Sindone una trama templare

(Carlo Giacchè)

(Arte Stampa, Perugia, 1992; Atanòr, Roma, 1992)

 

"la Storia non si può tutta dimostrare; spesso essa è

intuizione, ragionamento, intreccio logico" (CG, p. 87)

 

Nonostante i risultati della datazione con il sistema del carbonio 14 abbiano fatto il giro del mondo (stabiliti indipendentemente dai Laboratori delle Università dell'Arizona, di Oxford, e del Politecnico di Zurigo, furono resi pubblici il 13 ottobre 1988 dall'allora cardinale di Torino Anastasio Ballestrero, Custode Pontificio della Sindone), le discussioni sulla celebre "reliquia" conservata nel capoluogo piemontese non accennano a cessare, alimentate da una foga che continua a dividere i fautori della "razionalità scientifica" da coloro che nutrono invece, talora non apertamente, un certa nostalgia per la maggiore "libertà d'opinione" di cui si gode sul versante dell'"irrazionale", e del "fantastico". E' sembrato allora opportuno presentare ai lettori di Episteme uno studio poco noto ma interessante sull'argomento, anche perché in qualche modo collegato alla questione fondamentale che si è ampiamente trattata nel corso della recensione precedente. Infatti, malgrado le prudenti dichiarazioni in proposito della gerarchia ecclesiastica, che si è sempre "ben guardat[a] dall'asserire l'autenticità del telo, forse sospettandone una diversa origine"1, c'è ancora chi, con comunque ammirevole coerenza "integralista", sostiene tesi del genere: "Su nostro invito, il gesuita Vittorio Marcozzi, antropologo di chiara fama e professore emerito alla Pontificia Università Gregoriana, ha analizzato alcune di queste "teorie" [contrarie all'autenticità] confutandole su base scientifica riconoscendo nella Sindone la prova della Morte e Resurrezione di Cristo" (dall'Editoriale di Alberto Di Giglio, Il Telo - Rivista di sindonologia, Novembre/Dicembre 1997, http://www.sindonologia.it). L'articolo del Padre Marcozzi contiene affermazioni del seguente tenore: "La S. Sindone è il lenzuolo che ha avvolto Gesù quando fu deposto dalla croce e sepolto. I Vangeli e innumerevoli testimoni attestano che Gesù è risorto e ha lasciato la Sindone nel sepolcro [...] Vi sono inoltre segni innegabili che Gesù lasciò il lenzuolo funerario in modo umanamente inspiegabile [...] Al contrario la Sindone mostra in modo evidente non solo l'immagine di un uomo crocifisso, ma l'immagine di un uomo morto, di un cadavere; vi sono inoltre indizi che un fatto straordinario, unico, misterioso e miracoloso, è accaduto: la risurrezione [...] Inoltre la Sindone presenta innumerevoli macchie di sangue e i coaguli sono intatti, dai contorni netti e precisi: non ci sono slabbrature o spappolamenti. Ora questo fatto è inspiegabile se il distacco della tela dal corpo piagato è avvenuto con modalità meccaniche naturali. Il fatto ci richiama ai racconti evangelici che attestano che il corpo risorto di Gesù entrava nel Cenacolo a porte chiuse. Gli studiosi Stevenson e Habermas hanno osservato: "Il segno della risurrezione nella Sindone riguarda il modo con cui il corpo e la tela si separarono. I fatti indicano che il corpo non fu rimosso ad opera di mezzi umani [...] Similmente si è espresso il padre Paul De Gail:"Per le sue impronte sanguigne rimaste intatte, la reliquia del Salvatore attesta una separazione misteriosa del corpo dal telo senza nessuna manipolazione del drappo funerario, senza nessun intervento di mani umane [...] Tale scomparsa meravigliosa noi dalla Fede sappiamo che avvenne mediante Risurrezione"". Ciò prova palesemente che esistono ancora persone convinte che le predette analisi scientifiche (pur riferenti il telo al periodo 1260/1390 con una probabilità del 95%, la quale sale al 99.9% se "rapportata al più esteso periodo 1000/1500 d.c." - CG, p. 23) siano o errate, o inaffidabili, o addirittura volutamente artefatte a seguito di un "complotto"2, un atteggiamento che ignora le sagge parole del nominato cardinale Ballestrero: "Penso non sia il caso di mettere in dubbio i risultati. E nemmeno è il caso di rivedere le bucce agli scienziati se il loro responso non quadra con le ragioni del cuore" (CG, p. 16).

