PARTE SECONDA



XIII. IL MISTERO GESU'

XIII.1. Appartenendo ad una generazione che prese sul serio l'insegnamento delle 'ore di religione', una certa predilezione per le letture 'cristologiche' non deve sorprendere. Dopo il liceo continuammo ad appassionarci alla questione neotestamentaria, dal Loisy al Bultmann, al Guignebert, a Goguel, seguendo i piombi del laico Augusto Guerriero, in realtà un magistrato in pensione della Corte dei Conti, che con lo pseudonimo di Ricciardetto scriveva sul settimanale Epoca verso la fine degli anni sessanta. Di quegli articoli, ancora di freschissima lettura, restano le raccolte (1973 e 1976, Mondadori) Quaesivi et non inveni ed Inquietum est cor nostrum, che fortemente si incisero nella nostra sensibilità. <<Gesù ha proclamato la venuta del Regno>>, dichiarò una volta Loisy, con una punta di provocatoria disperazione, <<e al suo posto è venuta la Chiesa>>. In Italia, salvo qualche eccezione, non ci fu mai un vero movimento storico-critico a riguardo degli studi cristologici e neotestamentari. Del resto Loisy non pensò mai di scrivere una 'vita di Gesù', perché era convinto che questo progetto non fosse realizzabile sulla base del materiale disponibile. Ci provarono, invece, negli anni trenta, altri studiosi di Storia del cristianesimo alla Sorbona: Charles Guignebert, e il suo successore Maurice Goguel. In Italia comparve, in quegli anni, la Vita di Gesù Cristo di Don Giuseppe Ricciotti, un'opera eccellente (ancor oggi ristampata), per rigore, ampiezza della documentazione, oltreché per forza e vivacità di stile. Un autentico capolavoro, che segnò, tuttavia, la fine di un'epoca, perché nel 1943 venne emanata l'enciclica Divino Afflante Spiritu, con la quale gli studiosi cattolici furono incoraggiati a far ricorso "agli strumenti moderni dell'esegesi", in pratica il metodo della "storia delle forme" di Bultmann, abbandonando così ogni pretesa di 'ricostruzione storica'. Racconta Ricciardetto, il quale aveva ripreso, col suo stile agile e scintillante, il dibattito 'laico e razionalista' della 'critica evangelica', che un'edizione della Vita di Gesù Cristo del Ricciotti fece addirittura compagnia a Mussolini durante la prigionia a Ponza e poi alla Maddalena, subito dopo il 25 luglio del 1943. Il 'Duce degli Italiani' trovò bellissima quest'opera, ma Ricciardetto giustamente insinua che la cosa non lusingò poi troppo il 'cattolico romano' Don Ricciotti. In realtà, è proprio nel momento del dolore che appare Dio, poiché Egli abita 'il cielo sopra i deserti che hanno prosciugato le lacrime'. Il Gesù del deserto, più che un 'esseno' del Qumran, oppure un seguace di Giovanni Battista, è forse il simbolo stesso di una peregrinazione durata quarant'anni prima dell'ingresso nella Terra Promessa, alla quale non giunse mai l'egiziano Mosè. Ma 'Gesù ebreo' proveniva forse dall'Egitto, compiendosi così, un 'eone' dopo, la scrittura profetica del vero 're degli ebrei', sacerdote e messia, una sorta di 'rex mundi', in previsione del 'secondo esodo'. La straordinaria dottrina di San Paolo non fa altro che riallacciarsi all'originario universalismo della missione salvica del Cristo, nuovo Adamo ('figlio dell'uomo'), e 'figlio del Padre' (vero interprete del patto). In questo modo la figura di Gesù ha percorso duemila anni di storia.

XIII.2. Il mistero Gesù si riaffaccia ad ogni generazione. Percorre i tempi e le mode. Negli anni cinquanta la ricerca cristologica entrò in una nuova fase, ma non portò a risultati apprezzabili, malgrado l'impegno di Kaseman, Bornkamm e Robinson, che erano fra gli studiosi più intelligenti di quella generazione. Una terza fase della ricerca conobbe un rapido sviluppo dagli anni settanta, e continuò negli anni ottanta, grazie alle opere di Sanders, Burton, Borg e Crossan. Il 'Jesus Seminar', diretto da Robert Funk, riportò all'attenzione la ricerca sul 'Gesù storico'. Questa nuova generazione di studiosi (sicuramente anticipata dal Gesù 'pasoliniano' del 1963, che dopo un iniziale sconcerto da parte della Chiesa finì per essere accolto come un capolavoro dal momento che non si trattava di una versione tipicamente 'marxista' di Gesù, e cioè a senso unico come già si era tentato di fare in altre opere), ha avuto la tendenza a presentare Gesù come un maestro di saggezza sovversiva, portatore di un messaggio dalle profonde conseguenze per la società e gli uomini della sua epoca. La ricerca storica su Gesù, sul 'che cosa' sia sopravvissuto ai disastri della 'critica delle forme', ha ancora molto da dire sul modo in cui Gesù svolse il suo ministero e sul possibile influsso delle sue idee sui contemporanei. Tuttavia l'attuale statuto della ricerca neotestamentaria si fonda sulla considerazione che Gesù era molto diverso da come fu descritto nei Vangeli e nel Credo della Chiesa (Didachè) risalente a un secolo dopo. Il Jesus Seminar è un'associazione di circa cento studiosi provenienti in maggioranza dagli Stati Uniti e dal Canada, che riunitisi per la prima volta nel 1985, a Berkeley, cercano di stabilire quali 'detti' (loghia) siano attribuibili a Gesù, tentando di ricostruire gli ipsissima verba che sarebbero stati pronunciati in lingua aramaica, cioè quella lingua parlata in quel tempo in Galilea. Paradossalmente, <<se i Vangeli sono inattendibili, allora le teorie diventano la nostra unica guida per la vita di Gesù>>. Ne consegue, come infatti è avvenuto, che tutto e l'esatto contrario può essere detto su Gesù. <<Se Gesù non fu un esseno, allora fu buddhista o un precursore del femminismo e un adoratore della dea Sofia, oppure un rivoluzionario marxista o un uomo di sinistra 'politicamente corretto', che si sarebbe sentito perfettamente a suo agio nei 'campus' universitari americani>>. (Thiede-D'Ancona, op. cit. pag. 204).

XIII.3. Gesù mago (un Gesù esoterico, non necessariamente 'gnostico') non è una novità moderna. Anzi è la 'contro-immagine' stessa con la quale il cristianesimo insorgente dovette confrontarsi da subito, dal 'Simon Mago' degli Atti degli Apostoli, e quindi dei romanzati e tardi Atti di Pietro. Nelle sue forme estreme, la sfiducia nel Gesù dei vangeli canonici arriva all'assurdo sovvertimento della sua stessa origine ebraica e dello stesso titulus di condanna a morte quale Re dei Giudei. I 'docetisti' negavano addirittura che Cristo avesse avuto un corpo reale o un'esistenza strettamente storica. In una serie di scritti risalenti al 1975 (The Jesus of the Early Cristians ed anche Did Jesus Exist?), lo scrittore G. A. Wells ha supposto che il Cristo della storia sia stato inventato dalla Chiesa nel II secolo d.C., ma il presupposto fondamentale che i Vangeli non sarebbero stati scritti fino al 100 d.C. non sembra oggi più difendibile. Più di recente H. Detering (Der Gefaelschte Paulus, Duesseldorf, 1995) ha negato l'autenticità di tutte le lettere paoline, attribuendole all'eretico Marcione vissuto verso la metà del II secolo d.C. Nel romanzo (1954) intitolato L'ultima tentazione di Cristo (che venne ripreso da Martin Scorsese nel film scandalo del 1988), lo scrittore greco N. Kazantzakis (nato a Creta nel 1883 ed insignito del Nobel per la letteratura, autore anche de Il poverello di Dio, una biografia francescana romanzata pubblicata nel 1956, anno precedente alla sua morte, nella quale si immagina un rapporto d'amore fra Chiara e Francesco: nel 1924, K. venne in Assisi, e qui si incontrò con il poeta danese Giovanni Joergensen, col quale ebbe un confronto sulla figura di San Francesco), descrisse Gesù come una figura "dubbiosa e tormentata", molto distante dal guaritore carismatico e capo spirituale che emerge dal Nuovo Testamento. Nel 1948 egli aveva pubblicato Cristo di nuovo in croce, in cui il protagonista, il giovane e angelico Manoliòs, anticipa la figura del Poverello di Dio, e a quella si ispira. Qui il contrasto è tra vera fede, vissuta nel profondo, e fede convenzionale e opportunistica. E' un po' la differenza tra 'religione statica' e 'religione dinamica' del mai dimenticato 'maestro' Henri Bergson, il filosofo francese dello 'slancio vitale' (ed anche primo autorevole 'critico' dei presupposti epistemologici e filosofici della 'teoria della relatività' di Einstein).

XIII.4. In un libro più recente (Live from Golgotha, New York, 1992) Gore Vidal ha immaginato un "pirata informatico" che vuole eliminare i Vangeli dalla memoria umana, con viaggi nel tempo fino all'epoca delle origini cristiane, e, addirittura, la possibilità che, a morire sulla croce, fosse stato Didimo Giuda (il 'gemello-gemello' del Cristo), e non Gesù stesso. Trame di questo tipo erano state inaugurate dai citati Baigent, Leigh e Lincoln. Su questo medesimo 'genere' si muovono, in modulate filigrane, libri destinati al grande pubblico, come quelli dei già menzionati C. Knight e R. Lomas (La chiave di Hiram e soprattutto Il secondo messia), di Lynn Picknett e Clive Prince (Turin Shroud: In Whose Image? ed anche La rivelazione dei Templari), di G. Phillips (Il mistero del sepolcro della Vergine Maria) e di F. Terhart (I Templari guardiani del Santo Graal). L'italiano Alvaro Innocenti (vedi Guerre nel tempo nel cielo di Giuda, Firenze Atheneum, 2002, sottotitolo: Un'altra chiave di lettura dell'ebreo Gesù) ha di recente pubblicato un lavoro assai diffuso, nel quale viene affrontata la figura di Gesù riferita ad una allegoria di tipo astronomico. Il 25 dicembre non è solo il giorno natale di Gesù (tale data fu fissata nel III secolo, in luogo del 6 gennaio), ma anche quella di molti 'dèi' pagani, come Osiride, Attis, Tammuz, Adone, Dioniso, e altri ancora. L'egittologo E.A. Wallis Budge aveva notato, alla fine dell'ottocento, che un'antica preghiera egiziana a Osiride-Amon incominciava con le stesse parole del Padre nostro: <<Amon, Amon che sei nei cieli…>>, e dunque la preghiera al Padre non proverrebbe direttamente da Gesù. Sul quotidiano La Repubblica del 30 gennaio 2003 è comparso un articolo di Pietro Citati sull'enigma che si nasconderebbe nel Padre Nostro. La questione riguarda 'il pane epiousios', il pane 'quotidiano' del nostro sostentamento, con riguardo alla parola 'aramaica' effettivamente adoperata da Gesù Cristo in luogo dell'aggettivo 'greco' della traduzione evangelica (cfr. G. Vermes, op. cit). Ma si dovrebbe piuttosto riflettere sull'evidente cadenza poetica di questa grande preghiera, che ne rivela un'origine ispirata, e probabilmente antichissima. Dal calcolo effettuato dal Seminar emergerebbe che soltanto il venti per cento dei 'detti' contenuti nei Vangeli sarebbe materiale autentico, mentre quasi tutti quelli del Vangelo 'teologico', e piuttosto tardo, di San Giovanni (scritto verso il 100 d.C. come prova il 'papiro Rylands'), non lo sarebbero affatto.

XIII.5. Nella prefazione di Pagan Christs, un libro di J.M. Robertson uscito nel 1903 e ripubblicato di recente, Hector Hawton si poneva la seguente domanda <<Se nessuno afferma seriamente che Adone, Attis e Osiride siano stati dei personaggi storici, perché allora si fa un'eccezione per il presunto fondatore del cristianesimo?>>. Nel 1946 Robert Graves aveva pubblicato King Jesus, un Gesù che sopravvive alla croce. Nel 1916 il romanziere irlandese G. Moore provocò uno scandalo rappresentando Gesù (The Brook Kerith) come un sopravvissuto alla crocefissione, curato e riportato in salute da Giuseppe d'Arimatea. Nel 1931 D.H. Lawrence pubblicava il suo ultimo romanzo, L'uomo che non era morto, in cui Gesù sopravvive e trova la vera redenzione attraverso l'amplesso con Maria Maddalena, presentata come una sacerdotessa di Iside. Gesù è associato a Osiride, sposo della dea, morto e risorto. Quando nel Vangelo di San Giovanni Maria Maddalena si reca alla tomba di Gesù, dice al <<giardiniere>> (in realtà Gesù risorto) che il suo <<Signore>> era stato portato via, e non sapeva dove fosse. Queste parole suonano, all'apparenza, come se la Maddalena fosse del tutto inconsapevole. Ma se era veramente una sorta di sacerdotessa di Iside, la 'moglie' di Gesù e prima 'apostola' - com'è detto negli 'apocrifi', avrebbe invece fatto parte di un 'rituale iniziatico' vero e proprio. La sua 'litania', ripetuta due volte, sarebbe perciò parte essenziale del 'mistero' che si sarebbe celebrato in quell'occasione. Quindi Gesù era già destinato all'immortalità, cioè alla 'resurrezione spirituale'. Ma occorre notare che l'eccezionale complessità del 'mistero cristiano' della 'resurrezione' non può essere risolta in forme riduttive e semplicistiche, ricorrendo a parvenze di mero razionalismo, che pretendono di riportare un aspetto fondamentale del cristianesimo ad una 'cifra esplicativa' tutto sommato banale e peraltro assai poco attendibile. In realtà la questione merita la massima attenzione anche alla luce della dottrina paolina della resurrezione della carne. Uno straordinario, lucidissimo ed avvincente inquadramento della questione della resurrezione di Gesù si trova in Lineamenti di metafisica dualistica (Morlacchi Editore, 2002, pag. 196 ss. - vedi la recensione che ne compare in questo stesso numero di Episteme) del Prof. Alberto Donati, giurista e filosofo dell'Università di Perugia, un libro che il lettore attento dovrebbe cercare assolutamente di non perdere. Secondo Donati il problema dell'immortalità si pone in termini profondamente diversi a seconda che venga riguardato dal punto di vista della teologia filosofica o dal punto di vista di quella cristiana (op. cit., pag. 199).

XIII.6. Nel 1965 Hugh J. Schonfield (The Passover Plot) sostenne che Gesù inscenò una finta crocifissione e che morì sulla croce (il libro vendette oltre tre milioni di copie). Nel 1979 Elaine Pagels attirò l'attenzione mondiale sui Rotoli di Nag Hamadi con The Gnostic Gospels. Nel 1992 l'australiana Barbara Thiering ha supposto che Gesù (Jesus the Man: A New Interpretation from the Dead Sea Scrolls) fosse sposato con Maria Maddalena. Gesù sarebbe stato il Sacerdote empio al quale fanno riferimento i rotoli esseni, e sarebbe stato crocifisso a Qumran. Viceversa, secondo lo studioso biblico A. Dupont-Sommer, il Maestro di giustizia dei rotoli del mar Morto sarebbe, sotto molti aspetti, il prototipo esatto di Gesù. Per l'inglese J. Allegro, importante traduttore del Rotolo di Rame, ma censurato studioso e biblista fuori dal 'consensus', l'origine del cristianesimno va senz'altro ricercata nei rotoli di Qumran. Nel 1970 egli scrisse Il fungo sacro e la croce, un libro che gli rovinò letteralmente la reputazione, nel quale sostenne che Gesù non era mai esistito storicamente, ma era soltanto un'immagine evocata dalla 'psiche' sotto l'influenza d'una sostanza psicotropica, la psilocibina, un elemento 'attivo' dei funghi allucinogeni. Il cristianesimo, come tutte le religioni, sarebbe derivato, secondo Allegro, da una esperienza psichedelica, un rite de passage diffuso da un 'culto orgiastico' che faceva uso di di particolari sostanze naturali. Inutile ripetere che Allegro ed altri autorevoli studiosi e traduttori dei frammenti del Qumran hanno svolto una critica di fondo, che non può essere trascurata. Il biblista Gianfranco Ravasi, della cui serietà ed equilibrio nessuno può dubitare, recensì su Avvenire il libro di Uta Ranke-Heinemann, Così non sia, come una <<rabbrividente collezione di sciocchezze esegetico-teologiche>>. La Heinemann fu la prima donna abilitata dalla Chiesa cattolica all'insegnamento della teologia nelle università. Figlia del Presidente della Repubblica federale tedesca tra il 1969 e il 1974, si convertì dal protestantesimo al cattolicesimo, a 25 anni, quando conobbe suo marito, che invece voleva farsi frate domenicano. Allieva di Bultmann, è autrice anche di Eunuchi per il regno dei cieli (un titolo che si ispira sia a un detto di Gesù, che a un episodio degli Atti). Secondo la Heinemann <<il vangelo altro non è che un tessuto di favole dannose e di kitsch di cattivo gusto>>. Il grande Rudolf Bultmann è stato invece il maestro riconosciuto della critica neotestamentaria moderna. Egli ha negato recisamente la storicità dei vangeli. Secondo E.P. Sanders (cfr. Jesus and Judaism, 1985) possiamo dire chi Gesù non era, ma è ancora dificile dire chi fosse. Secondo A. N. Wilson (Jesus, 1992): <<Una della più curiose caratteristiche degli studi del Nuovo Testamento è il fatto che, sebbene uomini di cultura abbiano esaminato attentamente documenti per secoli, non sono mai riusciti a stabilire con certezza assoluta questioni così semplici come e dove i vangeli siano stati scritti, quando sono stati scritti, ancora meno da chi sono stati scritti>>. Dorothy Sayers (1893-1957), importante storica inglese della letteratura, più nota al grande pubblico come autrice di romanzi gialli (i suoi racconti hanno per protagonista Lord Peter Wimsey), scrisse anche alcuni saggi su Gesù, che rappresentarono il primo tentativo di reazione alle teorie di Bultmann nei riguardi del Gesù storico, e commedie radiofoniche sul medesimo argomento, che ebbero innumerevoli repliche (come The Man Bar King del 1943). E.G. Gruber e H. Kersten (The Original Jesus, 1995), dopo aver messo a confronto i 'detti' di Gesù con i testi buddhisti, hanno proposto di ritrovare le radici dell'insegnamento di Cristo in questa religione orientale, precedente di qualche secolo. Gesù avrebbe ricevuto un'educazione di questo tipo nella setta contemplativa dei "Terapeuti", quando si trovava, appunto, ad Alessandria. Gli 'anni oscuri' di Gesù si sarebbero dunque svolti fuori della Palestina. E su questo ci troviamo d'accordo. Ci sarebbe, anche, la singolare versione di un Gesù sepolto, addirittura, in Kashmir. <<Gli Ahmadis, un movimento settario islamico, elaborando un testo oscuro della quarta 'sura' del Corano e una serie di leggende popolari islamiche e indiane, ritengono che Gesù sia stato crocifisso, ma non sia morto sulla croce. Deposto ancora vivo, sarebbe stato guarito da un unguento prodigioso, marhan-i-Isa, la cui formula era stata comunicata per rivelazione ai discepoli. Risanato si sarebbe recato a predicare il vangelo alle tribù perdute di Israele in Afghanistan e nel Kashmir. In quest'ultimo paese sarebbe morto all'età di 120 anni e ancora oggi la sua tomba può essere visitata a Srinagar>> (schiarimenti e puntualizzazioni dello studioso torinese Mario Introvigne).

