[A seguito della pubblicazione nel numero precedente di un articolo sul "caso Majorana", ove si esprimono parecchie perplessità sulla versione ufficiale "buonista" della storia, Episteme è lieta di presentare ai suoi lettori la seguente sagace espansione di quella che nel citato scritto è stata opportunamente battezzata ipotesi Klingsor. Non c'è dubbio che si tratti, almeno in parte, di "speculazioni" puramente logiche, ma non per questo meno utili a chi voglia formarsi un'idea realistica di come si siano svolti davvero gli eventi, esaminando ogni ipotesi possibile, prima di rifiutarne eventualmente alcune. L'agognata mèta può essere conseguita infatti solamente dopo un'adeguata attenta comparazione di tutte le interpretazioni concepibili-concepite, senza mai dimenticare che ci sono (quasi) sempre (almeno) due storie - quella dei vincitori (divulgata, quando viene ritenuto necessario, con modalità che rasentano il "lavaggio del cervello"), e quella dei vinti (sovente perseguitata, disprezzata, screditata, ma non più faziosa dell'altra): dal raffronto puntuale e ragionato tra di esse l'<<uomo libero>> può riuscire a intravedere, qualche volta, la verità...

Prima di passare la parola alle perspicaci riflessioni del Dott. Papi, cogliamo l'occasione per dare risposta a un lettore che chiede: "come mai, nell'ipotesi che non si sia trattato di un suicidio, quella messa in scena del viaggio di ritorno, da Palermo a Napoli?". Dal punto di vista di un "giallista" il particolare è scontato, poiché se qualcosa di brutto era avvenuto allo scienziato siciliano proprio a Palermo, città nella quale - bisogna tenerlo presente - viveva in quel periodo un altro dei protagonisti dell'oscura vicenda, non era insensato allora cercare di allontanare eventuali interrogativi, sospetti, connessioni, dal luogo. In tale contesto assumono speciale significato l'ambigua testimonianza del Prof. Strazzeri, che ebbe a esprimere riserve sulla vera identità del preteso Majorana che avrebbe viaggiato con lui, e la presenza a bordo del misterioso "straniero", Carlo Price (forse un "agente", messo lì a controllare la situazione?!).]
 
 


Il caso Majorana - L'<<ipotesi Klingsor>>

(Arcangelo Papi)


 



 
 
 
 
 

Era una sera d'ottobre, una sera di guerra … La Germania s'avviava alla disfatta, ma l'ingegner K. avrebbe forse potuto salvarla … Era uno dei vari studiosi impegnati alla ricerca della chiave per la costruzione di un'arma tremenda, d'un'arma la cui formidabile energia era la stessa che faceva ardere il Sole … K. rimase a lungo, pensieroso, davanti alla finestra. Poi, deciso, s'avvicinò alla scrivania, prese il foglio con la terribile formula e lo bruciò. Fu così che la Germania non ebbe la prima atomica...

(P. Kolosimo, Polvere d'inferno, Mondadori, 1981, pagg. 129-131)
 
 

1. Il vasto corpo della storia non è certamente di colore uniforme. E' percorso invece da una infinità di striature. Ugualmente la 'realtà' degli accadimenti può superare, molto spesso, i limiti della 'fantasia', talvolta virando decisamente verso una 'realtà romanzesca', che come formula evocabile non sembra affatto lontana dal quel 'realismo fantastico' di Pauwels e Bergier, i fortunati autori de Il mattino dei maghi, un'opera in cui si accenna, tra l'altro, al 'nazismo magico' e alla 'storia segreta della bomba atomica'. Tra le pieghe di questo corpo immenso si nasconderebbero infatti molteplici 'enigmi' ancora irrisolti, non foss'altro per una mera questione di legittimo sospetto. Ad esempio, per un accenno a lavori <<di fantasia>> sul 'caso Majorana' (nella specie Visioni di una tragedia di A. Frezza), - <<ma proprio per tale motivo>> più vicini <<alla probabile verità>>, si veda U. Bartocci, La scomparsa di Ettore Majorana: un affare di Stato?, Ed. Andromeda, Bologna, 1998, pag.10.

Viceversa, la 'verità' è quasi sempre molto più 'semplice e limpida' di tutte le ipotesi 'cerebrine' costruibili a tavolino. Figuriamoci i romanzi.

Ma senza dover a tutti i costi tirare in ballo il 'Grande fratello' di G. Orwell, basterà soltanto richiamarsi a Fabio Cusin e alla sua 'antistoria'. Talvolta la 'storia' sembra davvero un 'libro sigillato' oppure una 'trama falsificata' ad arte, compresi alcuni aspetti della storia moderna e contemporanea, tra i quali 'l'oscura vicenda' della costruzione della bomba atomica, sia da parte degli americani che dei tedeschi. A quest'ultimo riguardo rimandiamo il lettore interessato al seguente florilegio bibliografico ovviamente incompleto: R. Rhodes, L'invenzione della bomba atomica, Rizzoli, Milano, 1990; J. Bernstein, Hitler's Uranium Club: The secret Recordings at Farm Hall, Woodbury, N.Y., American Institute of Physics, 1996; David C. Cassidy, Un'estrema solitudine. La vita e le opere di Werner Heisenberg, Torino, Bollati Boringhieri, 1996; T. Powers, La storia segreta dell'atomica tedesca, Milano, Mondadori, 1994; R. Pierls, Atomic Histories, New York, Springer-Verlag, 1997, pp.108-116; L.L. Rose, Heisenberg and the Nazi Atomic Bomb Project: A study in German Culture, Berkeley, University of California Press, 1998; A.D. Beyerchen, Gli scienziati sotto Hitler. Politica e comunità dei fisici nel Terzo Reich, Bologna, Zanichelli, 1981; M. Walker, Nazi Science. Myth, Truth, and the German Atomic Bomb, Plenum Press, 1995; W. Sweet, Hitler's Uranium Club: the Secret Recordings of Farm Hall, Aip Press, 1966; nonché i classici B. Pash, The Alsos Mission, New York, Award Books, 1969, S. Goudsmit, Alsos: The Failure in German Science, London, Sigma Books, 1947, e L. Groves, Now it can be told (un estratto del quale fu pubblicato in Der Spiegel, anno XVI, n.34); D. Irving, The Virus House, Collins, 1967.

2. Le tappe mai potute portare a compimento del progetto atomico tedesco, che risultano dalla versione 'ufficiale' (fatta propria anche dal romanzo In cerca di Klingsor, segnalatomi dal Prof. Bartocci e al cui 'titolo' intende ispirarsi la presente nota,), arenatesi nel 1945 agli sgoccioli della guerra ormai irrimediabilmente perduta col mancato funzionamento dell'ultimo modello di 'reattore' (B-8) di Heisenberg (mentre Enrico Fermi, il 'Navigatore italiano', era precocemente riuscito nell'impresa, già alla fine del 1942), indubbiamente andrebbero meglio approfondite dal momento che regna in questo caso, proprio per le ragioni che vedremo, il legittimo 'sospetto' che le cose possano essere andate diversamente da quanto invece risulta dalla versione 'buonista', in base alle stesse affermazioni di alcuni protagonisti (ad es. la versione direttamente fornita da W. Heisenberg, o quella dell'architetto A. Speer, il ministro 'nazista' degli armamenti: cfr. Memorie del Terzo Reich, Mondadori, 1995, pag. 271-276).

La questione del progetto atomico tedesco è stata di recente ripresa da alcuni articoli giornalistici, tra i quali un'intervista di Stefania Maurizi apparsa su La Stampa (ancora cortesemente segnalatami dal Prof. Bartocci) all'ultimo fisico tedesco vivente di quel periodo, Carl Friedric von Weizsaecker (allievo ed amico di Heisenberg, che come Fermi era nato nel 1901, e che nel 1933, a soli 32 anni, aveva ricevuto il Premio Nobel), il figlio di Ernst von Weizsaecker, che dal 1938 al 1943 fu il secondo di von Ribbentrop al Ministero degli esteri; oppure, l'articolo di F. Prattico ("Heisenberg, una bomba per Hitler"), comparso di recente su La Repubblica.

Questi pezzi giornalistici hanno risvegliato l'attenzione sull'atomica tedesca, confermando la versione canonica. Ma non ce ne sarebbe stato bisogno se la questione fosse chiarita una volta per tutte. Evidentemente permane qualche lato d'ombra. Ed è proprio in questa 'materia oscura' che vorremmo scavare. Racconta nelle sue memorie il ministro degli Armamenti Albert Speer (pag. 274), che nel 1939 (sic) Hitler, guardando un film che si concludeva con il montaggio di un aereo tedesco lanciato in picchiata contro la sagoma delle isole britanniche, cui seguiva un'immensa esplosione, abbia esclamato, rapito: <<Ecco come sarà. E' così che li annienteremo!>>. Il regime nazista era un immenso insieme di compartimenti stagni. Noi sosteniamo che la versione ufficiale della bomba atomica tedesca non è quella esatta. Potrebbe esserci stato un progetto segreto, sul quale Speer tace per ragioni di stretta necessità, nascondendo opportunamente la 'verità'.

3. Nell'articolo di F. Prattico leggiamo, testualmente, che Heisenberg era stato catturato (sic) <<il 23 aprile 1945>> da <<una pattuglia alleata penetrata dietro le linee tedesche>>. Tutto vero. Si trattava, come vedremo, di un nucleo dell'Alsos, la missione segreta americana, sorprendentemente incuneatosi dentro le linee nemiche. Peccato che sia sbagliata la 'data', a meno che quest'ultima non sia, ancor più sorprendentemente, proprio quella esatta. Heisenberg sarebbe stato 'arrestato' dagli Americani soltanto la mattina del 2 maggio 1945. La data dell'arresto del grande fisico tedesco accusato di filonazismo, è assai importante. In questa nota avremo significativamente modo di evidenziare altre, secondo noi importanti, questioni di datazione.

La riportata serie di titoli bibliografici sull'impresa atomica tedesca, potrebbe, del resto, costituire la migliore occasione per ravvivare al Prof. Umberto Bartocci un vecchio invito di affezionato lettore a voler scrivere la 'vera storia della bomba atomica', sperando appunto che possa un giorno essere raccolto. Ci sembra, infatti, che molti 'lati oscuri' attendano ancora un chiarimento, avvolti come sarebbero nell'ombra incerta dei legittimi sospetti, ben inteso alla luce della 'ragion critica'.

Peraltro, a metà degli anni ottanta, la questione della bomba atomica tedesca riaffiorò, del tutto incidentalmente, da alcune indiscrezioni, tuttavia probabilmente false, riportate nel contesto del libro di R. Harris, I diari di Hitler, Mondadori, 2001, pag.163, secondo cui, proprio nel 1945, agli sgoccioli della disperata resistenza germanica sui due fronti opposti del Reno e dell'Oder, sarebbero state costruite addirittura <<tre bombe atomiche>>. Ancora oggi sussistono dei 'dubbi' su certi particolari risvolti del nazismo. I dubbi riguardano, tra l'altro, l'atomica tedesca, e certamente non il 'raggio della morte', sul quale si favoleggiò durante gli ultimi tempi di guerra anche in Italia, e che giustamente Speer liquida in modo del tutto ironico nelle sue 'memorie'. Eppure la teoria della 'luce coerente' (posta al fondamento dei moderni 'laser' e 'maser') risaliva ad Einstein già da alcuni lustri. Quindi niente di 'impossibile', se mai soltanto 'improbabile', per una Germania che addirittura fabbricava benzina sintetica.

Certamente non crediamo a quest'ultima esagerata versione dell'atomica tedesca, che pure sarebbe trapelata da indiscrezioni che addirittura potrebbero essere state messe in circolazione dai servizi segreti della Germania dell'est per insondabili motivi politici. Ci sembra, invece, che il progetto nucleare tedesco, comunque siano andate le cose, non sia stato completato non soltanto per via delle grandi difficoltà tecniche che in ogni caso lo caratterizzavano, in quanto il mancato allestimento di un 'reattore' non avrebbe potuto consentire neppure la produzione di plutonio (elemento chimico artificiale n.94), in luogo dell'uranio fissile (isotopo 235), che in ogni caso fu ardua impresa ricavare, anche per gli Americani, in grandi quantità e con metodi alternativi, dall'uranio naturale 238, di cui tuttavia abbondavano le miniere cecoslovacche, conquistate dai nazisti già nel 1938. Invece, la mancata realizzazione della bomba atomica tedesca fu soprattutto causata dai massicci bombardamenti alleati sulle centrali norvegesi di produzione di acqua pesante (deuterio), sulla quale avevano puntato i tedeschi. Altre ragioni potrebbero, però, essersi inserite in questo fallimento. Secondo il giornalista scientifico F. Prattico, già <<nel 1939 le gerarchie tedesche stavano elaborando progetti per l'uso militare della fissione>>. Ma potrebbe essersi trattato, piuttosto, del metodo inverso, cioè di un progetto di 'fusione', anziché di 'fissione'. Vedremo meglio perché.

Nel 1943, Heisenberg aveva incontrato nell'Olanda invasa dalle truppe naziste il fisico Casimir, e in questo contesto aveva chiarito al collega olandese un concetto 'politico' di particolare importanza: <<La democrazia non ha sufficienti energie per guidare l'Europa. Vi sono perciò due sole possibilità: la Germania e la Russia. E allora un'Europa sotto la guida tedesca mi sembra il male minore>>. Nulla esclude che Ettore Majorana, apprezzatissimo dal 'nazionalista' Heisenberg durante il soggiorno di studio a Lipsia nel 1933 (che poteva essere diventato, per lui, il nuovo Fermi: del resto M., più giovane di cinque anni, era subito divenuto uno straordinario collaboratore di Heisenberg, correggendone addirittura le teorie), avesse potuto condividere, con il fisico germanico, la medesima, drammatica visione politica (cfr. ad es. P. Mieli, "A Majorana piacque Hitler", in La Stampa, 4 marzo 1988), ma certamente non l'ideologia nazista, che del resto non garbava neppure ad Heisenberg.

Ad una 'trama gialla', riconnessa a questo genere di 'storie segrete', alle quali ricorreva, parallelamente all'ufficialità, lo stesso storico bizantino Procopio, sembra ispirarsi - naturalmente sotto forma di singolarissimo romanzo ad intreccio, costruito su diversi piani temporali - il recente libro dello scrittore messicano Jorge Volpi, In cerca di Klingsor, Mondadori, 2000, la cui pubblicazione ci fornisce il 'pretesto' per i singolari e forse anche azzardatissimi contenuti di queste pagine, che tuttavia intendono in qualche modo scavare nella profonda ed invisibile miniera di silenzio, che sembra, in questi lunghi anni, aver sepolto con sé ogni possibilità di 'verità' diversa, considerato che quella 'ufficiale' molto spesso non accontenta.

4. 'Klingsor' (in tedesco il 'suonatore' - n.d.r.; o, meglio, un 'personaggio del Parsifal': cfr. pag. 180, dove viene evocata, come 'regione magica', proprio la 'Sicilia'!), potrebbe nascondere, al limite, una singolare versione della famosa 'scomparsa' di Ettore Majorana, il grandissimo fisico italiano dell'epoca di Enrico Fermi, che si sarebbe invece suicidato, gettandosi in mare da una nave quando, avendo vinto 'per meriti straordinari' la cattedra di Fisica all'Università di Napoli in una singolarissima procedura di concorso (alla quale forse aveva partecipato per dispetto a Fermi), si trovava in questa città per gli obblighi dell'insegnamento.

