Lineamenti di metafisica dualistica

(Alberto Donati)

(Morlacchi, Perugia, 2002)


 
















<<La caduta della centralità cosmica dell'esperienza umana, la discoperta dell'ordinamento termodinamico informato al principio di entropia, dell'ordinamento biologico di senso opposto, la rilevazione dell'andamento evolutivo di quest'ultimo, il venir meno della visione armonica dell'universo, l'affermazione secondo cui a fronte della realtà connotata da un divenire creativo non può darsi una causa prima immobilis, la constatazione dell'esistenza di due ontologie etiche contrapposte, rendono inadeguata, obsoleta, la filosofia intellettualistica tradizionale.

Più comprensivamente, lo studio dell'esistente (dell'ens in quantum est ens) rivela la presenza di due forze antagonistiche, l'una tendente verso l'ordine, l'altra, verso il cháos. La via ricostruttiva di una visione d'insieme razionalizzante, che non sia, quindi, semplicemente nichilistica, ovvero, che non sia retrocedente ai fondamentalismi religiosi, vale a dire, alla negazione del Lógos universale (o k o i n o V ), non può che prendere le mosse dalla descrizione di tale dualismo e dalla sua irriducibilità ad una visione monistica del trascendente.

Di conseguenza non è più possibile asseverare una sola matrice metafisica, ma si deve necessariamente concludere per la presenza di due matrici metafisiche. Una volta accertato che il bene ed il male hanno realtà ontologica, pertanto, che il male non è mera carentia boni, la reductio ad unitatem sul piano trascendentale diviene impossibile poiché, ove proposta, essa contraddirebbe questa ontologia.

Ciò induce una profonda revisione del rapporto tra Dio e l'uomo, nel senso che tale rapporto assume la strutturazione propria della relazione organica. L'uomo, dunque, è "instrumentum Dei" e, a seconda della matrice metafisica di cui è espressione, è volto al bene o al male, a realizzare, nel quadro di una relazione necessariamente conflittuale, la corrispondente istanza ontologica.>>

Alberto Donati, professore straordinario di Diritto civile presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Perugia, conclude, con questo lavoro, i suoi studi diretti al rinvenimento del fondamento ultimo del diritto e della giustizia. Tra i contributi pregressi: Elementa juris naturalis, ESI, 1990; La concezione della giustizia nella vigente Costituzione, ESI. 1998; Bioetica, Dio della filosofia, Dio della religione, in "Bioetica", 1999, p. 668 sqq.: Etica darwiniana, in Studi in memoria di Lino Salis, Giappichelli, 2000; Volontarisrno ed intellettualismo nella defìnizione della giustizia, in Studi in memoria di A. Giuliani <I>, VoI, I, ESI. 2001, p. 145 sqq.; Giusnaturalismo e diritto europeo. Human Rights e Grundrechte, Giuffrè, 2002.

Introduzione

Capitolo I - L'oggetto della filosofia

Sezione I - I prima principia speculativa

Le modalità della conoscenza: la conoscenza intellettiva. L'adaequatio intellectus ad rem come suo criterio di verifica

Segue: la conoscenza deduttiva

Segue: la conoscenza induttiva

Unificazione della conoscenza sensibile e della conoscenza intellettiva

Il rapporto tra il divenire e la conoscenza

Sezione II - L'ens in quantunt est ens

Lo studio dell'"esistente in quanto tale" come trascendimento della settorialità delle singole scienze

Segue: dell'homo in quantum est homo

Sintesi dei presupposti della speculazione filosofica

Sezione III - Le connotazioni fondamentali dell'ens in quantum est ens

La veridicità e 1'unità dell'ente in quanto tale

L'inesistenza del nulla

Il tempo e la distanza

Unità di sostanza e materia

Segue

Il movimento

Il principio di causalità e le sue specificazioni: la causalità meccanicistica

La causalità teleologica e le sue sottopartizioni: la causalità per saltus

Segue: la causalità volontaria

Segue: la causalità etica

Il principio di teleologicità

Il principio di causalità e la causa prima

L'analogia entis

Appendice I - La negazione del principio di causalità in Hume

La indefinibilità del concetto di causa

Segue

Appendice II - La negazione della conoscibilità dell'esistente nel pensiero di G.B. Vico

"Verum et factum convertuntur"

Appendice III - La critica di Hegel al principio d'identità

Il primato della coincidentia oppositorum

Appendice IV - La negazione del principio di non contraddizione in Nietzsche

L'incompatibilità tra il principio di identità ed il divenire della realtà

Appendice V - L'idealità del pensato nella filosofia volontaristica

Esse est concipi

Considerazioni critiche

Capitolo II - L'esistenza di Dio nella visione intellettualistica

La rilevanza gnoseologica ed etica dell'esistenza di Dio

La dimostrazione eterologica dell'esistenza di Dio. La sua critica. Inconsistenza di quest'ultima

Critica alla prima obiezione

Critica alla seconda obiezione

Critica alla terza obiezione

La dimostrazione ontologica dell'esistenza di Dio

Capitolo III - Limiti della theologia naturalis

Dio come pensiero che pensa se stesso

Dio come causa initialis e come causa finalis

L'"eterno ritorno dell'uguale"

Il male fisico

Il male morale

La generazione della materia

Bonum est diffusivum sui come ratio della generazione dell'esistente

Il pluralismo delle forme

Segue: la loro immutabilità

La conoscenza

Capitolo IV - I limiti della filosofia scientifica

I contenuti della fisica classica

I contenuti della filosofia scientifica

Segue

Rilievi critici:

a) Il mancato riscontro della dimensione ontologica

b) La reintroduzione, in contraddizione con i propri presupposti, dell'ordinamento finalistico dell'esistente

c) La negazione del principio di causalità

Lo iatus tra la visione della natura e la visione filosofica

Capitolo V - Il dualismo teologico

Sezione I - La teologia veterotestamentaria: il primato del Decalogo

"Principium sapientiae timor Domini"

Il peccato e la sua punizione da parte di Dio

Pentimento e ripristino del Decalogo

L'espiazione

La misericordia divina

La dannazione dell'empio

Il trionfo finale del Decalogo e dei giusti

Segue: l'instaurazione del regno messianico

Sezione II - L'etica neotestamentaria: il primato della charitas

"Dalle opere della Legge nessuna carne verrà giustificata"

La fondazione della charitas divina

Il superamento del peccato mediante la charitas divina

Gesù di Nazareth come unico mediatore tra Dio e l'uomo

Il Decalogo come guida alla charitas

Dalla charitas divina alla charitas humana

Charitas e timor Domini

Sezione III - L'escatologia della vicenda umana nel nuovo Testamento

L'Apocalisse

Il trionfo sul Decalogo

L'estinzione dell'esistente

La nuova creazione

Il periodo di tempo tra la morte e la risurrezione: il letargo dell'anima

La rigenerazione del corpo e dell'anima

La sottomissione del Cristo cosmico a Dio

Sezione IV - Momenti di contrasto tra le due teologie

Il corpo umano come fonte della moralità

Segue

La salvezza dell'empio

L'esaltazione dei "piccoli"

"Nolite iudicare"

Il "dies Domini"

"Diliges proximum tuum"

Il mediatore tra Dio e l'uomo

Le due ontologie etiche

Capitolo VI - Metafisica intellettualistica e metafisica volontaristica

Parte I - La concezione di Dio nella visione intellettualistica

Dio come summa ratio

Dio come summum bonum

Dio come summum bonum diffusivum, ed attractivum

La semplicità divina

La soggezione di Dio alla propria razionalità. La fondazione dell'etica umana

Parte II - La concezione di Dio nella visione volontaristica

Sezione I - La teologia cristiana

La "duplex veritas"

La risoluzione della duplex veritas nel duplex veritatis modus

Critica: la permanenza del contrasto

Segue: la salvezza dell'empio come sua motivazione

Gli attributi del Dio della fede: Dio come exsistentia

L'infinitas come fonte della perfectio e della unitas divine.