Ci sembra perciò qui di poter considerare la questione definitivamente chiusa, sia pure soltanto sotto questo punto di vista, aggiungendo a quanto precede l'opinione esplicita dell'autore oggetto della nostra attuale attenzione: "La tesi [dei sindonologi integralisti] è ancorata non solo alla presunta inattendibilità della prova al carbonio, ma anche al fatto che la stessa ha riguardato un reperto sottoposto ai disagi del tempo, vittima delle conseguenze termiche e meccaniche di un incendio che la coinvolse, sia pure indirettamente. Tali eventi - essi sostengono - potrebbero aver alterato, anche sensibilmente, la struttura intima del telo, falsandone le analisi! Si potrebbe rispondere che migliaia di reperti archeologici, sottoposti allo stesso procedimento di analisi, anch'essi offesi dal tempo e da avverse vicende, non sono stati mai contestati nella datazione assegnata! Perché tanta, sia pure illustre, eccezione?"3.

Ammesso ciò - e di fatto Giacchè (un altro di quei ricercatori "non integrati" a cui va spesso l'apprezzamento di questa rivista) ne fa il fondamento del proprio percorso di ricerca - restano ancora tutte da indagare le reali vicissitudini dell'oggetto, e principalmente quale possa essere stata la vera origine di tale "colossale equivoco", o "millenaria beffa" (CG, p. 44). Non vogliamo privare il lettore del piacere di dipanare da sé i fili della "trama" tessuta dall'autore, che si sviluppa a partire da una constatazione sicura: e cioè che la storia certa dell'illustre telo inizia dal 1353, quando lo troviamo nelle mani dei conti de Charney. Da esse passerà poi, nel 1453, in quelle dei Savoia, e più precisamente di Ludovico di Savoia e di sua moglie Anna di Lusignano (che comprarono la reliquia, o la ricevettero in dono, non si sa precisamente). Dal 1578 la "sacra" Sindone viene custodita nel Duomo di Torino, e infine Umberto di Savoia la dona (1983) a Giovanni Paolo II. Orbene, il nome de Charney non è ignoto a chi è al corrente di taluni particolari di un'altra vicenda "misteriosa" dell'Europa medievale, visto che Geoffroy de Charney fu il grande dignitario dell'Ordine del Tempio arso vivo sul rogo nel 1314 insieme all'ultimo Gran Maestro dei Templari, Jacques de Molay. Lusignano ci riconduce invece alla dinastia dei re di Cipro, l'isola che era stata addirittura un possedimento templare ai tempi della III crociata (i Templari l'acquistarono nel 1191 da Riccardo Cuor di Leone), e aveva offerto rifugio, nel 1291, ai pochi cavalieri superstiti della tragica caduta di S. Giovanni d'Acri, uno dei residui possedimenti cristiani in Terra Santa, prima del suo definitivo abbandono. In quell'occasione era deceduto, dopo aver combattuto al solito da valoroso, il terz'ultimo Gran Maestro dell'Ordine (il XXI della serie, nominato alla carica nel 1273), Guillaume de Beaujeu (cugino del re di Sicilia Carlo d'Angiò, e fratello di Luigi, conestabile di Francia, morto nel 1285 nel corso della cosiddetta crociata d'Aragona). Ancora da Cipro il nuovo Gran Maestro Thibaud Gaudin cercherà di predisporre i piani per il successivo ripiegamento, e infine una volta di più proprio a Cipro (1294) verrà eletto lo sventurato supremo rappresentante finale dell'Ordine, il già nominato de Molay.

