ica propongono uomini, dinosauri e tecniche chirurgiche

(Giuseppe Sermonti)

 

Nel 1961 il Rio Ica, un secco letto di fiume presso la città omonima, in Perù, inaspettatamente montò in piena e le acque inondarono il deserto circostante trascinando in superficie una quantità di pietre incise, con le raffigurazioni più disparate e sorprendenti. Esse finirono nelle mani di poverissimi campesinos che si misero a raccoglierle, a ve[n]derle e, a loro dire, a costruirne di false (un modo pare, per consentire loro di vendere ciò che sarebbe state vietato, cioè reperti archeologici originali). Nel 1966 Javier Cabrera, un medico locale, ricevette in dono un esemplare con inciso uno strano rettile. Affascinato dall'oggetto si dedicò al reperimento di altre pietre incise e in pochi anni ne collezionò più di diecimila.

Delle pietre di Ica si interessarono anche alcuni archeologi peruviani, che le classificarono come "pietre magiche di culture precolombiane" o come "misteriose pietre del deserto di Ocucaje" (El Commercio, Lima, 11 dic. 1966). Le incisioni erano insolite e arcane, e presentavano, tra oggetti di una remota arcaicità, uomini dai lunghi nasi e dai tratti di una razza ignota. Quanto erano antiche quelle pietre incise? Un primo esame dello strato di ossidazione che copriva le incisioni assegnò a queste 12.000 anni.

Cabrera si è fondato sulla presenza davvero straordinaria, in alcune pietre incise, di figure umane affiancate da immagini di specie preistoriche estinte da miloni di anni. Un vero museo di dinosauri, stegosauri, tirannosauri, brontosauri, triceratopi, lambeosaurini. Per il medico archeologo non c'era via d'uscita: o i dinosauri erano sopravvissuti fino ad epoca recente, o un uomo di specie ignota era vissuto decine e decine di milioni d'anni fa.

Il reperto più notevole, ridisegnato su foglio dagli esperti dell'Aeronautica peruviana, rappresenta una figura volante geometrizzata al lati della quale sono situati due stegosauri. L'incisione è completata da tre ometti, due intenti ad osservare, dal "drago volante", due dinosauri, attraverso tubi simili a telescopi, il terzo impegnato con uno strumento appuntito a ferire il dorso di uno dei due dinosauri.

Il grande problema posto dalle pietre di Ica è come possano trovarsi su una stessa rappresentazione uomini e dinosauri. La paleontologia ufficiale ritiene che "uomini" siano comparsi sulla Terra (emergendo da un vuoto paleontologico) circa 4-5 milioni di anni fa. D'altro lato i dinosauri sarebbero scomparsi ben 65 milioni di anni fa. Cabrera opta per la straordinaria e incredibile presenza di una specie umana (il suo uomo "gliptolitico") antica di 65 milioni di anni. Gli autori del libro che sto recensendo, Petratu e Roidinger, e la presentatrice Luciana Petruccelli - tutti e tre umanisti - lo seguono su questa strada, mentre la scienza si ritrae scandalizzata. Una specie umana così remota non è concepibile!

Due spiegazioni, meno "scandalose'', per questa sopravrapposizione uomo-dinosauri sono proponibili. L'una è che mostri o draghi siano creature fantastiche emergenti da un "inconscio collettivo", e siano state affiancate all'uomo, come in tante tradizioni babilonesi, cinesi o medievali. Nessuno ha mai preteso che il Drago di San Giorgio fosse un dinosauro sopravvissuto e la Chiesa ha addirittura derubricato il santo eroe dalle sue agiografie per lesa paleontologia. È notevole che i draghi di Ica abbiano una foglia o una fronda emergente dalle fauci, come i draghi cinesi, che esprimono così il loro potere generatore o demiurgico. Questa spiegazione è tuttavia poco compatibile con il vasto repertorio di dinosauri reperibile sulle pietro di Ica e con la fedeltà anatomica delle riproduzioni.

