Sum ergo cogito

Intorno al rivolgimento dell'emblematica divisa del pensiero cartesiano

ed alla conseguente messa in discussione del sistema

(Bruno d'Ausser Berrau)

 

In un nostro recente lavoro - Janua Inferni - pubblicato sul primo numero di questa rivista, abbiamo preso in considerazione il vulnus, provocato dal pensiero cartesiano, in seguito all'eliminazione dell'elemento intermediario dal disegno della struttura cosmologica tradizionale e della conseguente polarizzazione dell'immagine del reale in spirito e materia (res cogitans et res extensa); dicotomia intorno alla quale si è poi sviluppato il pensiero di questo filosofo, che tanta parte ha avuto nella creazione delle premesse ideologiche sulle quali è andato formandosi il mondo moderno. Sviluppo questo, alieno, forse, dalla sua volontà e dalle sue intenzioni.1 Non avendolo particolarmente trattato nell'articolo citato, vorremo ora prendere in considerazione il concetto di coscienza di sé, quale ente, propria ad un individuo, che il Nostro esprime con la nota formula,2 polemicamente invertita nel titolo del presente studio. Intorno al concetto di coscienza, con gli sviluppi della moderna filosofia, s'è venuta a formare un'aura di carattere morale, intrinseca ad un'indagine che investa soprattutto le relazioni dell'anima con se stessa e dove quindi le capacità d'esame e d'autogiudizio prevalgano su quelle conoscitive, considerate allora quali semplici supporti delle altre per l'immediatezza loro propria nell'ambito del foro interiore. Caratteristica di questa deriva, subita dal concetto di coscienza, sono l'uso di essa e del suo contrario in psicanalisi. Qui, invece, si vuole prendere in esame quello che già Platone ed Aristotele, intendevano e che fa espresso riferimento a ciò che potremmo definire la consapevolezza del nostro stato: la suneidhsiV insomma. In questo senso, attraverso l'autoevidenza esistenziale, Cartesio pone nella chiarezza e nella distinzione (clarté et distinction) di ciò che si presenta all'attenzione del soggetto, le basi della sua idea d'evidenza; sottolineandone - in Antr. I. 6 - l'aspetto analitico ed induttivo quando, ivi, afferma che è dalla somma delle rappresentazioni, nella quale sia pensato l'ordine di una molteplicità, che scaturisce la conoscenza. Ben altrimenti, nelle Regulæ ad directionem ingenii, aveva escluso il giudizio soggettivo dalla stessa, avendola invece collegata all'immediatezza sintetica della facoltà intuitiva che, correttamente, svincolava dai limiti individuali della testimonia dei sensi (il mondo corporeo) e dell'immaginazione (il mondo intermediario) per farne una pura concezione dello spirito (il mondo intellettuale). Egli, rispettando anche la tripartizione cosmologica, era rimasto, pertanto, entro i termini della rappresentazione catalettica (fantasia katalhptikh), tale quale era stata espressa dagli antichi: vale a dire, l'evidenza come conseguenza di un atto dell'intelletto, il quale garantisce la piena congruenza dell'oggetto con la sua rappresentazione. Se le sue riflessioni avessero continuato a procedere in questo modo, non si sarebbero chiuse come, di fatto, poi avvenne, le vie in grado di condurre ad una reale possibilità di comprensione della vera e complessa natura dell'uomo. Natura, le cui potenzialità oltrepassano, con certezza universalmente condivisa ancorché molto diversamente motivata, la modalità corporea; esse, come ammette anche la moderna psicologia, si sviluppano in estensione indefinita dalla realtà concreta al piano psichico. Piano dove ha sede anche la facoltà di raziocinio ma, ciò nonostante, questo livello resta pur sempre un'espressione esteriore e transeunte dell'Essere dove si collocano le possibilità dell'intelletto.3 Le potenzialità dunque della condizione umana corrispondono con quest'essenza ontologica, che attinge l'infinito e che, pertanto, è tutt'uno con la stessa ragion sufficiente di quel composto instabile e contingente che è la "sottostante", fragile individualità. Questo passo fatale per il pensiero occidentale, si verificò a ragione di circostanze che, forse, oggi