In questa intricatissima ed avvincente 'realtà romanzesca' costruita da J. Volpi, certamente non disgiunta da molteplici elementi di verità e che ripercorre alcuni aspetti della missione segreta americana 'Alsos', prima e dopo la capitolazione della Germania e durante e dopo il processo di Norimberga, attraverso tutta una fitta serie di narrazioni, di episodi vari ed anche di immaginarie interviste da parte del 'tenente americano Bacon' (un nome di fantasia che sembra però alludere al 'metodo' scientifico di F. Bacone fondato su di un 'elenco' vagliato di possibilità) ad Heisenberg, a Stark, a Planck, a Schroedinger, a von Neumann e a Bohr, tese a snidare l'identità segreta di Klingsor, compare infatti un fantomatico scienziato, centrale nel romanzo e sempre invisibilmente presente, - un 'misterioso personaggio', un 'matematico di Lipsia', che avrebbe controllato 'tutta la ricerca scientifica del Terzo Reich', e che non avrebbe peraltro lasciato 'alcuna traccia' di sé (tanto che, si afferma appunto nel libro, <<...Lei non troverà nessun documento firmato..., né un rapporto sulle sue attività, né un memorandum indirizzato al suo ufficio…>>).

A questa misteriosa 'figura' si dovrebbe perciò arrivare, esclusivamente, in base ai 'soli fatti' (ogni riferimento a 'Klingsor' è stato, infatti, espunto dagli 'atti' del Processo di Norimberga, ma, quanto ai 'fatti', <<Se li osserva bene, tenente, sarà in grado di interpretarli, e da quella base potrà arrivare a lui>>).

Goering, il numero 'due' del regime, morì avvelenato. Meglio, si sarebbe 'suicidato', in circostanze misteriose, alla vigilia dell'esecuzione capitale. Goebbels e Hitler erano morti suicidi nel 'bunker' di Berlino. Himmler si suicidò col cianuro. Bormann fu condannato a morte in contumacia. Infine, il ministro degli armamenti Albert Speer, eccezionalmente, se la cavò con una condanna a vent'anni di carcere, per quanto, ad avviso dello storico inglese Trevor-Roper, sia stato <<uno dei nazisti più colpevoli>>. Negli ultimi tempi Speer aveva addirittura concepito un progetto di fuga in Groenlandia con un idrovolante. Poi, secondo le originarie intenzioni, verso la fine del 1945 si sarebbe spontaneamente consegnato agli alleati. Ma le cose non andarono affatto così.

Le memorie del ministro Speer (per molti versi diffuse e dettagliate, ricche di interessantissimi particolari con riguardo a molti aspetti riservati e reconditi risvolti del nazismo, scritte negli anni sessanta nel carcere di Spandau, lo stesso che ospitò Rudolf Hess dopo la fine guerra), non lasciano trapelare nulla di particolarmente nuovo ed interessante sul progetto atomico tedesco, che viene appunto ricondotto alla 'vulgata' ben nota, quella stessa che traspare, del resto, dalle memorie di Heisenberg e dalle testimonianze di altri importanti fisici tedeschi dell'epoca.

Il romanzo di Volpi prende avvio dal famoso processo di Norimberga. 'Klingsor' è un'identità segreta, artatamente espunta dai verbali, se non piuttosto l'ombra mitica di un personaggio del 'Parsifal'. Pag. 338: <<Non credo di esagerare se dico che, in effetti, uno dei tanti nomi dell'elettrone avrebbe potuto essere Klingsor>>. E a pag. 352: <<Dev'essere comunque qualcuno che, anche se è un fisico, padroneggiava la teoria quantistica, la relatività, i rudimenti della bomba …>>. L'entità misteriosa è indubbiamente un grande scienziato, una figura di primissimo piano. Il mistero resterà tale, e il 'tenente americano Bacon' della missione segreta 'Alsos' non giungerà mai ad alcuna identificazione. E' questo l'aspetto inquietante della 'fiction' narrativa. Chi è Klingsor?

Questo Klingsor (appunto il nome di un personaggio del 'Parsifal') è invece 'una onnipotente figura scientifica molto vicina a Hitler', posta al di sopra di tutti gli altri scienziati tedeschi del Club dell'Uranio' (pag. 151), o meglio il 'suo consigliere scientifico personale'.

Il 'caso Majorana', che del resto si proiettò in modo anticipato nel tempo, sul grande sfondo, mitico e drammatico al momento stesso, dell'avventura atomica, cos'ha a che fare con la sorprendente 'traccia' di questo recentissimo romanzo? E' questa l'ipotesi che vorremmo argomentare, perfettamente consapevoli degli incolmabili limiti che vi si accompagnano e dell'azzardo stesso della questione, fondata com'è su troppi elementi ad incastro, che la fanno somigliare ad una inesausta catena di 'presunzioni' con tutti i difetti che si accompagnano a questo improprio genere di deduzioni.

5. 'Klingsor' viene da 'klingen', 'suonare', 'risuonare', 'tintinnare'. In Linneo, l'erba 'maggiorana' è definita 'origanum majorana'. Con un po' di fantasia (tutto questo lo aggiungiamo noi), il passo è breve: 'origano' può stare per 'organo' (si pensi alle 'katjusce', gli 'organi di Stalin' che tanto preoccupavano i tedeschi). E da qui, attraverso l'evocazione del Concerto d'organo in Re Maggiore di J.S. Bach (Rex Major), ecco che si può arrivare addirittura… a EttoRE MAJORrana.. Una traccia, questa, molto ricamata, che ovviamente può, se mai se ne possa dare il caso, appartenere remotamente al solo Volpi, che tuttavia non sembra scrivere a caso, anche se si tratta sempre e soltanto di una 'fiction'.

Volpi si guarda bene da ogni riferimento diretto al grande fisico italiano, 'scomparso' nel 1938 in circostanze misteriose: e tuttavia, seppure in una sola riga, si sospinge, come detto, ad evocare la <<Sicilia>>, il che non ci sembra affatto casuale. Così come non ci sembra per nulla 'inventata' l'evocazione di quella scena dell'ingegnere atomico, che compare nel libro di Peter Kolosimo a proposito di alchimia, e qui si tratta di uno di quegli autori che sembrano talvolta poter attingere a fonti non ortodosse, del tutto riservate, ma non per questo assolutamente improbabili o distorte.

Ad una 'ipotesi Klingsor' accenna invece, in una ampia e documentata nota il Prof. Umberto Bartocci, nel suo ultimo scritto su Ettore Majorana (cfr. Episteme n. 5: "Leonardo Sciascia e il caso Majorana: siciliani scompaiono nel nulla, ma un'ipotesi tarda ad apparire…"). Se non fosse che, come avverte chiaramente l'Autore, quest'ultima 'ipotesi' si scontra con due grossi limiti, due obiezioni cioè insormontabili, che non sembrano trovare alcuna risposta: perché mai nei confronti di Majorana (pur avvistato in Argentina, dopo la guerra, secondo quanto sostiene Recami nel suo libro, e, da ultimo, G. Longoni in Libero del 26 gennaio 2001 - "Ettore Majorana ritrovato a Buenos Aires"), sarebbe stato praticato questo assoluto silenzio di favore; e come mai non è affiorato nulla, dopo tanti anni?

M. era nato nel 1906, ed oggi anno 2002, è del tutto improbabile che possa essere ancora in vita. Ma questo fatto certamente non autorizza, in ogni caso, ad alcuna indebita illazione. Né è questo il nostro scopo. Non si vuole certo offendere in alcun modo la limpida memoria di un genio, di un uomo di grandissimo valore morale quale fu appunto Ettore Majorana finché visse. L'ipotesi è soltanto 'accademica' e del tutto fine a se stessa. Piuttosto si vorrebbe indicare al lettore una possibile traccia, ben inteso completamente 'taciuta' dall'ufficialità.

Che l'intuito del Prof. Bartocci abbia funzionato molto bene anche in quest'ultimo coraggioso intervento sul 'caso Majorana' (che del resto fa seguito al perspicuo saggio già citato, nel quale si argomenta, in modo assai razionale e come quella più attendibile, l'ipotesi dell'<<omicidio>> pur non trascurando affatto tutte le altre 'piste' e non senza aver fornito altre interessantissime 'tracce' di vario genere), è altresì provato dalla recentissima pubblicazione sul 'Venerdì' di Repubblica 19 luglio 2002, pag.45, di una lettera di Sciascia indirizzata al giudice Paolo Borsellino in data 21 aprile 1988, nella quale si chiede - 'confidenzialmente' ed 'in via d'amicizia' - qualche 'notizia' o 'conferma' a proposito dell'inchiesta che si stava allora conducendo da parte della procura di Palermo sul cosiddetto 'uomo cane' di Mazara del Vallo, il sedicente Tommaso Lipari (cfr. Bartocci, op. cit., pag. 138), nel quale si poteva, al limite, indiziariamente identificare Ettore Majorana, il grande fisico ribelle di Via Panisperna, scomparso nel 1938, in circostanze assai misteriose e mai ufficialmente chiarite.

Sciascia (autore di un fortunato 'pamphlet' La scomparsa di Majorana uscito in prima edizione da Einaudi nel 1975, e fautore invece dell'ipotesi del 'rifugio' in 'un convento'), sostiene appunto di non essere affatto convinto dell'ipotesi in seguito affacciata dal Prof. Erasmo Recami sulla 'fuga' pirandelliana in 'Argentina' di M. (dove sarebbe stato riconosciuto da qualche credibilissimo testimone negli anni del dopoguerra e qui si sarebbe, in particolare, fregiato del titolo di 'ingegnere', visto che proprio alla facoltà di 'ingegneria' era iscritto, prima di passare a 'fisica' da Fermi: si veda meglio, al riguardo, E. Recami (peraltro, un fisico teorico noto per le sue ricerche sui 'tachioni', già ipotizzati da Majorana), Il caso Majorana, Mondadori, 1987 (oppure la recente ristampa di questo saggio nelle Edizioni Di Renzo, Roma, 2000), rimanendo però egli incerto tra l'ipotesi 'pirandelliana' della fuga volontaria (in analogia al Fu Mattia Pascal), oppure la pista alla 'Conrad', quella cioè dell'uomo di mare. Il Lipari pare nascondesse un suo mistero, e forse 'era un uomo di mare che aveva fatto qualche errore, che sentiva di avere qualche colpa', come riferisce Sciascia nella sua lettera al giudice Borsellino, poi ucciso dalla mafia.

6. Con questo abbiamo citato i principali 'autori' che si sono interessati del 'caso Majorana', appunto Sciascia, Recami e Bartocci (mentre altri contributi provengono dal fisico Edoardo Amaldi, che nel 1966 si occupò della Vita e l'opera di E. Majorana, per tornarci sopra con un breve 'appunto' del 1968; nonché dai registi e sceneggiatori televisivi L. Castellani, Dossier Majorana, Fabbri Ed., Milano, 1974, e B. Russo, E. Majorana. Un giorno di marzo, Flaccovio, 1997, per finire con la recentissima, interessante ed assai ben documentata monografia della storica della scienza L. Bonolis, Majorana, che si lascia molto bene apprezzare: cfr. Quaderno de Le Scienze, edizione. it. di Scientific American, anno V, n. 27, giugno 2002, Collana "I grandi della scienza").

Infine, non sarebbero da trascurare neppure gli elementi forniti dal Prof. Valerio Tonini (col quale il Prof. Bartocci - cfr. op. cit., pag. 98 ss. - ha avuto qualche rapporto diretto di frequentazione e di stima), in Il Taccuino incompiuto - Vita segreta di Ettore Majorana, Armando Ed., Roma, 1984. Una straordinaria 'vicenda' riportata anche dal Prof. Bartocci nel saggio sopra citato, insieme ad altre sorprendenti ed interessantissime notizie, quale ad es. quella (secondo la credibile testimonianza della Sig.ra Fiorenza Tebalducci), che nel 1934 M. si trovasse a Firenze (circostanza però smentita dal fratello), e si servisse appunto dell'amicizia di questa ragazza, frequentando il Circolo degli studenti, come schermo di copertura per i suoi contatti con un 'gruppo di stranieri', si può immaginare tedeschi.

Se l'opera scientifica di Majorana (in tutto nove articoli come le sinfonie di Beethoven, oltre ad un articolo 'postumo', pubblicato nel 1942 da G. Gentile jr.) non finisce di sorprendere (infatti si stanno attualmente conducendo studi sperimentali assai delicati sui c.d. 'neutrini di Majorana' che coincidono con i loro antineutrini: un'ipotesi teorica davvero rivoluzionaria, come del resto la sua teoria del nucleo ancora citata in pubblicazioni scientifiche di grande livello), ancor più sorprendente e sconcertante è la sua 'scomparsa' (avvenuta negli ultimi giorni di marzo del 1938).

Alcuni manoscritti di M. sono conservati presso la 'Domus galileiana' di Pisa. Ci si deve tuttavia domandare dove siano andati a finire gli altri manoscritti di cui si è conoscenza (su questi ed altri elementi si veda in ogni caso ancora il bel saggio del Prof. Bartocci).

Secondo Enrico Fermi (il costruttore della 'pila atomica' americana) Majorana era un genio assoluto, della portata di un Galileo od un Newton. Se avesse deciso di sparire lo avrebbe saputo fare senza lasciare alcuna traccia. Fatto è che i cadaveri, anche quelli degli annegati, non spariscono da soli, come argomentò allora il Capo della polizia. Il Golfo di Napoli (più in generale il mare aperto) prima o poi restituiscono i corpi. Si suicidò davvero (lui che era senza dubbio un discreto nuotatore), gettandosi dalla nave che lo riportava da Palermo a Napoli, la notte di domenica 27 marzo del 1938?

I dubbi di Leonardo Sciascia (che ha il merito di riprendere organicamente il 'caso Majorana', tuttavia non sfuggito alla stampa di allora, sia subito dopo il fatto, che negli anni che seguirono alla fine della seconda guerra mondiale), sono gli stessi di Recami e di Bartocci. Il quadro 'indiziario' non consente affatto conclusioni univoche, anzi solleva forti perplessità di vario genere. Forse Majorana non si suicidò, e neppure fu ucciso ad es. da qualche servizio segreto.

7. Un velo di grande incertezza copre però, indistintamente, tutte le piste possibili: quella della fuga, del ritiro in convento, del suicidio, del rapimento, e persino dell'omicidio. Non è la prima volta che un grande fisico decide di ammazzarsi. Nel 1906 (l'anno della nascita di Majorana) si era suicidato Boltzmann, e il 25 settembre del 1933 (quando Majorana era già rientrato dal suo soggiorno di studio a Lipsia da Heisenberg ed anche a Copenhagen da Bohr), si era ucciso Ehrenfest (che lo stimava moltissimo). Diversi tra loro sono i motivi di questi suicidi. Quali motivi aveva Majorana per sopprimersi?