Dio come summa veritas e come summa bonitas

Dio come summa voluntas

Dio come charitas, l'unità trinitarietà

La fondazione dell'etica umana sul valore della charitas

Sezione II - Analisi differenziale

Dio come summa ratio e come summa voluntas

La generazione "de ipso"ed "ex ipso"

Dio come armonizzazione dei contrari e come discordantia discordantium

La diversa definizione della giustizia

Il diverso atteggiarsi della imitatio Dei

L'uomo come "imago Dei" e come "imago Christi"

Il libero arbitrio

La morte di Gesù di Nazareth e la morte di Socrate

Mistica intellettualistica

Mistica volontaristica

Sezione III - La teologia volontaristica laica

Dio come exsistentia

Sezione IV - Analisi differenziale

Sintesi delle principali differenze

Il diverso atteggiarsi del rapporto tra etica e dianoetica

La concezione organica dell'esistente nelle due visioni

Appendice VI - Perfectio divina e creatio ex nihilo

L'incompatibilità della creatio ex nihilo con la perfectio divina

Capitolo VII - Il dualismo etico e metafisico

Sezione I - Il malum nella visione intellettualistica

La materia come "primo male"

Il male morale

Limite di questa costruzione

Il benessere dell'empio

Sezione II - Il malum nella visione volontaristica

Il male fisico

Il male morale come male-colpa

"Malum nihil est"

Appendice VII - La relativizzazione dell'etica nella filosofia di Hume

La tesi della indeducibilità del dover-essere dalla sfera dell'essere

I suoi limiti

Appendice VIII - Il bene ed il male nell'"a priori collettivo" di Jung

Il male come "faccia escrementizia" del "Deus absconditus"

Capitolo VIII - Lineamenti di metafisica dualistica

La vita come "adattamento reattivo" all'ambiente

La dialetticità dell'esperienza umana

Il bonum come participatio boni; il malum come participatio mali

Lógos e Cháos. Il dualismo metafisico come spiegazione della dialetticità del divenire

La ratio del rapporto dialettico tra Lógos e Cháos

Segue

Dio come potentia activa

L 'esistente come pars Dei

Dio e l'esistente: il problema delle predicazioni che ne determinano il reciproco rapporto

Le predicazioni nella teologia volontaristica

La risoluzione delle predicazioni nella sola predicazione univoca

La duplicità della predicazione univoca

Principi di ethica nova

Note di chiusura
 
 




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1. Ci sono libri per così dire inerti, che lasciano del tutto passivi in balia del testo, e libri che al contrario accendono l'attenzione del lettore, coinvolgendolo profondamente nei temi d'indagine. Di solito i primi si richiudono in se stessi, mentre i secondi aprono sorprendenti scenari, che abbisognano, al limite, dello stesso contributo di chi legge. Quest'ultimo genere di testi appare dotato d'una sorta di 'motore critico', che attiva il nostro interesse in tutte le possibili direzioni. Si tratta, in questo caso, di lavori di qualità e d'autentico spessore, come sono appunto questi Lineamenti di metafisica dualistica del Prof. Alberto Donati (Morlacchi Editore, Perugia, 2002, pag. 575, di cui 357 di testo e 218 di ricchissime note).

Quest'ultima impegnativa fatica del Prof. Donati non solo è un'interessantissima opera di 'metafisica', ma anche un lavoro di 'filosofia del diritto', quella branca specialistica che si occupa del problema generale del 'diritto' e della 'giustizia', attuale più che mai. Del resto, quest'eccellente libro fa seguito ad altri rilevanti contributi scientifici, il cui elenco e la stessa sequenza cronologica evidenziano il forte ed accresciuto interesse di questo attento giurista verso l'indagine filosofica, e in particolare, nei riguardi di quella corrente di pensiero che va sotto il nome di 'giusnaturalismo' (in contrapposto al 'giuspositivismo' che invece emerse, come orientamento specifico, dopo le prime codificazioni europee - vale a dire il codice di Federico II di Prussia del 1794, il codice napoleonico del 1804, cui seguirono il codice civile italiano del 1865 e poi il codice del 1942, il codice belga del 1900 e il codice civile svizzero del 1901, ed anche il codice austriaco del 1811, che per la verità faceva ancora posto al c.d. 'diritto naturale').

2. Diciamo subito che il termine latino jus va qui inteso come sinonimo di 'giustizia' più che di 'comando' (da jussu, jubere). La filosofia del diritto (vedi per tutti Francesco Olgiati, Il concetto di giuridicità nella scienza moderna del diritto, Vita e Pensiero, Milano, 1950) ha avuto figure di spicco tra i massimi pensatori moderni, ma è indubbio che le sue origini risalgano alla filosofia antica: cioè ai Sofisti, a Platone e ad Aristotele, agli Stoici e ai giuristi romani. Al lettore che ne voglia sapere di più, indichiamo, come riferimento assai utile, anche la Storia della filosofia del diritto (Milano, 1958) del 'neokantiano' Giorgio Del Vecchio, una delle figure di massimo spicco del 'giusnaturalismo' nel panorama italiano del Novecento, che aveva rivendicato, appena agli inizi del secolo scorso, e cioè in epoca di imperante positivismo, il valore 'universale' del diritto naturale.

In qualche modo, 'diritto naturale' e 'diritto positivo' si confrontano e si contrappongono, generando una 'dualità', proprio nel senso indicato e precisato da Donati nel suo lavoro. Sulla scorta del filosofo del diritto Guido Fassò, che riprese nel dopoguerra la tematica del giusnaturalismo, tale contrasto già si evidenzia nell'Antigone di Sofocle, versi 450-457. Propriamente, l'opposizione si rivela tra il decreto del tiranno di Tebe, Creonte, che impedisce la sepoltura di Polinice, il cui cadavere, perciò, deve essere dato in pasto agli uccelli, e il senso di giustizia riposto nel cuore umano. Sotto le mura di Tebe sono caduti, combattendo l'uno contro l'altro, i due fratelli di Antigone, Eteocle e Polinice. Polinice era schierato con i nemici del re della città ed invece Eteocle combatteva in sua difesa. Per questo Creonte ha decretato solenni onori funebri ad Eteocle, mentre ha ordinato che il cadavere di Polinice resti nell'incuria, minacciando di severissime pene chi tentasse di dargli sepoltura. Di nascosto, la pietosa Antigone ci riesce, e condotta davanti al tiranno, ella si appella al diritto naturale, alle leggi non scritte: <<io non credei che tanta forza avessero i tuoi bandi da far sì che le leggi dei Celesti non scritte, ed incrollabili, potesse soverchiare un mortale: che non adesso furon sancite, o ieri: eterne vivono esse; e niuno conosce il dì che nacquero>>. Un esempio di leggi non scritte, cioè di rinvio al 'diritto naturale', ce lo offre lo stesso articolo 2 della nostra Costituzione, dove si afferma che <<la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo>>. A che cosa si riferisce questo articolo? Quali sono questi diritti? Come si fa a riconoscerli? Non sono istituiti dalla legge, perché, anzi, la Costituzione si preoccupa proprio di stabilire che le 'leggi' non debbono violarli. E si possono fare tanti altri esempi: la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti di America del 1776, la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 in Francia, fino alla Carta dell'ONU e alle Convenzioni umanitarie internazionali. E' pacifico che i "diritti inviolabili" dell'art. 2 della Costituzione Italiana (che sancisce tra l'altro il principio di 'solidarietà') non siano i 'diritti innati' (gli "inherent Rights") della tradizione costituzionale protestante ed illuminista, come chiarisce Donati ne La concezione della giustizia nella vigente Costituzione (1998, op. cit.). Di che cosa stiamo dunque parlando? Per San Tommaso la legge naturale è, secondo le sue precise parole, <<partecipazione della legge eterna nella creatura razionale>>. Di fronte al dilemma che Sant'Agostino aveva posto al successivo pensiero medievale - legge in quanto ragione o legge in quanto volontà - S. Tommaso non esita a indicare nella 'razionalità' l'essenza stessa della legge. Questa posizione, a cui resterà fedele, nella sua grandissima maggioranza, il pensiero cattolico, fu invece combattuta da altri teologi nel tardo medioevo. Secondo S. Tommaso una legge positiva non può non essere conforme alla legge naturale. A questo principio sono ancor oggi legati i giusnaturaslisti cattolici, i quali sostengono la non validità, e addirittura l'inesistenza, delle leggi 'ingiuste', cioè contrastanti col diritto naturale. Sembra tutto chiaro ed invece vale l'esatto contrario. Si tratta, in effetti, di una massima incertezza. Per comprenderlo dobbiamo leggere Donati e cogliere l'essenza di questa contrapposizione 'metafisica' tra bene e male, giusto ed ingiusto, e in termini ancor più generali, tra 'vita-morte', quasi nella medesima accezione poetica di Giorgio Caproni: <<Seguita a pullulare vita-morte, tenera ed oscura, chiara ed inconoscibile>>, se può valere questo suggestivo richiamo.

3. Per rendere al lettore appena una pallidissima idea dello spessore di questa formidabile problematica, ricordiamo che una delle aspirazioni del giuspositivismo è quella della "certezza del diritto", e che mentre i Sofisti distinguevano fra un "giusto per natura" e un "giusto per legge", Platone (nel Protagora, 24, 337 d) mette in bocca ad Ippia, uno di questi sofisti, l'affermazione che <<la legge, tiranna degli uomini, alla natura fa molte volte violenza>>. In un altro dialogo (Gorgia, 38-39) Platone fa dire ad un altro sofista, Callicle, l'esatto contrario: che il diritto di natura rifulge quando i forti <<calpestano le legge>>, nel preciso senso che <<conformi alla legge di natura>> sono appunto <<il dominio e la supremazia del più forte sul più debole>>. 'Sub signo contradictionis'. Già dai primordi della storia del pensiero filosofico si incontrano tre differenti versioni della dottrina del 'diritto naturale', come rileva il Fassò, connesse ciascuna con un diverso ideale politico. Si tratta della versione 'teologica' di Antigone (che può anche dirsi volontaristica, perché secondo essa, la legge naturale è posta da una volontà superiore), della versione 'naturalistica' dei sofisti, ed infine di quella 'razionalistica'.