sarebbero classificate sotto la banalizzante etichetta di <<momento di depressione>>: infatti, essendo Cartesio giunto ad una fase della sua esistenza nella quale gli parve come ogni suo sapere potesse essere messo in dubbio, sentì allora la necessità di rifondare ab imis fundamentis ogni approccio conoscitivo e fu quindi proprio nell'evidenza del proprio pensare che trovò stabilità e certezza. È per questo, che il cogito ergo sum assunse il ruolo di divisa del sistema, con tutte le limitazioni inerenti ad una personale teoria della conoscenza, messa a fronte della possibilità offerta da un diretto approccio alla conoscenza stessa. Il limite metafisico di tale assunto filosofico è presto detto e non è vuoto gioco verbale affermare come la corretta impostazione del problema stia nell'inversione dei termini: sum ergo cogito; formula con la quale la principialità ontologica appare giustamente evidenziata rispetto alla coscienza di sé. Non si vuole qui mettere in forse che, per la prospettiva individuale, questa coscienza, abbia un ruolo rilevante perché, nella finzione logica del dubbio totalizzante, escogitata da Cartesio nell'impostare sa méthode, anche il dubitare di pensare è già un pensare e questo costituisce, sicuramente, uno dei fondamenti di un certo modo di essere; soltanto che, per questa via, non resta altra strada dalla mera elaborazione di carattere razionale, le cui premesse sono di ordine esclusivamente individuale e non si basano su quell'immediata evidenza concettuale che è propria del dominio dell'intelletto. Nella percezione del proprio pensiero, si esprime una riflessione, la quale anche in ottica, non è una visione diretta e non è, pertanto, una conoscenza effettiva. A questo punto, è necessario fare presente come, la possibilità di esprimere discorsivamente, ovverosia con gli strumenti offerti dal dominio intermediario quanto attiene alla pura metafisica, trova, nella stessa natura di quest'ultima, un limite invalicabile ed è perciò attraverso l'analogia ed il simbolismo che queste realtà sono sempre state rappresentate. L'abbandono o meglio l'incomprensione ed il susseguente abbandono di queste forme espressive, date le premesse filosofiche della cultura europea,4 non potevano risolversi in maniera diversa da quanto ha fatto Cartesio e questo ha aperto tutto un ventaglio di opportunità, le quali erano state, sino allora, in una condizione di latenza ma che, a quel punto, hanno trovato modo di manifestarsi. È per questo che, chi non riesca a farsi cognizione della vera natura della metafisica tradizionale, può magari ritenersi - per tutta una serie di negative reazioni sentimentali, generate in lui dalla società circostante - sinceramente ed attivamente antimoderno ma ciò non gli impedirà di essere non meno coinvolto e soprattutto non meno intimamente partecipe delle conseguenze sociali ed in particolar modo culturali, proprie allo spirito contemporaneo. Ma torniamo alla conoscenza di sé come riflessione; quest'ultima implica la presenza di un oggetto riflesso e quella di un soggetto che ne contempli l'immagine: nella fattispecie, l'oggetto è l'Essere puro, che, nello specchio5 della psiche, "proietta" la propria "immagine" (il cogito), dalla quale, il soggetto individuale, trae la percezione della propria esistenza. L'exsistentia, il sum (l'ego sum), implica tutta la distanza (l'ex stare), che intercorre tra i due. È per questo motivo che, se il concetto generale di evidenza è così impostato, la dualità tra soggetto ed oggetto diviene insuperabile, trasferendo la scissione anche al dominio delle articolazioni del reale con una separazione senza intermediazioni tra materia e spirito. Spirito, sia ben inteso, che, in tal caso decade a flatus vocis, coincidendo, di fatto, con la promozione del riflesso al rango del riflettente. La percezione diretta dell'Essere richiede invece un annullamento della distanza ossia il passaggio dall'ex stare al suo principio immediato e questo, per prodursi effettivamente, comporta una disposizione attiva, che implica, nell'essere individuato, il superamento dei limiti propri