Anomalie e anacronismi nei Vangeli:

alcune obiezioni alle tesi di Donnini

 

Aggiungiamo alla precedente sintesi alcune considerazioni personali, mirate a verificare la rispondenza delle ipotesi avanzate relativamente ai Vangeli di Marco e Matteo nel sito sotto specificato con quelle di Donnini. Questi, sulla base della precisione con la quale nei Vangeli viene descritta la distruzione del Tempio, resta fermamente convinto che la datazione dei Vangeli vada collocata di certo dopo il 70 d.c., anno della distruzione di Gerusalemme da parte delle legioni di Tito. Ad avvalorare questa tesi egli adduce le anomalie già menzionate, che dimostrerebbero una totale non conoscenza dei fatti e dell'ambiente ebraico da parte degli autori dei testi evangelici. Sebbene siamo convinti della presenza di manipolazioni dei testi, non riteniamo però, come fa l'autore in questione, che dette manipolazioni siano avvenute dopo il 70, ma che siano, per lo più, databili tra il 52 ed il 62 d.c., e cercheremo di dimostrarlo nei successivi paragrafi.

A Qumran si conosceva la sorte del Messia e di Gerusalemme prima del 70 d.c.

Cominciamo con il soffermare la nostra attenzione sull'elemento chiave che Donnini adduce per la postdatazione dei Vangeli: l'impossibilità che gli evangelisti conoscessero ciò che sarebbe avvenuto nel 70.

In realtà la cultura essena ed i Manoscritti qumranici ci dimostrano in maniera chiarissima che gli esseni conoscevano benissimo, non solo la sorte della città santa e del Tempio, ma anche la sorte del loro Messia.

In tal senso è emblematico il papiro 4Q541, che contiene la intera storia del Messia e le sue caratteristiche:

- Colonna I (Frammento 2) - Il Messia parla in parabole

(1)... parole ... e secondo la volontà di (2) ... a me. Di nuovo egli scrisse (3) ... Parlerai su di ciò in parabole (4) ... era vicino a me. Quindi fu lontano da me (5) ... la visione sarà profonda ... il furto ...

- Colonna II - Consolatore degli afflitti elargitore di sapienza

(2) da Dio ... (3) Accoglierai gli afflitti (4) Benedirai i loro olocausti e tu stabilirai per essi un fondamento di pace ... (5) tuo Spirito e ti rallegrerai nel tuo Dio. Ora io vi parlo in parabole ... rallegrati. (6) Ecco un uomo saggio comprenderà che io osservo e comprendo profondi Misteri, così pure io parlo ... parabole (7) Il greco non comprenderà. Ma la Conoscenza della Sapienza verrà su di te poiché hai ricevuto ... acquisirai ... (8) Seguila [la sapienza] e cercala e ne verrai in possesso per inghiottirla. Ecco tu allieterai molti ... molti avranno un luogo.

- Colonna IV - L'espiazione, il Verbo eterno, ingiusta condanna del Messia, il dramma degli ultimi tempi e l'esilio del popolo

(1) ... la sua Sapienza sarà grande. Farà espiazione per tutti i figli della sua generazione. Sarà inviato a tutti i figli della sua generazione. La sua parola sarà come parola del Cielo ed il suo insegnamento in accordo con la volontà di Dio. Il suo eterno sole brillerà ardente. (3) E il fuoco avvamperà su tutte le estremità della terra. E sulle Tenebre rifulgerà. Allora le Tenebre si allontaneranno (4) dalla terra e l'oscurità dalla terraferma. Pronunceranno storie contro di lui, e diranno ogni genere di infamie su di lui. Egli rovescerà la sua malvagia generazione (6) ci sarà una grande collera. Al suo risorgere vi sarà menzogna e violenza e il popolo errerà nei giorni e saranno confusi.

Questo brano, come si vede, appare in perfetta linea con le previsioni apocalittiche che ritroviamo nella profezia degli ultimi tempi che Matteo mette in bocca a Gesù. E se ancora non bastasse ecco la prova finale che i papiri di Qumran, ben prima della distruzione del Tempio, contenevano una perfetta sceneggiatura di ciò che sarebbe avvenuto:

- Colonna V - fustigazione del Messia ingiustamente accusato

(1) ... e coloro che sono colpiti in relazione a ... (2) ... tuo giudizio ma tu non sarai colpevole ... (3) le sferzate di coloro che ti affliggono ... (4) ... la tua protesta (?) non mancherà e tutto ... (5) il tuo cuore innanzi.