Per quanto lo si neghi con argomenti alquanto attendibili, non si può tuttavia escludere che M. avesse perfettamente compreso, con ottimo anticipo, il rischio atomico, con tutte le sue implicite conseguenze. Del resto l'Austria era stata da poco annessa alla Germania, correvano venti di guerra, ed ai primi di marzo Hitler era divenuto il capo assoluto delle forze armate. Una seconda guerra europea era alle porte, malgrado le diplomazie all'opera e tutti gli sforzi per la pace. Il 'revanscismo' nazista si era scatenato da tempo, come ad es. ben si desume dalle Memorie del Terzo Reich di A. Speer (Mondadori, 1995). La Germania si riarmava perciò in segreto, con grandi sforzi economici e con l'impiego di mezzi ultramoderni e di strategie alternative, non proibite dai vincoli posti dal Trattato di Versailles. Hitler aveva coltivato i progetti bellici già con la presa del potere nel 1933, e molto audacemente aveva iniziato a giocare d'azzardo sullo scacchiere politico europeo. A questi progetti militari, coperti da assoluta segretezza, non avevano accesso neppure gli intimi della cerchia del Fuehrer. La Germania nazista era un immensa serie di compartimenti stagni, con al vertice un manovratore unico e proteiforme, Hitler in persona, che si muoveva accanto a quadri militari di strettissima fiducia, assolutamente defilati, ma potentissimi e pervasivi. Nel 1938 i progetti militari del regime erano giunti ad un livello di massimo sviluppo progettuale, puntando su armi alternative in ogni settore dell'arte militare (ad es. i sommergibili oceanici in luogo delle grandi navi da guerra, la missilistica al posto dei cannoni a lunga gittata, le truppe mobili meccanizzate invece dei grandi baluardi difensivi fissi o dell'impiego tradizionale della fanteria ecc.). Questa cementazione della società tedesca, organizzata da Hitler intorno ad un modello idolatrico, ingannò fino all'ultimo un popolo di ottanta milioni di persone, condizionando anche i militari. Ed è proprio questa la vera 'storia di una sconfitta', emulando in tal caso il titolo del più importante saggio del grande storico inglese B.H. Liddell Hart, ristampato da Rizzoli nel 2002.

8. Ettore (ed è questo il nome dell'eroe omerico sconfitto ma non ucciso, il fondatore d'una civiltà rivale), soffriva di forti disturbi gastrici, di natura imprecisata, già dal 1933. Un giorno di gennaio del 1938, tre mesi prima della 'scomparsa', lo aveva visto Occhialini di ritorno dal Brasile, che aveva profittato di una sosta della nave nel porto di Napoli per correre all'Istituto di fisica da Carrelli, dove appunto incontrò Majorana. Ettore sembra annunciargli il suo già maturato proposito: <<Sei appena arrivato in tempo...Perché ci sono quelli che ne parlano, e ci sono quelli che lo fanno…>>. Un annuncio di morte, oppure un 'bluff' anticipato? Ma un 'annuncio', fatto sempre ad un 'fisico italiano'. Di lì a poco, la fuga di Fermi e di tanti altri fisici italiani e non, verso l'America (diremmo, ancora una volta, 'una rotta templare'…). Tra i pochissimi che restano in Italia della scuola di Via Panisperna, sono Amaldi (che proprio non riuscì ad andarsene) e Giancarlo Wick (che nel 1942 è in Germania, a Lipsia, in visita da Heisenberg). Forse Majorana aveva intuito tutto in anticipo. Sapeva forse che la guerra era inevitabile ed altrettanto necessaria la presa di posizione dei fisici. Col largo sguardo del genio aveva scorto un vasto panorama, che immancabilmente si sarebbe realizzato. La fisica non era immune dal peccato. Non poteva restare neutrale, come infatti accadde.

Fatto è che Majorana decide a un certo punto di sparire, 'realizzando' oppure soltanto 'simulando' un 'suicidio perfetto' (dietro al quale si potrebbero però nascondere tante altre ipotesi, compresa quella dell'omicidio o del rapimento).

Prima di sparire non dimentica il passaporto e ritira anche il conto in banca (circa l'equivalente di diecimila dollari, trascurando tuttavia lo stipendio già maturato del mese di marzo, pagabile in anticipo soltanto sabato mattina 26, poiché allora le banche restavano aperte), per imbarcarsi da Napoli, venerdì 25 marzo, sul traghetto in partenza per Palermo (nella cui università già insegnava Segrè, successivamente premio Nobel come Fermi, che invece lo ricevette nel settembre del 1938, e fu proprio questa l'occasione per la sua fuga in America).

La nave, egli lo sa bene, parte verso le 11 di sera. Giunto a Palermo all'alba, prende alloggio all'Hotel Sole (un nome alquanto allusivo), e da qui invia (su carta intestata dell'albergo) una seconda lettera a Carrelli (che forse viaggerà con lui, durante il ritorno immediato a Napoli), con la quale smentisce il proposito suicida, già messo per iscritto, ma conferma in ogni caso la volontà d'abbandono dell'insegnamento universitario.

Ugualmente da Palermo spedisce un telegramma urgente, sempre a Carrelli ('non allarmarti'), che arriverà proprio alle 11 di mattina, prima della lettera stessa, spedita il 25 da Napoli, che giunge infatti sabato 26, con la posta delle ore 14. Più che una contingenza, si intravede una linea di trama.

Prima di imbarcarsi da Napoli per Palermo, M. aveva infatti spedito una lettera di addio a Carrelli, con velati propositi di suicidio: parlando però di 'improvvisa scomparsa', di 'decisione ormai inevitabile', ma senza 'un solo granello di egoismo'.

Questa prima e breve lettera a Carrelli contiene varie stranezze. Un saluto agli studenti, 'particolarmente a Sciuti', 'dei quali tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle undici di questa sera, e possibilmente anche dopo' (Sciuti divenne poi professore. Allora era un semplice studente. Per quel che può significare, l'anagramma della parola è 'usciti').

Ben inteso, scrive anche un brevissimo messaggio ai familiari, lasciandolo in busta nella sua camera d'albergo a Napoli (si trattava dell'Albergo 'Bologna', in Via Depretis, e a Bologna insegnava lo zio Quirino, noto fisico antirelativista), da dove avrebbe, di lì a 'tre mesi', visto 'il passaggio di Hitler' in visita in Italia, come anticipa nella sua penultima lettera alla madre del 23 febbraio, in costanza di 'Carnevale' (il sarcasmo di M. era ben noto).

Poiché la breve lettera ai familiari del 25 marzo, lasciata in una busta nella camera d'albergo a Napoli ('Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all'uso, portate pure, ma non per più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo, ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi'), e quella a Carrelli, spedita da Palermo sabato 26 su carta intesta dell'Hotel Sole e pervenuta alle ore 14 di domenica 27, forse viaggiando con la stessa nave, terminano con un 'aff.mo Ettore' ovvero un 'aff.mo E. Majorana', si può credere che siano proprio le ultime due.

L'ultimo scritto è pertanto la lettera del 26 marzo, indirizzata a Carrelli: <<Spero ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all'albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunciare all'insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli>>.

Dunque due lettere, prima dell'imbarco per Palermo. Poi un telegramma ed una lettera finale da Palermo, sempre per Carrelli. Nient'altro. Ma tutte con grafia ordinata e misurata. Majorana è ineccepibilmente preciso e scrupoloso, al tempo stesso apparentemente strampalato, ambiguo ed oscuro. Altra corrispondenza, indirizzata ai familiari e agli amici (Gentile jr.), aveva preceduto, con una certa regolarità, queste ultime lettere del 25 e del 26 marzo.

M. era stato a gennaio da Fermi, all'istituto di Via Panisperna, dove infatti lo incontra Cocconi: <<Una faccia scura. E fu tutto lì>>. Poi sembra che non sia più tornato a Roma. E' da notare che nella lettera alla madre del 22 gennaio fa presente che verrà 'fra pochi giorni ma solo per poche ore', <<perché devo ritirare un libro da Treves e altri da casa>>. In seguito si tratta soltanto di rinvii. La lettera a Gentile Jr. del 2 marzo si chiude con uno 'spero che ci rivedremo presto', e quelle ai familiari del 9 e del 19 marzo, con uno 'spero di venire in fine settimana' e con un ' vi mando un telegramma perché non mi aspettiate stasera, ma verrò certamente sabato prossimo', e si tratta - questa volta - del sabato 26 marzo 1938, quello dell'effettiva 'scomparsa': il termine è suo.

Come tutti i siciliani M. è legato ai suoi familiari, in particolar modo alla madre (soprattutto dopo la morte del padre). Egli è descritto da tutti coloro che gli furono vicini (e così risulta anche dalla perizia grafologica eseguita nel 1972 da G. Sansoni) come un carattere buono, assai introverso, ancorché irrequieto, mai soddisfatto di sé e degli altri. Non certamente un soggetto affetto da patologie particolari, per quanto si tratti di un genio autentico, assai portato all'isolamento e all'introspezione, oltre che dotato di una razionalità assolutamente dominante. Un genio che all'improvviso, tuttavia dopo anni di intensissimi studi ma anche di apparente isolamento scientifico, per quanti meriti gli si riconoscessero, decide alla fine di 'scomparire', senza alcuna apparente ragione. Ma chi si uccide, lo fa e basta. Non ha bisogno di ripensamenti e di troppe lettere, per quanto brevissime ed assai compendiate. Il 'mistero Majorana' va dunque cercato, anzitutto, nelle sue ultime lettere, quelle che precedono la sua 'scomparsa', essendo questi gli unici documenti 'oggettivi' sui quali appoggiarsi.

9. A questo punto sembra affiorare una nuova 'traccia', che vorremmo chiamare 'ibseniana', in contrapposto alla versione 'pirandelliana' (M. era avidissimo lettore di Pirandello) e a quella alla 'Conrad'. Questa traccia sembra assai coerente con le sue ultime lettere e sembra altresì poter condurre lontano, cioè all'ipotesi della fuga. Per questa ragione abbiamo marcato in neretto alcuni passi di queste lettere, che ci sembrano assai significativi, pur trascurando, per ragioni di spazio, altri aspetti che ben potrebbero alimentare un quadro di messaggi trasversi e criptati (infatti dove c'è 'configurazione' ci dovrebbe essere anche 'significato').

Majorana potrebbe, cioè, aver sfruttato uno schema logico a croce di tipo speculare, del tutto coerente e pienamente accordato rispetto alle modalità esecutive della sua 'scomparsa', costruita (di necessità) attraverso il doppio viaggio di andata e ritorno, nulla concedendo (sotto l'aspetto puramente formale) ad altra ipotesi, se non quella dell'apparente suicidio, ma rovesciando, ben inteso nella vera sostanza dei 'contenuti', il suo autentico messaggio di addio.

E' questa l'ipotesi preliminare, funzionalizzata all'ipotesi Klingsor, che tentiamo qui di argomentare: sosteneva infatti Talete che <<la verità va ricercata come una pagliuzza d'oro nel fango>>. Le ultime lettere di Majorana appaiono, infatti, abbastanza inusitate ed indecidibili per un autentico suicida, e potrebbero dunque ben nascondere 'verità oscure', affidate alla sensibilità stessa dei suoi familiari, e (forse anche) al 'raziocinio' dell'interprete.

Anzitutto, accostandomi al caso Majorana col mio consueto abito di giurista, debbo chiedermi se in effetti, alla 'scomparsa', seguì, in termini legali, dopo due anni e ad istanza dei congiunti, la dichiarazione di 'assenza' e/o quella successiva di 'morte presunta'(dopo dieci anni), secondo le norme allora vigenti del codice civile del 1865 e poi quelle del codice del 1942. Risulta soltanto che la madre resterà sempre convinta che il figlio non è morto, ed anzi lo nomina nel testamento, 'per quando tornerà'. I suoi familiari lo hanno creduto, pressoché da subito, soprattutto rifugiato in un convento, anziché morto suicida. Secondo il fratello Luciano: 'se ci fosse stato papà, questo non sarebbe successo'. Quasi più nessuno crede oggi al suicidio, ma il 'mistero' della 'scomparsa' resta intatto, a meno di non privilegiare l'ipotesi dell'omicidio (e ce ne sarebbero tutte le possibilità).

A nostro sommesso giudizio, se si esaminano le ultime lettere di M. secondo un certo angolo di visuale che le ricomprenda tutte come un insieme intenzionale e coordinato di messaggi indiretti, ciascuno legato all'altro da accenni particolari, rimandi e rapide allusioni, è possibile allora ricavare delle 'tracce' assai interessanti, in grado di ricondursi ad un quadro significativamente unitario, che Majorana avrebbe dunque consapevolmente e studiatamente messo in piedi già da qualche tempo prima (appunto 'tre mesi '). Occorre tuttavia leggere in modo particolare, e spesse volte al contrario, alcune frasi 'significative' che figurano in questa corrispondenza, in un contesto globalizzato dall'enunciazione di una chiara intenzione di fuga (e si apprenderebbe, a questo punto, anche 'dove' scappa e 'perché' lo fa). E forse non ci illudiamo. Potrebbe essere proprio così. Anche se questo non spiega i motivi della fuga, e in particolare l'eventuale scelta di campo.

In primo luogo, Majorana potrebbe aver fatto uso, come qui si sostiene, dello 'schema logico' della 'diagonale', secondo cui ogni possibile affermazione di 'realtà' ed anche ogni 'momento concreto', sembrano perfettamente contraddetti e bilanciati - formalmente parlando - da ogni altro corrispondente elemento specularmente rivolto all'esatto contrario (in una sorta di 'indecidibilità' neutrale), a meno di un 'punto centrale di fuga' (ci si passi l'immagine che si richiama al punto di centro di una coppia di assi cartesiani ortogonali), capace di raccogliere a senso compiuto, ma in chiave questa volta contenutistica, vale a dire 'in filigrana', ciò che altrimenti apparirebbe assolutamente contraddittorio ed opposto (il 'paradosso del bugiardo' è richiamato anche nel romanzo di Volpi e guarda caso il suo illustratore è proprio von Neumann).

A quest'unico scopo avrebbe quindi concepito il doppio viaggio per nave 'Napoli-Palermo', andata e ritorno, proprio per mascherare la sua reale intenzione, nella totale incertezza psicologica dell'altalena dei dubbi. Le lettere prima dell'imbarco, e dopo l'arrivo a Palermo (che è un dato certo), servono, all'apparenza, soltanto a depistare, mentre contengono elementi contenutistici di massimo interesse. Inoltre, Carlo Price, il terzo passeggero 'inglese' della cabina, durante il viaggio di ritorno (come scopre Sciascia per primo, ma questo potrebbe far parte, ancora una volta, del 'gioco di specchi' arditamente concepito da M.), potrebbe essere sia Majorana, come altra persona (ad es. un commerciante, cui M. ha offerto il proprio biglietto di ritorno, oppure addirittura un 'controllore' ad hoc).