alla sua condizione e la realizzazione effettiva, in sé, della coincidentia oppositorum o di quelli che, solo una prospettiva contingente faceva apparire tali. Nessuno pretende che Cartesio, personalmente, si dedicasse ad una via unitiva6 di quest'ordine ma è d'averne tagliato le radici dottrinarie nella cultura dell'Occidente che gli si fa carico. Nel mondo premoderno, le caratteristiche personali entravano in gioco soltanto sul piano delle capacità intellettive, dell'efficacia espositiva o della didattica, poiché i dati tradizionali di riferimento restavano per tutti immutati non essendo essi il frutto del pensiero di alcuno ma avendo invece un'origine essenzialmente sopraindividuale. È in questo specifico senso che si è potuto affermare esserne "non umana" la fonte e, in termini religiosi, se n'è asseverata la natura divina. Nel contempo, a contrario, allorché s'è perso il concetto di cosa significasse il limite dell'individualità, ogni "pensatore" ha teso a creare un proprio sistema filosofico, una propria Weltanschauung, ingegnandosi affinché ogni parte di essa, compresa un'elaborata e specifica terminologia, avesse l'impronta dell'ego. Sembra, a questo punto, d'aver chiarito come mai, quella che possiamo definire coscienza di sé, lungi dall'essere uno status privilegiato è, nell'ambito della possibilità universale, soltanto uno dei compossibili (einer von den Kompossibelen) e, per la precisione, peculiare al piano d'esistenza relativo a quest'umanità. Essa non corrisponde ad una posizione particolarmente favorita poiché implica, come abbiamo visto, una distanza tra soggetto ed oggetto, dove l'oggetto è, nientemeno, che la ragion sufficiente della controparte. L'eventuale annullamento dello iato è allora funzione di quell'azione del soggetto, definita realizzazione, la quale si caratterizza come un'attività eminentemente intellettuale ma così centrale da essere ritenuta, in certi ambiti tradizionali,7 il primo dovere per chi partecipi dell'umana natura. In effetti, tutte le regole e le relazioni imposte dalle norme, che reggevano e parzialmente ancora reggono ciò che di premoderno sopravvive nella società, siano esse a carattere religioso, come avviene per il filum abraminico, siano altrimenti configurate, non hanno proposito diverso da quello di ordinare, il composto individuale e l'ambiente che lo circonda, in vista di permettere l'espletamento di quella "operatività" il cui fine ultimo, da parte di coloro che, qualificati, n'avvertono l'esigenza, sarà il raggiungimento di tale supremo obiettivo. Si deve inoltre far osservare come, il piano di riflessione (lo speculum animico), indipendentemente dalla sua eliminazione nel sistema cartesiano, cancellazione esclusivamente teorica e con conseguenze soltanto per coloro che a quella visione hanno aderito ma non certo con effetti a livello cosmologico, possa non avere ruolo di sorta per alcuni esseri. Tra questi, oltre a coloro che, partendo dalla condizione umana, realizzano stati sopraindividuali, dovremmo annoverare quelli che, in tali stati superiori dell'essere, si trovano di per sé8 e quelli, viceversa, la cui esistenza si svolge al di sotto dello status di esseri "animati". Questi ultimi, per detta ragione, di per sé evidente, non hanno la facoltà riflessiva (nelle due accezioni dell'espressione) e, semplicemente, sono. Cercando di riassumere i punti principali, intorno ai quali s'articola il sistema cartesiano, diremmo come essi siano riconducibili a cinque fondamenti. In tale elenco, il primo posto spetta sicuramente al cogito, essendo il criterio stesso del concetto d'evidenza. Seguono le ideæ, che, indicate quali contenuto del cogito, sono i più immediati oggetti di conoscenza; il problema sta tutto nella sua già indagata natura: per essa, queste, pur sotto stesso nome, non sono affatto le idee di Platone ovvero non appartengono all'universale, quali specie uniche e originali, intuibili in una qualsivoglia molteplicità ma sono semplici oggetti del pensiero individuale ed appartengono pertanto alla gerarchicamente inferiore categoria del generale. Sono, in altre