XIII.7. Andreas Faber-Kaiser, un tedesco trasferitosi in Spagna, è infatti l'autore del libro "La tomba di Gesù a Srinagar? ", apparso in Spagna nel 1976. Si tratta di un appassionato 'ufologo', assai poco credibile, e Gesù è visto in chiave extra-terrestre. Nel 1975 Faber-Kaiser si sarebbe recato in Kashmir e avrebbe visitato la tomba di Gesù, quella di Maria, e quella di Mosè. Un altro dei chiodi fissi di questo autore sarebbe la certezza che all'origine della cultura medio-orientale ci sia nientemeno che la colonizzazione portata in Asia dai 'maya' messicani. Una prova, secondo lui inconfutabile, starebbe nel fatto che l'ultimo grido in lingua aramaica di Gesù in croce: <<Elì, Elì, lemà sabactàni?>> (ma i crocifissi possono parlare ed urlare in questa posizione di pressoché totale soffocamento?), sarebbe stato per l'appunto pronunciato in lingua maya, e significherebbe non <<Mio Dio, perché mi hai abbandonato?>>, ma <<Ora affondami nella prealba della tua presenza…. >> (riporto da V. Messori, op. cit., pag. 187). E' evidente tutta la ben riposta ironia di quest'ultimo autore, a quale si debbono importanti libri su Gesù, di ottima informazione e chiarezza. Infatti, accanto alla versione tradizionale, peraltro molto ben documentata, del Gesù cui siamo abituati, si collocano altre versioni del tutto fuori dai canoni. La nostra sorprendentissima carrellata vuol esserne soltanto una modesta sintesi.

XIII.8. Le menzioni di Gesù e le allusioni alla sua persona e attività nella Mishna e nel Talmud sono molto ridotte: complessivamente non più di una decina di passi. Parallelamente, si nota anche un progressivo deterioramento dell'immagine di Gesù nei documenti giudaici dei primi secoli cristiani. Le tradizioni che risalgono al periodo più antico - cioè i maestri 'tannaitici' del II secolo - sono più favorevoli rispetto a quelle posteriori - periodo amoraitico, III-IV secolo - fino a culminare nel pamphlet medievale che va sotto il nome di Storie di Gesù (a tale scritto alludono Agobardo, vescovo di Lione, nel suo De Judaicis superstitionibus (anno 826), e Rabano Mauro, vescovo di Mainz, nel suo Contra Judaeos, composto nell'anno 847 - cfr. R. Fabris, Gesù di Nazareth, Cittadella Editrice, Assisi, 1983, pag. 357). In quest'ultima opera 'rabbinica', si afferma che Gesù sarebbe nato da Maria, abbandonata dal marito Johanan, dopo essere stata messa incinta da "Pandera" (un centurione romano, oppure l'Imperatore Tiberio, che da giovane fu in Giudea? O, forse, soltanto la storpiatura del greco parthenos, che significa 'ragazza vergine', o che altro ancora?). Fin dalla giovinezza egli rivela poteri eccezionali, che si trasformano nella capacità di operare miracoli, quando riesce a carpire nel tempio di Gerusalemme il 'nome segreto di Dio' e apprende le 'arti magiche' in Egitto. Entrato in conflitto con i saggi di Israele, che ne smascherano il potere, Gesù viene condannato a morte. Il suo cadavere, deposto nel sepolcro, viene prelevato dal proprietario del "giardino", e gettato "in un canale d'acqua" (sic!). I discepoli, trovando la tomba vuota, proclamano la sua resurrezione. Ma vengono smascherati, quando si ritrova il 'cadavere' di Gesù, e, perciò, sono costretti a fuggire e a disperdersi tra i popoli. Questa versione, con tutte le sue varianti, è una specie di caricatura dei Vangeli, e risente delle stesse componenti eretiche delle origini del cristianesimo. Tuttavia potrebbe contenere elementi oscurati ed allusioni criptiche, nel loro equivoco richiamo (ad es. 'il giardino' oppure 'il canale d'acqua', dati piuttosto significativi).

XIII.9. L'emerito biblista di Princeton, il reverendo J. H. Charlesworth, in un articolo dal titolo Gesù come "Figlio" e il Maestro di Giustizia come "Giardiniere" (comparso nel lavoro collettaneo Gesù e la Comunità di Qumaran, Piemme, 1997, pag. 165 ss.), si sofferma, in particolare, sull'analisi di un inno del rotolo 1QH, attribuito al 'Maestro di giustizia', dove tra l'altro figurano i seguenti versi: <<…presso la misteriosa sorgente d'acqua / Ed essi fecero germogliare il "virgulto" - il "nsr". Il <<virgulto>> è qui altamente simbolico. Allude a David, che farà "germogliare" le promesse di Dio. A prescindere dall'analisi di Charlesworth, il termine ebraico per indicare il 'virgulto' non solo è evocativo del 'nuovo Eden e del nuovo Adamo', ma sembra, altresì, indicare l'origine semantica della setta nazarena. Siamo dell'avviso che la benedizione di San Francesco a fra' Leone sia stata tratta intenzionalmente ed evocativamente dal capitolo 6 di Numeri a proposito del 'nazireato', proprio per sottolineare la qualità di Gesù in rapporto alla Sindone. Dunque, un Francesco 'teologo'. E forse Gesù non ebbe nulla a che fare col piccolo villaggio di Nazaret, che probabilmente non esisteva a quel tempo. I termini Ebionim, Nozrim, Hassidim, Saddiqim… ecc. sembrano indicare una medesima 'setta'. Nel 1930, su una rivista scientifica francese, fu pubblicata la lapide <<de marbre envoyeè de Nazareth en 1878>>, recante la scritta greca di un'ordinanza imperiale, la cui lingua reca, però, imprecisioni tali da aver fatto pensare gli studiosi <<ad una non brillante traduzione dal latino da parte degli scalpellini>>. Sappiamo pochissimo sulle origini di Gesù. Tuttavia i grandi maestri ebrei medievali, ad es. Juda Halevi (1085-1135) e Mosè Maimonide (1135-1204), intravedono un ruolo positivo delle due religioni monoteiste nate dall'ebraismo: cristianesimo e religione mussulmana. Per costoro Gesù è un maestro e un profeta ebreo degno di grande stima. Le denigrazioni talmudiche dipendono da parte presa, e nascondono un Gesù fuoriuscente dal paradigma ebraico di una religione arroccata su se stessa, e sterilmente congelata sulla pura 'lettera' della fedeltà al patto mosaico (San Paolo proclamerà la fine dell'età della legge e l'incipit dell'età dell'amore, così come, secondo il giurista romano Salvio Paolo, <<littera occidit, spiritus autem vivificat>>).

XIII.10. Gesù l'Ebreo di Geza Vermes (Borla, 1983) è uno dei grandi studi moderni di reazione alle teorie Bultmann sulla figura 'storica' di Gesù, nel tentativo, piuttosto riuscito, di rilevarne le singolarità. Chain Cohn, un giurista israeliano, ha invece dedicato al 'Processo e morte di Gesù' un'illustre ed informata monografia (Einaudi, 2000), che ne rovescia l'interpretazione tradizionale, cercando altresì di scagionare il popolo di Israele dall'infamente accusa. Nel caso di Vermes, professore emerito di studi giudaici all'Università di Oxoford, ed anche di Cohn, illustre giurista israeliano, nonché studioso di storia giudaica e di diritto romano, si tratta, indubbiamente, di agguerritissimi autori, al di sopra di ogni sospetto di partigianeria. Oggi si comincia sempre di più a comprendere che il 'mistero Gesù', lungi dal monopolio strettamente teologico del cattolicesimo professante, è invece ricchissimo di sfumature e, peraltro, suscettibile di prospettive diverse. Ma alla matrice originaria ebraica si sovrappone sempre la dimensione 'universale' del messaggio 'cristiano', che non finisce perciò di stupire. Secondo Martin Buber è ora che anche l'ebraismo prenda in seria considerazione Gesù. Gesù rappresenta, infatti, l'ebraismo carismatico di santi uomini operatori di miracoli, come Honi del primo secolo a. C., e il più giovane contemporaneo di Gesù, Hanina ben Dosa, imitatori di profeti 'biblici' come Elia ed Eliseo. Costoro nutrivano gli affamati, curavano malattie fisiche e mentali, spesso attribuite le une come le altre a possessione demoniaca. Giuseppe Flavio descrive Gesù (Ant. Giud., XVIII, 63) come <<un uomo saggio>> e un <<esecutore di opere sorprendenti>>. Tra il 1922 e il 1928 fu pubblicato (in quattro volumi) da Hermann Strack e Paul Billerbeck il celebre commentario (Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch) del Nuovo Testamento, alla luce del Talmud e del Midrash. Secondo Geza Vermes <<la letteratura rabbinica, trattata con giudizio e sensibilità, può gettare una luce valida e a volte eccezionale sullo studio dei vangeli>>. Gesù dovrebbe essere restituito al contesto ebraico in cui si trovò ad operare, ma non se ne può ignorare la figura messianica, così fortemente destinata ad incidere sulla storia universale. Ciò che propriamente affascina è questo 'mistero', che non si si riesce a risolvere. Ma se la Sindone fosse genuina (come noi crediamo), e cioè fabbricata a Gerusalemme dai seguaci di Gesù (come noi ipotizziamo sulla scorta di un principio di razionalità), ecco una 'prova' tangibile sulla quale si dovrebbe tornare a riflettere con la massima coerenza possibile. E' stata forse questa la ragione del misterioso incendio distruttivo di Torino? La Sindone è scomoda, e non è dunque bastata la 'falsificazione' del manufatto con la radiodatazione al carbonio 14, come sempre di più sostiene lo stuolo degli agguerriti sindonologi.

XIII.11. L'interesse dell'Islam per Gesù è essenzialmente condizionato sia dai rapporti del profeta Maometto con i cristiani, sia dai successivi contatti tra i mussulmani e il mondo cristiano. Maometto conosce Gesù tramite i cristiani della Siria ed alcune altre correnti più o meno ereticali. Diversi particolari del Corano su Gesù e Maria rivelano l'influsso delle tradizioni apocrife, testimoniate soprattutto nel Protovangelo di Giacomo e nel Vangelo arabo dell'Infanzia. Gesù, nei testi coranici, è conosciuto con il nome di Isha (un derivato dal biblico 'Gesù'?), e come " il figlio di Maria ". La madre di Gesù è venerata e rispettata come nessun'altra donna. Ma l'idea di una concezione virginale sarebbe nata da un errore di traduzione (Bultmann). L'originale ebraico del famoso passo di Isaia (7,14): <<La Vergine concepirà e partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Emanuele>>, non diceva 'una vergine' (bethulah), ma <<una giovane donna>> (halamah). I Settanta sbagliarono e tradussero 'parthenos' (vergine). Da questa parola greca verrebbe 'pandera' o 'pantera' (almeno secondo Giuseppe Ricciotti). Inverosimile l'ipotesi, sostenuta da un autore australiano, che l'imperatore Tiberio sarebbe stato il padre di Gesù. Le origini di Gesù ricalcano quelle dei Vangeli, con diverse amplificazioni, imparentate con i Vangeli apocrifi: l'annuncio dell'angelo Gabriele, il concepimento per la parola-decreto di Allah e un intervento fecondante dello Spirito, nascita di Gesù e sua rivelazione prodigiosa fin da piccolo. Il modello con il quale viene interpretata l'intera attività di Gesù e il suo messaggio, è quello del "profeta", "inviato" di Allah, ai figli di Israele. I miracoli noti della tradizione evangelica sono considerati prove del 'profeta Gesù. Il Corano conosce anche il titolo di "messia", 11 volte riservato a Gesù. Ma anche in questo ruolo speciale il "figlio di Maria" non è altro che l'inviato di Allah (Sura VI, 169). Gesù è "una parola di Allah, una parola di verità". La morte di Gesù in croce sarebbe stata soltanto apparente, perché in realtà egli è stato assunto in cielo da Dio. Da qui ritornerà alla fine prima del giudizio che egli conosce e annunzia, per morire e poi risorgere come ogni altro uomo giusto. Rinaldo Fabris (op. cit. pag. 367), cita la Sura IV, 157-159, un testo oscuro e soggetto a diverse interpretazioni, che sembra riflettere concezioni 'gnostico-docete': <<Pretendono di avere ucciso il messia, Gesù, figlio di Maria, mentre non l'hanno ucciso né crocifisso, ma ne hanno avuto soltanto l'illusione, e coloro che disputano intorno a lui dubitano in proposito, senza alcuna certezza e solo andando dietro alle congetture, e la verità è che non fu ucciso, ma Iddio, potente e sapiente, lo elevò a sé; e non ci sarà nessuno degli uomini del libro che non creda in lui prima della sua morte, e nel giorno della risurrezione egli sarà testimone contro di essi>>. In ogni caso la versione 'rabbinica' e quella 'coranica' su Gesù non coincidono affatto, così pure le antiche 'immagini' di Gesù, desumibili dagli scritti canonici e da quelli apocrifi, oltreché da altre fonti, che risultano assai discordi e lontane tra loro. Non sorprende che gli storici romani (Tacito, Svetonio e Plinio il Giovane) disponessero di poche informazioni su Gesù. Invece è strano che la vita e il ministero di Gesù non siano sviluppati nelle opere di Giuseppe Flavio (38-100 d.C. circa), un giudeo che scrisse testi fondamentali sulle vicende del tempo. Nelle Antichità giudaiche (la cui stesura risale al 93 d.C.) egli cita altri personaggi dei Vangeli, tra cui Giovanni Battista e Ponzio Pilato. C'è anche un riferimento a Gesù (il famoso testimonium flavianum), che sembra frutto di interpolazione, se non di integrale aggiunzione. In questo breve, ma assai denso ritratto, Gesù viene definito "Cristo". Ma la descrizione di un uomo che operava miracoli ed era un capo ribelle, ben difficilmente può provenire da mano cristiana. A parte la collocazione di questo brano nell'opera di Giuseppe Flavio, lo scrittore cristiano Origene, verso la fine del III secolo, pare ignorasse questo riferimento, mentre esso era noto ad Eusebio, che scrive oltre un secolo dopo. I brani che parlano, invece, dell'esecuzione di Giovanni Battista, voluta da Erode Antipa, sono considerati del tutto autentici. La mancanza di riferimenti a Gesù negli scritti contemporanei non smentisce affatto la sua esistenza, che è da considerarsi più che certa. Le fonti cristiane sono sostanzialmente attendibili. Solo che esse guardano non al Gesù storico, ma al suo aspetto divino, fornendone una interpretazione 'teologica' di chiarissima matrice paolina. Tali 'interpretazioni' (e qui non si intende criticare quella di San Paolo, ma soltanto metterne in luce la singolarità) dipendono sempre da una 'chiave di lettura', in certi casi addirittura leggendaria. Così, allo stesso modo, un affresco giottesco del 'ciclo delle storie' rappresenta Francesco davanti al sultano, mentre si accinge alla 'prova del fuoco' (dovrà infatti camminare sui carboni ardenti), per provare la sua 'vera fede' come in un'ordalia altomedievale. La leggenda agiografica medievale, in pochissimi anni dal fatto, alterò l'evento storico, distorcendone gravemente lo stesso significato. Simili 'distorsioni' risultano peraltro assai frequenti in tutte le versioni agiografiche, ma contengono, al tempo stesso, un nucleo essenziale di verità. C'è dunque una distorsione coranica, così come c'è una versione cristiana. Crediamo, tuttavia, sulla scorta degli studi più recenti, che il testimonium flavianum sia, nella sua sostanza, autentico (se non addirittura perfettamente genuino), e che il grande storico ebreo, passato ai Romani, non ignorasse le origini 'egiziane' di Gesù, comparso all'improvviso in una angolo della bellicosa e fertile Galilea, a predicare un messagggio sovvertitore dell'antico patto d'alleanza, ma al tempo stesso una rivoluzione universale fuori dai confini ristretti di Israele.

XIII.12. Ora che cosa unisce i 27 scritti neotestamentari, così diversi tra loro, e gli autori e le comunità che stanno dietro di essi? A questo interrogativo Hans Kueng fornisce una sua risposta <<sorprendentemente semplice>>. E' il nome di un ebreo: Gesù di Nazaret, al quale i suoi seguaci diedero il più alto titolo onorifico che gli ebrei potessero conferire a un uomo: Mashiah (ebr.), Meshiah (aram.), Christòs (gr.), che significa: l'Unto o l'Inviato di Dio. Questa è la figura fondamentale, che tiene insieme tutte le storie e parabole, lettere e messaggi neotestamentari, ma anche tutte le così diverse comunità sia giudee-cristiane, sia pagano-cristiane. Con formula biblica abbreviata, si tratta di "Gesù il Cristo". Nessun 'documento segreto' su Gesù, nessuna possibile identificazione col 'Maestro di Giustizia' dei rotoli del Mar Morto. <<Né Giovanni Battista né lo stesso Gesù né suo fratello Giacomo né l'apostolo Paolo, stando alle fonti a noi note, hanno avuto a che fare qualcosa con Qumran>>, sostiene Kueng. Secondo le comuni formule abbreviate di 'fede' che ruotano attorno all'evento Cristo, "Gesù è il Messia", "Gesù è il Signore", "Gesù è il Figlio di Dio". Già l'ebreo Filone d'Alessandria, contemporaneo di Gesù, aveva designato come "Dio" e " Figlio di Dio" il Lógos stoico che avvolge l'intero mondo, subordinandolo però, a motivo del suo rigoroso monoteismo, al Dio assoluto, come "secondo Dio". Ma quando Kueng deve scendere sul terreno storico, è costretto ad ammettere che quella famosa definizione di Pietro <<in quanto roccia, su cui Gesù costruirà la sua chiesa, la quale rivela un carattere linguistico aramaico, ma stranamente non ha alcun parallelo negli altri Vangeli>>, <<non sia una sentenza del Gesù terreno, ma una creazione postpasquale della comunità palestinese o di Matteo>>. Che cosa il Pietro storico credesse o predicasse concretamente non può essere dedotto né dai discorsi degli Atti degli Apostoli (quasi sicuramente di redazione lucana), né dalle lettere neotestamentarie di Pietro (non autentiche). Egli divenne sempre più importante ('tipologia pietrina'), già nel Nuovo testamento. Tenne la direzione della comunità primitiva di Gerusalemme (una unione di fedeli o kahal ebionita), soltanto assieme alla cerchia dei Dodici, e, più tardi, nel collegio delle tre 'colonne': Giacomo, fratello di Gesù (forse l'autore della Lettera agli Ebrei), che occupa il primo posto, poi Pietro e Giovanni (il 'discepolo' amato da Gesù che morì tardissimo, varcato il secolo, e nei confronti del quale sorse la leggenda della sua personale attesa della parusia, che però non venne mai).

