Dalla cultura matematica una lingua … universale

(Umberto Lucia)

 

Nel 1932 Galileo sottolineava l'importanza della scrittura e del linguaggio per la comunicazione ponendo, nella gerarchia delle invenzioni più ragguardevoli, al primo posto l'alfabeto, che consente attraverso gli scritti di comunicare a distanza di tempo e di spazio. Galileo, membro dal 1605 dell'Accademia della Crusca, nel 1612 fece stampare il primo Vocabolario della lingua italiana, mostrando una considerevole sensibilità ai problemi linguistici e della comunicazione scientifica.

Già René Descartes (1596-1650) e Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) avevano avanzato seicento progetti di lingua universale che per le loro caratteristiche, in stretta connessione con le loro concezioni filosofiche e matematiche, sono stati inseriti fra quelli denominati "lingue filosofiche". Descartes sosteneva che sono soprattutto la difficoltà della grammatica a costituire un ostacolo per la comprensione delle lingue. Se si semplificano le regole grammaticali, non ci si stupirà poi se il "volgo" sarà in grado, con l'aiuto del dizionario, di scrivere nella lingua così costruita. Il francese sogna una lingua che dipenda dalla vera filosofia, in grado di enumerare tutti i pensieri, metterli in ordine, distinguendo quelli chiari e semplici, proprio come avviene per i numeri. I principi direttori del suo progetto, legati alla concezione delle nozioni chiare e distinte, e ad una visione meccanicistica dei processi mentali, si basavano sull'analogia fra le idee e le nozioni di numero; sulla ricerca delle idee semplici che, combinate fra loro, producessero tutte le altre; sull'analogia fra tali combinazioni e le operazioni aritmetiche; e, infine, sulla convinzione che il ragionamento sia paragonabile a un calcolo meccanico infallibile.

Affascinato dal programma cartesiano di lingua universale, Leibniz, riflettendo sulla dipendenza della lingua dalla vera filosofia, immagina la lingua in progressiva evoluzione, quasi a seguire di pari passi lo sviluppo della scienza. Egli non solo considera tutte le idee come combinazioni di un piccolo numero di idee semplici che comporrebbero l'alfabeto dei pensieri umani, ma sogna una lingua universale che sia ad un tempo espressione del pensiero e strumento della ragione; una lingua "razionale" nella quale le parole esprimano le definizioni delle idee, ne mostrino le connessioni e le verità conseguenti, in modo che le si possa dedurre con trasformazioni algebriche e sostituire quindi così al ragionamento il calcolo. La lingua a cui Leibniz pensa è "un'algebra logica" che si applica a tutte le idee e gli oggetti del pensiero, dove la composizione delle idee è analoga alla moltiplicazione in aritmetica e la decomposizione di un'idea nei suoi elementi semplici è analoga alla scomposizione di un numero nei suoi fattori primi, mentre le verità logiche sono i corrispettivi delle proprietà aritmetiche dell'addizione e della moltiplicazione. Il progetto di Leibniz rimase allo stadio teorico e come quello di Descartes fu giudicato utopico e "assolutamente chimerico".

Tra la metà dell'ottocento e l'inizio del novecento prolificano progetti di lingue artificiali e centinaia di associazioni allo scopo di insegnarle e diffonderle. La necessità di costituire una lingua internazionale che permettesse un legame diretto fra nazioni diverse assume rilevanza con lo sviluppo dei mezzi di trasporto e di comunicazione, e con il conseguente intensificarsi delle relazioni commerciali e intellettuali tra i popoli.

Hermann Grassmann (1809-1877), che fin da giovane coltivò studi filologici, seguendo con entusiasmo il suo maestro Schleiermacher, si dedicò con impegno a questo settore, diventando un esperto cultore del sanscrito e curando fra l'altro un glossario al Rig Veda. Giusto Bellavitis (1803-1880) pubblicò nelle memorie dell'Istituto Veneto un ampio e articolato studio sulle caratteristiche che una lingua filosofica universale deve avere circa l'etimologia, la grammatica e l'ortografia, la pronuncia e la scrittura. Bellavitis interviene con competenza sulle questioni linguistiche più dibattute e offre contributi preziosi alla semplificazione delle regole e alla creazione di una grammatica razionale. Non trascura considerazioni e proposte pratiche sui possibili modi di comunicare senza far uso né della scrittura, né del linguaggio, ad esempio con segni telegrafici, oppure segnali luminosi di diverso colore per i naviganti.

E' verso il 1855 che in Francia la questione della lingua universale riceve nuova attenzione dalla Societé Internationale de Linguistique, che nomina un comitato per scegliere e diffondere il progetto migliore da adottare a livello internazionale.