parole, il risultato di un lavoro teorico, di un'astrazione che, di per sé, appartiene all'ambito del pensiero razionale e non a quello dell'intuizione intellettuale. Quali massi erratici, staccatisi dalla rocca della perduta metafisica, emergono, in questo paesaggio soggettivista, le idee innate; intese come <<capacità di pensare e di comprendere le essenze vere, immutabili ed eterne delle cose>>9. Naturalmente, se il concetto di evidenza non è definito secondo i parametri della rappresentazione catalettica o comprensiva che dir si voglia, non si capisce come quest'ordine di idee possa darsi ed allora ci sembrano esse i relitti difformi di tutt'altra visione del mondo, lì presenti, in un ambiente alieno, costruito con tutt'altra logica e scopi, a testimonianza di non espresse o di non esprimibili ragioni. Al terzo posto di questo sistema potremmo collocare la ratio che, attraverso le idee, sarebbe, secondo il Nostro, lo strumento principe per giungere al vero; essa fa ricorso al responso della subordinata experientia soltanto nel caso della necessità di dover dirimere tra alternative equivalenti. La differenza con Bacone è che, in questi - nell'acquisizione della certezza piuttosto che nella rimozione del dubbio - è l'ultima che sembra prevalere sulla precedente; da lui chiamata, implementandone l'aspetto dialettico,10 argumentum. Ciò, a dimostrazione delle posizioni sicuramente più radicali, sempre caratteristiche del filosofo inglese. Quinto ed ultimo caposaldo del sistema, conseguenza di tutte le scelte gnoseologiche fin qui enumerate, è la divisione della realtà in sostanza pensante e sostanza estesa, dove le due res prive di un medium di collegamento, seguono leggi diverse ed incomunicabili con risultati veramente rivoluzionari sul modo di pensare il mondo. Tali contraccolpi culturali sono stati esaminati, con maggiore attenzione, nel nostro precedente e già citato lavoro ma qui vorremmo limitarci a sottolineare che, nella visione tradizionale, la vita e tutto ciò che esiste coincidono: in altri termini, per mettere in rilievo tutta la differenza tra l'antica e l'attuale concezione del tema è opportuno fare presente come, pur collocandosi secondo quella gerarchia della consapevolezza supra indagata, anche il mondo minerale appartenga pienamente alla vita.11 Per Cartesio invece mentre la res extensa è retta dalle leggi meccaniche, la res cogitans, essendo puro pensiero e perciò priva di qualsivoglia rapporto con la vita, è caratterizzata dalla libertà. Questo fa sì che, un evento liminare, quale la morte, non potrà avere altra origine se non corporea e perciò il distacco dell'anima sarà sempre un effetto e mai una causa. Quando, al contrario, nella cosmologia tradizionale, la radice d'ogni evento materiale è proprio nella materia subtilis, la quale, a sua volta, ha il suo principio nel mundus intellectualis, con le fondamentali implicazioni teologiche relative ai concetti di Provvidenza e Grazia nonché a quelle contenute in qualsivoglia visione escatologica della storia.12 È chiaro quindi come siano queste le premesse per poi giungere, in altri tempi e presso altri filosofi, alla teorizzazione della superfluità di qualsiasi idea di trascendenza nei confronti della realtà grossolana. C'è un'ultimissima considerazione da fare ed è che, paradossalmente, ma non senza una certa perversa logica, le premesse suddette furono elaborate dal Nostro nel pio intento di fornire nuove armi teoretiche per la difesa dell'ortodossia cattolica, proprio perché, apparentemente infranto l'antico silenzio della riservatezza esoterica, tutto l'affiorare rinascimentale, di tante scienze tradizionali, veicolato e, per di più, ampiamente diffuso dai nuovi mezzi di comunicazione, era percepito, da molti timorosi spiriti exoterici, quale travisamento ed insidiosa minaccia per la fede. Una dimostrazione in più, se ce ne fosse bisogno, di come, dietro il trepido letteralismo e l'ottusa chiusura delle posizioni tradizionaliste, troppo spesso, si celi e riesca a guadagnare ampi spazi di consenso l'azione dissolvente di potenti forze antitradizionali.