4. Le problematiche filosofiche del 'giusnaturalismo' (ed anche quelle del 'giuspositivismo') sono ovviamente implicate nel grande affresco di pensiero tracciato da Donati, in chiave autenticamente "metafisica". Per gli stoici il principio divino è dato dalla ragione ed è immanente all'universo, identificandosi con la natura. Il giusnaturalismo stoico ebbe successo a Roma, dove fu efficacemente divulgato da Cicerone. L'idea della legge naturale fu trasmessa, più tardi, al pensiero cristiano, e penetrò profondamente nella filosofia e nella teologia morale del medioevo. Nella Lettera ai Romani di San Paolo figura un passo (II, 14-15) in cui l'apostolo rimprovera agli Ebrei, che pure possedevano la legge data direttamente loro da Dio, di non essere migliori dei Gentili (cioè di tutti gli altri popoli). Dice San Paolo che costoro, i Gentili, compiono tuttavia <<per natura>> le opere della legge, così che <<essi mostrano l'opera della legge scritta nei loro cuori>>. E siamo arrivati alla "legge eterna" di Sant'Agostino (De libero arbitrio, I,5), che si rivela come "legge naturale" alla "ragione dell'uomo", poi ripresa da San Tommaso. Eppure si tratta di quel medesimo problema, già affacciato da Platone nell'Eutifrone: la legge eterna, cioè il criterio per definire ciò che è bene e ciò che è male, è posta dalla "ragione" o dalla "volontà" di Dio? Ed ecco che emergono due opposte direzioni: quella della "filosofia volontaristica" e quella della "filosofia intellettualistica", con le quali si apre l'importante 'introduzione' del saggio di Donati, che poi, con somma maestria, ne constata, analiticamente, oggetto per oggetto, momento per momento, le rispettive inadeguatezze, per trarne le logiche conseguenze, alla fine del saggio stesso (cap. VIII).

5. Che si tratti di un lavoro di grandissimo impegno filosofico e di solidissimo impianto concettuale, lo dimostra la stessa articolazione dei vari capitoli in cui il libro si suddivide. Dopo la chiarissima 'introduzione', che costituisce fondamentale 'chiave di lettura' del saggio, seguono un'attentissima analisi dell'"oggetto della filosofia" (cap. I: dalle "modalità della conoscenza" all'ontologia e all'analisi della causalità), il problema dell'"esistenza di Dio nella visione intellettualistica" (cap. II), la disamina dei limiti della "theologia naturalis" (cap. III), i "limiti della filosofia scientifica" (cap. IV), il "dualismo telogico" (cap. V), la "metafisica intellettualistica" e la "metafisica volontaristica" (cap. VI), il "dualismo etico e metafisico" (cap. VII), e quindi le conclusioni (cap. VIII). Il lettore comprende bene che Donati fissa congruamente tutti i "paletti" del suo discorso, essenzialmente rivolto alla concettualizzazione di una 'metafisica dualistica' quale autentico modello esplicativo della complessità globale dell'esperienza oggettiva che abbiamo del mondo. La complessità e compattezza di questo lavoro risultano oggettivamente evidenti. Da qui l'interesse oggettivo per un'opera di tanto impegno.

6. Nel dopoguerra, la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Perugia ebbe, tra i suoi illustri docenti, Massimo Severo Giannini (un giurista di prima grandezza ed una importante figura della 'scuola sociologica' del diritto) che nel 1950 qui scrisse le sue Lezioni di diritto amministrativo ('in nuce' la sua principale opera di giurista), noti civilisti come Adolfo Ravà e Adriano De Cupis, un costituzionalista come Giuliano Amato, uno storico del diritto italiano del calibro di Edoardo Ruffini, due filosofi del diritto di prima grandezza come Umberto Scarpelli (un 'giuspositivista' proveniente dalla scuola torinese di Norberto Bobbio), e un grande 'giusnaturalista' quale fu Alessandro Giuliani, legato da profonda amicizia a Donati (ed anche a Bartocci, l'anima di questa rivista alternativa).

7. In quest'ambito degli studi di 'filosofia del diritto', si passò, allora, dalla Dottrina pura del diritto di Hans Kelsen e dalla Teoria della norma giuridica o dal saggio su Il positivismo giuridico di Norberto Bobbio, in altre parole dallo statualismo e dal giuspositivismo a meditazioni più profonde sull'essenza stessa della 'giustizia'. Su quest'ultima scia si pone Donati, che perviene a conclusioni del tutto straordinarie nel suo ultimo lavoro anche a proposito del 'fondamento' del 'diritto'. Al lettore che voglia dirigersi alla lettura di questo saggio, che qui si tenta in qualche modo di recensire, in forma alquanto limitata ed angusta, affacciamo la carica di suggestione di questi pochi e rapidi esempi (mentre ad es. troverà in Donati, pag. 331, un'interessantissima riflessione sulle contraddizioni inerenti all'abrogazione della legge ripresa dal gesuita spagnolo Francesco Suarez pressoché contemporaneo di Bacone, di Cartesio, di Alberico Gentili e di Grozio). Grozio (Huig de Groot, olandese, 1583-1645), autore dell'opera De jure belli ac pacis (quindi attualissima), che gli rese fama e che fu pubblicata nel 1625, è unanimemente riconosciuto come il fondatore della moderna filosofia del diritto. Grozio aveva di mira il diritto internazionale, voleva cioè determinare i rapporti giuridici che devono correre tra gli Stati in tempo di guerra, sia di pace. Alberico Gentili (nato a San Ginesio nel 1552 e che a lungo insegnò in Inghilterra) aveva scritto (nel 1588-89) il De jure belli, un testo in cui aveva riconnesso il 'diritto delle genti' (o jus gentium), come allora veniva chiamato il diritto internazionale, alle <<leggi non scritte, innate>>, che costituiscono il diritto naturale, e sono dettate dalla ragione. Ma Grozio impostò e trattò il problema in modo nuovo, sulla base della sola ragione, senza alcuna premessa di carattere religioso, come invece nel medioevo. Del resto che Grozio sia il fondatore del diritto internazionale deriva da una ricostruzione riduttiva del suo pensiero, come direttamente mi fa presente il Prof. Donati. Il "bellum" trattato da Grozio individua ogni possibile conflittualità umana, e il principio di giustizia, cioè l'"alieni abstinentia", che egli pone a fondamento delle relazioni intersoggettive, ha pertanto una latitudine corrispondente.

8. Secondo Grozio, il diritto naturale sussisterebbe ugualmente anche se facessimo a meno dell'ipotesi di Dio. Cioè il diritto naturale è tanto immutabile che Dio stesso non può cambiarlo, così come non può Egli mutare certe verità di ragione, come "due più due fa quattro". In realtà Grozio (secondo Fassò) voleva soltanto confutare le opinioni dei calvinisti più accesi, che, volontaristi com'erano, facevano dipendere le norme morali dalla pura e semplice volontà di Dio. Ed in effetti la filosofia del Seicento, come la fisica che allora si era costituita in scienza autonoma, non ammetteva ormai altre fonti di conoscenza, che la ragione e l'esperienza. A parte ciò, dopo Grozio, il giusnaturalismo rimase a lungo la premessa e il fondamento del diritto internazionale, mentre per il giuspositivismo estremo: <<la legge è la legge, il comando è comando>>. Sicché una tragedia toccò proprio al giurista cattolico Carl Schmitt, il teorico del nazionalsocialismo sotto il periodo nazista, a lungo sopravvissuto alla rovine della guerra mondiale e morto a tardissima età, riconosciuto, oggi, come uno dei massimi filosofi del diritto. In rapidissima sintesi, il concetto dell'essenza della politica, secondo Schmitt (ben inteso, il giovane 'filosofo' che operò durante il nazismo, e non il pensatore dell'epoca successiva, che corresse il tiro), è indipendente da altri concetti, come i concetti di buono e cattivo (etica), di bello e di brutto (estetica), di utile e di dannoso (economia), ed è originario di fronte al concetto di "statale" e di "giuridico". A questo punto la peculiare distinzione della politica, alla quale si possono ricondurre tutti i motivi e tutte le azioni umane, è soltanto la distinzione di "amicus" e di "hostis". Conta questo soltanto. Ma la fine della guerra mondiale, con i suoi spettacoli di crudeltà, di inumanità, di violazione di ciò che era sentito inviolabile, fece risplendere davanti alle menti degli uomini l'ideale, forse ingenuo, ma indubbiamente sentito, di una regola universale della condotta umana, possibilmente fatta valere da istituzioni di carattere mondiale. Fu il vecchio ideale giusnaturalistico, come chiarisce il Fassò, ad ispirare la "Carta Atlantica", proposta e firmata da Roosevelt e da Churchill nel 1941, ed a portare poi all'istituzione dell'ONU, in luogo della vecchia Società delle Nazioni. E vi è eco delle dichiarazioni 'giusnaturalistiche' del Settecento nella "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo" adottata il 10 dicembre 1947 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Anche in Italia si ebbe una reazione nell'immediato dopoguerra, con la rinascita del diritto naturale, di cui voce accorata fu, ad es., il civilista cattolico Domenico Barbero (scomparso nel 1963), nell'accesa prefazione al suo Sistema del diritto privato italiano in due volumi, che era il manuale adottato in quegli anni dagli studenti dell'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano. In quegli stessi anni, un grandissimo e prolifico giurista nonché straordinario avvocato, geniale e poliedrico come Francesco Carnelutti, aveva abbandonato la concezione positiva del diritto, per passare al "diritto naturale", fino ad elaborare, negli ultimi anni della sua vita, una sorta di dottrina dell'amore, che gli attirò anche malevoli ironie negli stessi ambienti accademici e giudiziari in cui aveva trionfato in passato. Ma la dottrina del diritto naturale, quando non urtò col positivismo, si trovò contro lo storicismo. Benedetto Croce, studente a Roma, ebbe un giorno l'incarico dal suo professore di stendere un'esercitazione di filosofia del diritto sui "diritti innati" dell'uomo. Ma <<dopo avervi lavorato intorno alcune settimane>> come egli scrive,<<mi presentai infine al professore a dichiarare, assai confuso e umiliato, che nel corso dello studio ero stato tratto a ridurre quei diritti a numero via via sempre minore, e che me n'era poi rimasto tra le mani un solo, e quel solo anch'esso, in ultimo, non so come, era sfumato>>. E di questa opinione egli sempre rimase, sostenendo che le teorie del diritto naturale fossero <<idee malamente accozzate degli scrittori e dei professori>>.

