Una notula sul contenuto iniziatico effettivo
dei Misteri Eleusini

(Sante Anfiboli)


 



 

"Alla radice dell'Occidente c'è una tradizione spirituale celata, concepita dai fondatori originari delle nostre scienze, ma poi travisata e cancellata con cura, sicché ben pochi ne conoscono ormai i nomi stessi, salvo i rarissimi che sappiano di avere in tasca la storia delle stelle e di poter andare in direzione del futuro soltanto guardando al passato".

(ZOLLA E., Discesa all'Ade e resurrezione, Adelphi, Milano, 2002, p. 96)
 
 

Leggo nell'ottimo libro della filologa classica Marion Giebel I culti misterici nel mondo antico (ECIG, Genova, 1993, pp. 37-38):

Poi, ancora velato, il myste poteva toccare, con l'aiuto del mistagogo, gli Hierà, gli oggetti sacri della cysta mystica. A questo rito rimanda la "parola di passo" (Synthema), tramandataci dall'autore cristiano Clemente Alessandrino, che tutti i mysti dovevano pronunciare successivamente, al momento dell'ingressso nel luogo sacro dell'iniziazione: "Ho digiunato, ho bevuto il kykeon, ho preso [qualcosa] dalla cista (il contenitore con coperchio), l'ho meneggiato, l'ho posto nel kalathos (un contenitore aperto) e dal canestro nuovamente nella cista. Nelle raffigurazioni un serpente si attorciglia intorno al canestro che il myste deve toccare senza timore. Si è supposto che questi oggetti misteriosi - che non dovevano essere necessariamente gli stessi mostrati dallo ierofante durante l'iniziazione - fossero delle riproduzioni dei genitali, come sostengono gli scrittori cristiani; forse si trattava di dolci sacrificali a forma di fallo e di utero. Quindi, mettendo in contatto i due oggetti, l'iniziando partecipava all'origine della vita in tutte le sue forme. Si può però pensare (anche?) a un mortaio e a un pestello, strumenti utilizzati per la macinatura del frumento, con i quali l'iniziando non solo faceva proprio il dono di Demetra, come aveva fatto Trittolemo, ma al tempo stesso si sottoponeva simbolicamente a un processo di trasformazione e di passaggio, come il chicco di grano che muore e porta nuovamente frutto.

Le considerazioni della Giebel lasciano tuttavia profondamente insoddisfatti. Perché? Ma perché sono prive di ogni elementare forma di buon senso.

Ella dice che i Misteri di Demetra erano celebrazioni simboliche:

Ma allora non si capisce la necessità dell'estrema segretezza che doveva essere mantenuta su di essi. Che senso ha mantenere segreta la ripetizione simbolica di qualcosa che si fa quotidianamente nelle campagne o nei talami? Qualcosa che è ben noto a tutti? Sarebbe un esoterismo da baraccone, come tra l'altro obietta proprio Clemente Alessandrino.

O ci si vuol far credere che gli iniziati ai Misteri fossero degli stupidi?

È molto più logico pensare che accoppiamento sessuale e agricoltura fossero impiegati come simboli di qualcos'altro che non era affatto noto a tutti e che veniva tenuto effettivamente segreto.

Già, ma che cosa?

Qui è interessante considerare l'interpretazione degli oggetti sacri come mortaio e pestello - interpretazione proposta da molti dei migliori autori come Burkert, Mylonas ed Eliade -, tuttavia nel menzionarla la Giebel ricade nell'interpretazione "agricola" di cui ho già denunciato l'inadeguatezza.

A ciò aggiungo che solo a un filologo classico poteva venire in mente che a quei tempi il grano si macinasse con mortaio e pestello: è vero che si poteva farlo, tuttavia ciò avrebbe voluto dire impiegare mezza giornata per produrre la farina necessaria a cuocere un panino. Anche allora la farina veniva prodotta con il sistema delle macine e relativi asinelli che le facevano girare. Con buona pace della Giebel, mortaio e pestello non erano affatto strumenti tipici della panificazione, si vede dunque assai male come avrebbero potuto divenirne i simboli.

Ma allora, a cos'altro potevano servire?

Ciascuno a questo punto è libero di rispondere come crede: io di sicuro ho la mia idea. E la mia idea è che mortaio e pestello erano invece strumenti affatto tipici dell'attività chimico-farmaceutica.

Mi si ribatterà: "Ah, la solita alchimia!" Naturalmente non ribatto: ciascuno la pensi come vuole.

Tuttavia faccio osservare solamente una cosa: il culmine del rito era l'ostensione della spiga. È noto che gli iniziati ai Misteri di Demetra erano di due livelli: la gran massa dei mystai e il piccolo numero degli epoptai. A mio modestissimo parere queste due categorie reagivano alla visione della spiga in due modi diversi. Il myste vedendola si riempiva la testa di pensieri edificanti relativi a morte e rinascita e al seme che se non muore non porta frutto: un po' alla Giebel, diciamo. Invece nella mente dell'epopte si formava secondo me qualcosa di simile all'immagine seguente.
 



 


Più eloquente di così si muore. Dopotutto forse la spiga di grano non era nient'altro che un simbolo scelto apposta per la sua singolare somiglianza con certe forme cristalline di un minerale necessario al lavoro alchemico.

In ogni caso adesso non avete più solo mortaio e pestello ma anche qualcosa da pestarci dentro: contenti?

Secondo me quella che ho appena fatto non è una piccola confidenza. Tuttavia è importantissimo che ciascuno continui a pensarla come vuole.

Prosit!
 


- - - - -


 


[L'autore, che preferisce mantenere riservatezza sulla propria persona facendo ricorso a uno pseudonimo, è intervenuto con due suoi contributi anche nel precedente numero di Episteme.]