[I lettori più affezionati ricorderanno come nel N. 3 della rivista sia apparso un commento di Franco Baldini intitolato: "Una nota a proposito del significato della Primavera di Botticelli" (nella pagina web relativa a tale scritto si può trovare un'immagine del dipinto). Riceviamo adesso sullo stesso argomento un'ulteriore notevole interpretazione, che siamo lieti di pubblicare ringraziando vivamente l'autore.]
 


Un'illustrazione dell'Eden dantesco realizzata dal Botticelli. Si noti il particolare
delle tre Virtù, sulla destra del carro, dietro le sette liste a forma di croce.
 

Le tre Grazie: una chiave
per dischiudere il giardino della Primavera

(Lino Lista)


 


Breve preambolo dei fatti noti

"...Per la città in diuerse case fece tondi di sua mano, & femmine ignude assai, delle quali hoggi ancora a Castello, villa del Duca Cosimo sono due quadri figurati, l'uno Venere, che nasce, & quelle aure, & venti, che la fanno venire in terra con gli amori: & così un'altra Venere, che le grazie la fioriscono, dinotando la primavera; le quali da lui con grazia si veggono espresse...1".

Quante parole deve impegnare una personalità, che abbia una fama universalmente riconosciuta, affinché egli possa orientare la ricerca, in un qualsivoglia settore, in un'unica direzione? A Giorgio Vasari, mostro sacro della critica d'arte, furono bastevoli appena una decina di vocaboli. Tanto lungo, infatti, è il periodo con il quale l'eclettico artista e biografo aretino commentò la Primavera di Alessandro Filipepi, detto il Botticelli.

"Un'altra Venere, che le grazie la fioriscono, dinotando la primavera": uno spunto che ha spinto generazioni di critici e studiosi a scavare nei giardini mitologici della letteratura, nel tentativo di assegnare un'identità pagana ad ognuno dei cinque restanti personaggi dell'ombroso boschetto. Venere e le tre Grazie, infatti, non potevano essere messe in discussione.

Un periodo, questo citato di Giorgio Vasari, tanto breve quanto autorevole. Esso è stato capace di indirizzare i più grandi, dal tedesco Aby Warburg (l'allegoria del regno di Venere) all'austriaco Ernst Gombrich (allegoria della Venere-humanitas), dall'inglese Charles Dempsey (allegoria delle stagioni associate alle figure mitologiche) al critico d'arte tedesco Erwin Panofsky (allegoria delle Veneri e degli Amori del Neoplatonismo).

Ai nostri giorni pochi saggi d'arte palesano indecisione sull'identità delle figure della Primavera. La sequenza, tanto inseguita appresso alle orme impresse dal Vasari, è generalmente considerata accertata: Mercurio - le tre Grazie - Cupido - Venere - Flora - Clori - Zefiro.

Ora, se il riconoscimento sul piano delle forme ha incontrato un consenso quasi unanime, non altrettanto si può affermare per l'interpretazione sul piano dell'allegoria. I sensi desunti dall'associazione delle nove figure appaiono forzati e frammentati. Alessandro Botticelli, secondo la visione unanime, avrebbe raffigurato sulla destra della tavola (intenderemo sempre la destra per l'osservatore) il mito del vento primaverile Zefiro il quale rapì la ninfa Clori, ne fece la sua sposa e la mutò in Flora (la Primavera), donandole il potere di generare i fiori. Al centro, con Cupido figurato nell'atto di scoccare un dardo infuocato, Botticelli avrebbe dipinto le tre Grazie danzanti, con Venere che ne dirige il ballo. Sulla sinistra, infine, in contemplazione e nell'atto di disperdere con il caduceo le nubi del peccato, sarebbe stato rappresentato Mercurio. Il tema allegorico comunemente desunto dall'insieme è quello dell'amore sensuale (Zefiro e Clori) che, per mezzo di Venere e tramite l'intermediazione delle tre Grazie, si trasforma nell'Amore Divino in Mercurio.

La storia, in verità, non convince. Non è stata identificata un'opera dalla quale essa possa essere stata estratta e in cui i nove personaggi siano, tutti contemporaneamente, presenti in un unico contesto narrativo. Ciò nonostante sia trascorso più di un secolo da quando, nel 1881, Dante Gabriel Rossetti, con il sonetto "For Spring by Sandro Botticelli", suscitò la fama del dipinto.