Una seconda spiegazione è che gli uomini "gliptolitici" fossero paleontologi ante litteram. Cioè, che essi avessero ricostruito, da gigantesche ossa fossili per caso dissepolte, i grandi mostri antidiluviani. Bisognerebbe dar loro la patente di paleontologi dl vaglia, ma non sarebbe la professione più inarrivabile tra quelle che Cabrera attribuisce loro. Lo stesso studioso (che non prende neppure in considerazione l'idea di paleontologi preistorici), racconta questa leggenda degli indiani Zuni del Nuovo Messico: "Un tempo vivevano sulla Terra mostri enormi, muniti di orribili denti e artigli. Poi quelli del cielo dicono agli animali: 'Vi trasmuteremo in pietra, così che non possiate a fare più male agli uomini, ma invece rechiate loro giovamento'. Dopo di che la crosta terrestre si indurì e le bestie diventarono di pietra". Non è questa una descrizione della fossilizzazione?

Allora veniamo all'ipotesi, o alla rivelazione, di Cabrera. Che specie umane esistano da epoche molto, molto, ma molto più antiche di quel che noi supponiamo. Il sottotitolo di copertina ci offre una data da trattenere il respiro: 65 milioni di anni. Quel che è necessario per raggiungere, sulla macchina del tempo, i dinosauri. Non è indispensabile, naturalmente, che anche le incisioni sulle pietre di Ica abbiano quella età: è sufficiente che da quell'età le abbia raggiunte una tradizione (orale o grafica) e che questa sia stata trasferita in seguito su incisioni litiche. A me sembra impossibile, francamente, che incisioni così intatte possano aver sopportato le decine di milioni di anni. Ho avuto in mano una di quelle pietre, sembrava incisa ieri mattina. Il racconto degli uomini è più tenace della superficie delle pietre, particolarmente se fissato sulle stelle o, chissà?, su ricami.

Le ricerche di Cabrera, e il libro che ne riferisce, sono rivolte, a questo punto a trasmettere il clamoroso messaggio di una specie umana, altamente sviluppata, vissuta al tempo dei dinosauri. Cabrera arriva a ipotizzare che questa specie sia extraterrestre e che, atterrata in Perù, abbia operato - geneticamente e chirurgicamente - per trasformare un ominide barbaro indigeno in un intellettuale. Successivamente avrebbe abbandonato la Terra, prima del diluvio universale, cui solo pochi uomini trasformati sarebbero sopravvissuti, per lasciare la discendenza umana delle Americhe.

A questo punto io mi fermerei. Non mi sembra che le pietre di Ica diano un contributo determinante alla tesi di un uomo coevo dei dinosauri, per non parlare del suo Pigmalione extraterrestre. Certamente l'uomo moderno, pur non avendo praticato dinosauri vivi, ne è stato così ossessionato da rendere la Terra del 2000 un Jurassic Park. Beninteso, sono pronto a riprendere in considerazione la tesi della contemporaneità, anche se i rari ritrovamenti archeologici che la confortano sono, al momento, ancora indiziari e non connessi alla documentazione di Ica.

Penso che per affermare una tesi così sconvolgente occorrano ben altri studi, competenze e autorevolezze, e che circoscrivere il valore delle pitture di Ica a questa asserzione rischia di trasferirle nel catalogo buffo degli extraterrestri e del paranormale.

Le pietre di Ica sono di per sé sorprendenti e ricchissime di informazioni, pur se circoscritte ad un'età di "almeno 12 mila anni". Esse meritano dapprima di essere separate, come le pietre del minatore, in vere, dubbie e false. Andrebbero poi sottoposte ad una analisi tipologica e studiate in cerca di significati, simbologie, convenzioni grafiche, mitologie, conseguimenti tecnologici, strutture sociali, culti e quanto è possibile. Non è detto che la grandezza di un'umanità debba misurarsi sui risultati e le scoperte dell'ultimo secolo: trapianti cardiaci, deriva dei continenti, stelle gemelle o voli spaziali. Se Ica diventasse la Çatai Huyuk dell'estremo occidente sarebbe una scoperta archeologica di prima grandezza. Pretendendo di diventare l'Atlantide rischia di scomparire come il continente perduto.