- Colonna VI - i tre giorni di Giona, la Crocefissione del Messia e la resurrezione

(1) Dio porrà riparo agli errori ... egli giudicherà le colpe svelate ... quindi ... (2) Indaga e ricerca e saprai come Jona pianse. E non sopprimere il debole annientandolo e con la crocifissione ... (3) con un chiodo non lo devi toccare. Allora farai sorgere un nome di Gioia per tuo padre e tutti i tuoi fratelli un saldo fondamento (4) ... Tu vedrai e gioirai nella Eterna Luce e non sarai [odiato da Dio].

Si noti il riferimento a Giona, usato da Gesù per profetizzare i tre giorni che sarebbero passati fino alla resurrezione, e soprattutto l'impressionante riferimento al chiodo e quindi alla crocifissione.

Anomalie dell'arresto e dell'ultima cena spiegabili attraverso il substrato esseno

Un altro dei temi cari al Donnini, segnalato come indizio chiaro di una manomissione postuma del testo evangelico, è rappresentato dalla cena pasquale e dall'anomalo arresto di Gesù. Riteniamo che entrambi gli aspetti trovino giustificazione piena inquadrando i vangeli (in particolare Matteo) nell'ambito della cultura essena qumraniana. In primo luogo va osservato che la struttura organizzativa del gruppo che Gesù aveva formato rispecchia chiaramente la struttura organizzativa della comunità qumraniana. In essa era prevista un'assemblea di 12 membri laici presieduta da tre sacerdoti:

Nel consiglio della comunità (ci saranno) dodici uomini e tre sacerdoti, perfetti in tutto ciò che è stato rivelato dell'intera legge, per praticare la verità, la giustizia, il giudizio, l'amore misericordioso e la condotta umile di ciascuno con il suo prossimo… (1 QS Col 8,1).

Nel caso della comunità che si riuniva intorno a Gesù i 12 membri sono chiaramente i 12 apostoli e i tre sacerdoti sono Giacomo, Gesù e Pietro (Giacomo, Giovanni e Pietro dopo la morte di Gesù). In particolare a Qumran l'attesa messianica prevedeva non un Messia ma due, uno della stirpe di Aronne (Giovanni il Battista si diceva figlio di Zaccaria, della stirpe di Aronne) che avrebbe dovuto nominare il nuovo principe di Israele, il secondo messia della stirpe di Davide (chiaramente Gesù figlio di Giuseppe della stirpe di Davide).

E' emblematico osservare che nelle scritture qumraniche è profetizzata la cena degli ultimi tempi nella quale il Messia di Aronne avrebbe spezzato il pane dandolo per primo al Messia di Davide, e successivamente si sarebbe distribuito del vino giovane (non fermentato). La morte di Giovanni probabilmente fece sì che Gesù assumesse su di sé entrambe le funzioni messianiche. Ma ci potrebbe essere una risposta ancor più interessante che prende spunto da un pezzo originariamente presente nel Vangelo degli Ebrei, probabilmente eliminato successivamente per la centralità che dava alla controversa figura di Giacomo il Giusto, capo della Chiesa di Gerusalemme e della corrente giudaico-cristiana antipaolina:

- Dopo la risurrezione del Salvatore, anche il vangelo detto secondo gli Ebrei, recentemente tradotto da me in lingua greca e latina e del quale fa spesso uso Origene, afferma: "Dopo aver dato il sudario al servo del sacerdote, il Signore andò da Giacomo e gli apparve". Giacomo infatti aveva assicurato che, dal momento in cui aveva bevuto al calice del Signore, non avrebbe più preso cibo fino a quando non l'avesse visto risorto dai dormienti. E poco dopo (prosegue): "Portate la tavola e il cibo" dice il Signore. E subito è detto: "Prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e diede a Giacomo il Giusto, dicendo: Fratello mio, mangia il tuo pane, poiché il figlio dell'uomo è risorto dai dormienti" (GEROLAMO, De viris illustribus, 2).

Gesù spezza il pane e lo offre a Giacomo che, a questo punto, prende il posto del Messia di Davide: ciò giustificherebbe perché lui, e non Pietro, divenne capo della comunità cristiana di Gerusalemme.