Il mancato ritrovamento di un'unità testuale, alla quale Sandro Botticelli possa essersi riferito, proietta ombre di dubbio sul giardino di Venere e delle Grazie perché, com'è noto agli studiosi, egli, ancor più che pittore, era un grandissimo illustratore.

La tecnica del Botticelli

Alessandro Botticelli segnò una pietra miliare nella storia dell'arte e del libro in Europa con un'originale tecnica di composizione2. Nella sua innovativa concezione alle pagine fu dato un formato "landscape" con la rilegatura nella parte alta, sul bordo orizzontale del libro. L'opera si sfogliava dal basso verso l'alto e, in ogni facciata superiore, si poteva ammirare l'illustrazione del testo stampato nella pagina successiva.

La tecnica dell'illustrazione non fu, quindi, utilizzata soltanto nell'immane lavoro dei disegni della Divina Commedia. L'intera opera di Botticelli ne è caratterizzata.

La Nascita di Venere è speculare alle Stanze del Poliziano: "Giurar potresti che dell'onde uscissi / la dea premendo colla destra il crino, / coll'altra il dolce pome ricoprissi..." (Le Stanze Libro I, 99, 5-8, 100, 1-2, 101, 1-3)

Il dittico di Giuditta ed Oloferne attinse dal Vecchio Testamento.

A parte l'inversione di taluni colori, le quattro tavole di Nastagio degli Onesti illustrano perfettamente la novella del Boccaccio (Decamerone, V,8).

Il famoso quadro di "Pallade che doma il Centauro" è ritenuto la chiosa di Alessandro Botticelli all'ermetico detto di Marsilio Ficino: "Bestia nostra, id est sensus; homo noster, id est ratio".

Incredibile è la pala Bardi, nella quale il pittore mediceo sviluppò il tema della Sapienza rappresentando la "Vergine del Latte" in un Hortus Conclusus, tra i santi Giovanni Battista e Giovanni Apostolo. Gli alberi e i fiori raffigurati nell'atavico giardino furono letteralmente "copiati" dall'Encomio della Sapienza dell'Ecclesiastico e dal Cantico de' Cantici: rose, ulivi, cipressi, cedri, palme, gigli. Su ogni pianta, evento raro nella storia della pittura, fu dipinto un nastrino con sovra scritto il versetto relativo: "Quale rosaio in Gerico", "Come bell'ulivo ne' campi", "Come un cipresso sul monte Sion", "Qual cedro del Libano m'innalzai", "Quasi palma in Cades m'innalzai", "Come un giglio tra gli spini".

I segni e i fiori di Sandro Botticelli, quindi, sono generalmente gravidi di storie in prosa e in versi.

E' mai possibile che proprio la Primavera sia sterile e muta?

Le tre stelle della Primavera

Per lungo tempo, prima che la citata sequenza dei nove personaggi mitologici si consolidasse, la discussione sulle singole immagini è stata molto accesa. Per la maggior parte di esse sono state proposte numerose identità. La cosiddetta Clori, ad esempio, è stata talvolta identificata nell'ovidiana Proserpina rapita da Plutone divinità degli inferi (quest'ultimo supposto nella figura comunemente identificata in Zefiro). Emil Jacobsen anche, nella sua Allegoria della Primavera di Sandro Botticelli del 1897, percepì nel rapitore alato una presenza da oltretomba e sviluppò la tesi secondo la quale nella supposta Clori sarebbe stata dipinta, in realtà, Simonetta Vespucci, la donna amata da Giuliano de' Medici e ghermita dalla morte nel 1476.

Senza tema di essere contraddetti si può affermare che, tra le nove raffigurate, solo per tre figure la grande critica non ha ricercato ipotesi alternative: il gruppo delle Grazie non è mai stato messo in discussione. Eppure, nell'ambito della ricerca di un testo letterario di riferimento per un'opera d'arte creata nella Città del Fiore di Dante, tre donzelle danzanti in un giardino avrebbero dovuto immediatamente suscitare un'immagine poetica: "...tre donne in giro dalla destra rota / venian danzando..." ( Pg XXIX, 121-22). E' utile, al proposito, rammentare che per i cultori della poesia la figurazione di fanciulle che ballano in tondo è sacra quasi quanto lo era il ballo in questione, la carola, la danza alla quale più frequentemente fecero riferimento i romanzi cortesi, dal Roman de Renard al Roman de la Rose.