Quando i reperti della gliptoteca di Cabrera avranno conquistato il loro giusto riconoscimento, allora si potrà riconsiderare la modesta proposta che il mondo sia capovolto, che l'uomo sia il primo arrivato dei mammiferi, e che una grandissima civiltà abbia preceduto le venerabili civiltà del passato e la orgogliosa civiltà del presente.

C. Petratu e B. Roidinger, "Le Pietre di Ica". Edizioni Mediterranee, pp. 200, lire 25.000.

(da Il Tempo, 18 marzo 1997)

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Le "pietre di Ica", un caso da fumetto di fantascienza

Resiste da quarant'anni e continua a fare proseliti l'incredibile beffa

delle incisioni in cui compaiono insieme superuomini e dinosauri

Un medico peruviano ne ha collezionate 15mila

convinto che siano documenti di un'antichissima civilta'

(Viviano Domenici)

Per gli europei il Perù è stato per secoli un luogo quasi leggendario: il Paese dell'oro, dei tesori nascosti, di civiltà esotiche e misteriose. Ancora oggi, nonostante l'era dei jumbo e dei viaggi organizzati, questo alone non s'è dissipato del tutto e da quell'antica terra emergono in continuazione vecchi e nuovi "misteri", accolti con entusiasmo sospetto da stampa e Tv. Uno dei più sconcertanti e grossolani è quello delle cosiddette "pietre di Ica".

Ica è una cittadina della costa meridionale del Perù, dove un medico - il dottor Javier Cabrera Darquea - colleziona da quarant'anni pietre sulle quali sono graffite scene in cui compaiono uomini che cavalcano dinosauri, che eseguono trapianti di cuore o di cervello, che volano in groppa a pterosauri, che scrutano pianeti con lunghi cannocchiali e altre fantasie del genere. Sono pietre di origine vulcanica (andesite), piccole pochi centimetri o grandi quasi un metro e pesanti fino a 500 chilogrammi, con la superficie levigata dall'azione delle acque.

Cabrera ne ha raccolte nel suo museo personale circa 15 mila, convinto che le incisioni siano state realizzate tra 65 e 230 milioni di anni fa da un'umanità superevoluta che poi tornò alla barbarie lasciando le pietre incise a testimonianza del suo straordinario sapere. Già i popoli precolombiani - sostiene Cabrera - trovavano queste pietre e qualche volta le riponevano nelle loro tombe in ricordo dei lontanissimi antenati.

Cabrera non ha mai nascosto che le pietre gli sono state fornite - dietro compenso naturalmente - dai contadini della zona di Ocucaje, non lontana da Ica, ma non gli è mai venuto il dubbio di essere oggetto di un raggiro; forse anche perché ha sempre avuto il conforto di frotte di creduloni e l'appoggio dei mezzi d'informazione che - per cinismo o ignoranza - hanno divulgato ai quattro venti il "mistero delle pietre di Ica". In realtà, è sufficiente guardare i disegni incisi per rendersi conto che hanno a che fare più con "Gli Antenati" di Hanna e Barbera, che con preziosi reperti archeologici.

Ecco in sintesi le principali tappe della vicenda.

Nel 1961, compaiono sul mercato dei tombaroli peruviani pietre incise che non hanno niente a che fare con tutto quanto gli archeologi hanno scoperto nelle migliaia di tombe scavate nell'area Paracas e Ica a partire dai primi del Novecento. Cabrera comincia a collezionarle sostenendone l'autenticità e l'antichità. Nel 1966, nel pieno delle polemiche sorte attorno a queste strane pietre, l'archeologo S. Agurto Calvo comincia a cercarle e immediatamente ne trova una con incisioni geometrico-lineari sul fondo di una tomba già visitata dai tombaroli. Pochi giorni dopo un altro archeologo, A. Pezzia, ne trova un'altra in una tomba anch'essa già depredata. Subito dopo queste notizie, arrivano sul mercato migliaia di nuove pietre incise.

Dopo quei due "singolari" ritrovamenti, gli archeologi non trovano più nulla. "Abbiamo dedicato persino troppo tempo a questa ridicola faccenda - dichiara il celebre archeologo peruviano Federico Kauffmann Doig - e non credo che la questione meriti altra attenzione". Ma Cabrera non si arrende, continua a collezionare pietre e nel 1968 pubblica un voluminoso libro sull'argomento, immediatamente seguito da una nuova ondata di pietre con incisioni a soggetto chirurgico, particolarmente apprezzate dal medico-collezionista di Ica.