In sostanza, i dubbi che Donnini solleva circa l'esistenza stessa della cena o la funzione sacrilega nella cultura ebraica del cibarsi del corpo e del sangue (del pane e del vino) ci paiono infondate. Donnini usa, a nostro avviso, il metro della cultura farisaica, dimenticando che il nocciolo del cristianesimo non è il fariseismo ma l'essenismo qumranico che, sappiamo bene, si discostava alquanto da quella cultura, accettando usanze che erano vietate presso Gerusalemme come la magia, l'astronomia e l'astrologia. A nostro avviso è proprio grazie alla segnatura con il sangue dell'Agnello che ai dodici fu permesso di uscire durante la notte della vigilia di Pasqua per recarsi sul monte degli Ulivi. La notte della vigilia di Pasqua segnava il ricordo, nella cultura ebraica, della strage dei primogeniti avvenuta nella notte che precedette la fuga dall'Egitto. Le case segnate con il sangue dell'agnello immolato non sarebbero state toccate dall'angelo vendicatore. Questa maledizione sarebbe ricaduta su coloro che avessero abbandonato le case in quella notte, e chiaramente impediva ad un ebreo di uscire di casa, salvo che, come nel caso dei 12, l'aver bevuto il sangue dell'Agnello non simboleggiasse il segno posto sulla "casa del cuore". E che Gesù non intendesse mangiare carne ma probabilmente far mangiare il simbolo di essa è richiamato sempre negli scritti della patristica a proposito del Vangelo degli Ebrei:

- Abbandonando il vero ordine delle parole, alterano la frase, sebbene sia chiara da tutto il contesto delle parole, e fanno dire ai discepoli: "Dove vuoi che ti prepariamo da mangiare la pasqua?". Al che egli rispose: "Forse che io ho desiderato mangiare carne con voi in questa pasqua?" (EPIFANIO, da Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di Luigi Moraldi, Piemme 1997, 30, 22, 4).

Diversa è invece la motivazione che adduciamo a sostegno della veridicità dell'arresto praticato durante la notte di Pasqua, segnalato invece da Donnini come ulteriore anomalia. Gli esseni qumraniani utilizzavano un calendario solare di 364 giorni che differiva sostanzialmente da quello ebraico in uso a Gerusalemme che invece era lunare. Il papiro 4Q321 ci consente oggi di conoscere il ciclo calendariale di 6 anni previsto per questo calendario, e di conoscere l'equivalente giorno nel calendario ebraico. Oggi sappiamo, ad esempio, che la vigilia della Pasqua essena veniva festeggiata in giorni diversi da quella ebraica e cadeva sempre di Martedì. Ora caso vuole che, nel primo e terzo anno del ciclo, la vigilia di Pasqua ebraica cada esattamente un giorno dopo quella essena, e quindi di Mercoledì. Grazie a questa constatazione possiamo dare soluzione al problema sollevato da Donnini, e pure ad un'altra anomalia che Donnini non ha notato: quella dei 3 giorni di Giona.

Se supponiamo che Gesù seguisse l'usanza essena, egli festeggiò la Pasqua di Martedì, il giorno prima della vigilia della Pasqua ebraica, quindi fu sicuramente possibile l'arresto condotto dai farisei in un giorno che, per loro, non era tabù.

Inoltre la versione ufficiale della Passione prevede la morte il Giovedì, e di conseguenza resterebbero soltanto 2 giorni (Venerdì e Sabato) "nel ventre della terra", e non 3, come previsto dalla profezia in Matteo (12,40): "Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra".

Per spiegare questa anomalia bisogna, prima di tutto, ricordare che gli ebrei misuravano il tempo da tramonto a tramonto, successivamente possiamo avanzare la seguente ricostruzione:

1 - Martedì sera, arresto e processo con Caifa;

2 - Mercoledì mattina, crocifissione;

3 - Mercoledì, alle 3 del pomeriggio, la morte di Gesù.

Essendo il Mercoledì la vigilia della Pasqua ebraica, è chiaro che il significato che assume Gesù è proprio quello dell'Agnello che viene sacrificato nella vigilia di Pasqua prima del tramonto. In questo modo vi è l'automatica maledizione non di tutti gli ebrei ma dei soli Farisei, colpevoli di aver interpretato, come afferma Matteo, la legge con metro di uomini.