La riflessione assume una considerevole importanza, specie se supportata dalla constatazione che il gruppo delle Grazie della Primavera non è la sola figurazione di tre donne danzanti in tondo dipinta da Alessandro Botticelli. Per ben altre due volte egli lo fece ed entrambe in disegni ambientati in un giardino: quello dell'Eden della Divina Commedia - vedi figure all'inizio dell'articolo e successiva; immagini complete, visionabili mediante l'uso della lente, in: http://www.philia.it/suggerimenti_quarto_enigma/start.htm  .
 
 

"Le tre virtù danzanti" - Particolare tratto da un altro disegno del Botticelli
raffigurante la Sacra Processione nell'Eden di Pg XXXI della Commedia.


 


L'osservazione è suscettibile di maggior rilevanza nel caso in cui sia collegata con il contenuto di una epistola3 che Marsilio Ficino inviò a Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici nel 1481. Nei primi passi della missiva, che aveva un fine pedagogico, Ficino spiegò che l'immagine delle Grazie abbracciate l'una con l'altra apparteneva ai poeti. Le tre fanciulle velate furono paragonate a tre pianeti: <<Queste tre stelle...>>, scrisse il filosofo neoplatonico, <<...sono particolarmente propizie all'umano ingegno>>. Nel De Vita4 Marsilio Ficino precisò, poi, che le tre Grazie celesti sono le "stelle" Sole, Venere e Giove.

E' evidente che la lezione delle tre Grazie danzanti paragonate a stelle riconduce alle tre Virtù del giardino dantesco dell'Eden di Pg XXXI, 106-108: "Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle; / pria che Beatrice discendesse al mondo, / fummo ordinate a lei per sue ancelle". Che le ninfe/virtù siano stelle, quindi, lo afferma il testo dantesco senza possibilità d'equivoco ed è consolidato da una secolare tradizione di dantistica, da Benvenuto da Imola nel Trecento fino ai commentatori contemporanei. Che le Grazie siano stelle lo riferisce Marsilio Ficino in una missiva che si ritiene sia stata scritta proprio con lo scopo di spiegare la Primavera. La corrispondenza trova riscontro nell'analogia figurativa delle tre fanciulle danzanti nella Primavera e nei disegni dell'Eden di Sandro Botticelli.

Come può il filo del pensiero, a fronte dell'illuminazione delle tre stelle, non distendersi per differenti percorsi da quelli finora seguitati? Come può, anche a costo di andare contro vento, non ricercare nuovi punti di vista, meno doxastici e più riflessi? Ed ecco, allora, che le tre fanciulle danzanti nel Paradiso terrestre dantesco immediatamente ne richiamano un'altra: Matelda Primavera: "...una donna soletta che si gia / e cantando e scegliendo fior da fiore / ond'era pinta tutta la sua via" (Pg XXVIII, 40-42). Matelda, in fondo, ha diritto di ospitalità in un giardino fiorentino dove, finora, hanno trovato asilo quasi tutte le ninfe ovidiane, a lei premesse letterarie necessarie ma non di lei più fiorite. Ed ecco, ancora, che a sua volta Matelda Primavera convoca, in sostituzione di Venere, un'altra figura, anch'essa toscana: Beatrice, che le venne al seguito sia nella Vita Nova, sia nella Divina Commedia. Come può, poi, Beatrice non richiamare Amore/Cupido, dalla quale ella fu mossa? E Amore non associarsi all'ermetico Dante Alighieri avvolto nel suo rosso mantello?

Il pensiero alternativo, anzi laterale per doveroso omaggio a Edward de Bono, senza aggrovigliarsi su se stesso, prescindendo da ogni esegesi simbolica, è stato in grado di collegare sette personaggi della Primavera con sette analoghi dell'Eden della Commedia: Dante Alighieri - le tre stelle/Grazie/Virtù - Amore (che mosse Beatrice e muove il sole e l'altre stelle) - Beatrice - Matelda Primavera.

Per quanto concerne gli ultimi due, i supposti Zefiro e Clori, l'analisi del segno appare imprescindibile e non per insufficienza, bensì per abbondanza di riflessione. Nel giardino eterno di Dante, infatti, di coppie rapitore/rapita se ne incontrano, addirittura, più di un paio.

C'è la "puttana sciolta" trascinata nella selva dal "gigante".