9. A questo punto il lettore non ben introdotto vorrebbe sapere cos'è effettivamente il "diritto", se esso non sia per caso mera prassi, cioè una regola dei rapporti di forza, oppure qualcosa di molto di più. Se, vale a dire, il diritto è "giusto", se esso corrisponde ad una universale istanza di giustizia e di proporzione. La risposta è contraddittoria, e ce lo spiega molto bene Donati. Anzi la risposta di Donati sembra, in effetti, l'unica risposta razionale che possa essere affacciata con assoluta coerenza, rispetto all'esigenza di giustizia che attiene strettamente al diritto in quanto tale. Ma questa risposta non è, va sottolineato, una risposta impossibile. Per Dante Alighieri (De monarchia) il diritto è relazione (come intendeva appunto Carnelutti, e ci sembra, con chiarezza, Donati). Affermava Dante che <<Jus est hominis ad hominem proportio, qua servata societatem preservat, et corrupta corrumpit>>. Giustamente il Prof. Donati mi chiarisce che la definizione di giustizia, intesa come "virtus ad alterum" o come "proportio", è aristotelica, e, comunque, propria di tutta la filosofia classica. E poiché l'argomento mi sta personalmente a cuore, questa utilissima precisazione del Prof. Donati mi offre, qui di seguito, la possibilità di una breve digressione, spero utile anche al lettore.

10. Aristotele distingue anzitutto tra "giustizia distributiva" e giustizia "rettificatrice o riparatrice". Quest'ultima, regola i rapporti scambievoli. A prescindere dall'identificazione in due generi (commutativa e giudiziaria) della giustizia 'rettificatrice', è l'equità il vero criterio d'applicazione della legge, che permette di adattarla al caso singolo, temperandone la durezza. Per rendere chiaro questo concetto, Aristotele paragona l'equità ad una certa misura (regolo lesbio), fatta di una sostanza pieghevole, che permetteva di seguire le sinuosità degli oggetti da misurare. Aristotele teorizzò la 'via di mezzo', un criterio universale di equilibrio e di temperamento. Il giusto mezzo non è un criterio statico, ma deve fare i conti con ogni individuo. Aristotele giunge a dire che questa difficoltà somiglia alquanto all'indovinare il centro di un cerchio. In realtà, egli distinse tra diritto naturale e diritto positivo, e il "giusto mezzo" regola, soprattutto, le situazioni inerenti agli 'eccessi' ed ai 'difetti' del primo. Il criterio di medietà ha valore generale, ed Aristotele lo applica in biologia, in politica, e persino nella logica. Il giusto mezzo nell'etica diventa, quindi, la corretta proporzione (Etica Nicomachea, II, 6, 1106 b 9). Ma è proprio in campo etico che il criterio del giusto mezzo non sembra più del tutto adeguato. Per una moderna sensibilità, etica e diritto possiedono confini labili e indefiniti. L'uno tende verso l'altra, e viceversa. Si tratta di un rapporto 'dialettico', o meglio, dinamico ed instabile. I rapporti del "diritto" sono fondamentalmente "interrelativi", e la loro giustizia sostanziale e legalità formale, tra loro contrapposte in una tensione dinamica che appare inesausta, riposano tendenzialmente su istanze di proporzione e d'equilibrio, attraverso una "dualità" che esprime anche l'alterità delle situazioni di confronto, se abbiamo correttamente inteso questo aspetto, assai intenso e del tutto originalmente risolto, del notevolissimo saggio in esame. Donati ha pagine importanti anche su questo tema, affrontato, in generale, in una visione filosofica di ampio respiro, che del resto sembra l'unica soluzione proponibile nei riguardi del problema 'metafisico' della giustizia. 'Bene' e 'male' si confrontano incessantemente, ma il male non è un 'non essere', una semplice "carentia boni", come sosteneva S.Agostino, sulla scorta del neoplatonismo e del platonismo cristiano. Secondo Donati è invece una 'realtà ontologica', un 'essere' attivo e ben presente. Quindi il problema del "libero arbitrio" deve trovare un diverso inquadramento nell'ambito di un nuovo modello. La libertà di scelta tra bene e male è forse inesistente. Ogni essere umano nasce con un imprinting etico (si tratta di un chiarimento che Donati stesso mi fornisce, e che pone un grandissimo argomento di riflessione), al quale non potrà che attenersi (infatti, "Principium boni aut malis a nobis et in nobis esse", secondo Cujacius). Il 'libero arbitrio' riguarderebbe invece la scelta dei comportamenti idonei per realizzarlo. In altre parole, il bene viene perseguito da chi è buono per sua natura: né per terrore di pena, né per speranza di premio. E mi sembra che Donati abbia ragione per davvero, cogliendo la verità di un fenomeno che continuamente si ripete e la cui causa egli ben individua in termini 'metafisici' pregnanti.

11. Ci siamo dilungati, ma forse non siamo andati fuori del segno. Il libro del Prof. Donati è, del resto, di tale ricchezza e spessore filosofico, che non si potevano omettere dei modesti richiami al contorno, proprio per segnalarne l'importanza e renderne ancor più palesi i contenuti. I limiti e le inconciliabili contraddizioni che Donati scorge ed analizza criticamente e puntualmente, a proposito della 'filosofia volontaristica' e della 'filosofia intellettualista', che tra loro si contrappongono, riguardano, in definitiva, un 'dualismo' trascendente, vale a dire di carattere strettamente 'metafisico'. Due parole occorre quindi spendere sulla 'metafisica', e sul 'dualismo' contrapposto al 'monismo', a tutto vantaggio del lettore, che vogliamo immaginare essere uno studente universitario, bisognevole di un piccolo istradamento, soprattutto coi tempi che corrono, nella c.d. scuola moderna che sembra aver dimenticato, quasi del tutto, le sue vere matrici (si vedano al riguardo alcuni acutissimi rilievi nel sito del Prof. Bartocci). Com'è ovvio, si tratta, da parte nostra, soltanto di semplici e modestissime nozioni al contorno e di qualche richiamo di pura curiosità, poiché è soltanto dal vivo del testo di Donati che va rilevata, direttamente, tutta la questione, nella sua reale complessità. La 'metafisica' è quella branca della filosofia, risalente a Platone e ad Aristotele, che appartiene alla 'teoria della conoscenza', e che come 'filosofia prima' consiste nella 'scienza del reale' considerata 'al di là' delle apparenze sensibili immediate. In realtà, "metafisica" significa soltanto "dopo la fisica", poiché un antico editore pose il libro della Fisica di Aristotele 'subito prima', nella collezione delle opere di questo grande filosofo. Ma, come rileva Bertrand Russell, non è facile discutere della 'metafisica' di Aristotele, se ci riferisce a questo filosofo soltanto, in parte perché dispersa in tutte le sue opere, e in parte perché occorre una chiave interpretativa. Ma è chiaro che una fondamentale opera di Aristotele, non importa se frutto di una sorta di compilazione scolastica, anziché di prima mano come quelle platoniche, è chiamata Metafisica, proprio per distinguerla dalla Fisica. E la si trova, oggi, in edizione italiana disponibile per tutti, nell'ottima collana "Rizzoli" dei classici della filosofia diretta da Giovanni Reale. Giovanni Reale ed Emanuele Severino sono i massimi nomi della 'storia della filosofia' in Italia. Donati si rifà alcune volte a Severino, seguendone alcuni spunti.