Giacchè fonde insieme mirabilmente siffatti diversi ingredienti4, corredando le sue argomentazioni di numerosi elementi "congetturali", per arrivare a sostenere l'ipotesi che la Sindone è sì in qualche modo una reliquia, ma una reliquia laica, testimone di un evento luttuoso che non fu la morte del Cristo sulla croce, bensì quella del vinto de Beaujeu a S. Giovanni d'Acri5, abbandonato al suo destino da chi avrebbe dovuto viceversa aiutarlo (Chiesa e regni cristiani, che si trovavano però al tempo in tutt'altre beghe affaccendati), e considerato quindi dai suoi fedelissimi partecipe degli stessi tradimento, martirio e passione del Messia! Per codesto motivo, essi vollero fare un simbolo venerabile6 di un oggetto che conservava memoria di quel triste evento, e che le bizzarre vicende della storia portarono posteriormente, per ironia della sorte, proprio nelle mani della Chiesa di Roma, nei cui confronti l'Ordine doveva avere più di una doglianza. Fu così alimentato, o almeno non impedito, l'equivoco che dette origine alla devozione verso la Sindone, come se essa fosse davvero la sacra testimone della resurrezione, un equivoco che avrebbe anche potuto essere interpretato dagli occulti eredi dei cavalieri a guisa di parziale risarcimento, e sul quale coloro che sapevano (che sanno) hanno sempre mantenuto il più stretto riserbo.

Il libro che stiamo presentando è scritto in modo semplice, piacevole, soprattutto equilibrato (non pare utile soffermarsi nella presente sede su alcuni errori "minori" in esso contenuti, per esempio alle pagine 81 e 84), costruito secondo i canoni di una logica consequenziale non priva di attrattive di per sé, al punto che si potrebbe essere indotti a scommettere che, se quella intravista da Giacchè non è esattamente l'intera verità sull'intrigante enigma plurisecolare, pure la verità non deve essere troppo lontana dalla tanto intelligente ricostruzione offerta nel testo. Questo si conclude con la citazione di una bella riflessione di Paolo VI (che assume un particolare significato alla luce dell'ipotesi laica di Giacchè), e la vogliamo allora riproporre integralmente:

"Qualunque sia la nostra fede, quali che siano le nostre convinzioni, la Sindone ha qualcosa da dirci. L'appello che questo lenzuolo insanguinato ci rivolge non è soltanto verticale, di richiamo religioso alla realtà divina. E' un appello anche orizzontale, accettabile da tutti: è l'immagine dell'uomo perseguitato dalla ingiustizia, il volto di ogni vinto, emarginato, oppresso, innocente che come Gesù è stato perseguitato e ucciso!".

Potremmo terminare qui la recensione, ma a proposito di verità "contigue", ovvero di "variazioni" sul medesimo tema7, non possiamo non richiamare da ultimo l'attenzione dei lettori, seppur brevemente, sull'opera citata nella Nota N. 3. Ciò perché si tratta di un lavoro sorprendentemente simile a quello che abbiamo appena esaminato (e chissà che non ci sia stato qualche rapporto di "ispirazione"!), con la differenza che de Beaujeu viene sostituito con de Molay. La "beffa" sarebbe stata allora perpetrata in seguito ai supplizi fatti patire all'ultimo Gran Maestro dagli aguzzini dell'Inquisizione. Quindi, una parodia alquanto blasfema della crocifissione, che ci appare invero assai poco convincente8, mentre più persuasiva risulta invece l'ipotesi che gli autori del testo indicato riportano come elemento scatenante per le loro conclusioni. Avrebbero infatti ascoltato (nel 1995) un'intervista alla radio, nel corso della quale Alan Mills, "impiegato al Dipartimento di Fisica e Astronomia dell'Università di Leicester" esponeva le sue personali tesi sull'origine della Sindone con le seguenti parole:

"E' possibile che i saraceni abbiano crocifisso un prigioniero crociato seguendo passo passo le testimonianze degli evangelisti, in segno di crudele dileggio della sua fede" (op. cit., p. 188).