XIII.13. <<E Roma?>> - si domanda l'agguerrito teologo Hans Kueng. Quella Roma, caput mundi, in cui Pietro avrebbe addirittura sfidato Simon Mago, scritturato da Nerone per uno spettacolo, come gustosamente narra il dottissimo Carlo Pascal (1866-1926) nel suo Nerone (ediz. Ecig, 1994, pag. 121-129). E così risponde: <<Pietro non è stato in quella che allora era considerata la capitale del mondo, con le note conseguenze storico-ecclesiastiche? Di Roma per quanto riguarda Pietro non si dice niente nell'intero Nuovo Testamento. E soprattutto non vi si parla nemmeno allusivamente di un particolare 'successore' di Pietro (sempre a Roma)>>. E per quanto non sia risultata esatta l'identificazione del sepolcro di San Pietro sotto la Basilica vaticana (data invece per certa dalla grande archeologa Margherita Guarducci, che negli anni cinquanta ne fece la 'scoperta'), <<regna una crescente concordia circa il fatto che Pietro sia andato a Roma e vi abbia subito il martirio>>, ma secondo Kueng, <<non c'è alcuna testimonianza sicura del fatto che Pietro abbia mai diretto come capo supremo o vescovo locale la chiesa di Roma. Stando al Nuovo Testamento, non sappiamo nulla di una successione di Pietro a Roma>>. Così come non sappiamo nulla di San Paolo, che sarebbe morto martire nel 67 d.C., alle Acque Salviae. Nella Basilica di S. Francesco in Assisi queste medesime 'storie' furono affrescate da Cimabue nel transetto della chiesa superiore. Esse fanno parte della tradizione. In realtà, è in un romanzo storico, gli Atti di Pietro, composto verso il 180 da un autore sconosciuto, che viene narrato il soggiorno a Roma, la sua lotta con Simon Mago, i suoi discorsi, l'incontro con Cristo sulla via Appia, da cui il "quo vadis" (e il romanzo e il film degli anni cinquanta, che ne sono seguiti), e, infine, la sua morte (cfr. C.P. Thiede e M. D'Ancona, op. cit., pag. 188 ss.) a testa in giù. Quest'ultimo è un libro dedicato al famoso 'papiro' del Magdalen College di Oxford: tre minuscoli frammenti, scoperti in Egitto dal Reverendo Charles Bousfield Huleatt, morto nel grande terremoto di Messina del 1908, che conterrebbero, secondo quanto sarebbe stato accertato soltanto nel 1994, le più antiche citazioni evangeliche mai scoperte, il passo di Matteo che descrive l'unzione di Gesù nella casa di Simone il lebbroso a Betania, e quello relativo al tradimento di Giuda Iscariota, databili, in base a certi elementi probanti, agli anni immediatamente precedenti alla distruzione del Tempio. Nel 1972 il biblista spagnolo padre Josè O'Callaghan aveva invece annunciato che il frammento 7Q5 dei manoscritti del Mar Morto era da identificarsi, con tutta probabilità, nel frammento 6, 52-53 del Vangelo di Marco. I Vangeli non sarebbero, cioè, così lontani dall'epoca della predicazione di Gesù, per quanto i tre sinottici dipendano da una 'fonte' comune perduta, scritta in aramaico, che riportava, probabilmente, una raccolta di 'detti' del Signore, chiamata, appunto, in tedesco, 'Quelle', e a propria volta connessa o dipendente da un 'Urmarkus', la prima 'pericope' evengelica ad essere stata composta. L'insieme delle varie 'pericopi' originali, sia scritte che orali, sarebbero state rielaborate dagli Evangelisti, e ciò avrebbe portato ai testi di cui disponiamo, i cui due codici più antichi, appunto il Sinaitico e il Vaticano, risalgono soltanto al IV secolo.

XIII.14. La critica storica sta tentando, dall' 'età dei lumi', di riportare a chiarezza l'oscura 'vicenda' cristiana. Malgrado tutti tentativi compiuti, non si riesce ancora oggi ad uscire da un ginepraio di ipotesi e di possibilità opposte, contraddittorie e inconciliabili. Ci fu un tempo in cui mettere in dubbio la verità letterale della Bibbia significava sfidare la morte. A parte la clamorosa vicenda inquisitoria, tutta italiana, romano-tridentina e controriformista, di un Galileo Galilei (nomen omen?) 'processato' e 'condannato' in nome dell'oscurantismo più truce poggiato sui logici sofismi di un cardinal Bellarmino, nel 1697 un giovane studente scozzese, Thomas Aikenhead, fu impiccato a Edimburgo per aver osato ripetere la rivoluzionaria affermazione di Baruch Spinoza, secondo la quale l'autore del Pentateuco non sarebbe stato Mosè, ma Esdra, vissuto almeno mille anni dopo. La dottrina dell'<<inenarranza verbale>> fu ribaltata dall'illuminismo, e gli studiosi cominciarono allora ad esaminare attentamente la possibilità che nella Scrittura vi potessero essere delle contraddizioni. Uno dei primi a porsi questa domanda fu Hermann Samuel Reimarus (1694-1768), professore ad Amburgo. Il suo lavoro pionieristico metteva in dubbio la divinità di Gesù. Quest'opera di oltre 4. 000 pagine rimase inedita per una comprensibile prudenza nella Germania prussiana. Alcuni estratti, sette in tutto, furono però pubblicati dal Lessing, tra il 1774 e il 1778, il quale aveva scoperto per caso il manoscritto dell'illuminato Reimarus nella biblioteca di Wolfenbuettel. Fu un'esplosione nel campo della ricerca storica su Gesù, sulla base del rilievo fondamentale, affacciato da Reimarus stesso, che in una ricerca storica <<si deve tener distinto ciò che Gesù nella sua vita ha realmente fatto e insegnato, da quello che gli apostoli hanno narrato nei propri scritti>>. Si iniziò allora in Germania lo studio 'critico', cristologico e neotestamentario, che attraverso Eberhard Gottlob Paulus, David Friedrich Strauss, Karl Hase, F.E.D. Schleiermacher, Ferdinand Baur, Bruno Bauer, K. Lachmann, G. Wilke e molti altri ancora, giunse fino ad Adolf von Harnack, e, soprattutto, al cattolico Rudolf Bultmann (1884-1976), cioè al metodo della 'critica formale' o 'storia delle forme', in base al quale i Vangeli non dovevano essere considerati racconti storici, ma collezioni fortemente stilizzate di 'forme' tradizionali', sorte nel tempo, evolvendosi dalla vita, dal culto e dalla tradizione orale delle prime comunità cristiane. Esse proclamavano un kèrygma, cioè una verità teologica, piuttosto che una serie di reminiscenze storiche. Bultmann, che rifiutava la definizione di "memorie degli apostoli" applicata nel II sec. d.C. dall'apologista Giustino Martire ai Vangeli, credeva che gli autori di essi fossero così lontani dal Gesù storico, che essi avevano potuto ascoltare <<solo il soffio debolissimo della sua voce>>.

XIII.15. Per Johannes Weiss tutta l'opera e la predicazione di Geù consistono nel preparare l'imminente irruzione del regno di Dio. Questa scia venne ripresa da Albert Schweitzer in due lavori su Gesù (l'ultimo del 1906), in cui si dichiara non solo superato l'orientamento della 'scuola liberale' (che aveva cercato di precisare il valore delle fonti evangeliche ed il reciproco rapporto dei sinottici), ma, addirittura, metodologicamente impraticabile. In altre parole, il tentativo di ricostruire un'immagine storica di Gesù sulla base delle fonti evangeliche e facendo ricorso alle risorse della psicologia, si è rivelato un'operazione fallimentare. Alfred Loisy (1857-1940), ordinato sacerdote nel 1879 e chiamato nel 1881, ad appena 24 anni, a ricoprire la cattedra di filologia ebraica a Parigi, fu uno dei più grandi studiosi francesi neotestamentari. Una generazione prima, Ernest Renan (1823-1892), membro del Collège de France e titolare della cattedra di lingue semitiche (autore tra l'altro di una celebre Vita di Gesù (1863) e di un'opera Gli Apostoli (1866), ancora oggi con successo ristampate), aveva fondato una celebre scuola, nella quale si era formato proprio il protestante straburghese Paul Sabatier, il primo famoso biografo moderno del francescanesimo. In Loisy era affiorato, a seguito dei suoi studi, perseguiti con estremo rigore e rigida logica, un dramma personale, che era pervenuto, nel 1886, alla catastrofe, con il rigetto di ogni soprannaturalismo religioso. La lotta 'antimodernista' individuò i suoi bersagli preferiti proprio nell'opera di Loisy. Nel 1907 il Santo Uffizio emanò nei suoi confronti la sentenza di 'scomunica maggiore'. Una cosa non di meno restava in piedi: la fede nella sua opera di dotto studioso. Insieme a quelli di Bultmann, i suoi lavori di critica neotestamentaria restano pietre miliari. Una sola scritta egli volle sulla sua tomba: "prete cattolico". La fede in Cristo passa attraverso il messaggio, sono le opere che conformano l'uomo alla verità del cuore.

XIII.16. Dalle sabbie di Nag Hammadi emerse, nel 1945, anche il papiro del Vangelo apocrifo di Tommaso, una raccolta asistematica di 114 'detti' di Gesù, risalente alla fine del I secolo d.C., che non poco ha stuzzicato l'attenzione degli studiosi. Da non confondere con gli Atti di Tommaso, altro scritto gnostico più tardo, questo apocrifo sembra effettivamente ripercorrere una 'pericope' originale. Nella versione di Re Giacomo del Vangelo di Giovanni, l'apostolo Tommaso viene chiamato "Didymus", cioè 'gemello'. In tutti e quattro i Vangeli, e negli Atti, si parla del discepolo conosciuto come Tommaso, senza però riconoscergli una particolare rilevanza. Di lui non si sa praticamente nulla. Solo nel Vangelo di Giovanni, quando Gesù riceve notizia della malattia di Lazzaro, Tommaso parla, e dice: <<Andiamo anche noi a morire con lui>> (11, 16). Poi, in un passo sempre di questo Vangelo, Tommaso mette in dubbio la resurrezione di Gesù. Secondo Esusebio (Storia Ecclesiatica, 3, 1) l'apostolo Tommaso avrebbe successivamente evangelizzato i Parti (che occupavano l'Iran attuale). Stando ad un' opera apocrifa risalente al III secolo, apprendiamo invece che morì in India, trafitto da lance, e che la tomba nella quale era sepolto (a Madras), sarà in seguito trovata vuota. Una tradizione similare è rintracciabile presso una setta di cristiani siriani, che si definiscono "Cristiani di San Tommaso". A quanto essi raccontano, sarebbero stati convertiti da Tommaso, che poi morì a Mylapore, nei pressi di Madras. Chi era esattamente Tommaso? Anche il suo nome è in realtà un soprannome: in ebraico significa infatti 'gemello'. Sicché 'Tommaso Didimo' è 'gemello-gemello', due volte. Nell'apocrifo di Tommaso e negli Atti di Tommaso egli è identificato come 'Giuda Tommaso'. E quando Gesù (Atti di Tommaso) appare ad un giovane: <<Egli vide il Signore Gesù col sembiante dell'apostolo Giuda Tommaso. . . Il Signore gli disse: " io sono Giuda che è anche Tommaso, sono tuo fratello">>. Il professor Helmut Koester della facoltà di teologia di Harvard, intervistato per la serie televisiva inglese curata da David Rolfe, Jesus: The evidence, del 1984, dichiarò che non si poteva dubitare del fatto che Giuda Tommaso fosse davvero il fratello gemello di Gesù. Negli Atti di Tommaso è scritto: <<Fratello gemello di Cristo, che riceve la sue segrete parole>>. In un frammento di un'altra opera apocrifa, Gesù, avvicinandosi a Simone Pietro e Giuda Tommaso, si rivolge a loro <<in lingua ebraica>>, e per quanto il testo appaia offuscato nella traduzione dall'originale copto, sembra che Gesù dica: <<Saluti, mio venerabile guardiano Pietro. Saluti, Tommaso (Gemello), mio secondo messia>>. Se Gesù, 'messia davidico', avesse dovuto avere un 'gemello sacerdotale' (ad es. Giovanni Battista, che in effetti lo precede) è questione aperta. Ma Gesù, probabilmente, non era un esseno, mentre lo era, quasi certamente, il Battista. I rapporti tra Gesù e Giovanni Battista sono tutt'altro che chiari. A questo punto si profila l'ipotesi di un Gesù, messia davidico e sacerdotale, al tempo stesso, strettamente collegato alla setta egiziana dei Terapeuti, sulla quale peraltro si diffonde Filone d'Alessandria, importantissima fonte del cristianesimo primitivo. La Sindone lascia sospettare questo 'scenario', il cui impianto appare del tutto razionale. Ci potrebbe essere, in effetti, un retroscena segreto, rimasto volutamente coperto. In ogni caso la Sindone presenta due immagini, e da tale circostanza potrebbe essere derivata la versione 'gemellare' di Tommaso. Tuttavia ci sembra di poter asserire che la doppia immagine sindonica si riferisce propriamente a Gesù, messia davidico e sacerdotale, cioè alla sua doppia discendenza da David e da Aronne. E dunque la Sindone di lino è davvero l'abito sacro dell'immortalità di Cristo, rapito nel Regno di Luce del Padre Suo.

XIII.17. A questo punto occorre citare i rivoluzionari lavori di Morton Smith, professore emerito di storia antica alla Colunbia University, ed oggi indiscusso membro del 'consensus'. Si tratta di Clement of Alexandria and a Secret Gospel of Mark (Cambridge Mass., 1973) e di Jesus the Magician (Cambridge-New York, 1987, trad. it. Gesù Mago, Gremese Editore, 1990). La rivista Abstracta, alla quale assiduamente collaborarono il compianto Elémire Zolla e Alfredo Cattabiani, e che si segnalava in quegli anni anche per l'accentuato interesse nei confronti del misterioso 'personaggio' della Maddalena, ne aveva pubblicato un'anteprima sul numero 44 del gennaio 1990, pag. 41-48. Clemente d'Alessandria (nato ad Atene circa il 150 d.C. e morto nel 219 come vescovo di Alessandria d'Egitto, autore di importantissime opere come gli Stromata e le Ipotiposi), è uno dei fondamentali scrittori cristiani antichi, una fonte assolutamente preziosa per la ricostruzione delle origini del cristianesimo (cfr. M. Simonetti, La letteratura cristiana antica greca e latina, Sansoni, 1969). Nel 1973, Morton Smith fece una scoperta straordinaria. Ritrovò la Lettera a Teodoro di Clemente Alessandrino, nella quale si dice che nella sua chiesa (verso il 175-200 d.C.) un <<vangelo segreto>> che si riteneva fosse stato scritto da Marco, veniva <<accuratamente custodito>> e <<letto soltanto a coloro che vengono iniziati ai grandi misteri>>. Molti studiosi hanno accolto come autentica questa lettera, nondimeno il contenuto del frammento di vangelo ivi contenuto ha suscitato tutta una serie di attacchi (si veda, ad es., M. Smith, Due ascesi al cielo: Gesù e l'autore di 4Q491, in Gesù e la comunità di Qumran, op. cit., pag. 303 ss.). Si tratta, infatti, di una versione della storia di Lazzaro (cfr. Giovanni, 11, 1-44), scritta in stile marciano, e che dal punto di vista dell'analisi delle forme, è più primitiva del testo giovanneo (documentato verso il 100 d.C.), in cui si aggiunge che Gesù e i discepoli si recarono alla casa del giovane Lazzaro (il fratello di Marta, se non anche di Maria Maddalena), dopo che egli era stato risorto, e si intrattennero con lui, per sei giorni, dopo i quali fu lui ad andare da Gesù, <<indossando soltanto una veste di lino>>, e <<si trattenne con lui quella notte, perché Gesù gli insegnò il mistero del regno di Dio>>. Il lettore comprenderà l'importanza della questione. La resurrezione di Lazzaro compare soltanto nel Vangelo di San Giovanni. Non è riportata dai 'sinottici'. Nel solo Vangelo di Marco (assai stringato e di contenuto ridotto, considerato, oggi, il primo documento evangelico anche nei riguardi del Matteo 'aramaico' per quanto riferibile all'ambiente romano di San Pietro; Marco, "suo figlio" spirituale, sarebbe stato peraltro il figlio ebreo, ma stranamente con nome romano, della donna nella cui casa, al piano superiore, fu celebrata da Gesù, a Gerusalemme, il 14 o 15 di Nisan, secondo un doppio calendario solare e lunisolare, l'ultima cena, e che restò il luogo di incontro dei discepoli e seguaci dopo la crocifissione), proprio nel contesto notturno altamente drammatico del tradimento e dell'arresto di Gesù, figura il particolare, non riportato dagli altri evangelisti, che: <<un ragazzo, però, lo seguiva, avvolto solo di un panno di lino sul corpo nudo. Tentarono di afferrarlo, ma egli, laciato cadere il panno di lino, se ne fuggì via nudo>> (cfr. 14, 43-51). Secondo Padre Ricciotti, quel <<ragazzo>> era proprio l'evangelista Marco. Conclusione perfettamente logica, ma si sarebbe potuto trattare, benissimo, anche di Lazzaro, o di altra persona ancora. Stava forse Gesù celebrando, nell'orto del Gethsemani, un ultimo 'mistero notturno'? Qui tocchiamo da vicino la "resurrezione": sia pure quella simbolica e spirituale del battesimo (e Gesù battezzava col 'fuoco', un fuoco 'pentecostale', anziché con l'acqua di Giovanni Battista), ma, anche, quella 'fisica' vera e propria (Marco 12, 18-26), appunto la resurrezione 'dai morti'. Negli Atti degli Apostoli (9, 36-43) c' è pure l'episodio di Pietro che resuscita, a Giaffa, una vedova di nome <<Tabità>>, <<che significa Gazzella>> (in più parti, gli Atti, molto probabilmente scritti dall'evangelista Luca, un medico al seguito di San Paolo, sembrano modulare alcune linee che saranno poi quelle della narrazione evangelica su Gesù, ad es. le guarigioni di storpi e paralitici da parte degli apostoli Pietro e Giovanni di fronte al Sinedrio, il battesimo di San Paolo, come pure questa 'resurrezione' operata da Pietro). E' il Gesù dei Vangeli, <<potente in opere e parole>>, il 'Gesù mago', col suo dito puntato, gli impasti di saliva e fango, il suo terribile e sovrumano carisma, il Gesù della fede umile e fortissima, che guariva, addirittura, al solo tocco inconsapevole del suo mantello, o col solo sguardo, che scacciava i demoni, che esorcizzava i peccati, che aveva mutato il nome dei suoi apostoli, e soprannominato Giacomo e Giovanni 'Boanergès', cioè figli del tuono, e aveva salvato la figlia di Jairo, quasi <<agli estremi>>, se non addirittura già morta. Gesù disse in aramaico: <<Telita qumi - Ragazza sorgi!>>. E lo spirito ritornò nella dodicenne. Il "Tabità, Gazzella", ambientato a Giaffa, sembra una emulazione di questo racconto evangelico, fermo restando che la redazione degli Atti e delle Lettere di San Paolo precedono gli attuali Vangeli, e che pertanto l'indirizzo paolino contrassegnò il cristianesimo in modo pressoché totale, oscurando ogni altra alternativa possibile.