Nel 1977, A. Rossel Castro pubblica su una rivista archeologica peruviana un'intervista a un certo Basilio Uchuya, un campesino di Callango, il quale dichiara di avere fatto lui, insieme ad alcuni soci, le pietre incise vendute poi al dottor Cabrera. Per i soggetti da incidere - dichiarò il campesino nel corso di un successivo interrogatorio della polizia - non c'erano problemi: fumetti, illustrazioni di libri scolastici e giornali fornivano modelli in quantità; a lavoro finito bastava mettere le pietre nel pollaio e le galline provvedevano a depositarci sopra una patina d'antico.

Insomma, se a Ica c'è un "caso", si tratta di un caso umano, piuttosto che di un caso archeologico. Ma gli adoratori del mistero continuano a sognare antichissime civiltà superiori e loschi complotti della "scienza ufficiale".

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C'è di tutto: Atlantide, trapianti di cervello,

viaggi tra le stelle

Visita guidata alla surreale biblioteca pietrificata del dottor Javier Cabrera Darquea, mentre alla porta bussa un'altra comitiva di visitatori

(Elisabetta Rosaspina)

ICA (Perù) - Il dottore riposa, spiega una sorta di perpetua affacciata al balcone. Riposa, come ogni pomeriggio, fino alle 4. Poi aprirà il suo museo a chi busserà alla sua porta. Come ogni giorno. Preciso e invariabile come la giacca di lana spigata e un po' sgualcita che indossa senza badare ai 28 gradi di Ica, 4 ore di auto a sud di Lima attraverso un paesaggio lunare e poi, inaspettatamente, soleggiato. Il profeta vive qui, dietro un portone, sull'angolo della piazza principale, grande e squadrata intorno alla fontana e a una mostra fotografica del Comune sulle discariche urbane. La sapienza non ha fretta di rivelarsi e, per questo, appare perfino credibile.

Javier Cabrera Darquea, per i suoi concittadini "il dottore", non interrompe mai la siesta per fare proseliti e, ai visitatori, non impone mai le sue convinzioni né dispensa dall'alto la sua scienza: lascia che gli ospiti arrivino da soli alle inevitabili conclusioni.

Come, da soli, o grazie a poche righe su una guida turistica, sono arrivati alla porta di legno del suo malandato museo, identificabile soltanto da una targhetta d'ottone con nome e cognome. Il titolare del tutto tira fuori di tasca le chiavi, gira tre o quattro mandate, apre, "attenzione al gradino", e presenta il suo antro, con un gesto circolare e solenne della mano: "Questa è una bibliooteca - indica metri e metri di scaffali sbilenchi -, una biblioteca in cui i libri sono le pietre". Ombre grigie sistemate alla rinfusa. Il dottore preme un tasto e le luci al neon rivelano tre piccole stanze senza finestre. Si direbbe il deposito dei doppioni di un istituto di mineralogia.

Accettando la metafora della biblioteca, sembrano libri tutti sullo stesso argomento o quanto meno rilegati dalla stessa mano. Cambia la sfumatura di grigio delle pietre, colore dell'asfalto o quasi nere, allineate sui ripiani in doppia o tripla fila. E cambiano le dimensioni: da ciottolo a masso. Dal tascabile all'enciclopedia. Javier Cabrera li individua muovendo una lunga bacchetta, come quella dei maestri elementari di una volta, e interroga: "Che cosa vedete qui? I continenti, esatto - approva sfiorando con la punta dell'asticella un approssimativo mappamondo di pietra -. Non notate altro? Sono sei, giusto. Ce n'è uno in più. E, dunque, qual è il continente scomparso? Atlantide? Bravi. Avete già capito".

Una pietra più piccola attira la sua attenzione e la sua bacchetta: "Che cosa rappresentano per voi queste incisioni? Un drago? No, non proprio. Osservate meglio: è un brontosauro, vero? Che cosa sta facendo? Già, sta proprio divorando un uomo. Voi direte: impossibile, sono animali preistorici, erano estinti da milioni d'anni quando l'uomo è comparso sulla terra. Invece no: ecco la prova della loro coabitazione" esulta come se gliel'avesse portata il visitatore.