C'è il ratto di Proserpina/Kore per opera di Dite/Plutone. "Tu mi fai rimembrar dove e qual era / Proserpina nel tempo che perdette / la madre lei, ed ella primavera", dice Dante a Matelda Primavera in Pg XXVIII, 49-51.

In Pd I, 31-33, ancora la scena è quella dell'Eden, c'è l'allusione al tentativo di possesso di Dafne per opera di Apollo.

C'è il ricordo di Eva, tentata, anzi "posseduta" da Lucifero nel Paradiso terrestre: "E una melodia dolce correva / per l'aere luminoso; onde buon zelo / mi fè riprender l'ardimento d'Eva, / che là dove ubidìa la terra e 'l cielo, / femmina, sola e pur testè formata, / non sofferse di star sotto alcun velo..." (Pg XXIX, 22-27); "Sì passeggiando l'alta selva vòta, / colpa di quella ch'al serpente crese..." (Pg XXXII, 31- 32).

Quale tra queste coppie è simbolicamente accettabile?

Il vento aggressore è un problema non risolvibile a sé stante. La sua immagine è del tutto priva d'attributi evidenti, anche di quelli classici (fiori o ghiaccioli) che, in arte, hanno sempre caratterizzato, rispettivamente, Zefiro e Borea. Non così è per la ninfa rapita. Accanto al piede destro di questa spunta una miosotide, vale a dire un nontiscordardimé, il fiore della memoria. Il particolare conferma una tesi già diffusa ed elaborata con differenti considerazioni: il dipinto va letto, in senso temporale, dalla destra (rammentiamo, la destra dell'osservatore). La scena raffigurata con la ninfa rapita non è, quindi, contemporanea delle altre rappresentate. Ancora: dalla bocca della supposta Clori spunta un ramoscello fiorito, spezzato in più punti. Sono cascanti a terra, tra gli altri fiori di colore vermiglio, rose e gigli. Tra le labbra resta una fragola, il simbolo della sensualità. Con la fragola, ai tempi di Sandro Botticelli, s'intendeva anche un gran turbamento dell'animo. Così la significò Gerolamo Cardano (1501-1576), filosofo mago del Rinascimento e professore di medicina a Pavia, in un libro sul sonno e sul sognare. Gigli e rose sono i fiori della purezza, dell'amore, della sapienza. Appare evidente, allora, che la gola dalla quale diparte la fioritura perduta non può appartenere a Clori, figura mitologica luminosa che dal rapimento acquistò e non perse doni. La stessa gola nemmeno può essere associata a Proserpina che, successivamente al ratto, divenne saggia regina del regno dei morti. Tra le ipotesi prima ventilate soltanto Eva, in conseguenza del peccato originale, si snaturò in negativo. Al pari di Adamo si ritrovò nuda, privata della purezza originaria.

Ora, nella tavola, l'essere alato rapitore innegabilmente soffia come un vento. Quale vento è in grado di provocare una metamorfosi qual è nella rapita? La risposta è semplice: l'arcano è nella parola. Vento, soffio, anemos, spiritus. E' il vento delle passioni umane, della gola, della lussuria. Uno spirito, un soffio, un aspro vento è Lucifero, l'Angelo nero.

La tesi proposta, in definitiva, suggerisce che, nella parte destra della Primavera, sia stata rappresentata "la caduta", lo strappo col Paradiso Perduto più volte rimembrato nell'Eden di Dante. Una lettura, questa, che recupera la percezione di Emil Jacobsen di una mortifera presenza nella zona più buia e meno fiorita del quadro. Eva e Lucifero, dunque, interpretati sulla destra del giardino, nell'angolo riservato dalla tradizione pittorica medioevale alle forze del male (si noti che la destra dal punto di vista dell'osservatore è la sinistra da quello dell'osservato).

Il filo si è completamente dipanato. Esiste un giardino della letteratura nel quale coesistono, tra altri, nove personaggi suscettibili di essere messi in corrispondenza con quelli della Primavera di Botticelli: Dante Alighieri - le tre stelle/Grazie/Virtù - Amore - Beatrice - Matelda Primavera - Eva - Lucifero. Qual è la probabilità che nove analogie, incontestabilmente esistenti, possano essersi prodotte casualmente?