XIII.18. Ma il professor Smith non si occupa di questo. Egli ha invece messo in luce che nella Chiesa di Alessandria era certamente venerato, e letto nei <<misteri>> che vi si celebravano, il riportato passo del Vangelo segreto di Marco, a noi non pervenuto (si trattava, forse, dell'Urmarkus, già ipotizzato accanto alla fonte 'Quelle'?). La chiave di tutto risiede nella veste di lino indossata come unico indumento. Secondo Morton Smith, <<questa era una veste usuale nelle antiche cerimonie religiose, soprattutto in quelle misteriche>>, come provano le Metamorfosi di Apuleio (cfr. 11,3). E del resto anche Luciano (De morte Peregrini, 11) classificava il cristianesimo come 'culto misterico', aggiungendo che questo abito di lino <<era consueto per le visioni magicamente indotte>>: divenne, infatti, <<l'indumento comune del battesimo cristiano, il mistero di iniziazione della chiesa>> (citato da M. Smith). Gesù insegnava <<il mistero del regno di Dio>>, ma in antico i misteri venivano 'dati', e non 'insegnati'. Che Gesù avesse fondato un culto misterico non dovrebbe sorprendere. Si trattava di qualcosa che ci si attendeva che uomini dotati di straordinari poteri religiosi facessero. Tali culti, secondo Diodoro Siculo e gli stessi Papiri della Grecia magica, erano in genere attribuiti ai grandi uomini del passato, Mosè compreso. Se supponiamo che Gesù abbia fondato un culto misterico, e che il rito d'iniziazione fosse una qualche sorta di <<battesimo>> (o d'immersione), dobbiamo ora chiederci: qual era esattamente il mistero celebrato? Marco 4,11, e il "Marco segreto", dicono che era <<il mistero del regno di Dio>>. Il mistero, cioè, di come vi si entra. Nei Vangeli, il regno di Dio è richiamato in più modi, tra loro diversi. Si tratta di un elemento sfuggente, poiché non viene data una precisa risposta alle domande <<Dov'è il regno?>> e <<Come possiamo entrarvi?>>. Si aprono perciò delle congetture. Probabilmente, nel battesimo praticato da Gesù (ed è certo che Egli battezzasse), l'iniziato è posseduto dallo Spirito. Inoltre, di fronte alla questione che i primi cristiani speravano di entrare nel regno subito dopo la morte, e che, addirittura, alcuni sostenevano di esservi stati da vivi (da qui la voragine 'gnostica' contro la quale la Chiesa dovette battersi fin dal principio), sta una quantità di prove secondarie, non probatorie, ma indicative, che tende a corroborare l'ipotesi che Gesù, durante la sua vita, asserisse d'esser asceso al cielo. Morton Smith riscontra, nel frammento 4Q491 dei Rotoli del mar Morto, un componimento poetico, che secondo il Baillet sarebbe invece un cantico dell'Arcangelo Michele, lo scritto cioè di un qualche 'egoarca' che affermava d'aver fatto esattamente ciò che Gesù poteva aver fatto: essere entrato nel regno dei cieli, ed esservisi assicurato il possesso d'un seggio, continuando però a dimorare nel frattempo sulla terra, e proseguirvi la propria opera d'insegnamento. Sorprendentemente, simili analogie, che il 'giallista' dell'introduzione non può certo trascurare, si riscontrano anche nella 'leggenda' francescana. Infine, l'aspetto significativo del 'Gesù mago' di Morton Smith è che, sebbene quest'opera sia basata sul confronto tra i Vangeli e i Papiri della Grecia magica, essa ben si adatta alla figura descritta nel Talmud e nei primi testi rabbinici, che infatti considerano Gesù come un ebreo convertito a un'altra religione, che notoriamente praticava la magia egizia, alla quale si sarebbe avvicinato quando si trovava in Egitto, nei primi anni anni della sua vita. Ancora una volta, ecco una traccia che riconduce all'Egitto! Il lettore che ne voglia sapere di più scorra l'eccellente studio del professore americano di letteratura classica Georg Luck, Il magico nella cultura antica (Mursia, 1994: soprattutto pagg. 26, 27, 28, 54, 160, 164 e 356, dove, tra l'altro, si mostrano le differenze tra Gesù, Simon mago e Apollonio di Tiana). Ma è singolarmente l'evangelista Matteo, che, testualmente, afferma che Gesù è "inviato dall'Egitto"! (pur citando, in questo caso, un passo biblico del genere profetico).

XIII.19. E' opinione comune che gli Esseni di Qumran risalgano a un periodo che va dal 300 al 250 a. C., ma alcuni studiosi accettano l'ipotesi che le loro opere si basino su di un'esperienza molto più antica. A parere di Ben-Zion Wacholder dell'Hebreww Union College di Cincinnati, Ezechiele era <<il primo Esseno di Qumran>>. Il Rotolo di Rame potrebbe invece riferirsi ad un'epoca remota, addirittura risalente a quella mosaica. Del resto Mosè non era ebreo, e tutto lascia credere che fosse un membro di casta reale dell'antico Egitto, così come ritiene lo stesso Freud, che a Mosè dedicò uno straordinario saggio. Secondo l'ingegnere metallurgista Robert Feather, gli Esseni di Qumran erano gli eredi diretti dei sacerdoti che custodivano l'Arca, i quali, a loro volta, discendevano dai sacerdoti di Akhenaton (cfr. L'ultimo mistero di Qumran, Piemme, 2000, pag. 195 ss.). Si può quindi ritenere razionalmente coerente e logicamente possibile che la setta dei Terapeuti di Alessandria e quella degli Esseni di Qumran (alle quali fa riferimento Filone, preziosissima fonte contemporanea a Gesù) fossero due rami diversi e distinti di un medesimo movimento di antiche radici, con punti in comune ma anche rilevanti diversità, che ne facevano due movimenti ben separati, tra loro autonomi e diversificati. Questa ipotesi darebbe ragione del mistero di Gesù, delle sue affinità e diversità dalla setta degli Esseni, del fatto che Egli applica un diverso calendario rispetto a quello giudaico nella celebrazione della Pasqua, e, soprattutto, della sua formazione culturale iniziatica e sacrale nonché delle sue origini "egiziane", cioè antifarisee e assolutamente non giudaiche. Il chiaro pacifismo di Gesù attiene ad una visione universale e cosmopolita, e si radicherebbe, quindi, in una sorta di 'secondo esodo', sulla scorta delle dottrine stesse di Filone (che ne è un singolare interprete, a cavallo tra culture diverse), le quali erano rivolte non a sette particolari o di stampo ribellista, ma addirittura all'intero mondo pagano della koinè mediterranea, onde preparare il terreno di penetrazione della nuova dottrina di pacificazione, che in effetti divenne il cristianesimo del kèrigma e che Gesù impersonerà, non solo quale Re dei Giudei, un titolo che gli evdentemente poteva vantare a buona ragione, ma anche come autentico Salvator Mundi, o Re dei re. C'era infatti, in tutto il mondo Mediterraneo, Roma compresa, un'attesa di tale intensità, che non si potrebbe spiegare altrimenti. I popoli sanno sempre quand' è vicina una grande svolta. E' questo il senso stesso della 'civiltà', quando appunto una svolta radicale viene a maturazione quale nuovo patrimonio spirituale accumunante, che varca ogni barriera, che erompe, e scavalca, ogni precedente ostacolo storico. Col cristianesimo venne a maturazione un lievito sprituale che agì nella storia per secoli e secoli, celato nelle cifre del monoteismo più puro.

XIII.20. Gesù "Mago e Messia": è questo il nostro convincimento. Egli è il Sole che cammina sulle acque del lago di Tiberiade, è il Salvatore dei Figli emblematizzato dall'acronimo greco del 'pesce', è l'Aratore del 'quadrato magico di Pompei' (altro straordinario enigma simbolico che, come mostra Maria Grazia Lopardi nei suoi libri fortunati su Celestino V e la Chiesa di Collemaggio a L'Aquila, caratterizzò anche il mondo templare), è il Re dei Giudei che patì sotto Ponzio Pilato, è il Risorto, è il Cristo, è anche l'Uomo della Sindone e l'Unto del Signore. Ed è soprattutto il Messia della profezia biblica delle 'sette settimane'. Un Mago come Honi, che faceva piovere (cfr. G. Flavio, Antichità giudiche, 14, 22-24, mentre Esusebio ci rammenta il miracolo della pioggia, invocata dai legionari cristiani della Colonna traiana). Non un Hanina ben Dosa, il carismatico galileo, che venne poi chiamato <<figlio di Dio>>, oppure <<l'Egiziano>> della Guerra giudaica, col quale fu scambiato a prima vista dai romani proprio San Paolo. Ma una sorta di Maestro di Giustizia, un 'nazir', il 'virgulto' di David. Non un Giuda di Gamala, non un Eleazaro, né 'il figlio della stella' come bar Kosba. Ma il Re dei Giudei, il nuovo Mosè, il Lógos di Filone d'Alesandria. Non Osiride, Mitrha, Tammuz o Adone. Bensì 'Sol Invictus', Figlio dell'Uomo, e Figlio di Dio. Un individuo speciale, il 'Nuovo Adamo' di un Eden di carità, non tentato dal serpente. Il figlio più vero e completo d'una storia millenaria, che riuniva Akhenaton, Mosè, Aronne, David, Salomone, Platone, ed il meglio della civiltà mediterranea, come intesero in seguito Proclo e il suo emulo più tardo, Michele Psello. Il suo 'tempio' poteva essere rifatto in tre giorni, nel segno di Giona. Messia regale e sacerdotale al tempo stesso, e non un esseno del Qumran come Giovanni Battista, ma un poliglotta educato in sapienza arcana in un misteriosa setta della 'diaspora', che si riportava indietro alle origini stesse dell'antico monoteismo. E il 'giallista' qui sognerebbe, letteralmente vaneggerebbe, se non avesse in mano degli 'indizi', che lo costringono a 'riflettere' sulle straordinarie possibilità dei meccanismi della storia (si veda, ad es., C. Lauricella, Storia del pensiero, Editori Associati Torino, 1938, vol. II., pag. 3-256, circa la grande svolta che il cristianesimo impresse a tutto il mondo antico). <<Non sorprende che Alessandria sia stata frequentata dagli ebrei della Terra Santa, per ragioni commerciali nei periodi di stabilità, come rifugio nei periodi di caos e di guerra. Stando ai Vangeli, Gesù e la sua famiglia, per sfuggire alla persecuzione di Erode, cercarono la salvezza in Egitto, dove non sarebbero mancati loro sostenitori comprensivi, in linea col loro modo di pensare>>. E in effetti, sotto il nome di <<Therapeutae>>, Filone parla di una setta o enclave giudaica in terra straniera, le cui posizioni e i cui riti sacri sono quasi assai prossimi a quelli degli Esseni o Zadochiti della Terra Santa. Identici, in altre parole, a quelli dei seguaci di Gesù. E dopo le maggiori rivolte della Palestina (quella del 66-74 e quella del 132-5), sappiamo che sostanziosi gruppi di giudei, militanti sconfitti, fuggirono ad Alessandria (cfr. L'eredità messianica, op. cit., pag. 112). In Egitto ritornarono, secoli dopo, i 'Padri del deserto' prima del crollo dell'Impero d'Occidente. Semplicemente, Gesù era un 'nazareno ebionita'. Ma di chi era figlio 'carnale', se non era figlio di Dio, concepito dallo Spirito Santo? I 'razionalisti' non possono certamente sottrarsi a questa domanda, tanto più che esistono 'versioni' plurime e contraddittorie sulla sua natività, irreconciliabili tra loro.

XIII.21. Giuseppe non era un 'falegname', e neppure un semplice 'carpentiere'. Era un 'costruttore', tornato in Galilea per i grandi lavori urbanistici voluti da Erode Antipa, che era salito al potere come tetrarca appena diciassettenne (nel 4 a. C., alla morte di Erode I detto il Grande), e vi si mantenne fino al 40 d.C.. Secondo i Vangeli, Gesù non si recò mai a Sefforis, vicinissima a Nazareth, che Antipa rafforzò ed abbellì, dandole il nome ufficiale di Tiberiade, che ricordava l'imperatore romano sotto il cui regno fu messo a morte. Gesù potrebbe essere stato, addirittura, concepito dalla giovanissima Mariamne alcuni mesi prima della morte del padre, forse un altro figlio di Erode il Grande, Antipatro, fatto uccidere da colui che sarebbe stato secondo tale ipotesi il nonno di Gesù, proprio appena prima della morte di questi (avvenuta come detto nel 4 a.C.). Ed è questa una delle date più probabili per la nascita di Gesù. Macrobio (Saturnali, II, 4,11) mette in bocca all'Imperatore Augusto (a proposito d' Erode, il cui nome significa discendente da 'eroi': un idumeo, non di stirpe regia, che si era impadronito di Israele ed aveva fatto ricostruire il Tempio), la frase che <<meglio>> sarebbe stato <<essere un porco ('us), piuttosto che suo figlio (uiòs)>>. Dagli apocrifi Protovangelo di Giacomo e dal Vangelo di Maria, sappiamo, poi, che la 'madre certa' di Gesù era figlia di un sacerdote del tempio di discendenza davidica, ma anche da Aronne (per parte materna), di nome Mattia, ed altresì, che era stata allevata proprio "nel tempio di Gerusalemme" (lo sostengono anche Origene e Clemente Alessandrino). Nel 1956 Joseph Schreiber (The Laws of the Jews, New York) aveva affacciato proprio questa ipotesi. Mariamne (versione greca di Maria) poteva essere stata la prima moglie di Antipatro, e la madre 'prescelta' dell'erede del regno giudaico. Questa traccia (compatibile con la narrazione storica di Giuseppe Flavio), non solo potrebbe spiegare tutte le incoerenze della 'narrazione' di Matteo, riportandole a senso, ma darebbe ragione della stessa fuga in Egitto, del particolare ruolo di Giuseppe, degli stessi 'anni oscuri' di Gesù, e, soprattutto, del titulus della condanna a morte da parte dei Romani e non da parte degli Ebrei, appunto quale <<Re dei Giudei>>. Del resto, il posto dove era più logico che la 'moglie di Antipatro' fuggisse, era effettivamente l'Egitto. Infatti Antifilo, l'intimo amico di Antipatro, che Salomè aveva falsamente implicato nel complotto contro Erode (cfr. G. Flavio, Antichità giudaiche XVII, 44 ss.), era un "alto ufficiale egiziano". Secondo Matteo, Gesù proviene espressamente dall'Egitto, come inviato di Dio. Le vere origini di Gesù, per quanto oscurate da richiami teologici, non sarebbero state quindi cancellate del tutto. Tale singolare ed affascinante 'versione' presenta qualche problema di correlazione, pur risultando inserita in un contesto temporale alquanto preciso e determinato. Ma non è campata in aria, come parrebbe a prima vista. Essa si sostiene, abbastanza bene, nell'ambito dell'analisi critica e logica dei racconti sulla natività, e sembra trovare un notevole suffragio nelle stesse narrazioni apocrife dell'infanzia di Maria. E' inoltre in grado di spiegare perché Gesù inizi la sua predicazione proprio dalla Galilea, muovendo poi verso Gerusalemme. Su questi temi rifletterà il lettore da sé, verificando l'effettiva compatibilità dell'ipotesi con la narrazione storica di Giuseppe Flavio, dalla quale non può in effetti prescindersi.