Si comprende, così, perché quello di Gesù era il sacrificio di un giusto che malediceva gli ingiusti: i farisei e la loro falsa Pasqua. Quel sacrificio doveva segnare la fine dei successivi sacrifici che sarebbe avvenuta di lì a poco con la distruzione del Tempio. Ancora una volta ci viene in aiuto la patristica che sempre con riferimento al Vangelo degli ebrei scrive:

- riferito in quel cosiddetto vangelo secondo gli Ebrei: "Io sono venuto ad abolire i sacrifici. E se non cesserete dall'offrire sacrifici, non desisterà da voi l'ira" (EPIFANIO, da Apocrifi del Nuovo Testamento, op. cit., 30, 16, 4-5).

Si noti che i 3 giorni e le tre notti tornano, a questo punto, perfettamente:

- Mercoledì, Giovedì e Venerdì sera;

- Giovedì, Venerdì e Sabato mattina.

Ma c'è di più, questa ricostruzione elimina un'altra anomalia non sottolineata da Donnini: la sigillatura operata dai farisei della tomba di Gesù il Sabato sacro, impossibile secondo la tradizione ebraica. Infine essa ci pare perfettamente conciliabile con il solo Vangelo di Matteo che afferma che la sigillatura avvenne "il giorno dopo che era Parasceve". Marco interpretò questo termine, dall'ebraico probabilmente, con l'equivalente termine greco avente il significato di Preparazione al sabato: cioè Venerdì. Nel Matteo ebraico, probabilmente, questo termine era la distorsione del termine Erev Pesah cioè Vigilia di Pasqua, distorsione introdotta dagli esseni per distinguere, probabilmente, la loro "vera" vigilia di Pasqua da quella falsa farisaica.

In buona sostanza Marco ha generato, traducendo male il termine Parasceve (Erev Pesah farisaica e quindi Giovedì) con "Preparazione" (al sabato) e quindi Venerdì determinando gli errori nei successivi Vangeli Luca e Giovanni.

Vicinanza di Matteo alla cultura qumranica

Donnini ritiene possibile, se non reale, l'esistenza di un Vangelo degli Ebioniti, o un proto-Matteo, segnalata dalla patristica, ma, a suo giudizio, gli elementi che abbiamo menzionato ed altri che vedremo nei successivi paragrafi dimostrerebbero che la nostra versione di questo Vangelo sia molto distante da quello che, a suo giudizio, è l'unico testo scritto prima del 70. A nostro avviso ci sono viceversa fondati motivi per ritenere il testo di Matteo estremamente vicino alla versione originaria del proto-Matteo ebraico, e questi indizi sono da ricercarsi, in linea anche con quanto ritenuto da Donnini, nell'essenismo dell'autore. Vogliamo, in tal senso, mostrare il seguente brano tratto dal papiro 4Q521.

Frammento 1 Colonna II

(1) ... i Cieli e la terra obbediranno al suo Messia (2) ... e tutto quanto è in essi. Egli non si allontanerà dai comandamenti santi. (3) Mantenendoli saldi al suo servizio, (voi) che cercate il Signore. (4) Non troverete forse in questo il Signore, tutti voi che aspettate pazientemente nei vostri cuori? (5) Perché il Signore visiterà i Pii (Hassadim) e i Giusti (Zadddikim) li chiamerà per nome. (6) Sull'umile poserà il Suo Spirito e ristorerà il Fedele con il suo Potere. (7) Egli glorificherà i Pii (Hassidim) sul Trono del Regno Eterno. (8) Libererà i prigionieri, ridarà la vista ai ciechi, risolleverà gli oppressi ... (9) Per sempre aderirò a Lui ... e avrò fiducia nella sua Pietà [Hased è anche Grazia] (10) e la Sua bontà ... della Santità non sarà differita (11) E in quanto alle azioni gloriose che sono opera del signore quando lui ... (12) allora risanerà i malati, farà risorgere i morti e annuncerà agli umili felici notizie (13) ... Egli guiderà i santi. Egli li condurrà, Egli farà ... e tutto il suo ...

Frammento 1 Colonna III

(1) e la Legge sarà perseguita. Li libererà ... (2) Tra gli uomini, i padri sono onorati dinnanzi ai figli ... (3) Canterò (?) la benedizione del Signore con il suo favore ... (4) La terra andrà in esilio in ogni luogo ... (5) E tutto Israele in esilio ...