Nella biblioteca di pietra il tempo si annulla, e tutto sembra davvero possibile. L'omino millenario inciso con le fattezze e un casco rudimentale da esploratore spaziale. Il draghetto preistorico che non riesce ad addentare un angelo. Le tredici costellazioni che l'astronomo di una perduta civiltà aveva già localizzato in barba agli attuali, sofisticatissimi telescopi. Le scoperte scientifiche degli ultimi anni, i grandi successi del progresso sfilano sotto la bacchetta del dottor Cabrera, sulla superficie levigata dei suoi volumi pietrificati, piombati dal passato o da un altro pianeta a scardinare tutte le certezze ufficiali. Pacato, impermeabile ai sorrisi scettici, il profeta di Ica, un ex medico, prosegue la sua visita guidata fino al cuore del piccolo museo, il suo studio, pieno di libri di archeologia, astrofisica, palentologia e fotografie di lui medesimo, impegnato a riportare alla luce monumentali enciclopedie di pietra. Adora soprattutto i "testi" di medicina: massi levigati con incise impressionanti lezioni di anatomia. Interventi a cuore aperto, parti cesarei, trapianti di cervello. "Guardate bene - esorta paziente -. L'autore di questi graffiti conosceva perfettamente le più complesse tecniche operatorie. In circolazione extracorporea".

La segretaria-perpetua si palesa dall'ombra per avvisarlo che un'altra comitiva attende di entrare. Il professore fa segno di lasciarla attendere. La verità non ha mai fretta. E lui non deve convincere nessuno, soltanto esporre dei fatti, in forma di sassi: "Riflettete: il più grande genio del Novecento, chi era? Albert Einstein, bravissimi. E che significa ein stein?" Una pietra, naturalmente. Javier Cabrera s'illumina e congeda i visitatori delle quattro pomeridiane con un sorriso vittorioso, pronto a ricominciare con quelli delle 6: "Questa è una biblioteca, una biblioteca i cui libri sono le pietre".

(I due articoli precedenti sono apparsi sulla stessa pagina del Corriere della Sera, 26 novembre 2000)

* * * * *

"Who on earth would believe such foolishness? Alas, 36 million people bought his silly books [namely, Erich von Däniken books*].

The Gold of the Gods dwells at some length on the curious Stones of Ica, on which, apparently, are prehistoric carvings showing such things as heart transplants, rocket ships, and television. There is a small "museum" in Ica, located on the coast of Peru south of Lima. The town is mportant as the location of genuine artifacts of pre-Inca times, as is Nazca, somewhat farther south, where von Däniken "discovered" the Nazca "lines".

The museum in Ica is an amateur affair, run by a dentist. The fakes are rather amateurish, too. I say this because my experience in Peru has acquainted me with some of the finest phony pottery and grave articles that have ever been made. Artisans there use precisely the same methods employed by the ancients in making their pottery, and since most of their product is copied directly from the fine work produced by those little-recognized masters of long ago, it is almost impossible to detect the fakery unless you know a few tricks of the trade. But the Stones of Ica have been the subject of several books, all printed in Peru and all of which take the rocks quite seriously. But those who deal in such things have known for a long time that they are utter fakes.

The "Nova" folks looked into the matter and were not long in discovering the truth. All they did was to visit the area, where they found the dentist, who was reluctant to discuss the matter when he discovered that they wanted to ask some penetrating questions rather than do the kind of careless and incomplete "investigation" von Däniken had done. Within an hour they had found out where the stones were really made and drove a few miles out of town to order a custom-made heart transplant item to be prepared while they waited and filmed the process.

The point is that von Däniken had this procedure available to him too. He was well equipped and financed and able to find out the truth about the stones; he simply did not want to.