XIII.22. Qual era l'aspetto fisico di Gesù, che le fonti non trasmettono, e che l'iconografia catacombale risolse nell'immagine simbolica del Buon Pastore, e che poi si affermò attraverso il 'volto nazzareno', molto vicino a quello della Sindone e del Volto Santo di Sansepolcro? Carl Adam dedicò (nel 1939) pagine illustri alla 'fisionomia del Cristo', tentando anche la ricostruzione dell'aspetto esteriore. Il suo aspetto fisico doveva destare un fascino irresistibile, se un giorno una donna del popolo si lasciò sfuggire, incontenibile, questo grido di lode: <<Beato il grembo che t'ha portato, e il seno che t'ha nutrito!>> (Luca 11, 27). E' vero che più tardi Origene, e con lui certi monaci greci ed egiziani, asseriscono che Gesù aveva un aspetto deforme, decisamente brutto. Ma tale opinione è fondata semplicemente sull'esegesi dogmatica d'un passo di Isaia, che riguarda il <<Servo di Javhè>>, ove il profeta aveva predetto che in lui non v'era né decoro né bellezza. A diffondere quest'interpretazione negativa contribuì decisamente la concezione neoplatonica del periodo ellenistico, che considerava il corpo, ogni corpo, come indegno d'esistere, e, soprattutto, prigione dell'anima. L'occhio di Gesù doveva, in modo speciale, suscitare vivissime impressioni (cfr. Marco 3, 5, 34; 5, 32; 8, 33; 10,21, 23, 27). Dai Vangeli si possono immaginare, indirettamente, la sua vigoria fisica e la sua energia, di molto superiori a quelle dei pur giovani discepoli. La sua mente è sen'altro di tipo superiore. Il Gesù evangelico è un carattere 'eroico' in sommo grado, d'una regalità innata. Il suo senso della realtà, provato da molti passi, è accompagnato da una forte emotività, che lo conduce addirittura ad un "sudor di sangue" la notte dell'arresto. Nelle discussioni con gli avversari (scribi e farisei), i suoi argomenti, che troncano ogni possibilità di replica, agiscono come una folgorante demonstratio ad oculos. Gesù possiede una straordinaria finezza d'osservazione e una finissima psicologia. Sorse, dall'equivoco logico dell'erronea e rovesciata interpretazione di un passo evangelico (Luca 19,3), dove un uomo (Zaccheo) cerca di scorgerlo tra la folla, che fosse di bassa statura, un nano barbuto, non più alto di un metro e trentacinque centimetri. In realtà, dalla sistematica ricombinazione degli accenni indirettamente fatti dai Vangeli, si ricava con forte possibilità di certezza, un aspetto fisico ragguardevole e una maestosità che si imponevano da soli. Molte donne lo seguivano e lo servivano. Non sapremo mai quali fossero i suoi rapporti con Maria Maddalena, originaria di una località prossima al lago di Tiberiade. E' Maria Maddalena che lo unge di costosissimo olio di 'nardo', a Betania, la casa di Simone il lebbroso (ed anche di Marta e di Lazzaro: probailmente un luogo 'esseno'), e che gli asciuga i piedi con i lunghi capelli. Gesù conosceva il greco e il latino, quanto meno intendeva queste due altre lingue. La Galilea, descritta da Giuseppe Flavio nella Guerra giudaica, era di fatto una regione ubertosa, a differenza della Giudea, con una popolazione gagliarda e bellicosa, una terra, cioè, aperta ai traffici ed agli influssi esterni, col ragguardevole porto di Cesarea. Ma la predicazione di Gesù (durata da un minimo di qualche mese ed un massimo di due-tre anni) si svolse quasi tutta intorno alle sponde del lago di Tiberiade, per poi concludersi, drammaticamente, a Gerusalemme (tuttavia dal Vangelo di Giovanni si ricavano, esattamente, gli elementi opposti). Gesù aveva, a Gerusalemme, conoscenze importanti ed appoggi notevoli, completamente ignorati dagli apostoli. Infatti gli furono forniti, da qualcuno che sapeva come fare, i due asini per l'ingresso trionfale a Gerusalemme, e un sorprendente portatore d'acqua, indicato da Gesù stesso, indica agli apostoli la casa dell'ultima cena. I suoi seguaci si distinguono in varie categorie, ed accanto agli ingenui, ma anche agguerriti e bellicosi discepoli (tra i quali militano zeloti e sicari), Gesù poteva vantare rapporti di tutto rilievo con personaggi autorevoli ed altolocati come Giuseppe d'Arimatea e Niccodemo, tra l'altro membri del Sinedrio, ed aveva conoscenze anche nell'ambito della corte di Erode Antipa. Una delle donne del suo seguito era infatti la moglie del 'tesoriere' del Tetrarca. San Paolo ha uno strano nipote (che appare per salvarlo e subito scompare) e un altro parente, di nome Erodione, ed egli stesso conosceva bene Manahem (Atti 13,1), il compagno d'infanzia di Erode (oppure, uno dei capi della rivolta del 66 d.C., terzo figlio o nipote di Giuda di Gamala, capo della ribellione del 4 a. C., avvenuta alla morte di Erode e al tempo della probabile nascita di Gesù). Gesù non veniva dal nulla, e in tutto e per tutto, la sua immagine fisica sembra coincidere con quella maestosa e ieratica della Sindone, il che non sfugge affatto alla ordinaria sensibilità, tanto da far ritenere, in contrario, che l'uomo della Sindone sia un cavaliere templare, eccezionale, come si presenta, nei suoi tratti somatici di robusto guerriero ovvero di persona fisicamente ben dotata. Ma Gesù non era un comune ribelle, era invece un autentico re-messia di superiore statura morale, non un capopopolo qualsiasi.

XIII.23. <<Il governo romano sapeva che la grande rivolta del 66 era stata alimentata dalla fede nelle profezie messianiche: è pertanto naturale che, sedata la rivolta, esso intendesse prevenirne il ripetersi arrestando e ponendo sotto controllo i discendenti della stirpe di David ai quali le profezie si riferivano>> (vedi Marta Sordi, I Cristiani e l'Impero Romano, Mondadori, 1990, pag. xxx). Si sa dallo stesso Egesippo (in Eusebio, Storia ecclesiastica, III, 32, 3 ss.) che tale ricerca si verificò ancora sotto Traiano, e condusse all'arresto e alla morte, per opera <<del consolare Attico>>, di Simeone di Clopa (siamo negli anni tra il 98 e il 117 d.C., la stessa epoca di Plinio il Giovane e del famoso rescritto di Traiano). Tale Clopa, secondo Eusebio - cfr. in questo caso III, 11-12 - è proprio lo stesso 'innominato' del passo di Marco 15, 12, e, si comprende bene, quel 'Cleopa' - un nome egiziano? - del passo di Luca 22-18, al quale apparve, per primo, proprio Gesù risorto. <<Ciò che colpisce>> prosegue la Sordi <<nella notizia relativa all'interrogatorio, posto da Egesippo sotto Domiziano, è che esso è attribuito all'imperatore personalmente, e sembra avvenuto in Giudea, dove Domiziano non si recò mai>>. Valutate le varie soluzioni possibili, secondo l'autrice deve trattarsi proprio di Domiziano (succeduto a Tito nell' 81 e morto nel 96), e non di Traiano, l'interrogatorio essendo avvenuto verosimilmente a Roma e non in Giudea. Ma ciò che conta è che qui viene in rilievo la parentela 'davidica' con Gesù, un argomento assai importante, come abbiamo già visto a proposito di Antipatro e Mariamne. Citiamo ancora la Sordi: <<l'attribuzione a Vespasiano o a Tito della ricerca dei discendenti di David ricordata da Egesippo e dell'interrogatorio dei nipoti di Giuda ci permette intanto di concludere che fu nel corso della guerra giudaica che i Flavi ebbero occasione di conoscere in Giudea la locale comunità cristiana e di sentir parlare di Cristo e del regno di Dio, proprio come affermava Sincello. L'atteggiamento di tale comunità, che non aveva partecipato alla rivolta ed aveva lasciato Gerusalemme per Pella fino dall'inizio di essa (cfr. Eusebio, Historia eccelesiatica III, 5,3) e il diretto interrogatorio dei due nipoti di Giuda li convinsero che i Cristiani non erano politicamente pericolosi>>.

XIII.24. Tra questi parenti 'davidici' di Gesù, <<della famiglia>> stessa, vi erano <<i nipoti di Giuda, detto secondo la carne fratello del Signore>> (cfr. Eusebio, Storia ecclesiastica, III, 19-20). Ed ecco che un faro viene puntato. Esusebio si riconnette anche al <<martirio di Giacomo e alla presa di Gerusalemme>> (Storia ecclesiatica III, 11). Ma dunque quanti 'fratelli' aveva Gesù? Poiché anche 'Giacomo' è "fratello di Gesù" (G. Flavio, Antichità giudaiche, XX, 200); mentre, secondo gli Atti, Giacomo è il capo della Chiesa di Gerusalemme (ma anche un altro Giacomo, però fratello di Giovanni, compare nel capitolo 12, fatto morire di spada da 'Erode', cioè Giulio Agrippa I, nipote di Erode Antipa, e discendente dell'idumeo Erode il Grande). Gesù (Mc 6, 3) aveva "fratelli e sorelle" (un dato assai scomodo: e, si badi bene, non cugini, ma fratelli: non era, cioè, 'figlio unico' della 'coppia' Maria e Giuseppe, morto Antipatro). <<Non è egli il falegname, il figlio di Maria e il fratello di Giacomo, di Giuseppe, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non sono qui tra noi?>>. E' questo uno dei passi più controversi del Vangelo. Per quanto concerne 'Giacomo' fratello di Gesù, si distinguono due persone con lo stesso nome: Giacomo il Maggiore e Giacomo il Minore. Il primo sarebbe figlio di Zebedeo e di Salome, fratello maggiore di Giovanni Evangelista. Quanto al secondo, vi è controversia tra gli studiosi, perché il Nuovo Testamento ne menziona ben quattro, oltre al figlio di Zebedeo, e precisamente: Giacomo di Alfeo (apostolo), Giacomo "fratello" (cioè, secondo la Chiesa, cugino) di Gesù e figlio di Clopa, Giacomo capo della chiesa di Gerusalemme, Giacomo cui è apparso Gesù risorto secondo San Paolo (I Corinzi, 15, 7). Qualcuno ha identificato questi personaggi in un'unica persona, che sarebbe stata ad un tempo apostolo, cugino di Gesù, e vescovo di Gerusalemme. Una epistola 'cattolica' sarebbe inoltre da attribuire a Giacomo il Minore. Infine, se si fanno bene i conti, ci si accorgerà che gli 'apostoli' dei quattro vangeli canonici sono più di dodici, anche se 'dodici' è il numero prefissato (in analogia all'<<organizzazione>> della setta del Qumran o ai segni zodiacali?), e tale ne resta il numero negli Atti (Giuda il Sicario, morto nel suo 'Campo del sangue', è stato nel frattempo sostituito da un altro apostolo), con i relativi 'dodici' nomi. Ma Gesù risorto appare agli 'undici', nel Vangelo di Marco; ai 'dodici' secondo il punto di vista dell' 'apostolo' Paolo, che vi si era aggiunto con la scavallatura di Damasco. Il totale ammonta perciò a quattordici nomi, oltre Levi, un pubblicano, che seguì Gesù, nominato da Marco e Luca (vedi Sanders, op. cit.). E gli apostoli avevano doppi nomi (almeno alcuni di essi), come Simon Pietro, e la coppia di fratelli Giacomo e Giovanni, chiamati da Gesù, come abbiamo ricordato, con l'appellativo di 'figli del tuono' (Ricciotti, op. cit., pag. 313). Tutto questo per filtrare la recente notizia, riportata con un certo risalto dagli organi di stampa (ad es. La Repubblica del 22 ottobre 2002 e Il Sole 24 Ore, pagine culturali, domenica 27 ottobre), della 'grande scoperta archeologica', fatta a Gerusalemme, di un'urna funeraria in pietra calcarea, risalente al primo secolo, che reca in aramaico (la lingua parlata da Gesù, diversa dall'ebraico parlato a Gerusalemme), la seguente iscrizione: <<Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù>>. Qualche mese dopo la notizia ufficiale della smentita: la 'tomba' e la 'scritta' sarebbero un falso, se non un equivoco archeologico! La storia della 'Chiesa primitiva' è ancora piena di inestricabili misteri. Ma questi 'misteri' sembrano riguardare, in effetti, la stirpe di Gesù, che non era figlio di Giuseppe, e che non negò di fronte a Ponzio Pilato di essere in qualche modo "re dei Giudei".

XIII.25. Questo 'Gesù', per molti tratti simile agli 'esseni' di Qumran (la cui denominazione non è stata ancora spiegata e dei quali mai si parla nei documenti neotestamentari), ma per altri aspetti nettamente diverso, sembra in qualche modo un perfetto 'estraneo' all'ambiente gerosolimitano, uno cioè proveniente da 'altrove'. Un movimento assai simile all'essenismo si ha nei Terapeuti (cfr. Eusebio, Storia ecclesiastica, II, 17-18), descritti da Filone d'Alessandria nel De vita contemplativa. Fra le divergenze più sensibili c'è la presenza di donne (non di mogli) in mezzo ai 'terapeuti', una maggiore insistenza sulla vita liturgica e sullo studio. Secondo Filone i due gruppi erano ben distinti. Questi ultimi si collocavano in una zona ad est di Alessandria (Angelo Penna, Storia del cristianesimo, I, 1972, Assisi, ed. Cittadella). Non è quindi peregrina l'ipotesi di Gesù come appartenente alla setta dei Terapeuti, considerata l'improbabilità di un Gesù esseno, come messo bene in evidenza dagli studi più recenti. Ed anzi, la distinzione, se non contrapposizione, tra Gesù e Giovanni il Battista, deporrebbe proprio in questa direzione di sétte tra loro affini ma anche diverse, radicate entro e fuori dai confini di Israele, uniformate ad interpretazioni non coincidenti e piuttosto sfumate della Bibbia, con riti e prescrizioni specifiche di ciascuna identità religiosa settaria. Per questa medesima ragione l'ebreo Giuseppe Flavio non si occuperebbe troppo di Gesù, in quanto non propriamente 'ebreo', ed anzi del tutto estraneo all'ebraismo tipicamente fariseo. Se il passo di Giuseppe Flavio a riguardo di Gesù non è affatto interpolato (come potrebbe essere benissimo), la definizione di 'Cristo' è propriamente di tipo regale, a conferma del 'titulus' di condanna a morte. Il grande storico ebreo ci dice per sottinteso che Gesù era un legittimo pretendente al regno dei Giudei, per quanto educato in Egitto, e completamente estraneo al contesto storico-politico gerosolimitano. La verità può essere ricavata soltanto in via indiziaria dall'analisi complessiva del dati e delle circostanze attingibili.

XIV. Il MISTERO DEL SACRO

XIV.1. Ovviamente non presumiano nessuna 'verità' in quanto ogni possibile verità è in questi casi forzatamente ipotetica. Il nostro è un largo ventaglio di ipotesi, tutte di per sé assai incerte ed aleatorie, ma che messe insieme, attraverso il legante fondamentale della Sindone, possono comporre un quadro secondo noi abbastanza coerente. Si tratta dunque di una 'trama' che può essere soltanto 'raccontata', senza per questo arrecare violenza al sacro. Del resto l'importanza del 'fenomeno religioso' è tale che nei precedenti numeri di Episteme sono stati pubblicati svariati articoli di grande interesse specifico e di grande originalità, come la presentazione dei lavori di David Donnini (Cristo, una vicenda storica da riscoprire, Bolsena, 1994), la recensione dell'interessantissimo libro di Flavio Barbiero La Bibbia senza segreti (Rusconi, 1988), e il saggio del medesimo autore "La famiglia di Mosè - Un potere occulto nella storia d'Occidente?", gli studi di Sabato Scala (tra l'altro autore di un acuto lavoro su I Cristiani del Qumran), gli interventi di Ezio Albrile, di Ludwik Kostro ed altri ancora, oltre, addirittura, alla presentazione dell'impegnativa opera (in quattro volumi) di Gianni Grana (cioè L'invenzione di Dio), a riprova di uno straordinario impegno a tutto campo (grazie alla grandissima sensibilità ed attenzione scientifica del Prof. Bartocci nei confronti degli aspetti più fondamentali della cultura occidentale).

XIV.2. In occasione della presentazione del libro del giornalista perugino Carlo Giacchè (Sindone una trama templare, Atanòr, 1992: un'originale ricerca intorno al 'lenzuolo' di Torino, che sarebbe, secondo l'Autore, arbitrario riferire a Gesù), su Episteme n. 4 comparve un autorevolissimo intervento dello stesso direttore della rivista, in base al quale si concludeva, conformemente ai contenuti della pregevole pubblicazione recensita, ma difformemente dall'ipotesi discussa in queste pagine, che si trattasse tutto sommato di un falso medievale (come del resto 'scientificamente' provato dalla 'radiodatazione al carbonio 14'), restando se mai da chiarire <<da chi>> e <<per quale ragione>> sia stata a suo tempo fabbricata questa singolarissima contraffazione, astrattamente riferibile alla morte e sepoltura di Gesù secondo le circostanze riportate nei Vangeli. Il matematico Piergiorgio Odifreddi, collega e amico del Prof. Bartocci, sostiene ugualmente (cfr. La repubblica dei numeri, op. cit., un testo di grande interesse) che <<l'artefatto>> riguarda un'impronta <<che certo non può certo essere lasciata da un cadavere>>, soprattutto perché <<le immagini frontale e dorsale non hanno la stessa lunghezza (differiscono tra loro di 4 centimetri)>>. Molti elementi lascerebbero dunque supporre la falsità della Sindone. Personalmente non la pensiamo così, e forniremo una spiegazione al termine di questo lavoro. La differenza di lunghezze si giustificherebbe, poi, con la posizione leggermente ricurva assunta dal cadavere di Gesù, e rivelerebbe, sotto questo aspetto, interessanti elementi sulle stesse modalità esecutive del 'processo chimico' di realizzazione "fotografica" della 'doppia immagine' sindonica. Lo stesso Volto Santo di Sansepolcro appare stranamente proteso in avanti. La Sindone costituirebbe, peraltro, l'effettiva 'prova' della 'morte' di Gesù crocifisso, mentre la 'resurrezione', che ovviamente mette in sospetto qualsiasi razionalista, pur non essendo affatto un'invenzione o un mito apostolico e paolino, sarebbe invece da analizzare in modo differente, contestualizzandola entro la cornice del 'possibile' umano. In ogni caso si richiamano, all'attenzione, le bellissime pagine del Prof. Donati (op. cit.), contenenti una analisi chiarissima e rigorosa del problema 'teologico' della resurrezione dei morti. Da parte nostra ci rendiamo ben conto dell'azzardo della nostra ipotesi, ed è proprio per questa ragione che ci siamo arrestati ad una semplice 'narrazione indiziaria', pur elencando e puntalizzando i diversi e articolati momenti, che inspiegabilmente sembrano coesistere. Indubbiamente la 'storia del sacro' offre un vasto ventaglio di soluzioni interpretative e ricostruttive, poiché non solo 'fede' e 'ragione' possono marciare su binari diversi, ma anche poiché non esistono verità 'incontrovertibili', almeno nel campo della ricerca neotestamentaria (e forse anche nei riguardi della Sindone, per quanto oggettivizzata e materializzata in un lenzuolo recante un'immagine misteriosa). Tuttavia, non possiede alcuna credibilità tutto ciò che contrasti con la ragione, e non si presenti, dunque, catesianamente in modo "chiaro e distinto". Siamo perciò perfettamente consapevoli di correre un gran rischio presentando le nostre osservazioni ed argomentazoni, sicuramente suscettibili di varie censure in un ambito così arduo, complesso e specialistico.