12. Quando diciamo 'metafisica', intendiamo riferirci alla conoscenza ultima, alla radice fondante dei saperi. Pure in altri contesti di pensiero, assai differenti da quello di Aristotele, la metafisica si pone "al di sopra" delle varie scienze del finito, e cioè come dottrina della "realtà assoluta". Tale è la metafisica per Cartesio, per Spinoza, per Leibniz, per Berkeley, per Hegel, e via dicendo. Addirittura Carnot intitolò Riflessioni sulla metafisica del calcolo infinitesimale un suo saggio scritto per giustificare i procedimenti di quel calcolo 'sublime', il cui rigore, a quei tempi, era stato messo in dubbio, e la cui giustificazione fondazionale si avrà soltanto alla fine dell'800, con Frege e Dedekind. Si suole peraltro affermare che con Kant termina la filosofia antica e inizia quella moderna. La dimostrazione kantiana dell'impossibilità della metafisica come scienza, non è indiscriminatamente riferita a tutta la metafisica, ma soltanto a quella 'dogmatica', e cioè a quella metafisica che pretende di sostituirsi alla conoscenza dei sensi e dell'intelletto. "La Ragion pura", come rileva Pietro Emanuele, "è una profilassi contro il sorgere della metafisica". L'ambiguo Wittgenstein, proveniente dal Circolo di Vienna del Prof. Sclick, e che poi si accostò a Russell, e, non pago, anche a George Moore, non solo si sdoppiò filosoficamente, ma preferì tacere (memorabile una sua baruffa con Popper, a Cambridge, sotto gli occhi divertiti di Russell). La 'metafisica', che era già contenuta 'in nuce' nell'affermazione della "Via della Verità" della Dea di Parmenide, rispunta, malgrado tutto, anche nella "fenomenologia" di Husserl, dove i "fenomeni" sono autentiche manifestazioni della realtà, sinonimo di essenza, e non mere apparenze kantiane. In Heidegger, che nel 1928 tenne una famosa lezione sul significato della 'metafisica' (da assistente, già dal 1919 aveva preso la cattedra del suo maestro Husserl), la metafisica è riunita nella 'coscienza' dell'uomo. L'essere dell'uomo è un "essere nel mondo", vale a dire un "esserci". L'angoscia svela il nulla dell'esistenza. Già Parmenide aveva chiamato "essere" la realtà, suscitando la diffidenza di Aristotele, che nella Metafisica aveva cautamente constatato che <<l'essere si dice in molti modi>>. Ma "essere", da solo, come può significare qualcosa? Il pensiero moderno si è mostrato assai diffidente nei confronti della 'metafisica', pretendendo di espungerla dal panorama della vera conoscenza. Per Rudolf Carnap, che scriveva nel 1933, e che in questo caso si riferiva ad Hegel, <<poiché tutte le leggi della logica sono tautologiche e vuote di contenuto, esse non possono dirci assolutamente nulla sul mondo reale. Qualsiasi legittimità è perciò negata, e tale è per gran parte per la metafisica>>. In precedenza (1925) C.E.M. Joad, filosofo di Oxford, aveva osservato che <<se Bertrand Russell ha ragione, la maggior parte della filosofia è priva di significato; se egli ha torto, possiamo ancora sperare che, grazie ai metodi seguiti tradizionalmente dalla filosofia, si possa arrivare alla conoscenza della verità dell'universo>>. Secondo Carnap e Russell ogni filosofia, nel senso antico della parola, sia che si richiami a Platone, a S. Tommaso, a Kant, a Schelling, a Hegel, sia che eriga una "metafisica dell'essere" o una "filosofia dialettica", appare, alla luce della critica inesorabile della nuova logica, come una dottrina non falsa nel suo contenuto, ma logicamente insostenibile, e quindi destituita di significato. Il senso di stroncature come queste riposa in una scelta radicale, quella almeno dell'inutilità della metafisica, se non quella della sua improponibilità. Ma vi è un sottile ed ambiguo destino di irriducibile ambivalenza, o un principio di dualità, che contrappone ad es. l'io all'es nella psicanalisi, l'io e il mondo nella filosofia, la mente e la realtà nel principio antropico in cosmologia moderna, le ragioni ultime rispetto alla 'verità' che non si discopre dai suoi travestimenti, la coscienza dagli algoritmi, e la matematica computazionale dalla libera 'scoperta' creativa dei teoremi (su quest'ultimo punto in particolare, si veda ancora il sito del Prof. Bartocci). Più la si respinge, e più la metafisica si riaccosta a noi. Non se ne può fare a meno. Avevano perciò ragione sia Platone che Cartesio. C'è un ponte oscuro tra noi e la realtà diveniente. Un turbine di mistero, che ci coinvolge integralmente. La rinuncia al discorso metafisico costituisce una 'capitis deminutio' del pensiero moderno, una abiura illegittima che svuota l'indagine di ogni sua profondità, come se il mare dell'essere si riducesse a mera superficie.

13. Le critiche del genere accennato, sembrano aver reso inattuale la metafisica nel panorama filosofico moderno, respingendola nell'angolo di un'apparente inutilità, ma così piallando la verticalità del pensiero, con le funeste conseguenze alle quali oggi assistiamo, in modo assai diffuso ed allargato. Ciò non significa affatto che il discorso scientifico deve soggiacere a quello metafisico, ma i due ambiti restano separati e distinti, con la loro rispettiva immagine. Si dovrebbe anzi parlare di 'cattivi maestri', almeno sotto certi aspetti (vedasi http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/listamat.htm), quando si introducano nella scienza forme occulte, mascheramenti metafisici. Del resto, la critica kantiana, fondata sulla razionalità, aprì le porte a correnti assai diverse: l'idealismo, la fenomenologia, ed anche al positivismo logico. Resta comunque intatto il problema 'etico' del fondamento della morale, affrontato in età matura da Kant, nella Fondazione della metafisica dei costumi (1785), dopo che nel 1766, ne I sogni di un visionario spiegati dai sogni della metafisica, si era interessato, in contrasto con le idee professate da Newton, alla pericolosa facilità delle ipotesi 'metafisico-teologiche' e della loro arbitrarietà. Ma il cielo stellato si trova sopra di noi e la legge morale dentro di noi. Ciò che non contraddice, affatto, al reale problema 'metafisico' dei fondamenti dell'etica. Già in Platone l'aspetto etico e quello scientifico procedevano insieme. Il bene si identifica con la conoscenza. E' l'indagine disinteressata che costituisce il bene, come rileva Russell a chiusura de La saggezza dell'Occidente. Per l'uomo una vita non meditata, egli sostiene, non è davvero degna di essere vissuta. Il "tema etico" è dunque centrale in ogni filosofia, ed indubbiamente esso si coniuga all'azione e si impasta con la realtà. L'etica è strettamente correlata al diritto e alla giustizia, come già sapeva benissimo l'audace Antigone. Secondo Aristotele, la 'filosofia prima' ha il compito di mettere in luce i caratteri fondamentali dell'essere, distinguendo gli attributi necessari di esso, da quelli contingenti. In questo senso la metafisica è 'ontologia', cioè scienza dell'essere, e la sua priorità, rispetto alle altre scienze, poggia su di un fondamento puramente logico. La logica, del resto, sembra tenere in piedi il mondo. A ben guardare, il problema dell'essere, e al suo opposto quello del divenire, che rimontano alle correnti di pensiero della prima filosofia greca, quella 'occidentale' di Parmenide d'Elea e quella 'orientale' dello ionico Eraclito (ambedue scrissero un poema sulla Natura), non può dirsi in alcun modo risolto. Né forse mai lo sarà. Il saggio di Popper su Parmenide rivisita, modernamente, una questione fondamentale, che già si era affacciata, in tutta la sua straordinaria consistenza, in un dibattito che si era tenuto ad Atene, presente il giovanissimo Socrate, come ci fa sapere Platone, il quale affronta il tremendo problema della 'conoscenza' soprattutto nel Parmenide, nel Teeteto e nel Sofista. Zenone, accompagnato dal suo vecchio maestro Parmenide, si recò dall'Italia ad Atene, per discutere in modo paradossale, attraverso una 'reductio ad absurdum', il problema dello 'spazio' e del 'tempo', cioè dell'essere e del divenire, tra loro coppie irreconciliabili, ma anche complementari. Zenone formulò all'incirca una quarantina di paradossi, di cui ne restano appena quattro, che ancora oggi danno luogo a sorprendenti interpretazioni 'moderne'. Nel paradosso può infatti nascondersi una autentica 'coincidentia oppositorum' e si potrebbe constatare, in questo senso, la paradossalità di tutta la scienza moderna. La scienza dell'essere nasceva, già a quel tempo, in modo ambiguo e contraddittorio, così come l'arcaico dio iranico Zurvan, alato ed androgino, dà alla luce due gemelli, che gli escono dalle spalle. L'antico mito di Zurvan, padre di Ohrmazd e di Ahriman, è riferito da Eudemo di Rodi, in questi termini: <<i Magi…chiamano il Tutto uno e intelligibile, ora 'Spazio', ora 'Tempo'; da esso sarebbero nati sia Ohrmazd e Ahriman, sia la Luce e le Tenebre>>. Metafisica dualistica, dunque, e non l'uno vagheggiato da Plotino, e altri filosofi ancora. E neppure si tratta della riconciliazione nella dialettica 'triadica' hegeliana, che infatti appare sempre diveniente e sempre provvisoria, volgendo alla 'meta' dell'autocoscienza con un rinvio 'sine die'. La questione è assai complessa, del tutto irrisolta, e vi abbiamo alluso, molto da lontano e in termini del tutto sommari e impropri, soltanto per solleticare la curiosità del lettore ad accostarsi direttamente allo straordinario e singolare 'percorso concettuale' compiuto dal Prof. Donati in questo suo eccellente lavoro in cui egli pone in luce che lo studio dell'esistente (vale a dire dell'ens in quantum est ens) rivela la presenza di due forze antagonistiche, l'una tendente verso l'ordine, o Lógos, l'altra verso il Cháos. I due principi sono di natura trascendente, e dal loro incessante antagonismo si produce tutta la realtà. Si tratta, perciò, di un "dualismo metafisico", come dichiara l'Autore, che appunto esclude il 'monismo', ma non esclude affatto l'esistenza di Dio. La singolarità di questa sorprendente ed originalissima linea di pensiero appare evidente ed assai stuzzicante, non solo per l'addetto ai lavori, ma anche per il lettore colto ed informato. Con ciò vogliamo dire che si tratta di uno di quei libri che vanno assolutamente letti, non fosse altro che per studiarne i limiti (ma scommettiamo, al contrario, che se ne scoprirebbero tutti i notevolissimi pregi).