10. Non ci dilunghiamo sulla comparsa di questo singolare personaggio, Carlo Price, un individuo mai effettivamente identificato, eppure presente nella cabina del Prof. Strazzeri durante il viaggio di ritorno da Palermo a Napoli, come appurato dalla Polizia a seguito di opportuni controlli sulla lista dei passeggeri. Sottolineiamo, soltanto, la straordinaria coincidenza di cognomi, appunto 'Price', e di situazioni, quanto al 'suicidio del medico inglese James Price' (in realtà anche questo un secondo nome), che si avvelenò a soli 31 anni (appunto l'età anagrafica di M.), dopo aver sfidato la 'Royal Society' di cui era membro, a proposito della trasmutazione alchemica del mercurio in oro, che sosteneva essere già stata da lui più volte ottenuta in alcuni esperimenti, che però non volle ripetere alla presenza degli accademici, che glielo avevano richiesto con forza a riprova delle affermazioni scientifiche contenute in alcune sue comunicazioni formali (per questi interessanti particolari, che si situano alla metà del XVII secolo, si veda il bel libro di P. Cortesi, presentato in questa stessa rivista, a proposito della 'Ricerca della pietra filosofale').

Sulla 'coincidenza significativa' - chiamiamola pure così - tra quel 'Carlo Price' presente nella cabina della nave e il suicidio di 'James Price', si potrebbe anche aggiungere, rimanendo ugualmente in tema, che in tedesco 'Karl' significa appunto 'uomo nuovo' (cfr. Dizionario Zingarelli). E' dunque possibile che 'Carlo Price' sia proprio la nuova identità (muta e composta) assunta da Majorana, mentre (se Strazzeri non fa confusione: su questo cfr. L. Sciascia, op. cit.) il terzo passeggero, in realtà un commerciante un po' rozzo, potrebbe essere stato registrato a bordo col biglietto di M. Il viaggio sarebbe durato soltanto una notte e lo sbarco avvenne di prima mattina. M. avrebbe potuto contare sul defilamento notturno. La trama è quella del 'Fu Mattia Pascal' di pirandelliana memoria.

Majorana deve comunque far credere, con ogni ragionevolezza, di essere su quella nave, ma di non essere poi più sbarcato. E' negli occhi testimoniali del Prof. Strazzeri che si perde, in definitiva, il mistero delle 'identità' e dei fatti 'reali', malgrado il presunto riconoscimento di M. (certamente gli sarà stata mostrata qualche fotografia dello scomparso), che del resto serve ad avvalorare la teoria del rifugio in convento, alla quale sembrano voler credere sia i familiari che la polizia, malgrado l'esito negativo di ogni successiva ricerca. Ma potrebbe aver ragione Sciascia ad indicare l'ipotesi ultima del ritiro in convento, secondo noi dopo le lunghe traversie del dopo guerra e una volta scampato in Argentina.

Che sia stato presente su quella nave, e sia pure che non sia più ripartito da Palermo per Napoli, M. ha, in ogni caso, confuso le acque, e potuto fare il suo gioco. Nessun cadavere sospetto fu però trovato in mare. Pertanto il mistero del suicidio resta intatto.

Infatti M. potrebbe essere sparito proprio sbarcando nuovamente a Napoli (per poi portarsi forse a 'Taranto' - vedremo perché -, dopo aver bussato, poniamo per depistaggio, a qualche convento napoletano ecc.).

Ci sarebbe in questo senso anche la testimonianza dell'infermiera, che lo 'avrebbe incontrato' quei giorni, proprio a Napoli. Più difficile pensare ad una sparizione da Palermo, a meno che non sia stato lì aiutato (se non rapito od ucciso) da qualche servizio segreto, che poi avrebbe continuato la sceneggiata del ritorno (in tal caso Price sarebbe una spia abbastanza somigliante a Majorana, se la testimonianza di Strazzeri è corretta).

Quindi M. ha innescato (da solo o con la complicità di altri) un depistaggio, ma non può certo urtare l'amore familiare, deve cioè lasciare campo alla speranza. Anzi, se fosse volontariamente fuggito in Germania, questa drammatica 'speranza' non solo la indica, ma la lascia intendere tutta, nella sua cruda verità: 'non c'è un solo granello di egoismo' nella sua scelta forzata, che è una fuga senza ritorno, poiché si tratta di una inevitabile scelta di campo; vedrà in effetti Hitler, e il lutto potrà essere portato, però per non più di 'tre' giorni. E, guarda caso, Sciuti è l'anagramma di 'usciti'. In tale contesto di allusioni, per ragioni di spazio qui presentato in modo ristretto e compendiato, si colloca in particolare l'affermazione di M. che il 'suo caso' è ben differente da quello di una 'ragazza ibseniana'. Ricordando subito il suicidio di Boltzmann, avvenuto proprio nel 1906, e la morte di Ibsen occorsa nello stesso anno, che è poi quello della nascita di M., si rafforzerebbe quindi l'idea, suggerita dai contenuti stessi del dramma La donna del mare (non si tratta infatti di una 'ragazza'!), che M. abbia voluto fornire, in cifra, ai propri familiari, alcune indicazioni fondamentali, compresa quella delle dimissioni dall'insegnamento universitario (a quel punto 'necessarie' dopo alcuni tentennamenti personali nella realizzazione di questa nuova scelta di vita, ma ovviamente senza poter riscuotere materialmente l'ultimo stipendio). Sarebbe appunto questa la 'prova di vita', contro ogni altra apparente od annunciata evidenza, che M. vuole in effetti fornire ai suoi cari.

Quest'uomo, che non mente affatto, dicendo tutto quello che deve dire, non parla mai di 'suicidio'. La sua è una vera e propria 'scomparsa'. Ed è proprio questo il dato di fatto realmente emergente da tutta la vicenda, di fronte al quale muro a distanza di molti lustri si addensano (e quasi rimbalzano ancora) tutti gli assalti del dubbio.

Del resto, sia che M. sia risultato presente sulla nave nel viaggio di ritorno, oppure che sia sparito a Palermo senza imbarcarsi di nuovo, si tratta di una circostanza tutto sommato irrilevante, in questo particolare disegno. Che del resto è ampiamente coperta (e superata) dalla 'scomparsa', se appunto il suo biglietto di viaggio era stato ceduto ad altri, che con certezza si sarebbe imbarcato al suo posto, oppure soltanto col suo biglietto, mentre M. ne ha acquistato un altro sotto falso nome. Lo scopo era ugualmente raggiunto. 'Carlo Price', a questo punto, può essere Majorana stesso, ma non un qualsiasi terzo passeggero estraneo, e può essere anche una spia, un controllore facente o no parte del piano. La sua identità 'inglese' lo lascerebbe sospettare. Oppure M. si è dotato, a Palermo, di un passaporto falso, appunto per ingenerare l'equivoco. Colpisce senz'altro il mutismo di Price, riferito da Strazzeri.

Si potrebbe perciò concludere probabilisticamente che Carlo Price non sia un passeggero capitato lì per caso, cioè una presenza del tutto occasionale e fortuita. Questa identità o questo personaggio, avrebbe invece a che fare con la storia di M. Anzi, a nostro giudizio, sarebbe la nuova identità assunta da Majorana, il quale ancora una volta ammicca in cifra (e forse anche con profetica ironia) alla fuga dei fisici prima dello scoppio della guerra (e possibilmente anche alle clamorose, successive vicende del dopoguerra).

11. Certamente, questa nostra ipotesi 'ibseniana', che tra l'altro è la chiave stessa per la successiva 'ipotesi Klingsor' (alla quale accenna il Prof. Bartocci, nel suo ultimo articolo, legittimamente domandandosi perché mai, allora, non sia emersa alcuna notizia, dopo tanti anni ormai trascorsi), si sorregge in modo piuttosto precario, tenuto principalmente conto del fatto che il semplice 'sospetto' di 'filonazismo' da parte di Ettore Majorana, già aveva fatto gridare allo scandalo un Amaldi, che non vi ravvisava certamente alcun fondamento (per quanto assai singolari vicende abbiano riguardato una famosa lettera di M. - scritta da Lipsia nel 1933 ed indirizzata all'<<ebreo>> Segrè, poi discusso premio Nobel legittimamente contestato in un tardivo processo in America, che nel 1938 teneva la cattedra di fisica proprio a Palermo -, e che sarebbe andata perduta nel 1956, con l'affondamento dell'Andrea Doria, così sostenne Segrè, ma che fu poi 'ritrovata' tra le carte del fisico italiano e infine pubblicata, e per la quale occasione si verificò, appunto, un vivace scontro tra Sciascia e Segrè stesso - cfr. L. Sciascia, Majorana e Segrè, in Fatti diversi di storia letteraria e civile, Sellerio, Palermo, 1989, pag. 129 ss.: una vicenda incredibile, eppure verissima). Quest'altro 'giallo' certamente Majorana non poteva prevederlo, anche se di autentico giallo si tratta.

Forse M. vuol far remotamente sapere, 'in filigrana', ai suoi familiari, che non si è tolto la vita. E i familiari possono alla fine giungere a questa stessa conclusione. La donna del mare è infatti un dramma scritto nel 1888, che ha riguardo all'ignoto e ai traumi infantili, nonché alla liberazione di una scelta finale, consapevole e meditata. Ibsen soggiornò a lungo a Roma, in prolungati periodi tra il 1864 e il 1891, e nelle sue memorie figurano, in modo particolarmente marcato, gli stati d'animo del suo primo viaggio da Copenhagen a Roma, passando da Berlino. Nel 1866, Ibsen scrisse, proprio a Roma, un dramma in versi sul tema della 'missione divina' o 'vocazione', percorso da molteplici implicazioni simboliche, non soltanto religiose. Intanto, il filosofo Oswald Spengler (morto nel 1936), aveva scritto Der Untergang des Abendlandes, sull'incombente catastrofe della civiltà occidentale - un'opera che certamente M. conosceva bene, con la quale aveva rivendicato al popolo tedesco il diritto all'egemonia politica e teorizzato la necessità dell'obbedienza allo stato.

In questa 'scelta', simile alla morte o ad un viaggio senza più ritorno, se non da vincitori, non ci poteva essere, certamente, neppure un pizzico di egoismo da parte di Majorana. E non dovevano certo sfuggire a M. tutti i rischi connessi (nazismo compreso), se per ben quattro anni, prima dell'assegnazione nel 1937 della cattedra universitaria per 'chiari meriti' e dopo il suo ritorno da Lipsia alla fine del 1933, si era come isolato, in uno studio forsennato di cui non si hanno però tracce scientifiche. 'Più che di fisica in quel periodo si interessava di economia politica, delle flotte dei diversi paesi e dei loro rapporti di forza, delle caratteristiche costruttive delle navi'. Ed anche: 'Egli restò per tutto il tempo della sua vita prigioniero di una lucida razionalità e del freddo calcolo. Ma la svalutazione del mondo dei sentimenti era in lui solo apparente e forzata…'.

Sciascia ricorda, invece, le grandi capacità matematiche del bambino prodigio, che a tre anni si nascondeva 'per vergogna' sotto il tavolo, quando gli davano da risolvere calcoli assai complicati (come estrazioni di radici, calcoli a più cifre), soprattutto per un bambino di quella tenerissima età! E ricorda anche la facilità con la quale verificò, in una sola notte ('avrà anche dormito') - al primo incontro con Fermi, col quale ebbe in seguito più d'una occasione di scontro e di confronto, una complicata 'tabella' del 'Papa' che aveva richiesto giorni e giorni di lavoro, trasformando in questo caso un'equazione Thomas-Fermi in una di Riccati. M. non andava troppo d'accordo con Fermi ed il suo gruppo. Soprattutto i suoi interessi teorici erano sovrastanti, in definitiva batteva soltanto la sua strada, pur aggiornatissimo com'era rispetto alle frontiere della ricerca. E' possibile che avesse mantenuto uno stretto contatto con i fisici tedeschi e che lavorasse fittamente in nuove direzioni, molto probabilmente antirelativistiche. Molti elementi lasciano scorgere questa traccia, che tra l'altro ha il pregio di fornire una spiegazione razionale all'apparente inattività scientifica del pur impegnatissimo M., che si era isolato dai suoi colleghi e lavorava come un matto in casa, trascurato nella persona neppure andava dal barbiere.

Infine, nulla esclude che M. avesse potuto in qualche modo anticipare le stesse concezioni della 'teoria della coerenza' di un Giuliano Preparata (cfr. Dai Quark ai cristalli, Bollati Boringhieri, 2002), che si fosse cioè precocemente incamminato in quella direzione al cui termine potrebbe esservi la vera teoria della 'fusione fredda' ed anche il completamento della teoria rivoluzionaria del 'doppio decadimento beta' e delle forze di scambio del nucleo.

12. Anche se soltanto nel dicembre del 1938 (precisamente il 22 dicembre, giorno del solstizio d'inverno, si noti la coincidenza!), il fisico tedesco Otto Hahn (però decisamente orientato dalla Meitner, nel frattempo riparata in Svezia, mentre Fermi si era rifugiato in America), rimasto invece in Germania, era in effetti pervenuto alla 'fissione' del nucleo pesante ed instabile dell'uranio. Certamente, un genio anticipatore come Majorana, poteva già da tempo essersi incamminato nella diversa direzione della 'fusione', alla quale pervennero in seguito gli americani, con Teller, negli anni cinquanta (del resto la tecnica della 'fusione fredda' è favorita, ad es., dalla capacità del reticolo atomico del palladio di confinare, a stretto ridosso l'uno con l'altro, nuclei di deuterio oppure di trizio, cosicché l'aver puntato da parte dei tedeschi sull'acqua pesante, apparentemente come 'moderatore', potrebbe, al contrario, significare ben altra scelta rispetto alla via, tecnicamente assai complicata e dispendiosa, battuta invece dagli americani col progetto Manhattan. La produzione di elio con la tecnica catalitica era già nota negli anni trenta e guarda caso avveniva nella vicina Svezia. J. Tandberg, uno svedese che lavorava a Stoccolma presso la Elettrolux Corporation Laboratory, nel 1927 aveva inoltrato domanda di brevetto per la produzione dell'elio attraverso elettrolisi dell'acqua con un catodo al palladio. Dopo la scoperta del deuterio, negli anni trenta, Tandberg cercò di creare 'fusione' in un filo di palladio che era stato saturato con deuterio attraverso elettrolisi. Pare avesse ottenuto un discreto successo, almeno nella produzione di elio: cfr. H.Collins & T.Pinch. Il Golem, Edizioni Dedalo, 1995, Bari, pag. 85. Tali circostanze potrebbero aver avuto un loro peso nel progetto atomico tedesco, capeggiato da un fisico antirelativista ed alternativo, perfettamente padrone della teoria quantistica. E chissà che questo 'genio innominato' non si illudesse che una tale arma, che poteva anche essere inizialmente ritenuta a portata di mano, non avrebbe essa stessa scoraggiato ogni possibilità di guerra, per via della sua estrema efficacia distruttiva).

Nulla esclude (ed anzi molti 'indizi' inducono a ritenere) che M. avesse imboccato questa via, già dal 1934. Vale qui la pena di osservare, in modo del tutto incidentale, che le attuali armi all'uranio impoverito, di recente utilizzate nei teatri di guerra dell'Iraq e della Jugoslavia, potrebbero in effetti rispondere a tecniche segrete del tutto innovative, fondate su concezioni rivoluzionarie e basate anche sui principi della 'fusione fredda'.

Infine, la missilistica tedesca, divenuta in seguito la tecnica fondamentale e generalizzata dell'impiego militare dell'arma atomica, poteva essere stata concepita proprio in vista di 'testate' trasportabili, di un genere tutto particolare (cioè ad innesco da impatto).