XIV.3. La razionalità greca pervenne con Platone alla teoria filosofica dell'immortalità dell'anima, già propria degli antichi egiziani, i quali erano piuttosto orientati verso una sorta di resurrezione del corpo. Atteggiamenti simili si riscontrano nel mondo ebraico, dove alcune correnti di pensiero (riflesse dalle considerazioni del libro dell'Ecclesiaste) negano ogni forma di sopravvivenza, altre ammettono la resurrezione dei corpi, e altre ancora una sorta di rinascita immateriale 'nella luce'. Una fonte classica precristiana riporta la singolare storia di un fantasma, che compariva nottetempo in Atene, destando paura e meraviglia. Si riuscì alla fine a comprendere che il fantasma indicava un certo luogo d'un giardino, dove scavando furono trovate delle ossa. Poi il fantasma scomparve. Un modo come un altro per riferirsi al 'corpo etereo'. San Paolo precisa più volte le proprie idee sulla resurrezione, che concerne il corpo, che però corpo non è, pur non trattandosi affatto di un 'ectoplasma', come diremmo oggi. L'antica dimensione del sacro, che guarda alla 'vita-morte', al culto dei defunti (come nell'Eneide), alla luce eterna del sole e all'alternarsi dei cicli, si spende, in definitiva, tra le opposte sponde del <<non omnis moriar>> di oraziana memoria e dell' <<aliquid sunt manes>> dell'etrusco Properzio. Pur sempre, è la 'speranza ultima dea'. Tale percorso appartiene spiritualmente alla storia della civiltà. Tanto che nel XVII secolo, agli esordi della 'rivoluzione scientifica' e alle soglie del 'secolo dei lumi', Cartesio e John Dury ebbero tra loro un'importante confronto, durante il quale si convenne che l'emergere dello 'scetticismo' costituiva la crisi profonda della loro epoca, e che occorreva, quindi, un modo per affrontarlo con certezza epistemologica. Come risposta più promettente alla crisi, Cartesio scelse la matematica, Dury l'interpretazione della 'profezia biblica' (cfr. B.J. Teeter Dobbs, Isaac Newton - Scienziato e Alchimista, Ed. Mediterranee, 2002, pag. 17). Il 'giansenita' Blaise Pascal, altra straordinaria e sopraffina 'mente logica' (un genio assoluto, che addirittura, secondo la testimonianza giurata della sorella, avrebbe subito da poppante una 'fattura' da parte di una malevola domestica, che fu poi allontanata dalla casa dal nonno di Pascal, che si era insospettito, tanto che la dissezione anatomica eseguita dopo la morte, pare avesse evidenziato una stranissima lesione, proprio come un'unghiata oppure una forte compressione sulla corteccia cerebrale, portata da un dito), si dedicò, per parte sua, alla stesura dei famosissimi Pensieri, un'opera alla quale guardò con ambivalenza, e tutta una serie di pentimenti che avrebbero potuto sottrarre alla posterità questo capolavoro di introspezione religiosa e di analisi dell'essenza del cristianesimo, ripresa in seguito, a rovescio, da Voltaire, nel Dizionario filosofico, coi veleni della sua formidabile ironia rivoluzionaria e illuminista. La dimensione del sacro è embricata nel mistero contrapposto di 'ragione' e 'cuore', tra gli interstizi ed il divisorio dello 'spirito di finezza' e dello 'spirito di geometria'. Il Memorial, un brevissimo scritto del 23 novembre 1654, che Pascal avrebbe portato, per tutto il resto della vita, nella fodera del vestito (sic!), contiene espressioni altamente rivelative, come ad es.: <<Dio d'Abramo, Dio d'Isacco, Dio di Giacobbe, / non dei filosofi e degli scienziati. / Certezza, certezza. Sentimento, gioia, pace / Dio di Gesù Cristo ... Oblio del mondo e di tutto fuorché di Dio...>>! Il sentimento religioso è una costante delle civiltà, che prende aspetti diversi secondo le epoche e le categorie sociali. Tuttavia il cristianesimo, erompente dal giudaismo biblico, ha sempre mantenuto e conservato la sua origine monoteista, pur adottando lo schema trinitario nel mistero dell'unico Dio.

XIV.4. Stimmate, bilocazioni, santi che volano (come il Santo da Copertino), miracoli su miracoli, addirittura arti che ricrescono, guarigioni improvvise, misteriose apparizioni. Su queste 'epifanie del sacro' rifletteva, con intelligenza, misura e distacco, quel grande giornalista e scrittore che è stato Vittorio Beonio-Brocchieri (vedi Camminare sul fuoco ed altre magie, Longanesi, 1974), testimone anche di 'miracoli personali'. Sul genere dei miracoli si è spinto, in particolare, un saggio di Vittorio Messori (Il Miracolo - Spagna, 1640, Rizzoli, 1998), un'indagine sul più sconvolgente 'prodigio mariano', quello della 'ricrescita di una gamba tagliata'. Ma si deve a Georg Luck il più approfondito lavoro sul 'magico nella cultura antica', e ad es. al giornalista Mario Guarino una "controstoria di padre Pio" (Beato Impostore: stimmate, furbizie e sospetti, Ed. Kaos, Roma, 1999). Bastano questi pochi accenni per accostare il problema dei 'miracoli' che alimenta fede e superstizione. E' indubbio che Gesù guariva, che operava autentici 'miracoli' di vario genere. Il problema è se Lazzaro fu davvero resuscitato, e se analogo 'miracolo' fu ripetuto poi da San Pietro, come narrano, appunto, gli Atti degli Apostoli. I dubbi sono sempre i 'benvenuti annunci' del 'sano esercizio della ragione'. Ma la dimensione del sacro, ove ben inteso non sia truffaldina, si colloca sempre 'altrove': anche rispetto alle 'aure miracolistiche', di cui troppo spesso la si ammanta, assai arbitrariamente. La dimensione del sacro non è, tuttavia, sempre 'truffa' o 'mistificazione'. C'è in essa qualcosa di molto profondo, che sfugge, ma che è ugualmente presente come arcana filigrana o divinazione di un mondo superiore, alla stregua della stessa 'fisica quantistica', che (in modo alquanto sorprendente e tutto sommato ugualmente dubitevole, al pari dei miracoli) postula un'interazione acausale tra 'mente e materia', produttiva di 'eventi' tramite il collasso della 'funzione d'onda'. Cartesio teneva strettamente separato l'io dal mondo, ma individuava un ponte nella glandola pituitaria. L'Uno del Lógos, che permea tutta la realtà, è tornato alla ribalta della scienza moderna attraverso l'intelligenza artificiale e la teoria della complessità. Il mistero sembra rimanere intatto e come Vertumno, il dio etrusco del mutamento, assume nuova veste nei suoi aggiornamenti scientifici e cambiamenti di paradigma.

XIV.5. A conforto del lettore legittimamente autorizzato alla coerentissima logica del dubbio, riportiamo alcune annotazioni, che certamente non lo disturberanno. Scriveva Seneca (morto nel 65 d.C.) che <<nessuno può essere buono senza Dio>> ("Bonus vero vir sine deo nemo est", in una delle Lettere a Lucilio) e gli faceva eco Epitteto (morto nel 75 d.C. circa), osservando che <<la prima cosa da imparare è che c'è un Dio, che la sua conoscenza pervade l'universo intero e si estende non solo ai nostri atti, ma ai nostri pensieri e sentimenti>>. Sicché, quando Ponzio Pilato interrogò Gesù, chiedendogli ironicamente e da scettico romano, aduso alle logiche di potere, cosa fosse la "verità": <<Quid est veritas>>, il Cristo avrebbe potuto rispondergli, con un perfetto anagramma latino, <<Est vir qui adest>>. Il processo davanti a Pilato si svolse molto probabilmente nella lingua ufficiale di Roma. Gesù non solo parlava l'aramaico, la lingua galilea, ma conosceva pure l'ebraico delle scritture, il latino e il greco (lo si ricava da alcuni chiari indizi evengelici e dalla ricostruzione storica dell'ambiente 'galileo' dei suoi tempi, assai aperto ai contatti e agli influssi esterni, anche per via dell'importante porto marittimo di Cesarea). I 'duemila anni trascorsi' giustificano abbondantemente questa potenziale risposta di Gesù, in realtà risalente ad oscure fonti medievali. L'autoproclamazione della 'Verità' e della 'Vita' della versione 'teologica' del più tardo Vangelo di San Giovanni non erano affermazioni gratuite a proposito del Lógos. La 'storia' ne ha difatti riconosciuto tutte le puntuali 'ragioni'. La 'fede' è dunque salva, ed anzi le troppe, e tra loro inconciliabili, versioni della misteriosa figura di Gesù, conducono alla conclusione, più che coerente, che non solo il 'messaggio' cristiano possiede una forza straordinaria, ma che il 'mistero Gesù' resta sostanzialmente ancor oggi intatto, malgrado l'attenzione critica degli ultimi due-tre secoli, che ha prodotto una enormità di studi e di pubblicazioni che supera di gran lunga ogni altro argomento (ad es. la biblioteca della Pro Civitate di Assisi raccoglie oltre 80. 000 volumi a soggetto cristologico ed è in questo ambiente, più unico che raro, che Vittorio Messori scrisse il famoso Ipotesi su Gesù, che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo). La forza del sacro è dunque impenetrabile, sigillata com'è nel suo endemico mistero, che non può che essere accettato o rifiutato in blocco. Tuttavia la 'costante sociologica' del 'sacro' costituisce un solido fondamento di evidenze che non può essere trascurato.

XIV.6. Un verso d'un lungo salmo penitenziale babilonese suona così: <<Al dio noto o ignoto, proclamo il mio dolore>>. Viene in mente l'episodio di San Paolo all'Areòpago ateniese (Atti, 17, 22 ss.), dove si conservava la statua al "dio ignoto". Questa, invece, l'appassionata invocazione del saggio indiano Sankara (ottavo secolo d.C.): <<O signore, di tre peccati Ti chiedo perdono: Contemplandoti, ho rivestito di forme Te che non hai forma; Lodandoti, ho descritto Te che sei ineffabile; E visitando i templi ho ignorato la Tua onnipresenza>>. Si noti l'intonazione poetica di queste 'verità del sacro', che risuonano dalle radici stesse del sentimento più profondo. Allo stesso modo si potrebbe ritenere che il Cantico delle Creature di San Francesco non sia lontano, nella sua grandissima religiosità mistica e poetica, dagli inni egiziani al Dio-sole, risalenti all'epoca della grande eresia monoteista di Amenofi IV-Akhenaton: fatto evidente che la profondità del sentimento religioso permea lo spirito, e sorprende la stessa 'ragioneì di fronte allo sguardo retrospettivo della storia, che tanto eccitò Napoleone dinanzi ai 'quaranta secoli' delle Piramidi, in vista delle quali giunse anche Francesco d'Assisi, poverello di Dio, all'epoca delle crociate.

XIV.7. San Francesco lasciò scritto nel suo Testamento (precedentemente al 'piccolo testamento' dell'aprile del 1226) queste chiarissime parole: <<Si guardino i frati dall'accettare le chiese, le abitazioni, e le altre costruzioni fabbricate per loro, se non quali convengono alla santa povertà, da noi promessa nella regola; e vi abitino sempre come stranieri e pellegrini>>. Anzitutto l'uomo cristiano è 'pellegrino' sulla terra, dalla cui polvere deve scuotere i calzari. La sua povertà è la stessa voragine del tempo. Quindi i confini del sacro non si riducono a spazi angusti o ai beni materiali, così come l'amore recato a Madonna Povertà richiedeva, in Francesco, una misura di totale estraniazione da ogni cura mondana. 'Chi a stella è fisso non si volge indietro', come scrisse Leonardo. Il cristiano conosce la caducità, e guarda al ritorno nella braccia eterne di Dio. Ma in onore di San Francesco, frate Elia elevò una monumentale basilica, una portentosa 'meraviglia' architettonica la cui parte inferiore sembra emblematizzare il sacrificio della 'morte' di Gesù, e quella superiore la 'resurrezione' nella pienezza della luce.

XIV.8. Verso il 1236 le principali strutture architettoniche della Basilica erano pressoché ultimate, mentre gli arricchimenti dell'altrettanto formidabile apparato pittorico durarono per tutto il secolo seguente ed anche oltre, ad opera dei massimi artisti dell'epoca. Quest'opera monumentale, consacrata al culto nel 1253, presenta diversi 'misteri', e non ha mai finito di incuriosire ed interessare critici e studiosi dell'arte, che si sono trovati spesse volte in disaccordo su rilevantissime questioni di datazione ed anche d'attribuzione degli importantissimi affreschi che l'adornano. Perché escludere 'a priori' che tra i 'finanziatori' quantomeno della grande opera 'pittorica' ci fossero anche i potenti e ricchissimi Templari, grandi devoti del Santo? Francesco fu infatti, a suo modo, un templare di Cristo, cioè a dire il 'recto' della sacra immagine della Sindone, ovvero il 'secondo Gesù', di cui egli fu un vero e perfetto 'gemello' sprituale. La stridente contraddizione tra un Francesco pauper Christi e la monumentalità sontuosa della Basilica che gli venne innalzata da Fra' Elia, appare storicamente riscattata dalla necessità della 'memoria', e dalla stessa tumulazione del corpo Santo in un pozzo di pietra sotto l'altar maggiore della Chiesa inferiore, in attesa della resurrezione (del resto <<L'Apocalisse e la resurrezione della carne in Cristo, la sottomissione di quest'ultimo a Dio, ultime icone del polittico neotestamentario, costituiscono la celebrazione conclusiva dell'abrogazione della Legge, della vittoria del volontarismo sull'intellettualismo, del caos sull'ordine universale, più comprensivamente, del Dio dei cristiani sul Dio della Legge>>, come evidenzia in termini generali il Prof. Donati: cfr. op. cit., pag. 203). A fare compagnia alle spoglie del Santo, c'era, nel sepolcro di pietra in cui venne tumulato, un rosario con trentatrè grani (quanti i versi del Cantico delle Creature, quindi delle cantiche di Dante, o degli gli anni di Cristo?), di cui 17 d'ambra. E c'erano, pure, un anello col sigillo della dea Minerva (la dea etrusco-romana della 'saggezza': un simbolo o un'allusione templare?), e un certa quantità di piccole monete d'argento (non si sa bene quante: forse 11, o 26, ecc.), che Francesco aveva pur definito le "mosche del diavolo" (Fig. 11). Forse un tributo a Caronte? Non lo crediamo affatto. Altra deve essere la 'ragione' della presenza di queste monetine, messe lì, forse, come garanzia di datazione, nei riguardi della posterità, un altro mistero, nel già fitto 'giallo' francescano. Anche questi aspetti minori, secondari e marginali, appartengono al sacro, che celandosi sempre, tuttavia non dissimula la propria ineffabile natura. Il fenomeno religioso ha percorso tutti i tempi e le culture ed è ovviamente oggetto di avanzatissimi studi interdisciplinari, non cessando di costituire un fortissimo 'legante' anche nell'attuale società tecnologica, come starebbe appunto ad indicare lo stesso verbo latino 'religo', col significato di legare, fissare, annodare ecc. Al di là della formula politica "religio instrumentum regni", divenuta poi l'oppio dei popoli, la questione 'religiosa', come ben mostrano gli studi antropologici, continua ad essere l'enigma dell'umanità, nella centralità stessa del problema generale dell'esistenza di Dio e nell'ambito d'un necessario ancoraggio 'metafisico' del sistema dei valori morali praticabili dall'uomo, nostante che il biologo Francis Crick (premio Nobel 1962 per la medicina con James Watson per la scoperta del DNA) sostenga scientificamente parlando che l'anima è soltanto una questione neuronale, e che quindi illusoria è ogni fede nell'immortalità. Il poeta materialista Lucrezio, impregnato di atomismo epicureo, ravvisava nella 'religione' ('religio mater superstitionum' - 'quantum religio potuit suadere malorum') quasi una menomazione dell'intelletto, per poi professare, tra le righe del De rerum natura (e già nello stesso meraviglioso 'proemio'), una sensibilità 'religiosa' di autentiche radici cosmiche. Il mondo antico, soprattutto quello greco degno erede delle grandi civiltà mediterranee precedenti, aveva elaborato un sistema filosofico 'razionale' che aveva superato l'animismo primitivo, postulando l'esistenza di un Dio unico, e, con Platone, già ammaestrato in Egitto come l'ateniese Solone, anche l'immortalità dell'anima. La religiosità moderna possiede le medesime radici, che risalgono alla dominante 'monoteista', la quale si sarebbe affacciata proprio nell'antico Egitto, nell'età del ferro, e che, con Mosè, si trasferì poi nel 'popolo eletto' e nella 'religione' stessa dell'Antico Testamento. Alla religione così intesa, si accompagnerebbe il duplice aspetto, 'politico-sociale' e 'fisolofico-metafisico', della relazione dell'uomo con Dio, ed anche dell'uomo coi sui simili. Il valore fondante dei primi due comandamenti mosaici è stato 'universalizzato' proprio attraverso una serie di elaborazioni ed astrazioni concettuali, che hanno segnato le tappe di un autentico processo di liberazione dell'umanità pensante (cfr. H. Kueng, Essenza del Cristianesimo), costruendo storicamente il fondamento stesso della democrazia. Sicché, nella cultura moderna, laica e razionalista, come lo fu, a suo tempo, quella olandese, mercantile e scientista del XVII secolo, la concezione 'panteista' del 'Deus sive natura', sciolta dai vincoli dogmatici di una religiosità 'prescrittiva' per aderire alle scaturigini psicologiche del 'mistero' del sacro, può tornare allo stesso modo ad esaltare le riflessioni di un Albert Einstein (in Come io Vedo il mondo), tanto che egli afferma, testualmente, che <<Democrito, Francesco d'Assisi e Spinoza stanno vicini>>. Questa linea di 'continuità' del sentimento religioso potrebbe essere riportata indietro nel tempo, tanto da potervi scorgere una serie di fasi progressive, che portarono fino a Cristo, e da Cristo fino a noi, attraverso un percorso che, sempre di più, si è diretto verso i principi della responsabilità personale e il concetto di salvezza individuale. Un processso che si è andato evolvendo nei secoli, proprio nella direzione della centralità dell'io e del problema divino, e che inevitabilmente si è tradotto in prassi sociale e si è politicizzato storicamente. Eusebio di Cesarea e lo stesso Sant'Agostino hanno sottolineato questo percorso, che modernamente, dalle riflessioni religiose del grande Pascal, arriva diritto fino a noi. Si tratta non solo di una meravigliosa costruzione dello 'spirito', che ha costituito il 'lievito' della storia corrispondendo alle più profonde istanze umane di 'attribuzione di 'significato', ma anche di un messaggio di 'speranza', che appunto costituisce la vera 'essenza del cristianesimo', ben oltre la versione riduttiva di un Feuerbach, alla quale sembra peraltro corrispondere l'indirizzo storiografico della Scuola della Sorbona capeggiata dal Renan, e che oggi si embrica nella 'storia delle religioni', come provano anche gli studi del grande Mircea Eliade, altro innamorato di Assisi assieme al suo allievo Ioan Petru Culianu (vedi l'articolo di Albrile pubblicato in questo stesso numero di Episteme), morto assassinato in America in circostanze mai chiarite ed autore di studi assai importanti sul 'magico' nel Rinascimento. Ovunque si guardi, è il 'sacro', nelle sue infinite varianti e contrapposizioni, a popolare la storia. E il mondo moderno, così legato al contingente e all'illusione tecnologica, non fa altro che sacralizzare l'individuo, smarrendone il rapporto con Dio e quindi anche l'intima fragilità, la cui essenziale considerazione apre direttamente le vie al mistero religioso, che resta senza risposta.
 