Gesù (in Matteo, 11,4-6) sembra richiamare proprio questa brano quando vuole mostrare a Giovanni che in lui si avverano le profezie: "Gesù rispose: Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me".

In pratica Gesù segue il canovaccio delle scritture qumraniane. Il fatto che questo brano appartenga a Matteo e non a Marco, ed il fatto che Matteo preceda di certo Luca, ci testimoniano come questo testo contenga elementi che non possono che provenire dalla cultura esseno-qumranica che costituì, a nostro avviso, e ad avviso dello stesso Donnini, il substrato per il nascente Cristianesimo.

L'automaledizione degli ebrei non è inattendibile

Un altro degli elementi che Donnini adduce per ritenere postuma la stesura dei testi evangelici è la frase con la quale gli ebrei maledicono se stessi nel Vangelo di Matteo (27, 24-25): "Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: "Non sono responsabile", disse, "di questo sangue; vedetevela voi!". E tutto il popolo rispose: "Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli"."

Alcuni elementi presenti nelle lettere paoline ci inducono a ritenere che Paolo avesse conosciuto la versione ebraica del Vangelo di Matteo utilizzata dai suoi oppositori a Corinto. In particolare la versione dell'ultima cena che ritroviamo nella prima lettera ai Corinzi (Cor. 1,23-27), con l'enfasi posta sulla funzione di remissione dei peccati, e soprattutto le parole utilizzate da Paolo a Corinto quando, in seguito all'abbandono di Sila, egli decide di concludere la predicazione ai giudei: "Il vostro sangue ricada sul vostro capo: io sono innocente" (Atti 18,6); frase, questa, che ha due soli paralleli apprezzabili nel Nuovo Testamento:

- Mt 23,34-35: "Perciò ecco, io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città; perché ricada su di voi tutto il sangue innocente versato sopra la terra",

e coincide soprattutto con l'invettiva pronunciata dagli ebrei contro Gesù al momento della sua condanna morte nel Vangelo - appunto secondo Matteo - quella che Donnini ritiene anacronistica, ma che invece sembra ispirare Paolo ben prima del 70 d.c. (52 d.c.).

In pratica, la maledizione lungi dall'essere inattendibile è stata realmente inserita nel proto-Matteo, e non riguarda tutti gli ebrei ma i soli Farisei e Scribi, rientrando perfettamente nella polemica antifarisaica caratteristica di Matteo e comune ai testi qumraniani. In questo contesto ci pare plausibile anche il dito puntato contro Caifa e contro il sinedrio e di conseguenza lo stesso processo alla presenza di Caifa.

Il ritrovamento recente della tomba di Caifa, in cui è stato rinvenuto il teschio con una moneta tra i denti, chiara usanza pagana, testimonia l'ambiguità di questo personaggio. Tale ambiguità nel contesto dei documenti qumraniani quali le "Lettere sulle opere di Giustizia", che criticano aspramente le cerimonie al Tempio, e le violazioni delle norme di purezza compiute dagli stessi sacerdoti, ci sembrano giustificare l'atteggiamento ostile alla classe sacerdotale, e prima di tutto a Caifa, nel testo di Matteo. A partire da questa constatazione, dalla situazione personale di Paolo a Corinto fortemente avversato dai giudeo-cristiani, e da alcuni elementi riscontrabili nel Vangelo di Marco (Mc 15,21), quali la presenza di Alessandro il ramaio Efesino, (Atti 19,31) scomunicato da Paolo nel 62 a Roma, (I Tim. 1,20 e II Tim. 4,14), e di Rufo, personaggio anch'esso presente ad Efeso nel 52d.c. (Rom. 16,3), riteniamo di poter collocare la stesura del Vangelo di Marco ad Efeso nel 52d.c. Il testo doveva servire per contrastare le parti pericolose per la nascente teologia paolina. Partendo quindi dalla versione ebraica di Matteo, Paolo fece redigere il testo, con l'omissione di elementi quali:

- il discorso della Montagna, con il richiamo alla validità della Legge;

- la polemica antifarisaica (Paolo era Fariseo);

- la supremazia di Pietro (che Paolo avversava, vedi le lettere ai Corinti e ai Galati);