M. era veramente un genio teorico, un fisico ed un matematico di grandissima classe, capace di mettere in imbarazzo chicchessia e di correggere addirittura, come appunto fece, gli stessi lavori di Heisenberg e di Dirac. Probabilmente era un genio assoluto. Ma era un genio insoddisfatto, scontroso, scorbutico, poco comunicativo ed assai perfezionista. A suo avviso la fisica stava imboccando una strada sbagliata. Si era subito accorto, nel 1932, che i Joliot-Curie avevano scoperto - senza volere e senza saperlo - il 'protone neutro', poi chiamato 'neutrone', ma non volle pubblicare nulla al riguardo. Nel forsennato periodo di studio isolato, tra il 1934 e il 1937, ugualmente non aveva pubblicato nessun lavoro scientifico, ma doveva averne prodotti diversi. Ci si deve domandare dunque dove siano finiti gli esiti di queste forsennate ricerche teoriche.

Dove si trovano questi scritti? Perché mai sono spariti? Sono spariti anche buona parte dei 'documenti' contenuti nella famosa 'cartellina' da lui personalmente consegnata i giorni precedenti la sua 'scomparsa' alla signorina Gilda Senatore, allieva del primo anno, e che alla fine finirono in mano a Carrelli, per perdersi poi in seguito. Forse M. aveva compreso la possibilità di una riunificazione tra le diverse 'statistiche' Bose-Einstein e Fermi-Dirac, che segnano una fondamentale distinzione tra particelle, incamminandosi per davvero verso una nuova strada 'rivoluzionaria' per la fisica moderna, rispetto al modello ordinario (il c.d. paradigma di Copenaghen) che si stava consolidando in quegli anni.

13. Insomma Majorana potrebbe aver architettato la sua scomparsa in modo assolutamente fattuale, senza però lasciare troppo nascosta una specifica traccia a conforto dei suoi stretti familiari, che lo conoscevano bene e che potevano, ad un certo punto, vagliare tutte le più sfumate allusioni, se appunto queste lettere ne contengono, come crediamo di poter scorgere.

Talvolta la 'verità' è aleatoria, ed assai spesso spiacevole. La nostra ipotesi 'ibseniana' o 'spengleriana' è asservita all'ipotesi 'Klingsor', appunto il 'suonatore', o, se vogliamo, quell'erba 'maggiorana', che tanto ricorda, nel 'nomen', la (allusiva) sonata in Re Maggiore di Bach, piuttosto che il 'Parsifal' di Volpi.

In realtà Jorge Volpi non cita mai 'Majorana' nel suo 'romanzo', nè mai fa alcun riferimento alla sua figura. Tuttavia si comprende bene, dalla narrazione dei 'fatti' per quanto assai intricati, che questo 'Klingsor' non è Heisenberg, il primo sospettato e sospettabile, e, alla fine, neppure quel 'Gustav Links', altro personaggio che compare all'inizio ed ancor meglio in tutto il romanzo, sempre presente come io narrante, un 'matematico di Lipsia', che si ritrova poi prigioniero, ancora negli anni ottanta, in un manicomio della Germania dell'Est. Neppure questo Links è realmente quel 'Klingsor' ricercato dal 'tenente Bacon' della missione 'Alsos', sfuggito ad ogni cattura, ad ogni processo, e di cui non resta nessuna traccia, oltre ad un semplice nome convenzionale, e alla mera pista dei 'nudi fatti'. Egli soltanto aveva diretto il vero progetto atomico tedesco, non Heisenberg…

Si tratta, beninteso, d'un 'romanzo', ma non possiamo non chiederci a chi può voler alludere il suo autore. Certamente potrebbe riferirsi a Majorana, un grandissimo matematico e fisico teorico, che come figura scientifica, potendo sovrastare Fermi, sovrastava certamente anche Heisenberg, altro premio Nobel. Un Majorana 'nazista' (un'ipotesi peraltro già avanzata in passato da varie parti), farebbe senz'altro un gran torto a questa elevatissima e nobile figura morale di grandissimo scienziato. Ma M. sarebbe stato consapevole di questo 'olocausto', di questa scelta di donazione senza ritorno, alla quale ben si può accompagnare, in ipotesi, il termine di morale e materiale di 'scomparsa', da lui stesso adoperato.

La verità è che la storia della bomba atomica tedesca è tutt'altro che chiara. Ce lo prova, tra l'altro, il misterioso ed assai controverso incontro, o tentativo di abboccamento, di Heisenberg con Bohr a Copenhagen, nel settembre del 1941, quando la Germania nazista sembrava trionfare in tutta Europa. In quest'occasione sarebbe stato esibito da Heisenberg anche un 'disegnino' contenente lo schema del suo reattore nucleare (cfr. la ricostruzione di questo singolare incontro, con le varie versioni dei protagonisti e dei critici, fatta da M. Cattaneo, nella monografia su Heisenberg, Quaderno de Le Scienze n. 17, novembre 2000, al paragone di quella che risulta nel libro di Volpi).

L'autobiografia di Heisenberg lascia del resto molto a desiderare (cfr. Fisica ed oltre, Bollati Boringhieri, ristampa 1999), apparendo piuttosto come una versione addomesticata di assai più articolati e complessi eventi, in verità alquanto drammatici. In quest'opera M. non è mai citato. Un silenzio davvero singolare ed inspiegabile, considerata la statura scientifica dell'italiano e gli strettissimi rapporti con il tedesco (le cui teorie erano state, nel 1933, fondamentalmente ricorrette proprio da M.).

Arrivarono mai i tedeschi ad un loro prototipo di bomba atomica? Contrariamente alla versione diffusa, che neppure la pila atomica di Heisenberg avrebbe mai funzionato, un sospetto logico di notevole profilo deriva dall'aver i tedeschi puntato tanto sulla missilistica (W. Von Braun si rifarà poi una 'carriera' negli Stati Uniti), cioè l'attuale strategia atomica di generale impiego. Certe coincidenze sconcertano davvero. I vari modelli di razzo allestiti in Germania finiscono così per somigliare piuttosto ad una 'stranezza', che ad un arma terrifica e vincente.

14. Il Prof. Bartocci riporta (nel suo citato pregevolissimo ed assai ben documentato libro, arricchito da informatissime note), alcune 'notizie' che veramente meriterebbero un'attenzione particolare: tra queste, anzitutto, la testimonianza dell'inviato del Corriere della Sera Luigi Romersa, che avrebbe assistito nel 1944, nell'isola di Ruegen sul mar Baltico, all'esplosione di un ordigno di 'inaudita potenza per quei tempi'. Ci sarebbe, poi, il 'mistero' dell'esplosione improvvisa della Corazzata Roma (un pennacchio alto più di un chilometro e 1252 morti su un totale di 1849 uomini: cfr. foto su Enciclopedia Militare Rizzoli-Purnell, 1967, vol. VI, pag. 219), colpita il 9 settembre del 1943 da bombe d'aereo tedesche presso le Bocche di Bonifacio (che ancora presentano tracce di radioattività, però giustificabili con la presenza di una vicina base sommergibilistica Nato). Il fisico Carlo Bresciani (come ci fa sapere il Prof. Bartocci) ha infatti avanzato l'ipotesi che la corazzata Roma trasportasse una specie di bomba atomica. La 'realtà' supera la 'fantasia'?

Secondo la ricostruzione di A. Trizzino (cfr. Settembre nero) un'altra bomba tedesca FX attraversò la corazzata Littorio e scoppiò in mare. Dalla falla che si produsse entrarono 800 tonnellate d'acqua, ma la nave si rimise in formazione. L'ammiraglio Bergamini non intendeva assecondare l'ordine di consegna a Malta ed anzi neppure fece ornare la sua ammiraglia Roma, che colpita da un'unica bomba affondò in un attimo, dei previsti contrassegni neri di riconoscimento. Probabilmente intendeva dirottarsi verso un porto neutrale del Mediterraneo, molto probabilmente la Spagna. Un aereo alleato assiste indisturbato all'affondamento da parte dei tedeschi. Si trattava di un ricognitore americano, con equipaggio inglese (sic!), che era andato 'a gettare un'occhiata'. Trizzino riporta anche la sua fonte, che è 'Butcher', aggiungiamo noi, un notevole storico della seconda guerra mondiale, citato anche da Liddell Hart. Quante stranezze!

15. Le sorprese non finiscono qui. Ne avevo parlato tempo addietro col Prof. Bartocci, dopo aver letto il suo bel libro su Majorana. Solitamente anche gli autori più informati, che si sono occupati della storia del nazismo e della seconda guerra mondiale, tacciono sulla tecnologia militare tedesca (ad es. J. C. Fest, Il volto del Terzo Reich, Garzanti, 1977, un libro assai importante, oppure lo straordinario saggio di I. Kershaw su Hitler, Bompiani, 2001, due voll.), che pure era avanzatissima (tanto che molti dei brevetti sequestrati ai tedeschi dopo la guerra, non vennero mai sfruttati in seguito, poiché avrebbero potuto mettere letteralmente in crisi, con la loro innovatività, gli avviati sistemi produttivi occidentali. Tra l'altro l'interesse per la 'pila atomica' di Heisenberg era in Germania principalmente rivolto ad una eventuale applicazione per l'alimentazione dei motori dei sommergibili transoceanici, come riferisce Speer).

E' proprio vero che Speer avrebbe mollato, già dal settembre del 1942, con l'atomica tedesca, ritenendo il progetto tecnicamente impraticabile (1947) nei prevedibili tempi bellici? E' poi chiaro che anche i tedeschi tenevano sott'occhio il progetto americano: ce lo racconta ad es. E. Gimpel (cfr. La spia tedesca, Longanesi, 1966), che come 'agente 146' fu mandato alla 'caccia di segreti atomici', sbarcato in America da un sottomarino. Dunque i tedeschi sapevano del progetto americano, e non potevano certamente essere sicuri che l'atomica sarebbe stata altrettanto difficile da costruire sull'altra sponda dell'Atlantico. Quindi c'è ancora una volta qualcosa che non va. Né ci si può appigliare al misterioso dialogo con Bohr del 1941, ancora tutto da chiarire, nonostante (sic!) la pubblicazione recentissima di alcune lettere di Bohr ad Heisenberg, scritte e mai spedite al destinatario.

Più in dettaglio, si veda invece quanto ci fa conoscere B. Spampanato (cfr. Contromemoriale, 4 voll., Edizioni di 'Illustrato', Roma, 1952).

Anzitutto (vol. III, pag. 238 ss., Appendice storica) c'è la nota informativa 'segretissima' dell'Ambasciatore Anfuso da Berlino del 26 luglio 1944, sulle V-2 e successivi modelli: si arrivava fino alla V-10, che 'distruggeva nel raggio di dieci chilometri ogni elemento di vita'. C'è poi la testimonianza del Magnifico Rettore dell'Università di Bologna (vol. II, pag. 295), il Prof. Goffredo Coppola fucilato dai partigiani nell'aprile del 1945, che ritornato da un congresso scientifico in Germania, così riferisce (il 16 febbraio 1945): <<I tedeschi hanno trovato il mezzo per disintegrare l'atomo. E' una scoperta elettronica. La disintegrazione avviene a cicli successivi e prende aree vastissime di diecine di chilometri. Nei laboratori si lavora in pieno>>.

E' il sogno ad occhi aperti degli 'sconfitti', all'ultima spiaggia della speranza?

Ma sentiamo quel che ci fa conoscere il generale Rodolfo Graziani (che fu incriminato e sottoposto a processo presso la Corte d'Assise speciale di Roma per essere condannato nel maggio del 1950 a 19 anni di carcere di cui 2/3 condonati), nelle dichiarazioni rese in giudizio: <<Quanto alla bomba atomica io ho letto nel campo d'Algeria (durante il periodo di prigionia), e l'ho udito alla radio, un discorso di Churchill che alzava un inno alla Provvidenza Divina: ' I tedeschi ci precedevano di sei mesi nella costruzione della bomba atomica; e ringraziamo Iddio e l'Onnipotenza Divina che ci hanno evitato la distruzione dell'Inghilterra '>>. Aggiunge Graziani che sarebbe stato <<Otto Hahn a consegnare agli alleati alcuni segreti atomici>>, mentre la fonte dell'ambasciatore Anfuso era <<un elemento sicuro: un italiano nato in Germania e da tempo investito di funzioni di responsabilità nel Consorzio Junker>> (B. Spampanato, op. cit., vol. III, pag. 238 e pag.239).

Secondo lo stesso Spampanato, in un incauto discorso del 6 agosto 1945, subito dopo la prima esplosione atomica in Giappone, Truman, da poco eletto Presidente per la morte di Roosevelt, si sarebbe fatto trascinare dall'euforia affermando testualmente: <<Il Giappone conoscerà quanto prima altri segreti militari preparati a Berlino>>. Una tale affermazione non esime infatti da alcuna connessa responsabilità morale. Solo dopo la guerra si cominceranno a conoscere i primi particolari sulle 'armi segrete' tedesche. Ma secondo Spampanato, 'i vincitori imporranno presto sull'argomento un nuovo ermetico segreto'.

Il 25 aprile 1945, i Russi, che avevano completato l'accerchiamento della capitale tedesca, erano arrivati a mettere le mani sulla strumentazione tecnologica e sull'uranio dell'Istituto di Fisica di Berlino-Dalhem, ma in realtà non riuscirono a catturare gli scienziati tedeschi, che nel frattempo erano fuggiti. Di sicuro questo era per loro un obiettivo primario, che non mancarono di realizzare con la massima tempestività possibile, ancorché senza grandi risultati.

16. E siamo quasi al termine di questa lunga nota. La missione segreta 'Alsos' (sempre guidata dal generale Leslie 'Groves' già a capo del Progetto Manhattan) - in italiano 'boschetto' ed in greco appunto 'alsos'- (ma scientificamente coordinata da un fisico ebreo emigrato in America, l'olandese Samuel Goudsmit, che non aveva in alcun modo preso parte al 'progetto Manhattan', e che, tra l'altro, non perdonerà mai ad Heisenberg di non aver fatto quasi nulla per salvare dal campo di sterminio i suoi genitori, deportati dai nazisti, che erano rimasti in Olanda), era stata appositamente incaricata dal Governo americano dell'obbiettivo primario dello spionaggio atomico e della successiva caccia agli scienziati nazisti, quale fondamentale misura d'appoggio dell'arma nucleare, che si stava allora, in tutto segreto, allestendo a Los Alamos, dopo la famosa lettera di Einstein a Roosevelt, scritta però nel 1939, sul 'pericolo atomico' rappresentato dai tedeschi.

Dunque, i fisici europei scampati in America, temevano già allora che i nazisti potessero prima o poi disporre dell'arma nucleare. Ma la scoperta di Otto Hahn era stata, in ogni caso, divulgata attraverso i consueti canali scientifici, e non era perciò un segreto in senso assoluto. Forse, i tedeschi, erano depositari di un segreto atomico più grande? Altri anni dovevano trascorrere prima dell'allestimento di armi distruttive di enorme potenza rispetto alle prime bombe atomiche a fissione. Si trattava delle atomiche all'idrogeno. Si muoveva forse in questa direzione il vero progetto atomico tedesco?