Note

1 È stato lontano dal suo atteggiamento personale intraprendere la strada del libero esame in materia di fede (cfr. il presente studio in fine) ed in merito all'assetto dell'ordine sociale del suo tempo; anzi, si può dire che, avendo egli affermato espressamente di voler restar legato alla religione dei suoi padri ed alle leggi della sua epoca, abbia ben intravisto dove avrebbe potuto portare la strada che stava aprendo ma, con una forzatura logica, con un atto di volontà chissà in qual modo intimamente motivato, si sia impedito di percorrerla sino in fondo. Intraprendenza o opportunità che ad altri, quando i tempi furono maturi, non mancò certo ed i risultati eversivi rispetto al vecchio mondo sono sotto i nostri occhi nonostante che il cammino non sia stato ancora percorso sino ai suoi limiti estremi.

2 Discours, IV; Méd. II.6.

3 In via analogica, prendendo ad esempio il discorso geometrico, il dominio intellettuale - spirito ed intelletto sono qui sinonimi ed appartengono all'universale - corrisponde gerarchicamente alla collocazione dei postulati, la cui evidenza è immediatamente intuibile mentre, su di essi, per logica deduzione, può essere impostata tutta la successiva costruzione: è questo specifico momento, di riflessione ed elaborazione, che, ontologicamente, viene appunto per secondo ed appartiene, insieme a tutte le facoltà della psiche, ragione compresa, al mondo intermediario, cui sono propri i limiti dello stato individuale.

4 Non bisogna dimenticare che, già con Bacone, c'era stato il rigetto dell'apparato sillogistico e, soprattutto, della scienza fisica ereditati da Aristotele perché proprio dalla totalmente nuova concezione delle scienze, rette da esigenze eminentemente utilitaristiche, è sorta la necessità di un rinnovamento del metodo conoscitivo. Si può dire che Bacone abbia messo in evidenza la necessità d'assolvere certe esigenze mentre è a Cartesio che spetta il primo tentativo di risposta, realizzato con la costruzione di un vero e proprio sistema di pensiero a ciò destinato.

5 Da questo ben preciso processo deriva anche il verbo speculare inteso nell'accezione di studiare ed in quella, costruita sulla stessa metafora, di riflettere. Nei limiti, impliciti a questa specifica condizione rientra anche il caso della Massoneria Speculativa a fronte dell'immediatezza concettuale di quella Operativa. Per le caratteristiche e la storia delle relazioni tra le due, vd. il ns. Mysteria Latomorum, pubblicato sul n. 2 di questa rivista.

6 Qui si è voluto semplificare per necessità espositive ma è chiaro come un processo di realizzazione comporti un'indefinita gradazione di stazioni intermedie e quindi la coincidentia interiore, sebbene possa avvenire con stati ontologici superiori alla condizione individuale, non necessariamente deve essa situarsi a livello del principio immediato dell'esistenza come, per altro verso, può ben superarlo per raggiungere, al di là d'ogni determinazione, il dominio di quella che la tradizione cristiana chiama teologia negativa.

7 Il fine effettivo della realizzazione è la liberazione da ogni stato condizionato e quest'obiettivo, chiamato in skr. moksha, è, appunto nell'Induismo, espressamente definito quale fine supremo dell'uomo.

8 Anche se certa stucchevole olografia degli ultimi secoli ha culturalmente eroso la definizione tradizionale, tali esseri sono in linguaggio religioso gli Angeli; in quello metafisico, gli stati superiori dell'Essere.

9 Méd.; III; Lettre a Mersenne, 16.06.1641, Œuvr. ; III. 383. Considerato il destinatario, le perplessità potrebbero trovare conferma in una possibile captatio benevolentiæ.

10 S. Tommaso - in De ver.; q. 14, a. 2, ob. 14 - infatti, afferma: <<….dicesi argumentum ciò che convince (arguit) la mente ad assentire qualcosa>>.

11 Sta lì il motivo di quelle raccolte medievali, che vanno sotto il titolo di lapidari e che s'accompagnavano alle altre dedicate ai due rimanenti regni della natura e note come florari e bestiari.

12 Esprimendosi nel linguaggio della teologia cattolica, si può, infatti, affermare come sia in questa precisa catena di dipendenze che si struttura il piano provvidenziale del mondo creato ed al quale nulla può sfuggire. Tale piano, gerarchicamente ordinato, abbraccia anche la libertà delle creature senza che essa debba perciò esserne totalmente annullata (<<come un cane alla catena>>, è detto nell'Induismo). Così Dio, nella sua eternità, dirige il corso del mondo dando un senso escatologico alla storia. A questo scopo Dio usa le forze immanenti al mondo e da lui stesso create manifestando per tali vie la sua grazia.