- la funzione centrale del battesimo di Giovanni come premessa necessaria alla missione di Gesù (Paolo, proprio ad Efeso, incontra un gruppo di giudei convertiti al battesimo di Giovanni e vuole sminuirne la portata)

Con la scomparsa dei giudeo-cristiani seguita alla distruzione del Tempio, il Vangelo degli ebrei originale in ebraico scomparve, anche grazie alla successiva persecuzione contro l'eresia Ebionita. Diversa sorte toccò al Vangelo di Marco, che Paolo inviò nella capitale - a nostro avviso, per mano del gruppo di giudeo-cristiani di rientro da Efeso - insieme alla Lettera ai Romani. Il fatto che quel testo fu scritto in un greco approssimativo, ben diverso dal greco del testo di Matteo, è a nostro avviso una prova che l'autore non era un asiatico ma, probabilmente, un giudeo-romano, buon conoscitore dell'ebraico, che tradusse il testo ebraico di Matteo ponendo enfasi sulla sua conoscenza della cultura ebraica e dei luoghi della Giudea per sopperire ad una evidente totale mancanza di informazione sui fatti narrati (la sua unica fonte è il testo ebraico di Matteo). La presenza a Roma del testo e la leggenda della discesa a Roma del primo degli apostoli e del suo legame stretto con Paolo favorirono, a nostro avviso, l'attribuzione di questo testo ad un personaggio che sicuramente non può essere il vero autore, e cioè Marco (che non era ad Efeso nel 52 d.c.), figlio del primo degli apostoli (1 Pt. 5,12 , Mt 8,14). Luca, venuto in possesso dei due Vangeli, Marco e Matteo, utilizzò Marco come canovaccio confermandone alcune scelte, e Matteo per integrare le narrazioni. Alcune modifiche, probabilmente, furono introdotte dopo il 70, e dopo la stesura del Vangelo di Luca. Anche la presenza della giustificazione dell'appellativo Nazareno con la pretesa origine di Gesù nella città di Nazaret giustifica, per le motivazioni già addotte, l'attendibilità di questa ipotesi.

Il Vangelo di Luca, la cui stesura dovette essere successiva a Matteo e Marco, ma comunque precedente al 70 d.c., calcò la mano sull'innocenza di Pilato, ed introdusse le sezioni del Capitolo 23,6-16 con le quali si discolpava lo stesso Erode, facendo ricadere, però , la colpa non più sui soli Farisei e Scribi - come avveniva in Matteo - ma su tutti gli Ebrei, scelta che verrà confermata anche nel successivo volume attribuito al medesimo autore: gli Atti. Questa scelta antisemita aveva avuto origine dallo scisma tra Paolo ed il giudeo-cristianesimo gerosolomitano, di cui troviamo una chiarissima traccia nella prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi (1,14-16): " … come loro da parte dei Giudei, i quali hanno perfino messo a morte il Signore Gesù e i profeti e hanno perseguitato anche noi; essi non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini, impedendo a noi di predicare ai pagani perché possano essere salvati".

I motivi che ci spingono a credere che la stesura di questo testo sia collocabile a Gerusalemme nel 58 d.c. sono molteplici:

- l'autore degli Atti si riaggancia al suo precedente testo, il Vangelo di Luca;

- gli Atti terminano inspiegabilmente nel 62 d.c. con gli arresti domiciliari a Roma di Paolo;

- l'autore è testimone oculare di alcuni dei fatti narrati negli Atti: in particolare è presente in tutti i viaggi via mare dopo il Concilio di Gerusalemme (Atti 15);

- l'autore non può aver conosciuto ed approfondito i fatti che narra se non durante l'ultimo drammatico viaggio a Gerusalemme di Paolo nel 58 d.c., con il suo soggiorno di 2 anni (solo in quella data poté avere qualche contatto con la chiesa gerosolimitana);

- non esiste alcun motivo valido che giustifichi la sospensione della narrazione delle vicende paoline al 62 d.c., se non che quello è l'anno in cui fu terminata la stesura del libro.

Dubbi seri nascono in relazione all'attribuzione di questo testo al medico Luca (Col. 4,14). L'autore sembra un ottimo conoscitore di tecniche di navigazione ed è presente sempre nei viaggi che coinvolgono percorsi via mare (in particolare sulla rotta Triade - Tessalonica); viceversa non si può dire lo stesso per le sue conoscenze mediche, che paiono scadenti.