Of course, merely finding a local artisan who said he was the maker of the stones, and who then made one to order that was indistinguishable from the "genuine" ones, proved only that he was a good artisan and could have made the whole lot. What was needed was some sort of evidence that the ones offered as genuine were actually fakes. And it was not hard to find. Great antiquity was claimed for the stones as finished items. This meant that the shallow carved grooves were bound to be weathered on the edges, a characteristie that could be seen with the use of a microscope. Careful examination by the "Nova" experts revealed that no only was there no such weathering but also that the stone custom-made on the spot was indistinguishable from the genuine ones.

I could have told them that there was a story going around Lima in the huaquero (grave-robber) hangouts that if you mentioned your profession to the doctor in Ica, then excused him for fifteen minutes, you would hear dental drills whining away in a back room until he returned from the depths of his museum with a carved stone that, by a strange and somewhat contrived coincidence, bore a picture of someone from the distant past engaged in your very profession. Also well known to huaqueros is an aging process used to make fake artifacts look old. It is a treatment that involves donkey dung and is best left to the imagination.

There is at least one thing for which von Däniken must be given credit. He has improved upon the crude technique of the Big Lie used by others and given us, instead, the Provocative Fact. He bombards us with interesting and in some cases quite valid bits of information and allows us to assume that what he has presented is pertinent and laden with hidden meaning and proof."

(James Randi, in: Flim-Flam - Psychics, ESP, Unicorns and other Delusions, Prometheus Books, Buffalo, N.Y., 1987)

* E' forse interessante aggiungere nel presente contesto che la critica generale di Randi a libri come quelli di von Däniken (e altri simili best-sellers, responsabili di tanta parte delle "illusioni", e dell'inquinamento ideologico, che si riscontrano in giro) appare del tutto fondata, come viene confermato dalla seguente lettera (espressione di un "amore" deluso, da parte di un fan affetto da archeomania, e misteromania, che appare invero alquanto patetico e sprovveduto), riportata integralmente dal N. 7, giugno 1995, della sempre interessante rivista del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale), Scienza & Paranormale.

"Il grande inganno di Von Däniken - Vi scrivo per mettervi al corrente della scoperta da parte mia di una enorme mistificazione perpetrata dallo scrittore svizzero Erich Von Däniken, il quale si dichiarava convinto di aver trovato la prova che civiltà provenienti da altri mondi avrebbero visitato nell'antichità la terra.

Vi invio una relazione che spiega come ho scoperto la truffa.

"Questa è, secondo me, la più incredibile, la più inverosimile, storia del secolo. Sarebbe facile pensare a un racconto di fantascienza se tutte le incredibili cose che sto per descrivere non fossero state da me viste e regolarmente fotografate". Con questa frase Von Däniken inizia la stesura del suo libro Il seme dell'Universo, pubblicato in Italia dalla Ferro Edizioni nel 1972 e in tutto il mondo. Nel 1993, dopo aver letto il suo libro, incomincio a compiere indagini a carattere scientifico e archeologico per poterne capire di più su questo meraviglioso mondo sotterraneo che viene descritto nel testo e per poter vedere anch'io i misteriosi tesori di cui Von Däniken parla. Mi reco all'università Cattolica di Milano ed alla Facoltà di Etnologia presieduta dalla Dott.ssa Salvioni per mostrare a lei il testo del libro, chiedendone il suo personale parere e se poteva darmi ulteriori informazioni su questo sistema di gallerie. La sua risposta fu: "In nessun ambito scientifico ho mai appreso di notizie relative a questo sistema di gallerie che Von Däniken descrive come artificiali...".

A questo punto, non mi restava altro da fare che chiedere spiegazioni direttamente a Von Däniken, così il 26 giugno 1993, gli inviai una raccomandata chiedendoglì spiegazioni, dopo un ulteriore tentativo mi rispose sconsigliandomi di partire alla volta dell'Ecuador per cercare le grotte da lui descritte. Del resto Von Däniken nel suo libro non dà un'esatta ubicazione delle grotte, anzi volutamente altera i dati, sostenendo inoltre che a guardia di queste fantomatiche gallerie esistono indios che non esiterebbero ad uccidere chiunque tentasse di penetrarvi.