Le condizioni al contorno

Giorgio Vasari, in relazione alla vita di Sandro Botticelli, sbagliò più di una volta. Già Franco Baldini, in un articolo pubblicato nel numero 3 di Episteme, ha evidenziato alcune affermazioni dello storico aretino che si sono dimostrate false. Per quanto concerne la Primavera il Vasari fu, perlomeno, leggero nell'uso degli avverbi temporali. Nello scrivere che "...hoggi ancora a Castello, villa del Duca Cosimo sono due quadri figurati..." egli diede ad intendere che la Primavera e la Nascita di Venere ancora erano a Castello e che, quindi, ivi fossero state precedentemente, accomunate in luogo e in rappresentazioni. In realtà non fu così. La Primavera in precedenza aveva, solitaria, abbellito una parete del palazzo mediceo di Via Larga in Firenze, la parete di una camera laterale a quella dove abitava Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici5. La sistemazione originaria non è ininfluente perché consente di inquadrare nella giusta visione la citata epistola delle tre Grazie e dei tre pianeti di Marsilio Ficino, scritta per lo stesso Lorenzo di Pierfrancesco. Nella lettera, inoltre, il gran filosofo mediceo, deus ex machina d'ogni progetto culturale alla corte del Magnifico, spiegò che "la venerazione delle tre Grazie non segue i passi di Venere bensì quelli di Minerva". Della Sapienza, dunque, in una metafora sincretica che, ancora una volta, è riconducibile a Dante e riferibile alla Beatrice/Scienza Divina dell'Eden: "...Tutto che 'l vel che le scendea di testa, / cerchiato de le fronde di Minerva..." (Pg XXX, 67-68).

Dante - le tre stelle/Grazie/Virtù - Amore - Beatrice - Matelda Primavera - Eva - Lucifero: una soluzione per le nove (figure) incognite che non solo completa il mosaico, illustrando un testo ben definito di riferimento, ma che anche verifica le "condizioni al contorno".

Il biennio di datazione della Primavera, considerato oggi certo per motivi stilistici, è il 1481/1482.

Il 1481 è l'anno della presentazione del Commento alla Divina Commedia di Cristoforo Landino.

Il 1481 è l'anno della citata epistola di Marsilio Ficino a Lorenzo di Pierfrancesco dei Medici.

Il 1481 è un anno accettabile, a voler dar credito al Bigi e sostanzialmente al Rochon, per l'inizio del "Comento", la raccolta stilnovista della produzione lirica di Lorenzo il Magnifico.

Il 1481, in definitiva, è l'anno del pieno "recupero" di Dante da parte del signore dell'ingrata patria Firenze, recupero voluto dal Magnifico coadiuvato dai neoplatonici. I quali erano interessati a sposare l'operazione culturale a ragione degli evidenti collegamenti esistenti tra la Teoria dell'Amore del Ficino e la "filosofia" stilnovista, della quale Lorenzo de' Medici desiderava il rilancio. Nella lettura proposta la Primavera può rappresentare la "fotografia" di quel matrimonio filosofico. La tavola, infatti, pur essendosi liberata del velo pagano, rimane platonica nella rivelata ierofania. Basta riflettere, per averne convinzione, che essa si può aprire come un Sileno e, dalla pelle esteriore, farne scaturire la molteplicità contenuta nell'uno. Una matrioska potremmo definirla, con analogia più moderna, in onore delle sue donne gravide. Basta notare, per averne maggior convincimento, che sul piede fiorito di crescioni dello pseudo-Mercurio spunta un'ala e, tra piede ed ala, fa bella mostra di sé un seme di fiore stella. Al pari che nel Fedro, come nel Socrate/Platone, il Divino Poeta in contemplazione sta generando per germinazione d'ala la sua immortale Grande Opera!

La lettura proposta, inoltre, è in grado di risolvere le tre grandi contraddizioni figurative dell'attuale interpretazione: quella di una Venere "...casta e matronale come una Madonna al centro di un polittico6", quella di una Clori che genera dalla bocca un filo, non continuo bensì spezzato, dal quale cascano i fiori dei sapienti (rose, gigli ed altri fior vermigli)7, quella di un vento Zefiro primaverile non "già di bei fioretti adorno" il quale stanca, quasi abbatte, li arbustelli8.

Nella donna dei Fedeli d'Amore, infatti, quindi in Beatrice simulacrum Dei, c'è la Musa e l'amata, la Vergine e il Pi Greco9.

Conseguenza della caduta fu la perdita della sapienza originaria.