Riteniamo di poter identificare l'autore non in Luca, ma in Dema sulla base delle seguenti constatazioni:

- la detta altrimenti inspiegabile interruzione degli Atti nel 62;

- l'abbandono di Paolo da parte di tutti gli asiatici a Roma, ultimo dei quali fu Dema (abbandona Paolo e parte per Tessalonica (II Tim. 4,10);

- la permanenza del solo Luca con lui (II Tim. 4,11);

- il fatto che nelle lettere Luca e Dema sono sempre menzionati insieme.

Ricapitolando, la sequenza delle stesure dei Vangeli da noi ipotizzata può essere schematizzata come segue:

Vangelo degli Ebrei in ebraico

(autore probabilmente Matteo - scritto intorno al 42-48)

Vangelo attribuito a Marco

(non scritto da Marco ma da un discepolo di Paolo, un giudeo-romano rifugiatosi ad Efeso dopo la persecuzione di Claudio, e ritornato a Roma tra il 52 ed il 54, recando la lettera ai Romani che annunciava l'imminente arrivo di Paolo nella capitale. Questo testo rappresenta un estratto dal Vangelo degli Ebrei, a meno di parti scomode alla predicazione di Paolo)

Vangelo degli Ebrei tradotto in greco (Matteo in greco)

(autori i giudeo-cristiani vicini alla chiesa di Gerusalemme, con l'aggiunta della genealogia e della natività - scritto intorno al 52-58)

Vangelo attribuito a Luca

(scritto da Dema, lo stesso autore degli Atti, intorno al 58-60)

Atti degli apostoli

(scritti dallo stesso Dema, intorno al 62)

Vangelo di Giovanni

Versione definitiva del Vangelo di Matteo

(ottenuta dalla versione in greco del Vangelo degli Ebrei, rimaneggiato sulla base del Vangelo di Luca, e in linea con la teologia paolina)

Versione definitiva del Vangelo di Marco

(ottenuta aggiungendo le sezioni conclusive sulla resurrezione, ancora in linea con la teologia paolina).

Conclusioni

Molte delle discrepanze e delle anomalie riscontrate da Donnini nei Vangeli sembrano sollevare seri dubbi sull'affidabilità storica del contenuto di questi, e, all'apparenza, sembrano giustificabili solo supponendo che la data della loro stesura sia molto lontana dagli eventi narrati. In realtà questa conclusione, peraltro sostenuta pressoché unanimemente dalla moderna esegesi, prescinde da un'irrinunciabile chiave di lettura: la lotta tra il giudeo-cristianesimo di origine esseno-qumranica ed il cristianesimo paolino. Testi come Marco e Luca, pur elaborati in date prossime a quelle degli eventi narrati, rivelano una totale mancanza di informazione o comunque una informazione estremamente approssimativa, ma questa caratteristica è spiegabile osservando la distanza fisica e culturale abissale che separa Paolo (nel cui ambito nascono i due testi) dalla comunità gerosolimitana e giudeo-cristiana.

A differenza di Donnini, non riteniamo che tali opere abbiano subito rimaneggiamenti pesanti in anni successivi al 70, se non per le parti che li ricollegano saldamente alla cultura giudeo-cristiana (in particolare per l'omissione totale dei rapporti tra Gesù e il fratellastro Giacomo, e la designazione di questi quale capo della nascente comunità cristiana alla morte di Gesù). La loro diffusione doveva essere già notevole, e la stessa constatazione che ci sono pervenute diverse versioni dei Vangeli, che pur mantenendo contenuti simili vengono distinte per il nome dell'autore, ci dimostra che più che rimaneggiare testi manipolandone il contenuto, si era soliti stenderne di nuovi. Del resto è difficile pensare che testi di così larga diffusione, (abbiamo segnalato l'uso del Matteo ebraico nelle regioni greche evangelizzate da Paolo) potessero subire rilevanti modifiche, se, come abbiamo ipotizzato, se ne colloca la stesura in anni in cui erano ancora vivi i testimoni oculari.

Insomma, ferma restando l'inattendibilità di Marco e Luca, riteniamo che Matteo, per la vicinanza estrema ai testi qumranici che erano ignoti a qualunque altra letteratura a noi pervenuta, rappresenti, nel complesso, il più attendibile del Vangeli.

 

(Sabato Scala)

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