Continuo a cercare informazioni e tento di arrivare a conoscere l'ubicazione esatta delle grotte. Nel libro si parla anche della possibilità che esista un piccolo tesoro celato all'interno della Chiesa SS. Maria Auxiliadora nella città di Cuenca, tesoro accumulato da periodici regali che gli indios della zona fanno a Padre Crespi, un prete missionario appartenente all Ordine dei Padri Salesiani. Questi oggetti che vengono fotografati e descritti nel libro, a detta di Von Däniken sono tutti in oro massiccio e provengono dalle grotte che lui stesso ha visitato.

Il 4 maggio 1994 mi reco a Roma, presso l'istituto dei Padri Salesiani dove finalmente mi viene rivelata l'ubicazione delle grotte.

A questo punto decido di partire per l'Ecuador. Il 21 maggio giungo a Quito, intervisto Osvaldo Chintana, archeologo, che rimane molto meravigliato del fatto che a tutti i costi io voglia vedere gli ori in esse celati perché mi dice: "Non c'è nulla d'interessante, visto che il sistema di gallerie che tu vuoi vedere non ha nessuna rilevanza ufologica [sic - forse archeologica?! Un lapsus veramente freudiano...] dato che è nato per una normale erosione creata da fiumi sotterranei; per quanto riguarda gli ori, io sono dell'idea che si tratti esclusivamente di imitazioni". Rimango sbalordito, ed a questo punto avanza in me l'idea che questa mia indagine avrebbe potuto finire in due direzioni ben precise: la prima (la più probabile) che mi sarei trovato di fronte ad un insabbiamento delle prove: la seconda (la più improbabile) che si trattasse di una enorme mistificazione creata da Von Däniken. Vengo poi a sapere, da un altro archeologo, che il libro di Von Däniken creò nel 1972, data della sua pubblicazione, uno sconquasso negli ambienti archeologici di tutto il Sud America e che lo stesso autore fu invitato più volte a smentire queste sue dichiarazioni. Le ore passano e altri (archeologi ed esperti) mi confermano che la teoria di Von Däniken è sicuramente improbabile e farcita di molta fantasia per ottenere esclusivamente un forte ritorno economico a livello personale. Dopo essermi procurato l'attrezzatura e una guida per giungere alle grotte mi appresto, comunque, ad andare fino in fondo alla faccenda. Finalmente arrivo all'ingresso della galleria e con una fortissima emozione mi calo al suo interno. Mentre osservo il fondo che mi si avvicina, il mio pensiero è tutto concentrato sull'emozione che proverò ad inoltrarmi in quei cunicoli costruiti da chissà quale civiltà antica, immaginando di poter scoprire anch'io, come Von Däniken, tesori immensi.

Sono sul fondo, intorno a me decine di Culebras (serpenti) sono stati uccisi a colpi di macete dalla mia guida permettendomi così di non essere morso. Con una torcia incominciamo ad attraversare un cunicolo e subito mi rendo conto che la volta e le pareti di quelle gallerie non erano affatto liscie, come le descriveva Von Däniken, ma anzi spigolose e più volte mi sono procurato ferite. Per più dì mezz'ora camminiamo nel loro interno cercando di trovare quell'enorme sala descritta da Von Däniken come un hangar di un aeroporto, all'interno della quale avremmo trovato le meraviglie che lo scrittore aveva visto. Purtroppo non troviamo nulla. Fortemente amareggiato risalgo verso l'uscita e un dubbio evidentissimo si fa strada dentro di me: incomincio a comporre i tasselli di una delle più grosse mistificazioni mai messe in atto a livello archeologico e decido di andare avanti per scoprire tutta la verità.

Voglio vedere il tesoro di Padre Crespi, ma con mia grande sorpresa mi viene detto che fu comprato per la somma di 10.000 dollari dal Museo del Banco Centrale dell'Equador nel 1978. Lo vado a visitare: migliaia di reperti giacciono sugli scaffali impolverati, mentre i miei occhi cercano di trovare i reperti pubblicati sul libro di Von Däniken, ma quando chiedo al direttore del museo dove siano mi risponde che erano falsi; che non c'era dunque motivo che fossero tenuti insieme a quelli ritenuti archeologicamente importanti; infatti dopo averli catalogati, analizzati e quindi accertato che fossero esclusivamente composti di latta e alluminio furono rispediti alla chiesa di SS. Maria Auxiliadora, dove furono ammucchiati come ferro vecchio all'interno di una soffitta.