Intanto, l'esistenza delle due bombe atomiche americane (Fat Man e Little Boy, come vennero battezzate) fu portata a conoscenza del nuovo presidente Truman, in una riunione riservata, uscendo dalla quale l'ammiraglio Leahy, che vi aveva partecipato, così si espresse: <<Si tratta della cosa più stravagante che abbia mai sentito… La bomba non funzionerà mai. Io me ne intendo. Sono un esperto di esplosivi>> (cfr. R. Cartier, Storia della seconda guerra mondiale, Vol. III, pag.856, Mondadori, 1968).

Con l'Alsos, che aveva passato il Reno, fu possibile acciuffare Heisenberg, che in verità non aspettava altro, rifugiato nella sua villetta di Urfeld in Baviera, a non più di duecento chilometri dai villaggi di Hechingen e Beisingen, nella Foresta Nera, dove in ampie caverne, erano stati messi al sicuro verso il fronte ovest, le strumentazioni e gli armamentari atomici (compresi quelli missilistici), inizialmente delocati per via dei massicci bombardamenti alleati, e poi sgomberati del tutto (in particolare quelli relativi alla costruzione del reattore) da Berlino, sede dell'Uran-Verein (il Club dell'Uranio tedesco).

Gli Americani, nel marzo del 1945, si stavano addentrando da ovest nel cuore della Germania. Poi le forze alleate si erano arrestate sull'Elba, a meno di cento chilometri dalla capitale tedesca, ormai però completamente a portata di mano. I berlinesi non attendevano altro. Ma sembra che i patti di Yalta prevedessero esattamente questo limite di spartizione territoriale, che pure fu messo subito in discussione (tutti ricordano il 'ponte aereo' di Berlino già divenuta la capitale della Germania dell'est, ma pochi sanno del repentino ripensamento bellico americano, che giunse persino ad ipotizzare l'arduo piano, che alla fine fu però scartato, di paracadutare su Berlino accerchiata dai Russi alcune divisioni aviotrasportate).

I Russi, rotti gli argini dell'estrema difesa tedesca sul fronte dell'Oder, stavano completando l'accerchiamento della capitale tedesca. La Germania era stretta mortalmente tra due fronti, anche se un ampio territorio, soprattutto nel nord Europa, restava ancora sotto il suo controllo, con milioni di armati sparpagliati dalla Grecia alla Curlandia. Hitler, che aveva rinunciato a rifugiarsi nel 'ridotto alpino' (fu raggiunto da Eva Braun, nel bunker, soltanto il 15 aprile, cinque giorni prima del suo ultimo compleanno), viveva rinchiuso sotto metri di cemento armato, insieme a Goebbels (che lo raggiunse, con tutta la sua famiglia, soltanto il 22 aprile) e a Martin Bormann, altre due 'anime nere'.

Quali potevano essere le ultime speranze, le estreme possibilità di salvezza per il regime? Si erano già avuti, in vario modo e da più parti, alcuni incerti ed ambigui tentativi di armistizio o di pace separata, soprattutto dopo l'attentato a Hitler del 20 luglio del 1944. Proprio per questa ragione, ad esempio, il generale Wolff poté scampare al processo di Norimberga, avendo avviato in Svizzera trattative di pace con Allen Dulles, terminate con una resa incondizionata già il 29 aprile.

La storiografia ufficiale glissa su questi retroscena destinati quindi a rimanere nell'ombra. Abbastanza oscuri si presentano anche i momenti successivi alla resa di Berlino (i cannoni russi tacquero alle 15 del 2 maggio), fino alla capitolazione totale della Germania, che però avvenne in più fasi.

Il drammatico quadro politico-militare è permeato, in quest'ultimo tragico periodo, da molteplici e confusi tentativi di abboccamento con gli alleati occidentali e da ambigue trame segrete (portate avanti da Goering, Himmler, Speer, ma probabilmente concepite, in modo autonomo, anche da Hitler stesso), ma non avviene alcun miracolo. Siamo ormai alla resa dei conti. Il 30 aprile il suicidio di Hitler (al quale i Russi, ufficialmente, non vorranno credere per lungo tempo, soprattutto per ragioni politiche: cfr. Trevor-Roper, op. cit., e, da ultimo, U. Voelklein, Bunker. Le ultime ore di Hitler, Piemme, 2002, un libro tratto dalla 'consultazione degli archivi segreti del Kgb'), seguito il giorno dopo da quello di Goebbels, con tutta la sua famiglia. Martin Bormann (particolarmente temuto e disprezzato da Speer) vuole invece vivere. Dopo il drammatico ed inutile tentativo notturno, per ordine di Goebbels, del generale Krebs (lui pure morto suicida e finito con gli altri cadaveri del bunker in mano sovietica) di negoziazione di un armistizio coi Russi, la situazione si fa ancora più critica. Goebbels si uccide. E ora siamo alla notte tra il primo e il due maggio: Bormann tenta la fuga da Berlino, secondo un preciso itinerario, già studiato a tavolino, e non certo affidandosi al caso, come si vorrebbe far credere (per la ricostruzione delle ultime ore di Berlino, si vedano in ogni caso: R. Cartier, La seconda guerra mondiale, op. cit., vol. III, pag. 872 ss.; A. Tully, Le ultime ore di Berlino, Longanesi, 1971; G. Boldt, Ero con Hitler, Longanesi, 1967; e, soprattutto, H. Trevor-Roper, Gli ultimi giorni di Hitler, Rizzoli, ristampa 1999; nonché C. Ryan, L'ultima battaglia (la fine del terzo Reich e la caduta di Berlino), 1996, Rizzoli, e A. Beevor, Berlino 1945 - La caduta, Rizzoli, 2002).

Proprio la mattina del 2 maggio (non del 3!), il colonnello Pash dell'Alsos (con una impresa quasi inverosimile, condotta dentro le linee tedesche: cfr. M. Bar-Zohar, La caccia agli scienziati nazisti, Longanesi, 1971, pag. 85 ss.) arresta Heisenberg nella sua casa di montagna di Urfeld, dove si trovava anche l'abitazione di Colin Ross, il noto scrittore nazista americano rifugiatosi in Germania, autore di 'Unser Amerika'. Ross si suiciderà quello stessa mattina, dopo aver ucciso i suoi familiari. Pash bussa all'uscio dello 'chalet', e pochi istanti dopo un uomo apre. <<Professor Heisenberg, conosco degli scienziati assai desiderosi di vedervi e di parlarvi. Da questo momento consideratevi prigioniero dell'esercito americano>>. Quindi Heisenberg si trattiene, ancora un giorno, prigioniero a casa sua, diremmo oggi volontariamente agli 'arresti domiciliari'. E potrebbe esserci, per questo singolare fatto, una precisa sorprendente ragione. Heisenberg sapeva tutto di M., e pertanto egli attese l'esito positivo della fuga da Berlino di Bormann, probabilmente avvenuta anche con l'ausilio dei servizi segreti americani.

Non dimentichiamolo. E' la mattina del 2 maggio (e non il 23 aprile, come scrive F. Prattico nel suo articolo su Heisenberg, anche se questa data ben si accorderebbe con l'ultimo tentativo segreto di Hitler per un ultimo accordo antisovietico). Sorprendentemente siamo ancora dentro le linee tedesche. Secondo la ricostruzione di J. Volpi (pag. 427) Heisenberg sarebbe stato 'arrestato' soltanto la mattina del 3 maggio. Ma questa data è formalmente sbagliata. Infatti, i militari del colonnello Pash lo raggiunsero la mattina del 2, e solamente il giorno 3 maggio, Heisenberg, che attese a Urfeld un giorno intero, fu assicurato agli Americani.

17. Assai incerte si presentano, altresì, le date riguardanti le notizie positive (se non addirittura l'allestimento) del 'Trinity Test', comunicate al Premier inglese durante la conferenza di Potsdam, quando W. Churchill non sapeva ancora se sarebbe stato rieletto o no (e difatti non fu rieletto). La conferenza si era tenuta nei pressi di Berlino, subito dopo la resa tedesca, e gli alleati occidentali attendevano con ansia l'esito del cruciale esperimento atomico americano, che ufficialmente si sarebbe svolto il 16 luglio ad Alamogordo, nel Nuovo Messico (si veda, in particolare, la ricostruzione dei fatti data da D. Elstein, in Enciclopedia Militare Rizzoli-Purnell, op.cit., vol. VI, pag.483 ss.). E' nostra impressione che l'incertezza o la confusione delle 'date' potrebbe nascondere qualche 'sospettabile mistero'. Infatti, anche altre ricostruzioni (comprese quelle di parte americana dovute ad es. a Feynman, Dyson e Segrè) appaiono talvolta incerte e contraddittorie. Evitiamo ogni approfondimento, per semplici ragioni di spazio. Basterà soltanto notare le contraddizioni che compaiono addirittura in B.H. Liddell Hart (cfr. Storia della seconda guerra mondiale, Mondadori, 1996, pag. 965), il quale fa propria la versione stessa datane da W. Churchill nella sua monumentale opera sulla Seconda guerra mondiale.

Quella notte, a cavallo tra il primo e il due maggio, Bormann è sparito dal 'bunker', tentando la fuga da Berlino. Simon Wiesenthal, il noto cacciatore di criminali nazisti, è dell'opinione che effettivamente Bormann sia morto proprio durante la fuga, meglio che si sia avvelenato, constatando ogni impossibilità di forzare l'accerchiamento (cfr. S. Wiesenthal, Giustizia, non vendetta, Mondadori, 1989, pagg. 137-139). Tuttavia, questa morte è tutt'altro che certa (si sa soltanto che Bormann fu visto da Axmann - il capo della Hitler Jugend, uno dei dirigenti nazisti più vicino ad Hitler negli ultimi tempi - accasciato a terra, ma non ferito e sanguinante, ed anche da altri scampati all'accerchiamento russo). Secondo Trevor-Roper (cfr. 'prefazione', op.cit.) la questione relativa a Bormann rimase insoluta fino al 1972, quando durante i lavori di costruzione in quell'area dove erano stati visti l'ultima volta i due transfughi (nel quartiere berlinese di Moabit, fra la Lehrterbanhof e la Invalidenstrasse: cioè i corpi supini di Bormann e di Stumpfegger, il medico personale di Hitler dopo Morell), furono per caso trovati i resti di due scheletri e si poté riconoscere, in particolare dall'arcatura dentaria (per i dettagli del riconoscimento medico-legale, cfr. Storia Illustrata, n.189, agosto 1973, pag. 4-5), proprio quello di Bormann. Quindi, la testimonianza di Axmann ed altri, sarebbe esatta, col piccolo particolare, però, che i due non erano stati colpiti alla schiena, ma si erano (ambedue) avvelenati. Una storia, questa, che ha, comunque, qualcosa d'incerto, o piuttosto, secondo noi, di 'incredibile'.

In ogni caso Bormann fu processato in contumacia a Norimberga e fu giustamente condannato a morte. Ma allo storico processo contro i criminali nazisti mancavano tutti i massimi esponenti del regime, e la morte di Goering (che si sarebbe suicidato con un fiala di cianuro passatagli dentro un pezzo di sapone dal generale Bach-Czelewski) è anch'essa connotata da molte stranezze. Quando si dice il perfido, inafferrabile 'Klingsor'..

18. Ora apriamo un'altra 'finestra'. Madaleine Duke (cfr. mensile Historia, n. 31, anno IV, giugno 1960, pag. 80 ss.) racconta, in prima persona, di quando nel 1946, a Vienna, prese parte attiva alla 'fuga' dai Sovietici dello scienziato atomico tedesco Hans von Hassler e dei suoi due assistenti Dornig e Kellerman, tutti e tre scomparsi subito dopo la caduta di Berlino. Ciò prova due fatti: che gli scienziati tedeschi erano 'merce' ambitissima, e, in moltissimi casi, che essi erano effettivamente riusciti a scampare ai Russi, fuggendo verso occidente da Berlino accerchiata.

Nel numero 12 di Historia del novembre 1958 (anno II, pag. 44 ss.) figura invece, sempre in prima persona, un articolo di H. Schaeffer sulla missione segreta (sempre in completa immersione) del sommergibile tedesco U-977 (analoga avventura quella dell'U-530), diretto in Argentina subito dopo la caduta di Berlino, e perciò sospettato di aver trasportato, dopo un lungo e pericoloso viaggio, proprio il Fuehrer sulla spiaggia del Mar del Plata. L'autore respinge l'accusa, ma non chiarisce affatto lo scopo di quell'ultima missione, caratterizzata invero da molte stranezze, compreso un <<ordine degli Alleati>> (sic!) <<trasmesso al sommergibile in pieno oceano>>, che la fa restare avvolta nei soliti veli del 'mistero'.

La nostra 'ipotesi Klingsor' (ispirata ben inteso al romanzo di J. Volpi, che invitiamo a leggere) è al suo epilogo. E se questo sommergibile, poniamo, avesse invece trasportato in Argentina proprio Bormann e Majorana? Scatenando adesso la 'fantasia' (un'incredibile 'realtà romanzesca'), le cose potrebbero essere andate così.

19. Majorana si trovava a Berlino-Dahlem, all'Istituto di Fisica. Il 25 aprile, forse qualche giorno prima, era fuggito dal pericolo di venire catturato dai Russi, rifugiandosi nel centro di Berlino, che ancora resisteva. Lo sapeva bene Bormann: glielo avevano confermato sia Speer che Goebbels, ed anche la stessa incredibile 'missione' von Greim. Cosicché quella notte andò a prelevarlo per portarlo con sé, fuori da Berlino, già tutta in mano ai Russi. Il preziosissimo 'ostaggio' scientifico era ambitissimo dagli Americani, da questi soltanto, che ne erano a conoscenza proprio per via di Fermi. Già dal 1939 gli Americani sapevano, infatti, che il progetto atomico tedesco poteva avvantaggiarsi dell'apporto scientifico di M., un grandissimo fisico alternativo a Fermi stesso, che aveva inscenato nel 1938 un 'suicidio' al solo fine di far perdere le sue tracce. In ogni caso, questo grandissimo fisico teorico doveva essere comunque sottratto ai Russi. C'era un grandissimo interesse militare e ciascuno era forzato a mantenere il segreto. La bomba atomica non era un giocattolo, ma l'arma fondamentale del dominio del mondo.

Bormann aveva già da giorni programmato questa possibilità, sulla quale aveva fatto affidamento lo stesso Hitler, soprattutto dopo l'improvvisa morte dell'odiato Roosevelt, nei drammatici frangenti della battaglia di Berlino, risoltasi in modo disastroso per i tedeschi, ed il sorprendente arresto dell'avanzata delle armate alleate occidentali, che pure avevano attraversato l'Elba, con Berlino già a portata di mano prima dei Russi. Ma i termini di un accordo con gli alleati occidentali non erano stati raggiunti da Hitler, che pure confidava sui contrasti occidentali nei confronti dei sovietici, né poteva esserlo per varie ragioni, non ultima la spietatezza e la stessa abiezione morale del regime nazista. Bormann ne era perfettamente informato. Morti Hitler e Goebbels, egli poteva contare questa volta sulla possibilità di uno scambio, senza alcuna complicazione politica. La cosa si poteva fare benissimo, in modo occulto e con ogni copertura possibile. Bormann aveva perciò predisposto un suo piano di fuga, ne conosceva tutti i dettagli, e quella notte non si affidò al caso avendo presenti i possibili percorsi sotterranei nei meandri di Berlino, distrutta dai bombardamenti. Se per caso M. fosse già oppure fosse rimasto ferito nel tentativo di fuga, c'era anche un medico a soccorrerlo, proprio Stumpfegger. Questo vorrebbe la 'logica', se una logica ci può essere in questioni così altamente ipotetiche, fondate su una lunga catena di deboli inizi.