Mai Botticelli, illustratore perfezionista, avrebbe potuto dipingere un vento Zefiro, irruente e spoglio di fiori che addirittura "stanca" la pianta del lauro simbolo della poesia, antitetico a quello descritto da Agnolo Poliziano, suo punto di riferimento culturale, nelle "Stanze per la Giostra".

La lettura proposta, soprattutto, mostra un pregio: essa è in grado di assorbire in sé la maggior parte delle interpretazioni allegoriche in auge della Primavera. Una rappresentazione della trasmutazione, nella novella stagione, dello spirito umano? La figurazione di una bellezza uranica in grado di condurre all'amore divino? La raffigurazione di misteri iniziatici? La scena di uno sposalizio sapienziale? Tutto questo è stato intravisto, dagli studiosi, nella Primavera. Tutto questo, a ben riflettere, è nell'Eden di Dante. Quale palingenesi di Primavera, infatti, ha cagionato nella natura umana un rinnovamento migliore di quello di Matelda? Quale bellezza celestiale è stata creata in un ordine superiore a quello di Beatrice, che in sé somma donna amata e musa, vergine e pi greco? Quale alato messaggero ha conseguito, in poesia, perfetta iniziazione ai misteri e somma visione paragonabili a quelle dell'ermetico Dante? Quale matrimonio più prolifico fu celebrato tra un fedele d'amore e la sapienza filologica e dialettica?

Questa la nostra lettura: ut pictura poesis.
 


Bibliografia Essenziale


 


a) La Bibbia, ed. vulgata

b) La Divina Commedia

c) Dai Dialoghi di Platone: lo Jone, il Convivio, il Fedro
 
 

Bibliografia Citata


 



1 Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, ecc., Firenze, 1568

2 Alexandra Gromling e Tilman Lingeslebe, Botticelli, Konemann Verlagsgesellschaft mbH, Germany 1998

3 Marsilio Ficino, Opera omnia, Bottega di Erasmo, Torino 1962

4 Marsilio Ficino, Sulla Vita, a cura di Alessandra Tarabochia Canavero, Ed. Rusconi libri s.r.l., Varese 1995

5 Caterina Caneva, La Primavera di Sandro Botticelli, Tea Arte, Varese 1988

6 Caterina Caneva, ibidem

7 Mirella Levi D'Ancona, Botticelli's Primavera, a botanical interpretation including..., Leo S. Olschki Editore, Firenze 1983

8 Angelo Poliziano, Stanze - Fabula di Orfeo, a cura di Stefano Carrai, Mursia Editore, Azzate (VA) 1988

9 Francesco Petrarca, Canzoniere, a cura di Raffaele Manica, Ed. Newton, Roma, 1977
 


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Crediti

Il percorso che ha condotto alla proposta interpretazione della Primavera è stato, in realtà, differente da questo, di natura prevalentemente doxastica, testé effettuato. L'analisi in origine eseguita, essenzialmente di natura simbolica, si è fondata sul significato "storicamente consolidato" dei fiori e dei segni presenti nella tavola. Per quanto concerne il riconoscimento dei fiori, il credito va all'opera edita da Leo Olschki e citata in bibliografia. Per quanto concerne i significati, sia dei fiori sia dei segni, mi sono giovato della collaborazione della Redazione virtuale di www.philia.it. Ai corrispondenti di Philia va parte del merito per la formazione della tesi interpretativa. Essi, ciascuno per le aree di propria competenza, hanno favorito l'elaborazione telematica della lettura. Ringrazio, per tutti e con amicizia, Michele Annunziata, Giancarlo Gianazza, Gennaro Manzo, Roberta Monti e Umberto Sartory per la dovizia d'informazioni e suggerimenti donati. Ringrazio ancora, con stima, i dantisti Gianfranco Bondioni e Roberto Gagliardi per i contributi forniti in merito alle questioni concernenti le tre stelle/virtù e Beatrice. Ringrazio infine, con dolce ricordo, Olimpia Palma che, ancor prima che venisse la Primavera, mi trasferì l'amore per i fiori.
 


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Lino (Pasquale) Lista è napoletano, ingegnere elettronico ed esperto d'informatica e di sistemi informativi. Amante della poesia e poeta egli stesso, ha pubblicato, tra l'altro, con i tipi dell'Editrice Scuderi d'Avellino, Il Mosaico dell'Amore, un'analisi simbolica di un Tempio consacrato alla Vergine.

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