14. Per comprendere meglio questo percorso, è opportuno fare cenno ai temi essenziali del 'monismo' e del 'dualismo' in filosofia. Il 'monismo' è il sistema filosofico che concepisce la molteplicità come manifestazione di un'unica sostanza: contrariamente al 'dualismo' e al 'pluralismo', per i quali l'essere comprende, rispettivamente, due o più sostanze. Quindi Donati deve partire, anzitutto, dall'analisi dell'essere, e compiere una profonda indagine filosofica, utilizzando un linguaggio del tutto appropriato allo scopo, cosa che gli riesce benissimo, in termini concettuali e di chiarezza espositiva, anche se, all'apparenza, questo linguaggio definitorio sembra modulato prevalentemente su Aristotele e San Tommaso. Ma si tratta soltanto di un'impressione formale, in quanto nel saggio, in realtà, viene impiegato un linguaggio del tutto autonomo e distinto, per quanto si accolga, in senso moderno, il concetto aristotelico di "causa finale", come del resto hanno fatto di recente anche altri studiosi, sia in ambito filosofico che in campo scientifico.

Nella storia della filosofia greca e di quella cristiana, da Platone a Cartesio, è stata comunque prevalente la concezione dualistica, poggiando sulla distinzione tra materia e spirito, tra cielo e terra. Monista è invece Spinoza, col suo panteismo. In filosofia del diritto è monista la teoria (ad es. del Kelsen), che il complesso delle norme giuridiche costituisce un tutt'uno, mentre la teoria dualistica distingue, ad es., tra diritto internazionale e diritto interno. Ma il discorso filosofico di Donati è del tutto originale. Il suo 'dualismo' è compresente in modo originario e del tutto libero, ed attraversa tutte le manifestazioni del reale. Questo dualismo non contrasta affatto con l'esistenza e l'unicità di Dio. Ed è questa la singolarità assolutamente caratterizzante questo sorprendentissimo lavoro. Anzi, Dio è, al limite, l'unificatore di tutti processi. Lo scopo finale si attualizza attimo per attimo, nella direzione evolutiva che risale al significato ultimo della contrapposta dialettica dualistica. Si perviene a questa conclusione in modo necessario, una volta che siano state constatate e verificate tutte le limitazioni che caratterizzano gli aspetti fondanti delle due filosofie possibili: quella 'volontaristica' e quella 'intellettualistica'. In questa analisi, puntualmente capillare, degli accennati limiti filosofici delle due contrapposte correnti, Donati prende in esame (capitoli V e VI) anche il "dualismo teologico" nell'ambito del Vecchio e del Nuovo Testamento, nonché la concezione di Dio secondo le diverse visioni (tra l'altro, ci sono sembrate, queste, le pagine più belle, ispirate, del tutto originali ed oltremodo interessanti dell'intero lavoro di Donati, la cui consistenza non è peraltro scindibile in parti distinte, trattandosi di un discorso serratissimo, senza pause concettuali).

15. Ma veniamo adesso al singolare linguaggio filosofico col quale il saggio è per così dire costruito. Anzitutto Donati utilizza un pertinente linguaggio definitorio a proposito dell' "oggetto della filosofia" (cap. I) e dell' "ontologia", determinandone tutte le proprietà logiche ed espressive. Si può avere, a prima lettura, l'impressione, come detto del tutto superficiale, che questo 'linguaggio' sia stato sostanzialmente raccolto da Aristotele e da S. Tommaso, ma in realtà non è così. Vi è, invece, la ravvisata necessità della totale chiarezza, il dover reperire un'opportuna terminologia, posto che un testo filosofico deve escludere tutte le ambiguità semantiche del linguaggio comune. Nella creazione di questo linguaggio espressivo Donati si giova di tutta la sua sapienza di giurista, abituato alla logica ed assai esperto navigatore tra le sirene e le secche del linguaggio ordinario. Da qui la scelta, coerente, di un linguaggio filosofico assai appropriato agli scopi. Tra l'altro non solo è ben presente nell'Autore lo sviluppo storico del pensiero fino alla modernità attuale, ma accanto a questa matrice, strettamente filosofica, si pongono, altresì, le conquiste fondamentali della scienza moderna, che dalla macro e micro fisica, arrivano a toccare la teoria della complessità e quella della matematica del 'caos'. Com'è ben sintetizzato nella locandina di presentazione del saggio, la tesi fondamentale di Donati è che <<la caduta della centralità cosmica dell'esperienza umana, la discoperta dell'ordinamento termodinamico informato al principio di entropia, dell'ordinamento biologico in senso opposto, la rilevazione dell'andamento evolutivo di quest'ultimo, il venir meno della visione armonica dell'universo, l'affermazione secondo cui a fronte della realtà connotata da un divenire creativo non può darsi una 'causa prima immobilis', la constatazione dell'esistenza di due ontologie etiche contrapposte, rendono inadeguata, obsoleta, la filosofia intellettualistica tradizionale>>. Ne consegue, pertanto, che <<la via ricostruttiva di una visione d'insieme razionalizzante, che non sia, quindi, semplicemente nichilistica, ovvero, che non sia retrocedente ai fondamentalismi religiosi, vale a dire, alla negazione del Lógos universale, non può che prendere le mosse dalla descrizione di tale dualismo e dalla sua irriducibilità ad una visione monistica del trascendente>>. Dunque Lógos e Cháos, due principi contrapposti in una dialettica generativa incessante, oppure, come ama ricordare lo stesso animatore di Episteme, "Ordo ab chao". L'interesse di questa concezione è evidente. Essa potrebbe essere trasposta nei più diversi ambiti di verifica (come in parte fa Donati stesso), ed avere, essa stessa, un solido fondamento scientifico. Non a caso Donati si rifà ai più interessanti pensatori moderni in campo scientifico, come Jung, Monod, Allègre o Prigogine. I tempi presenti sono ormai maturi per un tentativo di sintesi tra scienza e filosofia, che possa raccogliere a senso compiuto il significato della ricerca. La metafisica di Donati è rivolta in definitiva a questo scopo.

16. I principali autori ai quali si rifà il Prof. Donati nel ricchissimo e sapientissimo apparato di note, vanno da Platone ad Aristotele a Plotino, da S. Agostino a S. Tommaso, da Cartesio a Spinoza a Leibinz a Hume e a Kant, da Vico ad Hegel e a Croce, fino a Nietzsche, Husserl, Heidegger per citare i più importanti, e dal Suarez a Grozio a Kelsen in filosofia del diritto, su su fino a Darwin, a Jung, a Monod, a Ruelle, a Allègre, a Prigogine. Sono altresì citati svariati autori greci e latini, medievali e delle epoche successive, con straordinaria ricchezza di riferimenti e il dispiegato ventaglio di una grandissima cultura, oggi alquanto inusitata per la 'nouvelle vague' dei moderni 'giuristi', rapidissimamente pragmatici ed assai spesso vuoti di pensiero. Dopo una serratissima analisi delle rispettive carenze della 'filosofia intellettualistica' e di quella 'volontaristica' (una contrapposta categoria che si presenta particolarmente accentuata in filosofia del diritto, ma che attraversa tutti gli 'oggetti' del pensiero filosofico: dall'ontologia alla logica, dalla filosofia della storia a quella della scienza, dall'etica alla filosofia del diritto e alla teologia), Donati - che riesce ad elaborare una straordinaria visione d'insieme, ottimamente impostata, che tocca svariate questioni filosofiche fondamentali, come l'oggetto e i limiti della conoscenza, la causalità, la filosofia della storia e la filosofia della scienza, la visione teologica vetero e neotestamentaria, il divenire, l'evoluzione, il problema del bene e del male eccetera - perviene alla conclusione (vedi cap. VIII) che non è possibile asseverare una sola matrice metafisica, ma si deve necessariamente concludere per la presenza di due matrici. Una volta accertato, come riesce a fare Donati, che il 'bene' e il 'male' hanno realtà ontologica, pertanto, che il male non è mera 'carentia boni', la 'reductio ad unitatem' sul piano trascendentale diviene impossibile poiché, ove proposta, essa contraddirebbe questa 'ontologia'. Ciò induce una profonda revisione del rapporto tra Dio e l'uomo, nel senso che tale rapporto assume la strutturazione propria di una relazione organica. L'uomo è dunque "instrumentum Dei", e, a seconda della matrice metafisica di cui è espressione, egli è volto al bene o al male, a realizzare, nel quadro di una relazione necessariamente conflittuale, la corrispondente istanza ontologica. Il libero arbitrio e il principio della responsabilità individuale, che fondano i valori etici, restano in ogni caso inseriti in quest'insieme, in quanto la duplicità contrapposta dei principi generativi della realtà, evoluzione ed entropia, corrispondono, in chiave etica, all'esercizio degli indirizzi dell'azione umana, che sempre si traducono in una modificazione del reale. Su di una sorta di scacchiera metafisica agiscono ed interagiscono entità e forze contrapposte che potremmo definire bene e male, azione e negazione, azione e reazione, in una complessità globale che avvince tutti gli aspetti della realtà.