Nel 1988, Eric Von Däniken, nel suo libro Kosmiche Spuren edito in Germania, aprì un capitolo dal titolo "La scoperta degli smascheratori" in cui tentava di addossare ad altri le menzogne da lui precedentemente pubblicate. Le sue giustificazioni non mi convincono affatto. È troppo facile, caro signor Von Däniken, dopo aver venduto milioni di copie dei suoi libri, dare ad altri le colpe delle sue menzogne. È troppo facile dire questo dopo che a seguito del suo libro decine di serie spedizioni scientifiche sono partite da più parti del mondo ed hanno cercato di raggiungere invano l'ubicazione delle gallerie, su cui lei ha costretto ad indagare con le sue presunte ed indiscutibili verità. Infine, è troppo facile dire tutto questo dopo che aver guadagnato milioni di dollari. Concludo avanzando serissimi dubbi sulle eccezionali scoperte archeologiche passate e future di Von Däniken, visto che quando mi sono preso la briga di indagare su una di esse, non solo non mi è stata offerta alcuna collaborazione come studioso alla pari, come mi sarei aspettato, ma sono ostacolato nella mia ricerca e depistato con false informazioni. Io, Frediano Manzi, diffido Eric Däniken a continuare le ricerche, di cui egli si consacra leader assoluto verso la scoperta della possibilità che antiche civiltà provenienti da altri mondi abbiano visitato la Terra, e lo invito con un atto di coraggio, se ancora gliene è rimasto, a fare delle scuse pubbliche sulle riviste specializzate di tutto il mondo. Solo così potrà riacquistare quella stima che un tempo io avevo di lei.

Frediano Manzi, Milano"

[Nella risposta, la rivista suggerisce la lettura di alcuni testi "demistificatori" quali The Space-Gods Revealed, di Ronald Story; Ancient Astronauts and Cosmic Collisions, di William H. Stiebing Jr., oltre al testo di Randi dianzi citato.]

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LES CONNAISSANCES ANTIQUES

Les pierres d'Ica, ou la fantastique bilbliothèque des Andes

La région d'Ica, au Pérou, est censée être le centre d'une découverte archéologique grandiose: une collection de pierres gravées remontant à une antiquité lointaine et dont le décor, réellement fantastique, présente des animaux préhistoriques depuis très longtemps disparus, des operations chirurgicales inouïes (greffe de cerveau, entre autres) et de très nombreuses autres merveilles. Cette révolution dans l'archéologie précolombienne, et même mondiale, a été présentée au milieu des années soixante-dix chez nous à grand renfort de publicité, afin de lancer un ouvrage de Robert Charroux qui s'extasiait sur cette "bibliothèque des Atlantes" [sic] constituée par le docteur Cabrera. Ce dernier collectionne en effet, depuis très longtemps, les pierres trouvées dans la région.

Qu'en est-il de cette prodigieuse énigme des pierres d'Ica?...

Il s'avère que, dans les faits, elle n'est qu'une banale mystification.

Les créateurs de ces pierres aux décors de science-fiction sont des indiens d'Ocucaje (région de Ica) et d'anciens élèves de l'école des Beaux-Arts de Lima, qui travaillent sur des galets ramassés dans le rio de Ica; ils s'inspirent pour le style de la gravure et des costumes de pierres authentiques (dont le décor est, lui, parfaitement banal) découvertes dans une nécropole appartenant à la culture Paracas et remontant au début de notre ère.

Les graveurs fignolent leur travail (l'outillage comporte aussi bien gouge que burin et fraise de dentiste!) en ajoutant, quelquefois, une patine à l'aide d'un frottis gras. Les galets sont ensuite transmis à des huaqueros (fouilleurs clandestins) qui attendent le client, le gogo ou l'archéomane en mal de preuves.

En résumé la fantastique bibliothèque des Andes constituée par ces pierres d'Ica n'est qu'une pitoyable mystification conçue au XXème siècle en travestissant un site authentique.

(Henri Broch, in: Au Coeur de l'Extra-Ordinaire, L'Horizon Chimérique, Bordeaux, 1991)