Definite le condizioni a cui tale lingua dovrebbe soddisfare, quali il carattere scientifico, la semplicità, la chiarezza, la razionalità, la logica, la ricchezza, la praticità, ecc., gli esperti concordano sull'impossibilità di accogliere lingue antiche, lingue moderne o lingue viventi, a meno di far subire a queste radicali modifiche. L'idea del filosofo Charles Renovier (1815-1903) di creare una lingua artificiale improntata su una grammatica dalla massima semplificazione, e il cui vocabolario sia tratto dalle lingue viventi, ricevette ampi consensi, e sarà di guida per i progetti di lingue artificiali di maggior successo e diffusione alla fine dell'ottocento e nei primi decenni del novecento.

Il matematico Giuseppe Peano (1858-1932) si lascia coinvolgere dall'amico matematico e filosofo Louis Couturat (1868-1914) su questi temi, ed evidenzia l'importanza che la costruzione della lingua internazionale avrebbe per il progresso della scienza, sottolineando il suo disagio come matematico a tenersi al corrente sulle ricerche più recenti, se pubblicate in lingue a lui sconosciute.

La lingua denominata Volapuk è quella che raggiunge il successo più rapido, seguito però da un declino altrettanto veloce. Ideato nel 1879 dal sacerdote cattolico Johann Martin Schleyer (1831-1912), si componeva dei vocaboli delle lingue naturali e presentava una grammatica molto regolare, basata sull'inglese popolare.

Nel 1887 compare in pubblico l'Esperanto, lingua internazionale artificiale che prende il nome dallo pseudonimo scelto nella stampa dal suo ideatore, il medico russo Ludovic Lazarus Zamenhof (1859-1917), che pensò di costruire una lingua neutra che potesse porre fine alle ostilità culturali tra le etnie (russa, polacca, tedesca ed ebrea) che vivevano nella sua città, Bielostok. Fondato sui due principi del massimo di internazionalità nella scelta delle radici e dell'invariabilità degli elementi lessicologici, l'Esperanto riesce ancora ad attirare la simpatia di molti intellettuali sia per i nobili motivi umanitari che lo ispirarono sia per gli aspetti di democrazia e di civiltà che contraddistinguevano la sua fondazione.

Nonostante tutti i tentativi filantropico-idealistici di cercare di uniformare ed agevolare la comunicazione per mezzo della ideazione di una lingua universale di facile apprendimento e di facile utilizzo, essi sono sempre sostanzialmente falliti, in quanto una lingua è soprattutto il risultato di un processo storico-culturale che coinvolge la struttura intera di una popolazione. In conformità, si potrebbe allora riflettere sul fatto che una lingua piuttosto di altre sta svolgendo attualmente il ruolo di lingua universalmente accettata come mezzo globale di comunicazione: questa lingua è l'inglese. Si stima che oggi quattrocento milioni di persone al mondo utilizzino l'inglese come lingua madre: queste persone sono definite A-user of English. Ci sono molti altri milioni di persone che vengono denominate B-users of English, ovvero che utilizzano nella vita quotidiana l'inglese come seconda lingua ufficiale. Ma esiste una ulteriore classe di persone, i C-users of English, che utilizzano l'inglese nella vita quotidiana per lavoro o per studio. L'imponenza di questi numeri rende di fatto l'inglese un mezzo universale di comunicazione.

Questa diffusione capillare nel globo di una lingua reale, che si propone anche come lingua "ufficiale del mondo economico e tecnico-scientifico", è ovviamente conseguenza del ruolo storico, economico e politico svolto negli ultimi secoli dall'Inghilterra e dagli Stati Uniti, e dalla leadership della componente angloamericana nella conclusione vittoriosa della II guerra mondiale (una tendenza che si è andata evidentemente rafforzando dopo la caduta del muro di Berlino, e l'avvento della cosiddetta "globalizzazione"). Però, a prescindere da tali circostanze contingenti, l'inglese appare pure in verità come una lingua caratterizzata da una semplice struttura grammaticale, che consente quindi un'immediata ed univoca comprensione dell'informazione che si deve comunicare, oltre a possedere una rilevante presenza di lessico greco-latino sovrapposto a quello originario teutonico, caratteristica che ne rende più agevole l'assimilazione da parte di altre popolazioni europee.

Bibliografia

Burgess A., They wrote in English, Tramontana editore, Presso, 1979, 1-4.

Couturat L., La logique de Leibniz d'après des documents inédits, Alcan, Paris, 1901; Olms, 1961; 51-80.

Galilei G., Dialogo sopra i massimi sistemi, Giornata prima, Opere VII, Barbera, Firenze, 1993, 130-131.

Peano G., Il latino quale lingua ausiliare internazionale, Atti Acc. Sci. Torino, XXXIX, 1903-04, 273.

Pucci C., Sui temi di italiano nella scuola secondaria, riflessioni e ricordi, Archimede, 2 (1996) 72-78.

Roero C.S., I matematici e la lingua internazionale, Bollettino U.M.I., (8) 2° (1999) 159-182.

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[Una presentazione dell'autore, che è membro della Società Italiana di Storia delle Matematiche, si trova nel numero 4 di Episteme.]

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