 

1 - CG, p. 108, corsivo nel testo (con questa sigla si rimanderà alla prima edizione perugina del libro in esame). Fa eccezione un isolato "atto formale di Giulio II" (CG, p. 92 - Giuliano della Rovere, che fu sul trono di Pietro tra il 1503 e il 1513, il cosiddetto "papa guerriero"), ma per esempio nel 1991 l'Arcivescovo di Torino Giovanni Saltarini, successore del nominato Ballestrero, ha dichiarato che: "Nessuno ha mai sognato di portare la Sindone come una prova della verità del Cristianesimo" (CG, p. 108), con le quali ultime parole si intende naturalmente ribadire che fides christianorum resurrectio Christi est (S. Agostino).

2 - Citazione dalla pagina web http://www.newsitaliapress.it/speciali/sindone/sindone08.htm . In effetti, dopo un primo periodo di smarrimento, di fronte a risultanze oggettive che sembravano aver risolto la questione una volta per sempre, il "partito dei credenti" è tornato con ardore alla carica, rimettendo tutto in discussione, in qualche caso attraverso una serie di puntigliose contestazioni "numerico-metrologiche" (per la verità alquanto dubbie), alle quali in un'occasione si è infatti risposto nel seguente modo: "You refer an error in the calculation of the mean of the variances on the results from Tucson. I am not a statistician and can only therefore make the comment that if any such error occurred it is regrettable, but much larger error would be needed to change the dates significantly" (dal Prof. Michael Tite del British Museum, coordinatore del "progetto datazione", all'Ing. Ernesto Brunati, autore di un articolo critico sul numero de Il Telo dianzi citato - Piero Iacazio, comunicazione privata). Addirittura, secondo l'opinione del noto "sindonologo" Pier Luigi Baima Bollone, almeno talvolta sarebbero stati fatti passare per autentici reperti che invece non provenivano dalla Sindone: "L'ho confrontato con le foto del Lino sindonico: ebbene quel brandello non appartiene alla Sindone" (ancora dalla pagina web sopra menzionata). Possiamo aggiungere infine che vari sostenitori della "sacralità" del reperto utilizzano l'identico metodo scientifico dei "contestatori", sviluppando elucubrazioni (che preferiamo non qualificare) del tipo descritto nel pezzo che riportiamo (ibidem): "Il tedesco Eberhard Lindner, docente di chimica in Karlsruhe, [offre] una tesi che da parte dei molti studiosi che si occupano dello studio della formazione dell'impronta sindonica è stata considerata meritevole di approfondimenti. Secondo Lindner "il più elevato contenuto di C14" che ha ringiovanito la Sindone "deriva da un flusso di neutroni termici durante l'evento della resurrezione" che avrebbe determinato la formazione di C14. "La materia di cui era costituito il cadavere di Gesù Cristo scomparve nel nulla, al contrario di quando Dio creò la materia." Quasi sulla stessa linea di Lindner altri studiosi della Sindone e dell'esame al radiocarbonio. Virginio Gagliardi, docente all'Università Cattolica del Sacro Cuore, Policlinico Gemelli di Roma, ha sostenuto che "La formazione dell'immagine dell'Uomo sindonico ci induce ad ammettere l'intervento di una scarica energetica fotolitica di elevatissima intensità, come una esplosione termonucleare"".