17. Il lettore si domanderà, a questo punto, come si possa giungere a queste straordinarie conclusioni. E il bello è proprio questo: che il libro occorre non solo leggerlo, ma meditarlo profondamente, farlo proprio fino in fondo. A questo punto, un invisibile motore intellettuale si accende per noi, e si è costretti a ripercorrere i passi già letti, a sviscerarli nelle loro ardite pieghe, a rivisitarli innestandovi il proprio patrimonio di sensibilità e di cultura. Il che importa, di conseguenza, non solo un approfondimento dei temi 'fondamentali' della filosofia pura e della scienza moderna (quindi un percorso assai stimolante, raccomandabile anche a studenti universitari in formazione, che vogliano adeguatamente rendersi conto della complessità delle interrelazioni tra c.d. cultura umanistica e cultura scientifica); ma, anche un coinvolgimento a livello personale, appunto quali soggetti 'pensanti', interessati al problema della conoscenza ed anche a quello dell'etica, soprattutto a proposito delle nostre opinioni, dei nostri convincimenti, della nostra stessa personale 'visione' del mondo. Non va infatti dimenticato che Donati è un autentico filosofo, e quindi anche un vero filosofo del diritto, oltre che un provetto giurista. Gli aspetti strettamente di 'filosofia del diritto' restano perciò assorbiti, ma non per questo non affrontati o convenientemente risolti, in una visione generale ed onnicomprensiva. Tale arditezza merita la massima considerazione ed ogni possibile attenzione ai massimi livelli.

18. Il libro del Prof. Donati si apre con la citazione di un bellissimo passo biblico tratto da "Sapienza" 7,30: <<La malvagità non può prevalere sulla sapienza>>. Viene così manifestato, in modo anticipato, il significato più profondo di quell'asserzione, che chiude il saggio stesso (vedi pag. 357): <<Non è l'uomo ad avere bisogno di Dio, ma è Dio ad avere bisogno dell'uomo e, più in generale, dell'esistente, per la piena realizzazione di se stesso>>. Vogliamo ricordare, a chi avrà la fortuna di accostarsi a questo straordinario lavoro di Donati, che negli anni Cinquanta uscì in Francia un film, che suscitò allora molto scandalo in ambienti cattolici, dal titolo "Dio ha bisogno degli uomini". Non si trattava certo di un film blasfemo, tutt'altro. E vogliamo pure trascrivere, per intero, le ultime righe (28-30) del passo di Sapienza (a proposito della "Natura divina e attività cosmica della sapienza"), richiamato da Donati: <<Nulla infatti Dio ama se non chi convive con la sapienza. Essa è più bella del sole e supera ogni costellazione; paragonata alla luce, risulta più splendida; a questa certamente succede la notte, ma la malvagità umana non può prevalere sulla sapienza>>. 'Sapienza' è l'ultimo libro dell'Antico Testamento. Il testo s'intitola "Sapienza di Salomone", attribuzione però fittizia. Infatti l'autore biblico apparteneva alla 'diaspora' giudaica residente in Egitto, ad Alessandria, e il libro fu scritto verso il primo secolo avanti Cristo, in lingua greca. Nel brano che abbiamo voluto riportare poco sopra, figurano, emblematicamente contrapposti, luce e buio, bene e male. I "manichei", alla cui setta, fondata dal persiano Mani, aderì anche Tertulliano, famoso avvocato e retore cristiano del II secolo, ammettevano la coesistenza e la lotta perpetua di due principi opposti: quello del bene, simbolizzato dalla luce e governato dal "padre della grandezza", e quello del male, retto dal "principe delle tenebre", rappresentato dal buio, e identificantesi con la materia. In termini moderni Donati fa giustamente presente la straordinaria importanza di quell'enigma scientifico per cui accanto alla legge di entropia si pone, in contrapposto, il principio di evoluzione, con una concezione già intravista da Theilard de Chardin e dal grande filosofo 'neotomista' francese, Jacques Maritain. Ciò non toglie affatto l'unicità di Dio. Ma Dio si realizza, secondo Donati, nell'umanità, ed Egli è invischiato nel Suo atto di creazione. Il problema etico non solo è del massimo risalto, ma attraversa tutta la nostra libertà. Quindi la battaglia cosmica che si combatte su questa 'scacchiera' dello 'spazio-tempo', ha un suo vero scopo e tutto il suo significato. Scopo e significato di questa lotta o contrasto ineluttabile che si svolge nel mondo, sono di carattere etico, e attengono alla crescita, all'evoluzione, al farsi della vita stessa. Tutto e tutti, la materia e il vivente, sono ricompresi e coinvolti in questa sorta di enigma metafisico, di cui scopo ultimo è il compimento d'un progetto.

19. Non è detto che opere di così grande impegno coincidano per forza con la semplicistica etichettatura, vagamente distintiva, del 'facile' e del 'difficile', secondo l'invalso criterio che purtroppo oggi deve essere risparmiata al lettore ogni fatica. Anzi, i più interessanti nel loro genere, sono proprio i cosiddetti libri 'difficili', quelli cioè che invitano a pensare, e con i quali occorre dunque confrontarsi, impegnando il proprio personale patrimonio di cultura, sensibilità e conoscenza. Lo stile di scrittura può restare, in ogni caso, chiaro e semplice, una volta penetrati nelle categorie del linguaggio utilizzato, che del resto si pone, di stretta necessità, al di fuori di quello definito come linguaggio comune. Densità e scorrevolezza non sono termini antitetici. Il che non vuole dire certamente convenzionalità e terminologia scontata, com'è oggi pratica invalsa, ma soltanto un linguaggio appropriato, strumentalmente efficace, e cioè scientificamente conformato alle necessità della comunicazione del pensiero, tanto più esso si faccia denso e fondante. Ma saranno sempre i contenuti a farla da padroni, in specie in un testo di metafisica, come appunto s'intitola l'impegnativo lavoro del Prof. Donati. E se di per sè, complessa e difficile, è la materia, chiaro e coerente dev'essere, tuttavia, il linguaggio, in grado di esprimerla. I due aspetti, anzi, debbono trovare un loro reciproco equilibrio, cosa questa assai spesso difficile da raggiungere. Donati sembra esserci riuscito, ed è questo un ulteriore merito del suo attento lavoro. Una volta entrati nel testo, colte le sfumature definitorie, tutto appare molto più scorrevole, e ci si trova in definitiva a proprio agio per un confronto concettuale col testo scritto, essendo questo lo scopo implicito di ogni lavoro strettamente filosofico, destinato cioè a fornire ampia materia di pensiero critico. Ci sono libri, pur scritti in modo assai chiaro e scorrevole, nei quali, tanto per adoperare una categoria definitoria, tratta dalle famose Lezioni Americane di Italo Calvino, in cui la "pesantezza", contrapposta alla "leggerezza", è un pregio intrinseco, e, parimenti, una necessità ineludibile. Ma secondo Calvino, appartiene alla categoria della "leggerezza" anche la <<narrazione d'un ragionamento o d'un processo … in cui agiscono elementi sottili ... o qualunque grado di astrazione>>. Il testo di Donati, una volta penetrati, con qualche iniziale difficoltà, nel linguaggio da lui adoperato, scorre chiarissimo, con bellissime pagine di grande densità e profondissimo significato. Questa 'chiarezza' finale nasce dall'impegno e dalla capacità logica di cui l'Autore fa bella mostra, quando si dirige alla difficile e sottile ricerca della verità, e quando scala vette arditissime, in pagine assai profonde e pensate. Nel segnalare questi aspetti formali del saggio non intendiamo tuttavia discostarci dalla sua densità, che anzi abbiamo ben presente, davanti a noi, come pregio fondamentale.