Heisenberg aveva confermato la veridicità degli elementi d'informazione già in mano americana. Quindi, già dal 23 aprile, cioè la data riportata da F. Prattico, egli poteva aver avuto un primo abboccamento con i servizi segreti, a proposito del tentativo ufficiale portato avanti da Hitler in persona. Hitler stesso aveva fatto in qualche modo assegnazione sul segreto atomico tedesco, la cui mancata attuazione era più che altro dovuta ai bombardamenti alleati, piuttosto che alla reale mancanza di un progetto o di adeguati mezzi tecnici. La teoria c'era già tutta. Si poteva sperare, con quella carta in mano, in una sorta di ultimo, disperato tentativo di salvezza, attraverso una pace separata, che avrebbe in qualche modo potuto, egli credeva, preservare l'assetto politico della Germania nei confronti della terribile vendetta dei Russi. L'arma atomica tedesca avrebbe potuto indubbiamente interessare gli Americani. In ogni caso questo prezioso ostaggio scientifico, cioè Majorana, poteva essere la migliore pedina di scambio: quella che, in definitiva, avrebbe salvato la vita a Bormann (che dunque non poté essere sottoposto al processo di Norimberga, dove appunto avrebbe potuto rivelare quei retroscena destinati invece al più fitto ed impenetrabile dei moderni segreti militari). Martin Bormann, da sempre grigio e spietato manovratore da dietro le quinte, era divenuto negli ultimi tempi, l'unico vero fiduciario di Hitler, il depositario di ogni possibile segreto del regime nazista agonizzante.

La missione Alsos era perfettamente informata. Sapeva infatti dove si trovava Heisenberg. Occorreva soltanto vagliare le ulteriori notizie su M., e soprattutto soppesare l'effettiva importanza dei 'documenti' che potevano essere acquisiti. Fu dunque l'incolpevole M. a fornire gli elementi necessari al completamento del progetto atomico americano, quelli che avrebbero di lì a poco (circa tre mesi dopo), condotto alla prima esplosione sperimentale di Alamogordo, cioè alla 'nascita dei gemelli', come apprenderà in modo riservato W. Churchill, alla conferenza di Potsdam, dai propri occhiuti servizi segreti.

20. Bormann sarebbe quindi scampato da Berlino (non morì perciò nel tentativo di fuga) con M. in ostaggio, sottraendosi ai Russi attraverso un percorso sicuro, forse anche aiutato a un certo punto dai servizi segreti americani. Axmann (se la sua testimonianza è credibile quanto al luogo), lo vede soltanto riparato a terra. L'altro compagno di fuga, forse, non è più il dottor Stumpfegger, ma addirittura Majorana (Bormann era alto come M., soltanto un metro e sessantotto). Bormann poté quindi riparare in Argentina con la protezione americana, e qui sarebbe morto molti anni dopo (altro 'giallo' irrisolto, fino a quando vi mise mano il procuratore generale di Berlino nel 1972, con una soluzione 'tombale'). Soltanto dopo la vera morte di Bormann, sarebbe stato inscenato dai servizi segreti americani, con la complicità di quelli tedeschi occidentali, il ritrovamento del cadavere, sepolto sotto le macerie di uno scavo edilizio. Fuggire da Berlino non era impossibile. Ci riuscirono in molti, comprese le due segretarie di Hitler. M. fornirà anche i calcoli di 'implosione' della bomba, senza i quali le testate americane, già allestite, ma non completate, sarebbero risultate inutili, in specie quella al plutonio. Il progetto americano di 'fissione', che si era arenato su difficilissime questioni matematiche, non potute risolvere neppure da Von Neumann (il costruttore del primo calcolatore elettronico - al quale i tedeschi erano però già arrivati nel 1944: per una sorprendente coincidenza, proprio mentre stiamo scrivendo queste pagine, appare su Dossier intelligence, Mensile di Storia Geopolitica e dei Servizi Segreti, Ed. Olimpia, Firenze, N.3, agosto 2002, pp. 78-82, un articolo di Marco Sommaruga, dal titolo " Il primo computer nacque in Germania"), scienziato dalle capacità mnemoniche leggendarie, che negli Stati Uniti faceva spesso a gara di abilità matematica con Fermi (il quale in anni precedenti, sempre munito del solito regolo, veniva sistematicamente sconfitto da M., che invece faceva i calcoli a memoria, girandosi di lato della lavagna, in quell'aula della facoltà di fisica di Via Panisperna, in cui i due erano spesso venuti a diverbio, dandosi reciprocamente dell' 'asino'), può dunque riprendere in pieno, e di lì a poco, il 16 luglio appunto, potrà essere effettuato, ad Alamogordo, il 'Trinity test', al quale assistono, tra gli altri scienziati, anche Fermi e Segrè.

Ma qui si nasconde, indizio non secondario, l'enigma stesso delle date, tanto che non possiamo non accennarvi ancora una volta. Narra lo storico inglese Liddell Hart, nella sua fondamentale Storia della seconda guerra mondiale, che nel pieno corso della conferenza di Potsdam venne recapitato un telegramma a Churchill, con l'annuncio della 'felice nascita dei gemelli', proprio il 'giorno prima' (sic!). Le date riportate da questo grande storico inglese sono testualmente il 13 e il 14 luglio (sic!), del resto quelle stesse riportate da Churchill nella sua grande opera storica. Il 'Trinity Test' sarebbe invece ufficialmente avvenuto alle 5.30 della mattina del 16 luglio, ora locale. L'esplosione sperimentale riguardò 'Fat Man' (il grassone), cioè la bomba al plutonio, che esploderà sul Giappone soltanto il 9 agosto, mentre 'Little Boy' (la testata all'uranio) era esplosa il 6 agosto. Qui qualcuno sbaglia. Forse Churchill stesso?? Da parte nostra ci limitiamo soltanto a sollevare un 'dubbio', che ci sembra tutt'altro che trascurabile.

21. Ci sono altre stranezze. Vediamole. Alla fine del 1942 si diffuse in America il terrore che Hitler si accingesse a lanciare sulle città 'bombe piene di materiale radioattivo'. Questa paura si era rinnovata in occasione dello sbarco in Normandia. Ma questo estremo pericolo non si concretizzò mai, così come non vennero mai usati i terribili gas tossici, il Sarin e il Tabun, sempre fabbricati a Berlino, che senza possibilità di difesa penetravano sotto le maschere. Forse perché i tedeschi non disponevano affatto di materiali radioattivi inquinanti e mortali, o forse per qualche altra ragione.

Invece, subito dopo l' 8 settembre del 1943 ed i primi del 1944, gli addetti militari della 'missione Alsos'(ed è questa una circostanza che dovrebbe far riflettere seriamente) frugarono 'tonnellate di scartafacci', prima all'Università di Napoli (sic!), e poi a Brindisi e a Taranto (cfr. M. Bar-Zohar, op. cit., pag. 40, ed U. Bartocci, op.cit., pag.109). Quindi, nel 1944, i militari dell'Alsos interrogarono insistentemente e a lungo, a Roma appena liberata, il fisico Edoardo Amaldi (nato nel 1908), allievo di Fermi, il 'cucciolo' dell'istituto di fisica di Via Panisperna, che conosceva molto bene Majorana. Lo stesso Fermi fu sollecitato dai servizi segreti a fornire ogni elemento utile sui propri amici e collaboratori italiani. Perché mai??

Successivamente, il giorno stesso dello scoppio dell'atomica in Giappone (6 agosto), Goudsmit, che si trovava a Berlino, e, si noti bene, non aveva in alcun modo preso parte al 'progetto Manhattan', fu 'arrestato' dalla polizia militare americana, e 'messo in sicurezza'. Per quale motivo??

La nostra fumosa e rocambolesca 'ipotesi Klingsor' (non certo il romanzo di Volpi), si colora sempre di più di tinte 'gialle', e non si tratta di 'realismo fantastico' alla Pauwels e Bergier, bensì di un 'quadro indiziario' quanto meno 'inquietante', anche se magari non del tutto convincente ed anzi piuttosto incredibile nel suo raffazzonato 'collage'.

22. Ma c'è, ancora, un'altra serie di fatti sorprendenti. Il 19 aprile Hitler aveva annunciato che si sarebbe combattuta la 'battaglia decisiva' di Berlino, impiegando tutte le riserve (cfr. A. Speer, op. cit., pag. 554). Il 20 aprile egli festeggiò lugubremente l'ultimo compleanno (tra gli altri gerarchi era presente nel bunker anche il ministro Speer). Il 22 aprile sembra avesse già manifestato l'intenzione di suicidarsi (cfr. Speer, op. cit., pag. 560), ma è questo il giorno in cui Goebbels decide di trasferirsi nel bunker. Il 23 aprile (cfr. pag. 561 ss.) Speer, il quarantenne ministro degli armamenti e dell'industria militare, si presenta - un'ultima volta - nel 'bunker' del Fuehrer, per ripartirne alle 4 di mattina del giorno successivo. Da Rechlin, dove aveva appreso che non era più possibile raggiungere Berlino via terra, si era fatto portare, con un aeroplano da turismo, all'aeroporto Gatow, all'estremità occidentale della capitale, per raggiungere poi il 'bunker', atterrando sull'Asse est-ovest, poco prima della Porta di Brandeburgo, 'provocando spavento tra i rari automobilisti' (sic). Giunto in presenza di Hitler, Speer ammette tutte le sue 'colpe' quanto al 'sabotaggio' dell'ordine di distruzione totale degli impianti produttivi e militari, impartito giorni prima da Hitler, che in tutti i modi egli aveva cercato di eludere per il bene stesso del popolo tedesco. Ma il Fuehrer, sorprendentemente, non lo fa arrestare, ed anzi la conversazione continuò, spostandosi su molti altri temi. <<Stranamente, quella notte, Hitler era molto sereno>> (cfr. Trevor-Roper, op. cit, ed altri). Diversa, invece, è la versione fornita in prima persona dallo stesso Speer, che racconta anche dei suoi precedenti tentativi (a partire dalla seconda metà di febbraio) di uccidere il tiranno rinchiuso nel suo bunker, prima con il Tabun, e poi con gas convenzionali, ma alla fine non se ne fece nulla. Questo 'episodio' (tutt'altro che convincente nella sua sostanza), sembra introdotto ad arte da Speer per nascondere 'qualcosa', cioè i veri motivi di quest'ultimo sorprendente incontro, destinati a restare nell'ombra del mistero (a parte l'elemento personale). Hitler aveva sperato che come Federico II di Prussia, nella guerra dei Sette Anni, si era potuto salvare proprio all'ultimo momento, accerchiato da tutti i suoi avversari, così l'improvvisa morte di Roosevelt avrebbe rovesciato, in qualche modo, la situazione nei confronti dei Russi, come racconta Carlyle, a proposito dell'alleanza contratta da Caterina di Russia, poi sfaldatasi con la morte della zarina. Hitler confidava infatti che con la nomina di Truman, avvenuta il 12 aprile, appena pochi giorni prima, subito dopo l'improvvisa morte di Roosevelt per un 'ictus' cerebrale, sarebbe completamente mutata la politica americana nei confronti della Germania accerchiata. Egli confidava nella rottura politica tra gli alleati occidentali e i Russi, in una pace separata ad ovest, e nel tamponamento tedesco del conflitto ad est. Se questo è vero, non è pensabile che il regime nazista non potesse disporre di qualche carta giocabile, ad es. lo stesso segreto atomico, come contropartita. Ed infatti Hitler, che era restato a Berlino fino all'ultimo momento, senza aderire alle possibilità di fuga che nel frattempo gli venivano avanzate un po' da tutte le parti, era nettamente contrario ad ogni possibilità di pace (malgrado i vari tentativi di Goering, Himmler ecc.), che egli stesso non avesse potuto gestire in prima persona, evidentemente secondo un preciso disegno. Bormann conosceva molto bene la situazione. In realtà, si tratta di una continua altalena di estremi tentativi e di oscillanti umori, dove alla fiammella della speranza, che si riaccende, succede subito dopo la più nera disperazione, tra i sordi scoppi delle granate russe che fanno tremare il bunker di Hitler, che ancora una volta ha rifiutato di rifugiarsi nel 'ridotto alpino', dove avrebbe potuto recarsi, al più tardi, la notte a cavallo tra il 23 e il 24 aprile, malgrado lo stesso Bormann avesse cercato, per questa soluzione, anche l'appoggio di Speer, quasi implorandolo quella drammatica notte. Dunque, nel frattempo era già fallita anche quest'ultima possibilità, o piuttosto è Speer a mentire, inventandosi questa particolare circostanza…

Ma quale poteva essere il 'reale fondamento' di questa altrimenti improbabilissima speranza, alimentata anche da Goebbels? Perché Hitler avrebbe solennemente dichiarato <<Dio mi perdoni gli ultimi minuti della guerra>>?

Anche in questo caso gli storici tacciono, evitando di affrontare la questione della 'disperata resistenza' nazista, fino al crollo finale. L'ordine drastico di Hitler, poi sabotato da Speer, di fare letteralmente terra bruciata (e soprattutto di far evacuare milioni di persone dalla Ruhr), era davvero una forma criminale e spietata di estrema e rabbiosa reazione contro lo stesso popolo tedesco, colpevole ai suoi occhi di tiranno, oppure ci viene nascosto (ancora una volta) qualche 'oscuro mistero'?

Allo stesso modo, Mussolini, nell'ultimo discorso al Teatro Lirico di Milano nel dicembre del 1944, aveva fatto accenno alle 'armi segrete' dei tedeschi, capaci di rovesciare le sorti di una guerra altrimenti perduta. Quest'accanimento disperato delle forze dell'Asse era alimentato da qualche remota speranza? Afferma il Duce della R.S.I., in un passo di questo discorso: <<Non si tratta di armi segrete, ma di armi nuove che - è lapalissiano il dirlo - sono segrete sino a quando non vengono impiegate in combattimento>>. Non ci sembra che l'appello del regime agonizzante alla speranza di formidabili armi segrete capaci di rovesciare le sorti di una guerra altrimenti perduta, fosse soltanto il frutto avvelenato delle invenzioni propagandistiche di Goebbels. Ci sembra invece più plausibile che qualcosa di vero potesse esserci. E quest'arma poteva essere soltanto la bomba atomica, anzi il segreto atomico tedesco (che tale resterà per sempre).