3 - A tali considerazioni si potrebbe aggiungere l'interrogativo di Christopher Knight e Robert Lomas: "perché mai tre laboratori accademici di fama mondiale avrebbero dovuto mettere a repentaglio la loro reputazione comportandosi in modo così poco professionale"? (in Il Secondo Messia - I Templari, la Sindone e il Grande Segreto della Massoneria, Mondadori, 1998, uno di quei best-sellers oggi alquanto comuni, metà affidabili e metà no, del quale avremo modo di riparlare, p. 175). Chi scrive questa recensione non esita a dubitare talvolta della totale onestà (e capacità) degli scienziati (e della scienza), ma per arrivare a certe conclusioni ci vogliono sempre dei più che fondati elementi, e vanno soprattutto decentemente ipotizzati dei possibili verosimili moventi. Piuttosto che indagare sull'esistenza e l'estensione di un "nuovo" complotto anti-cattolico (anti-cristiano), ormai del tutto anacronistico, ci sembrerebbe invece interessante investigare sulle motivazioni che hanno indotto taluni "ambienti" ecclesiastici a dare il via a verifiche scientifiche il cui esito si poteva prevedere a priori scontato...

4 - E' forse interessante far notare che pure Savoia e Beaujeu si ritrovano in qualche modo "intrecciati" nel corso della storia, dal momento che un Antonio di Beaujeu fu amico e protetto di Amedeo VI, il famoso "conte verde" (1334-1383), il quale sostenne anche le rivendicazioni sul Piemonte di Margherita di Beaujeu, sorella di Antonio, contro il figliastro Filippo d'Acaia (probabilmente messo a morte nel 1368 - Francesco Cognasso, Il conte verde - Il conte rosso, Ed. dall'Oglio, Milano, 1989).

5 - E del resto le impronte rimaste effigiate sul "sacro lenzuolo" si riferiscono a un individuo che fu certamente di "tipo mediterraneo", con barba e capelli fluenti (che non risultano del tutto conformi all'uso ebraico ai tempi della dominazione romana), avente un'altezza compresa tra 1.79 e 1.83 metri, un peso che si può presumere tra 70 e 80 chili (dunque in piena forma!), insomma un personaggio di indubbia possanza atletica, più un "cavaliere" abituato a portare le armi, dunque, che un "mistico"... (CG, p. 41).

6 - Fors'anche all'origine del cosiddetto culto da parte dei Templari dell'idolo barbuto, il famoso enigmatico Bafometto?!

7 - Non sembra al contrario per nulla tale l'ipotesi recentemente presentata nelle pagine della rivista Hera (N. 17, maggio 2001), che ospita un articolo di Adriano Forgione dall'eloquente titolo "Sindone: reliquia templare". In esso si opta infatti per l'autenticità della Sindone (contestando le conclusioni dell'esame al carbonio 14), la quale sarebbe quindi una vera testimonianza della crocifissione di Cristo, recante per di più le tracce della miracolosa resurrezione (trasmutazione della materia in pura energia, ovvero immagine impressa sul telo funerario da una radiazione di natura ancora non pienamente compresa - vedi anche la Nota N. 2), e i Templari entrerebbero nella vicenda solamente perché il sacro reperto fu da essi (ri)trovato a Gerusalemme, e in seguito conservato come cosa evidentemente preziosissima.

8 - Riteniamo sia invece tra le parti interessanti della ricerca di Knight e Lomas un'esposizione dettagliata dell'eventuale processo fisico che avrebbe potuto portare alla formazione dell'immagine sindonica, secondo il già citato A. Mills (ipotesi della cosiddetta "fotografia vegetale").

* Un ringraziamento particolare a Piero Iacazio, il quale non condivide le idee dianzi esposte, e ha dato quindi origine a un vivace scambio di e-mails con l'autore del presente scritto, con la conseguenza che la recensione è divenuta mano mano più "completa"...

(UB)

 

 

(Insediamenti templari in Terra Santa)

(da Alain Demurger, Vita e Morte dell'Ordine dei Templari, Garzanti, 1987)