20. Vorremmo concludere questa recensione evidenziando, a questo punto, gli aspetti che maggiormente ci hanno colpito. Conoscevamo il Prof. Alberto Donati già dalla fine degli anni '60, quando giovane ed agguerrito assistente universitario, egli frequentava l'Istituto di Diritto Privato presso il quale ci recavamo per scrivere la nostra tesi. La sua bella e giovane presenza di studioso trascorreva silenziosa, elegante e discreta. I suoi silenzi erano raccolti nel pensiero profondo, lo avevamo già intuito allora, del quale scorgiamo, oggi, tutto lo spessore. Trascriviamo da pagina 337 del saggio in argomento: <<Il rapporto antagonistico tra Lógos e Cháos si sviluppa in tre livelli: il primo, esprime la contrapposizione universale tra queste due entità; il secondo, si rende percettibile nella contrapposizione tra generi e specie provenienti, rispettivamente, dall'una o dall'altra delle due forze; il terzo, è riscontrabile all'interno delle specie, in particolare, in quella umana dove, infatti, è rinvenibile la compresenza sia della componente intellettualistica che di quella volontaristica. L'armonia che regna nell'universo è solo apparente. Si tratta, piuttosto, di una disarmonia, di un processo dialettico attraverso il quale il Lógos sviluppa la propria emancipazione dal Cháos. L'armonia universale è il portato della concezione monistica della divinità e dell'idea di provvidenza che ad essa è correlativa. D'altra parte, la visione dualistica dell'esistente è immanente alle costruzioni teologiche e filosofiche secondo quanto si è già esposto. Nelle cosmogonie è affermata l'esistenza, o la creazione, originaria del caos dal quale Dio avrebbe, poi, tratto l'ordine dell'universo. Per altro, muovendo dalla perfezione divina, non c'è alcun bisogno di postulare la reazione del caos e, quindi, una successiva razionalizzazione di quest'ultimo (come anche ha luogo nella narrazione della Genesi). Resta, dunque, inspiegato questo doppio passaggio, il perché della mancata diretta creazione di un universo ordinato. Il caos, pertanto, è avvertito come realtà originaria, non pretermittibile, donde, a ben vedere, la costruzione intrinsecamente dualistica dell'ens inquantm est ens>>.

I lettori di Episteme conoscono molto bene, oltre al Prof. Bartocci, anche il direttore responsabile della testata, Dott. Euro Roscini, quest'ultimo un convintissimo sostenitore della visione "ternaria". Una breve comunicazione del primo al secondo suonava così: <<…poiché hai un po' contagiato anche me con il "ternario", e pur non essendo d'istinto triadico (troppa abitudine a ragionamenti di tipo diadico, on/off, algoritmi ad albero ecc.), te ne spedisco alcuni che considero significativi in ordine alla matematica (et relata) che andrebbero letti e confrontati nell'ordine (ovvero "colonna per colonna"):

1* Reale / Pensato / Parlato

2* Fisica / Matematica / Semiologia

3* Geometria / Aritmetica / Logica

4* Forma / Ordine/ Struttura

5* Misura / Quantità / Algoritmo

6* Spazio / Tempo / Coscienza

7* Materia / Spirito / Intelletto

Anche il matematico Piergiorgio Odifreddi, nel suo Il vangelo secondo la scienza (Einaudi, 1999, pag. 17: un' indagine 'logica' e 'scientifica' sulle domande 'religiose' che possono avere un senso) accenna ad alcune <<triadi storiche che sostanzialmente interdipendenti e complementari, mostrano una tripartizione della realtà in fisica, psichica e metafisica, della logica in induttiva, deduttiva e dialettica, della fisiologia in muscolare, cerebrale e viscerale, dell'esperienza in sensoriale, mentale e trascendente, dell' attività mentale in conscia, preconscia e inconscia, della conoscenza in naturale, speculativa e mitica, e della religiosità in rituale, teologica e e mistica>>. Non ci dilunghiamo oltre dopo questi rapidissimi accenni, pur segnalando 'en passant', all'attento lettore, che già Popper (in Congetture e confutazioni, sottotitolo "Lo sviluppo della conoscenza scientifica", Il Mulino, Bologna, 1972, pag. 135 ss.) aveva attentamente preso in esame le varie coppie antitetiche o diadiche del pensiero 'dualistico' pitagorico, come ad es. la contrapposizione retto e curvo, pari e dispari, maschile e femminile ecc. Ricordiamo soltanto che per Donati il rapporto antagonistico e duale tra Lógos e Cháos si sviluppa sempre in tre livelli. Hegel pubblicò la Fenomenologia dello spirito nel 1807, e nel 1821 i suoi Lineamenti di filosofia del diritto. Nella "Fenomenologia" viene descritto, quale fondamentale compito della filosofia, il processo della 'coscienza' per giungere alla "comprensione di sé". Già nel mito di Antigone si rivela, per Hegel, la frattura della felice armonia tra legge non scritta e legge dell'uomo. Lo spirito cerca, allora, di conquistarsi nella 'moralità' e nella 'religione', ma solo nella 'filosofia' l'autocoscienza si fa 'spirito assoluto', e la realtà si risolve tutta in 'autoconcetto'. La posizione di Donati è diversa: <<L'esistente, l'uomo, sono le propaggini del Lógos e del Cháos, gli strumenti della loro progressiva realizzazione, della liberazione del Lógos dal Cháos, inversamente, del suo impedimento>>. Con queste precise e chiarissime parole si chiude l'illustre saggio del Prof. Donati sulla "metafisica dualistica", che in queste poche ed incerte pagine abbiamo cercato, coi nostri scarsi mezzi, di presentare, e soprattutto di far conoscere ai lettori di Episteme, sempre molto attenti e vivamente interessati ai grandi temi della cultura e del pensiero. Il teologo Hans Kueng aveva dedicato al problema di Dio nell'età moderna, il suo notissimo Dio esiste? (Mondadori, 1979, più volte ristampato). Donati accoglie pienamente l'esistenza di Dio, ma nega ogni valore al principio esclusivo della causalità 'meccanicistica'. V'è senz'altro, ci deve essere, parimenti, un andamento "teleologico". I mezzi ed i fini tendono a coincidere, e vi sono un piano fisico ed un piano metafisico: ma non vogliamo togliere al lettore il piacere di assaporare direttamente le più che corrette, e del tutto consequenziali, conclusioni di Donati, esposte con grande chiarezza ed essenzialità, nell'ottavo e conclusivo capitolo del suo saggio, le quali riassumono un pensiero assai profondo e molto ben articolato.

La dialetticità dell'esperienza umana concerne anche il diritto. <<Nessuna società umana può sussistere senza un principio di giustizia che presieda alla disciplina delle relazioni intersoggettive. Tuttavia, la filosofia della giustizia non è unitaria, scindendosi, anch'essa, nella filosofia intellettualistica e in quella volontaristica di cui si fanno portatrici le corrispondenti componenti umane. La prima, è incentrata sul primato dei precetti di diritto naturale, la seconda, su un giusnaturalismo asseverante precetti diametralmente opposti>> (vedi Donati, pag. 327).

Già il mondo classico aveva evidenziato la compresenza della filosofia intellettualistica e di quella volontaristica, e a tale contrapposizione si sostituisce, poi, quella tra cultura classica e teologia cristiana, quest'ultima già antagonista dell'intellettualismo 'veterotestamentario'. Basterebbero già questi brevissimi accenni a far balenare, davanti agli occhi del lettore, la profondità e ricchezza degli scenari di pensiero in cui si muove Donati.

Quindi, un testo di tale qualità e spessore, merita senz'altro un adeguato approfondimento seminariale, opportunamente organizzato dalle diverse Facoltà di filosofia, di giurisprudenza e quelle d'indirizzo propriamente scientifico. Ne trarrebbero grandissimo giovamento gli studenti che si accostano alla rispettive discipline senza un'affidabile guida di fondo ed un'affinata capacità di raccogliere quegli elementi critici, che fondano, realmente, il dramma, per così dire sublime, della conoscenza. Il lavoro di Donati ci è parso di grandissimo livello, assolutamente meritorio della massima considerazione nelle sedi culturali e scientifiche deputate. La nostra recensione, che compare su una rivista assai attenta a tutte le possibili 'tracce' della verità, costituisce soltanto il modestissimo riconoscimento da parte di un semplice e comune lettore, il quale, tanto per concludere queste pagine di carattere puramente indicativo, ritiene, in aggiunta a quanto detto, di aver scorto alcuni elementi di contatto, ferme le rispettive diversità, con la Grande sintesi del conterraneo Pietro Ubaldi, un libro uscito nel lontano anteguerra per i tipi della casa editrice "Ulrico Hoepli" (ma ristampato anche di recente dalle Edizioni Mediterranee), favorevolmente recensito, in quella prima occasione, addirittura da Enrico Fermi, che si espresse in termini estremamente elogiativi sottolineandone <<il quadro di filosofia scientifica e di antropologia etico-sociale>> <<che si lascia indietro i tentativi consimili esperiti nell'ultimo secolo, per l'ampiezza della trama e per la novità singolare del metodo>>.

Con identica certezza, ovviamente quella del 'lettore' però fortemente interessato a lavori originali e di genio, possiamo affermare, senza alcun dubbio di smentita, che anche questo saggio del Prof. Alberto Donati è ugualmente destinato a restare negli annali della migliore cultura prodottasi in terra d'Umbria. Questo il nostro più sincero apprezzamento e questo il ben fondato augurio. Infatti, nulla può oscurare "la sapienza".

(Arcangelo Papi)

[Una presentazione dell'autore di questa recensione si trova nel numero 5 di Episteme.]

donatellacina@libero.it