 




(Fig. 11)


 














XIV.9. Il cristianesimo, che alla fine avvinse il mondo romano, potrebbe essere germinato attraverso un percorso che fatalmente si riporta indietro fino alla civiltà dell'antico Egitto. La storia dell'Occidente si è spezzata tante volte, ma in realtà, non si è mai frantumata (e questo lo sapeva già Diodoro Siculo). Lord Gibbon produsse, nel secolo dei lumi, un capolavoro sulle cause del declino e della caduta dell'Impero romano, ravvisando, tra queste, anche l'indebolimento cristiano dello Stato romano. Ma il cristianesimo greco-romano degli 'apostoli' Pietro e Paolo finì per conquistare l'impero dei 'kittim', e in questo modo i distruttori del 'secondo tempio' divennero i veri cristiani per una sorta di singolare paradosso storico. Babilonia rovesciata fu la cristiana Roma. Si compì, dunque, un 'mistero' nel nome di 'Cristo', l'Unto di Dio. Illustri storici moderni come Santo Mazzarino e Marta Sordi hanno scritto pagine straordinarie a proposito di quest'evento prodigioso. <<Ai Cristiani si affacciò sempre l'ipotesi che la catastrofe fosse veramente il segno, non solo della decadenza, ma senz'altro della fine del mondo. Nel 386-88, commentando la profezia su Gesù sulla distruzione del tempio di Gerusalemme e sulla consummatio saeculi, il vescovo di Milano, sant'Ambrogio, fece un bilancio della tragedia. Da una parte il suo accorgimento politico accentuava la gravità della insurrectio di Unni contro Alani, di Alani contro Goti, insomma della migrazione dei popoli; dall'altra, denunziò una crisi morale, che sotto il suo stile si coloriva di accenti biblici. Parlava, perciò, di nemici esterni e nemici interni, hostes extranei e hostes domestici. Per uno strano caso, egli si incontrava così con Polibio, il quale aveva pure parlato (ma su un piano esclusivamente storico) di eventuali "cause esterne" e "cause interne" della decadenza di Roma>> (S. Mazzarino, La fine del mondo antico, Rizzoli, 1988, pag. 53-54). Nei cinque secoli che vanno da Cristo al crollo dell'impero d'Occidente, il mondo pagano conobbe la sua metanoia, e la civiltà occidentale il suo tracollo. Un giudizio su questa drammatica vicenda storica (al limite destinata a ripetersi ancora) passa dai Vangeli e dal 'secondo esodo' della religione monoteista, divenuta il cristianesimo. Ma si tratta di una morte-resurrezione della civiltà, che si muove su una linea dialettica, definita dagli stessi Padri della Chiesa come 'provvidenziale'. La nostra curiosità per questo immane 'giallo' dello 'storia occidentale', che sembra ancora in atto, si rivolge, interrogativamente, al misterioso 'Volto della Sindone', che sembra aver ignorato i secoli nel suo buio sguardo di morte e nella sua ieraticità sublime. Questo Volto sfida la storia, guarda all'amaro destino della morte, all'entropia del creato. Il 'Dio dei filosofi e dei matematici' - paradossalmente, per il relativista Einstein, un Dio che 'non gioca a dadi col mondo', come sarebbe invece in fisica quantistica - potrebbe, infatti, non essere il Dio cristiano, ma è pur sempre un Dio necessario. Il cristianesimo 'paolino' mise alla fede le ali della speranza e della carità, nella proclamata certezza della resurrezione. La filosofia scolastica ricondusse la fede alle 'categorie' della razionalità aristotelica. Il 'superlogico' Bertrand Russell espone però con chiarezza le sue personali e moderne ragioni di scettiscimo, nel saggio Perché non sono cristiano. E potremmo anche fare rinvio ad un libretto dell'astronomo inglese Fred Hoyle (il teorico della 'panspermia' e dell'universo 'statico' in contrapposto alla teoria del 'big bang'), su L'origine dell'universo e l'origine della religione (Mondadori, 1998), che ripercorre le antiche 'ragioni' del materialismo classico molto ben esemplificato da Lucrezio. Preferiamo invece segnalare al lettore alcune opere di straordinario valore culturale come la Breve storia delle religioni del Bouquet (uscita in Francia nel 1941 e pubblicata in Italia nel 1972), il Trattato di storia delle religioni (Boringhieri, 1976) e la Storia delle credenze e delle idee religiose (Sansoni, 1976, 3 voll.) di Mircea Eliade, le esemplari Storia del cristianesimo rispettivamente del superlaico Panfilo Gentile (1969, Rusconi) e del cattolico Angelo Penna (già citata), nonché i superbi lavori del censurato teologo tedesco Hans Kueng. Questi 'testi' potrebbero bastare a restituire al lettore un ampio panorama della storia del sentimento religioso, poiché è di questo che pur sempre si tratta. Se dovessimo indicare un'opera su 'Gesù' (e il suo 'mistero'), che conservi intramontati fascino e credibilità storica, non esiteremmo poi a raccomandare la già menzionata (bellissima ed ancor oggi ristampata) Vita... di Don Giuseppe Ricciotti, il grande biblista fondatore dell'Enciclopedia Cattolica. A quest'ultimo autentico capolavoro - uscito nel 1941, ma risalente ad una idea affacciatasi nell'Autore durante la prima guerra mondiale, quando si trovò, come cappellano militare, gravemente ferito in un ospedaletto da campo: <<Notte e giorno il vallone rintronava dello schianto delle granate, attorno a me gridavano e rantolavano moribondi ... pensai che, se fossi sopravvissuto, avrei potuto scrivere una Vita di Gesù Cristo...>> - fecero seguito, nel 1946, anche gli 'Atti degli apostoli' e le 'Lettere di San Paolo', due eccellenti opere a completamento dell'analisi neotestamentaria portata avanti in Italia da questo grande scrittore cattolico. Ma nessuna 'verità' convince fino in fondo, poiché la verità 'abita nel profondo', e non emerge da questo 'fondo che non appare'.

XV. LA RICERCA DELLA VERITA'

XV.1. "Inquietum est cor nostrum donec requiescat in te". <<Ma se ci si affida alla ragione bisogna rassegnarsi ad una inquietudine eterna>>, sostiene il 'razionalista' Ricciardetto. Su La Scienza e i vortici del dubbio, una pregevolissima pubblicazione dell'Università di Perugia (1999), compare (parte quarta, pag. 397 e segg.) un bellissimo articolo di Piergiorgio Odifreddi dal titolo La fisica-mente: una chiara allusione a proposito del ruolo dell'osservatore in fisica quantistica e non soltanto questo, dove si investiga 'la relazione fra materia e mente', riportando un esemplare ed esaurientissimo 'quadro' sintetico delle varie 'teorie scientifiche' formulate a questo riguardo. Si tocca allora con mano quel 'mistero' che si nasconde nella 'scienza' stessa, scorgendo soltanto un possibile, ma altrettanto misterioso spiraglio, che potrebbe forse recare diritto ai 'pensieri di Dio'. Ne Il Vangelo secondo la scienza (Einaudi, 1999, sottotitolo Le religioni alla prova del nove), Odifreddi si occupa direttamente del problema scientifico della 'religione', e non quindi, contrariamente a quanto farebbe supporre il titolo stesso, di 'critica evangelica'. Il problema della 'coscienza' viene peraltro scientificamente affrontato ne La fisica dell'immortalità del teorico americano Frank Tripler (un importante lavoro scientifico dal sottotitolo Dio, la cosmologia e la resurrezione dei morti, Mondadori, 1995), attraverso un'emulazione universale, alla quale si perverrà di fatto, proprio alla fine dei tempi, e cioè al 'punto Omega' di evocata memoria cristiana. Anche in questo caso "la luce" tiene un ruolo speciale, che travalica ampiamente l'immagine simbolica, per fondare gli attuali ritmi di civiltà ipertecnologica. Immersi come siamo in una sorta di 'mare elettromagnetico', forse ancora tutto da comprendere, quest'emulazione dell'universo entropico (o fatale errore del Demiurgo, secondo la versione 'gnostica' dalla quale sembra derivare la stessa eresia 'catara' mediata dai 'Bogomili' slavi prima della sua diffusione soprattutto in Francia e in Italia), potrebbe infatti condurre ad una sorta di mondo perfetto, del tutto analogo al 'mondo delle idee' di Platone. La fisica quantistica, l'elettromagnetismo, la stessa modernissima teoria dell'informazione, la cosmologia, l'universo e la mente, sembrano impastarsi nell'intimo mistero della 'coscienza' ed indirizzarsi verso una antientropica linea evolutiva, già presagita da Theilard de Chardin (su questa problematica essenziale, che finisce per investire la scienza moderna, nonché la filosofia, l'etica, la religione e la gnoseologia, vedi ancora il bellissimo lavoro del Prof. Donati, che affronta questa singolare tematica con rara efficacia). In liguaggio appropriato, si tratterebbe, cioè, del problema dell'intelligenza artificiale, quell'io al quale Cartesio si appoggiò con grandissima coerenza filosofica, per fondare il suo sistema al confronto delle 'cose', distinte ed esterne, del mondo materiale. E che non avesse tutti i torti lo proverebbe, tra l'altro, la rilevanza del 'principio antropico' nelle moderne teorie cosmologiche. Nel secolo di Cartesio la sensibilità religiosa di un Pascal completava questa indagine sull'uomo, al confronto del sommergente universo. Il Dio di Newton intervenne poi a regolare le orbite instabili (una grande intuizione del 'caos deterministico' che si riaffaccerà con Poincaré e il difficilissimo 'problema dei tre corpi'). Ma in età napoleonica Pierre Simon de Laplace riteneva di poter fare a meno dell'ipotesi stessa di Dio in nome di un meccanicismo aprioristico, che ignorava l'enigmatica realtà del microcosmo. Sono questi gli aspetti essenziali di un 'tema' profondo, che non finirà mai di sorprendere la ragione.

XV.2. Certamente 'inquieto' è il nostro cuore al cospetto del 'mistero divino'. Cuore e ragione, causalità e indeterminismo somigliano piuttosto alla separazione cartesiana tra mente e materia, che a ragioni ultime. Ma l'Uno sfugge, e il sistema di Plotino non risolve il grande problema della 'dualità', che sembra permeare fenomeni ed essenze. La religione cristiana non propone, certamente, una conoscenza assoluta, e tutto appare molto più correttamente risolto nella profondità essenziale dei primi due comandamenti mosaici, cioè Dio e il prossimo, che San Francesco osservò fino in fondo, con tutta la sua anima e tutta la sua mente. In questi due fondamentali 'obblighi' cristiani sembrano, in effetti, compendiarsi il senso della vita e la stessa libertà umana, radicando il fondamento della 'morale', la quale non è affatto aliena da una visione globale del mondo. Per il Cristo dei Vangeli sono sostanzialmente le opere che salvano l'uomo, anche se è la 'fede' a smuovere i macigni. Gesù, che potrebbe essere stato addirittura discepolo di Hillel (come San Paolo lo fu di Gamaliele, suo nipote), e che fu anche un contemporaneo del grande filosofo ebreo Filone d'Alessandria, non era certo un 'fariseo', una delle principali sétte dell'ebraismo descritte da Giuseppe Flavio alla quale inzialmente appartenne San Paolo, e nei confronti della quale ('pubblicani e farisei') si dirigevano le asprisssime critiche ed invettive di Gesù, concordemente riportate dai Vangeli. Egli era venuto a completare la legge - in qualche modo ad 'universalizzarla' oltre i confini di Israele, anche se dal contesto evangelico non si ricava, con chiarezza, se la 'buona novella', sostanzialmente improntata alla mansuetudine, al perdono e all'amore del prossimo, dovesse riguardare anche i 'gentili', e non soltanto gli 'ebrei' della Palestina. Sembrerebbe proprio così, dal momento che il 'titolo' di condanna a morte da parte di Pilato fu quello di "Re degli Ebrei", quindi un perturbatore dello 'status quo', e non un guaritore od operatore di miracoli, oppure un pacifico predicatore di virtù universali come ad esempio Apollonio di Tiana, una figura semileggendaria di filosofo neopitagorico, la cui vita (narrata da Filostrato, al tempo di Settimio Severo, per commissione della consorte imperiale Giulia Domna) si svolse nel primo secolo d.C.: egli fu cacciato via da Roma per disposizione di Nerone, e in seguito addirittura paragonato a Cristo, come apprendiamo dalla confutazione fatta da Eusebio di Casarea nella Storia Ecclesiastica. Il problema che rimane aperto davanti alla storia è proprio quello della spiegazione, in termini razionali, del successo del cristianesimo. Un enigma che sembra investire anche la Sindone, e, quanto meno, giungere fino a San Francesco, attraversando il medioevo dei Templari e delle grandi eresie, come se appunto la storia, ancora una volta, avesse riproposto i medesimi temi mille anni dopo. 'Gesù mago' non spiega affatto questo formidabile evento che si è fatto 'carne e sangue' della Civiltà occidentale, per ben duemila anni. Intanto, la grande tragedia che ci siamo appena lasciati alle spalle in un secolo insanguinato da due guerre mondiali, ci si ripresenta nuovamente davanti con un bilancio negativo e inquietante, in una prospettiva di problemi irrisolti ed anzi accumulati uno addosso all'altro, segno evidente della radice metafisica del male assoluto, che inficia le tutte le buone intenzioni. All'ascensione dell'uomo, che oggi aspira alle stelle, si è infatti contrapposta l'abiezione della storia. Duemila anni di civiltà (compendiabili ne la Saggezza greca e paradosso cristiano, un gran libro di Charles Moeller, Morcelliana, 1951), che non hanno però cancellato l'antica ed estrema violenza della guerra (neppure 'una festa crudele', ma un'autentica abiezione morale, come fossimo ancora al tempo della ferocissima Guerra Giudaica), ci indicano che "Pan non è morto", diversamente dall'annunzio, messo in bocca da Plutarco all'egiziano Tamo (Tamus), un marinaio diretto in Italia su di una nave, al quale una voce divina, dal di là del mare, gridò: <<Tamo, quando raggiungerai Palodi, annuncia a tutti che il gran dio Pan è morto!>> (cfr. Robert Greaves, I miti greci, Longanesi, 1983, pag. 91, nonché M. Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose, op. cit., I, pag. 79 ss., a proposito del 'Tammuz akkadico' e dell'invettiva biblica del profeta Ezechiele 7,14, contro le donne di Gerusalemme, che nel VI secolo si 'lamentavano', addirittura presso le porte del Tempio, invocando proprio Tamo).

XV.3. I "luoghi santi" (cfr. ad es. Il Mistero della tomba di Cristo di M. Biddle, Newton e Compton, 2000, oppure Il Guardiano del Santo Sepolcro di F. Cardini e S. Stella, Mondadori, 2000), sono sempre nell'occhio del ciclone, oggi come in passato. In un certo senso, l'imminente parusia dei 'tempi ultimi' - che caratterizzò il cristianesimo insorgente, subito dopo la morte sulla croce, e che fu poi dibattuta in alcune lettere di San Paolo e di San Pietro, dirette alle prime comunità cristiane poiché trascorsi alquanti anni, non sembrava verificarsi affatto, e che venne ripresa, in seguito, nell'Apocalisse di San Giovanni, in una minacciosa e fosca attesa 'sine die', coll'inasprirsi delle persecuzioni - ci è ancora vicina, con l'escatologia drammatica d'un possibile conflitto atomico secondo la terribile profezia dell'armageddon. Il misterioso Volto della Sindone, le palpebre fortemente appesantite nella morte, continua ad oscurarsi nel buio, dopo aver resistito, nel suo fragile lino, duemila e più anni ai terribili guasti del tempo. Al di là dei simboli e delle evocazioni allusive, in qualche modo una sorta di 'mistero' sembra circondare la 'razionalità' della storia, anche se, per una mente coerentemente scientifica, i 'fatti' possono essere tranquillamente riportati al loro prodursi 'causale' senza alcun bisogno di escatologie ultime oppure di provvidenziali disegni divini che dal male 'presente' estraggano, dinamicamente, la forza di un 'bene' futuro. Tuttavia le cifre simboliche sembrano appartenere alla foresta delle premonizioni e formare un oscuro sostrato di atemporalità, secondo la singolare versione di Jung e Pauli, elaborata negli anni Trenta, a seguito della teoria psicanalitica e della fisica quantistica, segno evidente d'un particolare clima d'epoca, oppure d'un possibile mistero. E si tratta, in fondo, della stessa sostanza misterica dell'arte aruspicina etrusca, dell'anima sacra delle antiche 'profezie' ed anche dei 'poteri carismatici' di cui singolarissime figure della storia umana sembrano dotate (vedi I grandi Iniziati di Edouard Schurè, al cui novero apparterrebbe anche Gesù Cristo). Questo sfondo misterico non giunge certamente gradito ai razionalisti della scienza, e noi non ne vogliamo esseri i paladini. Anzi riteniamo che esista una chiara spiegazione per ogni fenomeno, anche se siamo perfettamente consapevoli dell'estrema difficoltà che pone la ricerca della verità causale in ogni settore dello scibile.

XV.4. Gesù, un personaggio realmente esistito, nacque probabilmente poco prima della morte di Erode il Grande, avvenuta il 4 a. C. Egli venne al mondo cioè alcuni anni prima dell'inizio dell'era volgare (o cristiana), "colpa" del monaco 'russo' Dionigi il Piccolo, il quale sbagliò i calcoli nell'occuparsi, nel VI secolo, del nuovo computo del 'calendario liturgico', anche se gli resta il marito, sorprendentemente, di aver introdotto nella storia una sorta di "punto zero", a partire dal quale essa si rinnovava entrando in una nuova fase. La questione 'cronologica', di per sé difficilissima e assai complessa (comunque ben trattata, nelle sue linee essenziali, ad esempio da E.P. Sanders, op. cit., pag. 284 ss., Appendice I) riguarda sia la nascita, che la morte di Gesù. Si tratta anche in questo caso di un 'enigma' storico sotto vari punti di vista, per nulla schiarito dai Vangeli, i quali anzi sembrano incorrere in gravissimi errori di datazione (es. Luca, 2, 2), posto che il 'censimento di Quirino' ('quando era governatore della Siria', e cioè nel 6 d.C.) avvenne svariati anni dopo la morte di Erode. Secondo Luca (3,1), che potrebbe aver avuto sotto mano gli scritti di Flavio Giuseppe" (si tratta di un punto controverso), la predicazione di Giovanni Battista iniziò nel <<quindicesimo anno di Tiberio>>, e Gesù stesso avrebbe iniziato, poco dopo, la sua attività pubblica, anche se regnano notevoli incertezze circa la durata della sua predicazione, da qualche mese ad un massimo di tre anni (tre 'pasque', secondo il Vangelo, chiarificatore, ma anche mistico ed oscuro, di San Giovanni, che dà luogo ad una grande quantità di altri problemi). Tali 'incertezze' riguardano altresì l'anno della morte, che può oscillare in un periodo compreso fra il 29 e il 33 dell'era volgare, in base a quanto ritiene la maggior parte degli studiosi. Quindi, Gesù, al momento della sua morte, potrebbe aver avuto un'età ricompresa tra i 34 ed i 39 anni, esattamente la stessa che sembra 'denunciare' la portentosa immagine della Sindone, la quale peraltro è caratterizzata dalla singolare posizione della braccia incrociate sul pube, proprio secondo un tipo di sepoltura riscontrato dagli archeologi soltanto nel caso degli 'esseni' del Kirbet Qumran. Queste braccia in croce colpiscono enormenente l'occhio, e sono fortemente allusive di una compostezza funebre degna d'un uomo di grandissima levatura. Le stesse braccia incrociate non si può fare a meno di notare nell'affresco giottesco dell'omaggio del velo, come se appunto Francesco si dirigesse su quel velo trasparente, opportunamente disteso ai suoi piedi e della stessa grandezza del telo sindonico, come per imprimervisi tutto, anima e corpo.