23. Il 24 aprile l'accerchiamento di Berlino è ormai completato. Rispondendo alla convocazione di Hitler, il generale von Greim raggiunge Rechlin, e all'alba del 26 aprile, con i Russi che si trovano ormai a poche centinaia di metri dalla Cancelleria, scortato da un gruppo di caccia, prende il volo per l'aeroporto berlinese di Gatow. Il pilota del suo biposto Focke Wulf è una donna, la bella aviatrice Hanna Reitsch, fedele fanatica che ha voluto quest'ultima occasione per rivedere il Fuehrer. A Gatow la Reitsch e Greim si trasferiscono su un Fieseler-Storch e, con quest'ultimo ai comandi, volano rasente ai tetti su Berlino in fiamme, per portarsi presso la Porta di Brandeburgo, con il generale che, però, ha improvvisamente perso conoscenza, colpito da un proiettile, ed Hanna è dovuta passare ai comandi. La Reitsch riesce ad atterrare. 'Trovano un'auto, e arrivano alla Cancelleria'. Quale era il vero scopo di questa 'missione impossibile', oltre quello apparentemente dichiarato, invero assai poco credibile a meno di totale follia, della semplice promozione di von Greim a capo della Luftwaffe al posto di Goering? Goering era caduto in totale disgrazia per via dell' 'ultimatum', inviato ad Hitler proprio la notte del 23 aprile, quando Speer si trovava ancora nel bunker, e subito denunziato come un intrigo sleale da Bormann. Al processo di Norimberga, Goering chiamerà, con l'appellativo di 'Bruto', anche il ministro Speer. In questi ultimi giorni tutto si fa confuso. Neppure le memorie di Hanna Reitsch (In volo sulla mia vita) chiariscono qualcosa. Il bossolo della pistola con la quale Hitler si sparò alla testa non fu mai ritrovato. In un incontro del 26 maggio 1945 tra l'inviato americano H. Hopkins e Stalin (verbale Pavlov) sarebbe addirittura emerso (sic) che Bormann si fosse allontanato da Berlino 'portandosi dietro il cadavere di Hitler'.

Il 20 maggio, alla fine della guerra in occidente, Goering era stato portato dagli americani in Lussemburgo, nel Grand Hotel della località termale di Mondorf-les-Bains, dove si trovavano già altri gerarchi tedeschi, compreso il generale von Greim, che sorprendentemente si suiciderà quattro giorni dopo (cfr. D. Irving, Goering. Il maresciallo del Reich, Mondadori, 1991, pag. 593). Ma un ordine simile poteva benissimo essere semplicemente comunicato, senza doversi presentare di persona, con tutti i formidabili rischi del caso. Di sicuro c'è qualcosa che non quadra. Noi crediamo possa trattarsi degli ultimi tentativi fatti da Hitler per trovare un estremo accordo con gli Americani. Quindi, non soltanto dovevano venire sconfessati e respinti tutti gli altri separati tentativi di armistizio, portati avanti dagli altri gerarchi del regime, ma si doveva trattare pur sempre di una possibilità, realmente spendibile, di una trattativa diplomatica magari mettendo sul 'piatto' i fondamentali segreti militari nazisti: ad es. quello atomico (e questo spiegherebbe la presenza di Speer nel bunker, un'ultima volta, dopo il compleanno del 20 maggio) e quello aeronautico (aerei a reazione, missili ecc.: e questo spiegherebbe la parallela missione von Greim). Un quadro del genere risponderebbe, effettivamente, a molte domande, che sembrano ancora senza risposta, sicché fino a oggi ci si è dovuti accontentare di una sorta di disperato 'mito nibelungico' per giustificare le 'ultime ore di Berlino'. Accusare di 'follia' il pur sanguinario Hitler, è stato sempre un comodo alibi. Occorrerebbe invece guardare fino in fondo nel 'pozzo oscuro' dei fatti, sul quale gli 'storici' potrebbero aver messo il loro più o meno involontario sigillo.

24. Passano alcuni giorni (siamo arrivati alla sera del 28), e la Luftwaffe del generale von Greim compie ripetuti sforzi per liberarlo dalla trappola di Berlino. Alla fine, un piccolo apparecchio, un aero-scuola Arado 96, riesce ad atterrare intatto sull'Asse della Porta di Brandeburgo cosparso di crateri. Bormann si era domandato, nel frattempo, cosa <<stessero a fare i due>> (così le fonti). Si è fatta l'alba del 29, e von Greim, gravemente ferito, viene trasportato da un carro armato, per superare le poche centinaia di metri che separano la cancelleria dall'Asse sud-ovest. Von Greim deve immediatamente recarsi da Donitz, a Ploen, per catturare il traditore Himmler, che aveva intavolato un tentativo segreto di pace separata! Hanna Reitsch, con una abilità straordinaria, riesce a far decollare l'Arado, riconducendo von Greim a Rechlin. Perché tutto questo? Con quale vero scopo, se non quello, 'ragionevolissimo', di un'ultima, estrema possibilità di accordo con gli alleati occidentali?

Il 30 aprile, verso le 15.30, Hitler si suicida. Il giorno dopo si suicida Goebbels, con tutta la sua famiglia, dopo il fallimento notturno dell'estremo tentativo di armistizio, questa volta con i Russi, condotto dal generale Krebs. La notte tra l'1 e il 2 maggio, Bormann ed altri, però suddivisi in gruppi diversi, tentano la fuga dal 'bunker'. La mattina del 2 maggio (non del 3), Heisenberg è già in mano agli americani del colonnello Pash, ancora dentro le linee tedesche, tra le quali il piccolo nucleo di militari della 'missione Alsos' si è sorprendentemente ed inopinatamente incuneato. L'ipotesi 'Klingsor' connette tra loro tutti questi fatti in un ipotetico quadro del possibile, e come tale la presentiamo.

25. Poiché siamo uomini onesti e ponderati, ci chiediamo se si può effettivamente fare un torto alla 'veneratissima memoria del grande Ettore Majorana', accusandolo appunto di nazismo, malgrado il 'giallo' dei 'taccuini', misteriosamente fatti recapitare, subito dopo la 'scomparsa' e comunque prima della guerra, al compianto Prof. Valerio Tonini. I 'taccuini di Majorana' (meglio degli appunti su cartaccia consunta e quasi illeggibili, scritti con calligrafia falsata e quindi probabilmente apocrifi, andati in seguito perduti durante un bombardamento su Cagliari ma restati impressi nella memoria del Prof. Tonini: cfr. Bartocci, op. cit., pag. 99), restano in effetti un 'mistero', dal momento che non si può certo mettere in discussione la sincerità del Prof. Tonini (il cui fratello Giulio si suicidò negli anni trenta, alla vigilia di una brillante laurea in giurisprudenza, buttandosi già dalla Torre di Pisa).

Certamente, questo scritto dovrebbe soprattutto invogliare a leggere il bel saggio del Prof. Bartocci, ricco com'è di puntualizzazioni, di tantissimi particolari e di tante sfumature. Per parte nostra ci siamo limitati ad argomentare <<l'ipotesi Klingsor>>, azzardando una 'controstoria', ben inteso sul filo stesso della 'traccia' di un romanzo che ce ne offre il pretesto, e cioè una 'realtà romanzesca' che per certi aspetti sembra altresì congiungersi al capitolo sull'alchimia del Mattino dei maghi (dove compaiono gli 'ammonimenti' contro le manipolazioni atomiche del fantomatico Fulcanelli, l'ultimo dei grandi alchimisti..) accanto alle riportate allusioni di P. Kolosimo (in Polvere d'inferno) a proposito dell'ingegner K.

Ma in chiusura vorremmo ricordare almeno due cose. Majorana era un uomo umanamente buono e di animo nobile, un genio autentico, superiore a Fermi (come Fermi stesso riconosceva). Sempre assai controversi sono stati, del resto, i rapporti tra potere politico e scienza (si veda, al riguardo, il bel saggio di D. Minerva e C. Bernardini, L'ingegno e il potere, Sansoni, 1992, con un intero capitolo dedicato alla bomba atomica, come anche le memorie del fisico inglese F. Dyson, Turbare l'universo, ripubblicate di recente da Boringhieri). In quegli anni terribili, quando erano in gioco i destini stessi del mondo, nulla era più neutrale, e gli scienziati erano chiamati a schierarsi dall'una o dall'altra parte, come continuò ad avvenire anche dopo la fine della guerra.

La storia è una congiura. Crediamo davvero che in essa agiscano ed interagiscano gruppi di potere, magari i più diversi tra loro. Se anche Majorana, poniamo il caso, fosse realmente fuggito in Germania, anziché suicidarsi nel Golfo di Napoli (per poi riparare in Argentina alla fine della guerra, dove sarebbe stato effettivamente visto da alcuni testimoni, i quali hanno anche affermato che si faceva chiamare col titolo di 'ingegnere', oppure finire come l'uomo cane di Mazara del Vallo, o piuttosto ritirarsi in un convento come più credibilmente sostenne dapprima Sciascia), la bomba atomica tedesca non è stata mai impiegata (e diciamo anche mai costruita), questo è certo. Forse proprio perché (sempre in ipotesi) vi si oppose Majorana stesso, che non collaborò più; e, a nostro giudizio, egli era uno scienziato superiore allo stesso Fermi, sicuramente in grado di stabilire tutti i fondamenti 'teorici' di una bomba, ancor più potente di quelle 'a fissione', all'uranio o al plutonio, poi seguite negli anni cinquanta dalla bomba all'idrogeno, costruita da Teller in pieno 'maccartismo', che furono appunto sganciate in Giappone, il 6 e il 9 agosto 1945, con la 'cieca forza' del Sole.
 
 


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(Il progetto atomico tedesco era suddiviso in due gruppi tra loro in competizione. Heisenberg non era l'unico punto di riferimento. E' pur vero che ad un certo momento Heisenberg si trovò a capo del progetto del reattore, che però sembra non abbia mai funzionato, ma questo sarebbe soltanto un aspetto parziale e limitato dell'intero progetto. Werner Heisenberg, i cui sospetti di fedeltà al nazismo - malgrado le sue precedenti, tesissime vicende personali con Stark - risultano lungi dall'esser chiariti del tutto, fu prontamente riabilitato, subito dopo l'internamento inglese a Farm Hall, insieme agli altri fisici tedeschi messi sotto osservazione. Rientrato in patria, costruì i primi reattori atomici tedeschi, uno dei quali 'prototipi' fu venduto proprio all'Argentina di Peron, negli anni cinquanta. Nessuno ha mai scritto, ancora, la 'vera storia' della bomba atomica, per quanto alcuni lo abbiano tentato. A raccontare la storia dell'atomica tedesca ci provò infatti Thomas Powers, da un punto di vista alternativo, però seriamente messo in dubbio dal fisico Richard Peierls. Molto oscuri restano sia i motivi che i contenuti del famoso incontro in Danimarca tra Heisenberg e Bohr nel 1941. Traendo spunto proprio dal dramma Copenhagen di Michael Frayn, che raccolse uno straordinario successo a Londra, a Parigi e a New York, Abraham Pais (il famoso biografo di Einstein) spese altre parole su questa vicenda, appunto nella biografia di Bohr. Inoltre pochi sanno che il fisico olandese Samuel Goudsmit, proprio con la pubblicazione delle sue Memorie, sollevò involontariamente, nei primi anni sessanta, il formidabile scandalo della Cellastic, una ditta di Amsterdam, che durante la guerra fungeva da paravento ai tedeschi per l'acquisto di brevetti in tutto il mondo, e che aveva sede nella capitale olandese, nel rinascimentale palazzo Bartolotti, sulla cui facciata spicca ancora il motto: 'Ingenio et Assiduo Labore. Religione et Probitate'. Potrebbe essere questo un distico perfettamente applicabile al 'supergenio' Ettore Majorana, anche a voler dare un credito puramente indiziario all' 'ipotesi Klingsor', qui argomentata in modo alquanto azzardato. Sicuramente, non possiamo professare la certezza di Sciascia, con la quale si chiude assai allusivamente, - <<Ed è vero>> -, il saggio sulla 'scomparsa' di Majorana, che si sarebbe (alla fine) rifugiato in un convento. Ma vorremmo ricordare, in chiusura, la sottile evocazione del Prof. Bartocci: <<…siciliani scompaiono nel nulla, ma un'ipotesi tarda ad apparire…>>. Nessuno sa, veramente, come siano andate le cose. Molti segreti dormono in pace in fondo agli abissi del tempo, e soprattutto negli incartamenti segreti. E intanto, col nuovo secolo, siamo arrivati ad altre orrende 'visioni', proprio quelle presagite dallo scrittore americano, cattolico trappista, Thomas Merton, che (in una profetica poesia, risalente al 1962, cioè a ben prima del progetto stesso delle 'twin towers', ed intitolata <<New York>>) così scriveva (riportiamo soltanto alcuni versi assai significativi): <<Fuse da quale terrore, / da quale miracolo, / quali fuochi, quali luci / hanno smembrato / nella collera bianca / della loro accusa / quelle due torri d'argento e d'acciaio?>> (e viene spontaneo a questo proposito citare dalle Memorie del Terzo Reich di Albert Speer: <<Questa guerra, proseguivo, si era conclusa con l'impiego dei missili teleguidati, degli aerei supersonici, della bomba atomica, e con l'aperta prospettiva di una guerra chimica. Fra cinque o dieci anni, con un missile atomico, il cui impiego sarà affare di una decina di uomini, si potrà annientare in pochi secondi un milione di vite umane nel centro di New York…>>. Questa è la guerra moderna, figlia della precedente...).
 
 


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La nostra 'ipotesi Klingsor' vuol essere soltanto una semplice 'provocazione' ad approfondire gli insidiosi 'misteri della verità', e forse qualche lettore vorrà almeno darci atto che, in effetti, le ultime lettere di Majorana possono celare un qualcosa che ancora sfugge. Se così fosse, avremmo comunque raggiunto un scopo...
 
 


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* Nota della Redazione - Ha suscitato recentemente scalpore la diffusione di una lettera di Bohr ad Heisenberg (mai di fatto però spedita), che mostrerebbe lo schieramento del fisico tedesco dalla parte del Reich nazista al di là di quanto non si pensasse comunemente. A una presentazione di Cesare Medail, apparsa sul Corriere della Sera del 17 febbraio 2002, è seguita sullo stesso quotidiano una replica di Recami, che ci sembra opportuno riportare qui di seguito quasi integralmente:

> Ho letto il bell'articolo di Cesare Medail [...] sul fatto che, secondo una lettera (scritta, ma non spedita) del grande Niels Bohr, non è vero che Heisenberg si sia rifiutato di costruire l'atomica tedesca per Hitler. E' certo interessante che esista una tale lettera. Ma il problema in questione sembra risolto da tempo. Da quando, dopo 50 anni, la Corona Inglese ha reso nota la trascrizione dei discorsi effettuati tra di loro dagli scienziati tedeschi (Heisenberg, Hahn, von Laue, Gerlach, von Weizsaecker, ecc.) che erano stati portati prigionieri in una villa inglese, The Farm Hall. Discorsi registrati mediante microspie di cui gli scienziati (testifica l'Intelligence Service britannico) erano all'oscuro. Da tali parole, e in particolare da quelle concitatamente pronunciate quando seppero dell'esplosione della bomba di Hiroshima, risulta che H. e i suoi illustri colleghi NON avevano voluto costruire l'atomica, convincendo anzi Hitler che tale progetto avrebbe richiesto decenni [...]

(Recami cita le già nominate "trascrizioni" dei colloqui tra i fisici tedeschi: Operation Epsilon: The Farm Hall Transcripts, Inst. of Phys. Publ., Bristol, 1993, attualmente distribuito dalla Univ. of California Press).
 
 


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[Per notizie sull'autore vedi il suo precedente articolo pubblicato in questo stesso numero di Episteme]