XV.5. Piccolo errore a parte, grande l'intuizione di Dionigi il Piccolo, di fissare una nuova origine comune per il computo degli anni della storia, perché il cristianesimo segnò veramente un nuovo inizio, e non già la semplice continuazione del tempo precedente. Uno stacco che non ha, cioè, nulla di aritmetico. Quest'inizio dell'età nuova è infatti riconnesso alla profezia messianica delle 'sette settimane', che fu poi quella stessa attribuita dai Vangeli a Gesù, la cui figura sembra emergere dal nulla, mentre si dovrebbe, razionalmente, sospettare l'esatto contrario, che cioè dietro di Lui ci siano stati impulsi significativi, ed anche una specifica corrente di pensiero già ben orientata nei riguardi del suo 'messianismo', del resto riconnesso alle oscure espressioni bibliche di 'figlio dell'Uomo' e 'figlio di Dio', che, con buona certezza, egli stesso avrebbe adoperato per sé, e che, in ogni caso, gli sono state chiaramente attribuite dagli evangelisti. Il che non significa affatto distruggere la figura di Cristo, ma attualizzarla in un contesto storicamente attendibile, secondo quanto sembrano sottintendere alcuni passi evangelici, come ad es. quello di Matteo (2,15) che citando una frase di Osea, rammenta che <<Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio>>! E se fosse proprio questa la patria d'origine del "cristianesimo universale", sicché 'civiltà' e 'religione' avrebbero marciato insieme, angeli e dioscuri dell'Umanità mediterranea? Quest'ipotesi, come meglio vedremo in conclusione, sembra attenere alle modalità stesse e ai motivi specifici per cui sarebbe stata 'fabbricata' la Sindone (secondo noi la prima vera 'fotografia chimica' della storia!), realizzata su finissimo lino sacerdotale, come una veste eterna al tempo stesso regale ed anche intrisa di luce, nel chiaro segno dell'immortalità. In questo modo il Cristo sarebbe 'fisicamente' risorto nel suo 'mistero messianico', avviandosi veramente alla Luce del Regno, giunta fino a noi nel racconto dilatato della "resurrezione". Il lettore sbalordirà, ma lo condurremo alla verifica 'indiziaria' di questa traccia straordinaria, sulla base stessa delle ipotizzabili procedure realizzative della Sindone, che crediamo di aver individuato almeno in linea generale. Se infatti si tratta veramente del lenzuolo funebre in cui fu interamente avvolto il cadavere di Gesù deposto dalla croce, esso deve dare in qualche modo storica ragione di sé, a prescindere dalla controversa radiodatazione al carbonio 14 (capace in effetti di escludere in radice il problema, se non fosse anch'essa tacciabile di fondati sospetti d'inattendibilità quanto alle modalità tecniche di effettuazione degli esami e dei conteggi, e soprattutto in ordine all'eventuale presenza di volontà volte ad una 'diminuzione' del ruolo della scomodissima Sindone quale tangibile 'documento' di morte e non certamente prova di 'resurrezione'). La figura di Cristo è chiaramente predetta dalle Scritture e i dubbi riguardavano esclusivamente l'identificazione concreta del vero Messia. Che il Messia delle profezie sia stato veramente Gesù, lo proverebbe la Sindone se potesse risultare genuina. D'altronde, se così fosse, essa non è la prova della resurrezione, bensì il documento originale della 'sacralità' della morte di Cristo.

XVI. IL TEMPIO E LA PROFEZIA DELLE SETTANTA SETTIMANE

XVI.1. Infinite critiche si appuntano sulla 'storicità' della narrazione evangelica, trattandosi infatti della diffusione di un 'kèrigma', cioè di una teologia vera e propria, e non di una 'biografia' in senso moderno. E' stato giustamente evidenziato che solo due dei quattro Vangeli (quello di Matteo e di Luca) parlano dell'origine e della nascita di Gesù, risultando tuttavia in netto contrasto tra loro. Secondo Matteo, Gesù era un aristocratico, se non un legittimo re, disceso direttamente da David e da Salomone, il re biblico costruttore del 'primo tempio' (questo, distrutto nel 586 a.C. dal babilonese Nabucodonosor, fu riedificato grazie alle concessioni del persiano Ciro il Grande nel 538, quando agli Ebrei fu concesso di affrancarsi dalla schiavitù e di tornare in Palestina, sicché si parla allora di 'secondo tempio'; il nome resta anche per quello che sarebbe in realtà il 'terzo tempio", dal momento che il secondo pare sia stato addirittura demolito e ricostruito ex novo, con enorme dovizia e profusione di spese, da Erode il Grande; è questo il tempio che fu successivamente raso al suolo dai romani di Tito, che aveva quindi ben poco a che fare sia con il 'primo', che con l'autentico 'secondo': i soldati imperiali abbatterono una costruzione recente!). Secondo Luca, invece, la famiglia di Gesù, benché proveniente dalla casa di Davide, era un po' meno illustre, ed è sulla base del racconto di Marco che è nata la leggenda del 'povero falegname'. Insomma le due genealogie sono così nettamente discordi, che potrebbero riferirsi a persone diverse. Le discrepanze tra i Vangeli non sono circoscritte soltanto alla genealogia (cfr. Sanders, op. cit., pag. 89). Secondo Luca, Gesù, appena nato, ricevette la visita di alcuni pastori. Secondo Matteo, ricevette l'omaggio di tre re. Secondo Luca, la famiglia di Gesù viveva a Nazareth (ma questo piccolissimo villaggio non è mai menzionato dalla Bibbia, e si dubita sia esistito a quei tempi, sicché l'epiteto di 'Gesù Nazareno' andrebbe ricercato altrove). Secondo Matteo, i genitori di Gesù (si fa per dire) erano piuttosto benestanti e risiedevano a Betlemme, e Gesù nacque in una 'casa' vera e propria, e non in una 'magiatoia'. Non ci sarebbe assolutamente modo di correggere i racconti contrastanti e di poterli conciliare tra loro. Queste discrepanze emergono anche in altri momenti salienti della vita di Gesù (ad es. relativamente alle ultime parole pronunciate sulla croce, del resto come se un 'crocifisso', inchiodato, e non soltanto legato o appeso ad un albero, potesse parlare per il poco di vita restante prima di morire soffocato, malgrado l'impiego di eventuali 'selle' di sostegno come ben potrebbe essere). In realtà le cose non stanno semplicemente così. Sono molto più complesse e peraltro difficilissime da ricostruire. I Vangeli hanno mobilitato la stessa archeologia scientifica, ottenendo certamente molte conferme (cfr. ad es. A. Millard, Archeologia e Vangeli, Ed. Paoline, 1992). E sono stati versati mari d'inchiostro intorno all'enigma Gesù. Potendo già bastare, oltre ai titoli già citati, il breve florilegio che segue: Ipotesi su Gesù (il bellissimo libro di Vittorio Messori uscito nel 1976), l'eccellente biografia di Rinaldo Fabris, l'interessantissimo Gesù - La Verità Storica di E.P. Sanders (Mondadori, 1999), ed anche l'ultimo uscito, il Gesù di J. Roloff fresco di tampa (Einaudi, 2002, 127 ottime e chiarissime paginette). Opere che ci riportano tutte quante al respiro delle 'profezie' bibliche, ma che confermano la vecchia impressione, che in tanto mare ciascun autore riesca infine a trovare il Cristo che stava cercando. Del resto, non esiste solo il 'Gesù' degli scritti canonici: accanto al diverso Gesù degli scritti apocrifi, ci sarebbe poi anche il Gesù esseno. Dal 1947 furono via via scoperte le 'undici' grotte del Qumran (si noti il numero delle grotte, che sarebbero in effetti 'dodici' se ammettiamo che una grotta, come appunto sembra, fu saccheggiata nell'antichità) con gli straordinari frammenti dei 'rotoli del Mar Morto', non ancora completamente tradotti e pubblicati. Questa grande scoperta, anziché gettare nuova luce su Gesù, ne ha infittito paradossalmente il mistero. Gesù non giunse all'improvviso, balzato fuori dagi strani casi della storia. Ma la sua figura risponde ad un paradigma ben preciso. Egli era per così dire 'atteso', anche se del tutto straordinaria fu la Sua 'novità', capace di scandalo e d'immenso amore. Accanto all'attesa delle Scritture, v'era pure un'altra attesa nel mondo pagano del ritorno dell'età dell'oro, che non si risolve soltanto nella quarta egloga di Virgilio, che tuttavia ne resta il documento più famoso e forse anche più equivoco.

XVI.2. Virgilio aveva composto, verso il 40 a. C, dopo la pace di Brindisi e in occasione del consolato del suo protettore Pollione e probabilmente della nascita del figlio Asinio Gallo, trasformata nel simbolo della nuova età dell'oro che lentamente e sicuramente maturerà sulla terra, la famosa "IV egloga" (<<. . . il fanciullo che io canto avrà in dono una vita divina e vedrà gli eroi mescolarsi agli dei, ed esso stesso sarà visto tra loro; e governerà il globo pacificato dalle virtù di suo padre>>. .), che fu anche interpretata, accanto ad altre possibili soluzioni, come un'anticipazione della venuta di Gesù Cristo (cfr. Jérome Carcopino, Virgilio e il mistero della IV egloga, 1930, Edizioni dell'Atlanta, con prefazione di Luca Canali, 2001). Tra i resti della fortezza di Masada, dove terminò, nel sangue del tragico suicidio collettivo di oltre 900 persone: uomini, donne e fanciulli, nel 74 d.C., l'ultima disperata resistenza, contro le legioni romane di Tito, degli irriducibili Zeloti di Eleazaro (descrivendo il terribile evento nei minimi particolari, Giuseppe Flavio li chiama però 'Sicari'), gli archeologi hanno trovato (sic!) alcuni frammenti dell'Eneide, validissimo indizio d'un altro possibile 'mistero' (cfr. C.P. Thiede e M. D'Ancona, Testimone oculare di Gesù, Piemme, 1996, pag. 66: si tratta, in effetti, del 'papiro Masada 721a'). Come mai? Una possibile spiegazione la forniamo qui di seguito, utilizzando le stesse parole di Carcopino, che pure scriveva molti anni prima di questa clamorosa scoperta archeologica. <<A partire dall'estate dell'anno 29 a. C., Virgilio prese a leggere all'onnipotente Ottaviano le Georgiche, in cui consacrava alla religione nascente di una dinastia, la sua antica fede nel muto linguaggio delle stelle. Il sole, eclissandosi per non illuminare l'assassinio di Cesare, ha attestato la divinità del defunto dittatore, e chi potrebbe dubitare di una simile testimonianza: <<Solem qui dicere falsum / Audeat?>> (Georgiche I, 463-464). Quanto ad Ottaviano, suo figlio, il più grande di tutti i 'cesari' - <<Te maxime Caesar>> (cfr. Georgiche, II, 16), il suo posto sale già nelle chiare sere d'autunno, verso il posto vacante tra Erigone e le Chele: <<Anne novum tardis sidus te mensibus addas, Qua locus Erigonem inter Chelasque sequentes Panditur>> (Georgiche, I, 32-34). Nessuna zona dello Zodiaco poteva essere più adeguata al principe che, nato la mattina del 23 settembre del 63 a. C. (stesso anno e stesso mese in cui a Pompeo furono aperte le porte di Gerusalemme dalla maggioranza farisea ed egli riuscì addirittura a penetrare nel Tempio, con suo grandissimo stupore null'altro vedendo se non "vacuam sedem et inania arcana" - Tacito, Historiae, 5,9; si veda Paolo Sacchi, Storia del Secondo Tempio, Torino, 1994, pag. 244), era venuto sulla terra nel momento dell'incerta transizione dal segno di Erigone, cioè della Vergine, da cui il sole era appena uscito, a quello delle Chele, ossia la Bilancia, in cui l'astro stava facendo il suo ingresso, sicché <<iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna>> (ed è questo il più famoso verso, il verso 6, dell'egloga IV!). Venne poi il tempo in cui l'Impero, curvo sotto il fardello delle sue conquiste mal assimilate, conobbe la miseria e la sconfitta e - abbandonato dagli dei pagani - li abbandonò a sua volta per abbracciare la fede di Cristo. La religione di Augusto fa rimpiazzata da quella di Gesù e il cristianesimo, facendo propria l'esegesi dei sui predecessori, fece cospirare l'egloga per il proprio trionfo. I cristiani videro nella ricomparsa dell'età dell'oro una figura del regno del Salvatore e reclutarono in Virgilio un inconsapevole messaggero delle loro credenze. Si volle vedere in Maria madre di Dio, la vergine nominata nel poema, la seconda Eva tornata sulla terra. A partire dal quarto secolo d.C., la traduzione greca di questa egloga attribuita a Costantino, se ometteva volontariamente il verso 10 (troppo imbarazzante coi suoi nomi pagani di Lucina ed Apollo), modificava il verso 6 in modo tale da legittimare il significato inedito che il proselitismo cristiano si sforzava di imprimervi: <<La Vergine sta per giungere, e porta il re da noi auspicato>>. E cioè, come canta Dante, <<Già era il mondo tutto quanto pregno / de la vera credenza, seminata / per li messaggi del'eterno regno,/ e la parola tua sopra toccata / si consonava a nuovi predicanti>> (Purgatorio, XXII, 76 e segg.)>>.

XVI.3. Carcopino sembra cogliere nel segno. Ci fa toccare con mano la grande attesa che permeava l'intero orbe civile, e non soltanto i Giudei costretti dal dominio imperiale. Segno evidente che la storia, giunta al compimento di una svolta, stava per partorire nuove realtà. In questo contesto altamente simbolico e spirituale, non appare certo inverosimile che i Terapeuti abbiano volutamente immortalato, in una autentica e misteriosa 'Veste di Luce', le fattezze funerarie di Cristo, celebrandone così il 'rito' della 'resurrezione dai morti', che tanto affascinò il cristianesimo insorgente. San Paolo nelle sue Lettere che costituiscono, in modo assoluto, i primi documenti cristiani ben prima dei Vangeli e degli Atti degli Apostoli, mostra di conoscere l'opera astronomica e poetica di Arato di Soli, che fu poi ripresa da Manilio sotto Tiberio, pur con dedica ad Augusto. In qualche modo viene il dubbio che Gesù, e i suoi dodici 'apostoli' (cioè gli 'inviati'), possano al limite modulare il 'sole', che appunto si muove sullo sfondo del 'dodici segni' dello 'zodiaco' (fascia eclittale degli 'animali'). Ad un tale 'schema' sembra peraltro rispondere la sorprendente presenza del 'bue' e dell' 'asinello' accanto alla 'magiatoia' (come si vede anche nel primo 'presepe' francescano di Greccio rappresentato da Giotto nel ciclo assisiate degli affreschi della Basilica Superiore), secondo una tradizione risalente invero all'VIII secolo, in aggiunta alla descrizione della natività di Luca (2, 6) in ambiente pastorale, che peraltro non fa alcun cenno alla presenza degli animali tipici del 'presepe'. Matteo parla invece di una 'casa', che non deve però essere minimamente confusa con un'evocazione o larvata allusione astrologica. Il presepe della tradizione posteriore richiamerebbe, cioè, i segni zodiacali del Toro e dell'Ariete. Allo stesso livello di allusioni astronomiche potrebbe essere ricondotto il possibile, per quanto altrettanto improbabile, accostamento dei 'dodici' apostoli al numero dei 'sette' diaconi di un importante passo degli Atti (6, 1-7), corrispondente all'altrettanto improbabile analogia coi 'sette corpi planetari', così come, ad es., Maria Maddalena fu liberata, con un esorcismo di Gesù, da 'sette demoni' e via dicendo. Secondo queste più o meno improbabili analogie, il Gesù trascorrente sulle acque del 'Mare di Galilea', per una mentalità 'razionalista', che voglia scorgere dietro 'l'impossibile' le effettive tracce del mito, potrebbe senz'altro essere assimilato al percorso del sole nascente dalle acque, e simbolo stesso della Vita. Tali asserzioni, per quanto non possano essere respinte 'a priori' (anche perché il cristianesimo si affermò, nel mondo romano, proprio attraverso il simbolo del Sol invictus, lasciando definitive tracce sul nostro calendario: per cui, ad es., la nascità di Gesù venne fissata il 25 dicembre, spostandola dalla ricorrenza del 6 gennaio, oggi dedicata all'Epifania, ricorrendo cioè ad una data pressoché coincidente col solstizio invernale: si vedano, in ogni caso, le annotazioni di Alfredo Cattabiani in Calendario, Rusconi, 1988 e soprattutto in Planetario, Mondadori, 2003), sembrano, tuttavia, lasciare il tempo che trovano, per quanto non destituite di un certo fondamento, che andrebbe piuttosto ricercato nell'elaborazone di successive tradizioni. In questo caso i 'simboli' mascherano una realtà sottostante, e non la rappresentano affatto in se stessa. Che Gesù fosse assimilabile ad un sole è dato incontroverso, ma non originario del cristianesimo primitivo. Tertulliano (160-230 d.C, il grande apologeta cristiano che finì per abbracciare il montanismo più rigoroso), respinge questa identificazione astronomica (cfr. Apologeticum, XVI, 9 ss.), ma l'adozione del Sole come simbolo della politica religiosa, che dai Severi a Gallieno, a Costanzo Cloro e allo stesso Costantino (prima dello scontro militare con Massenzio), aveva caratterizzato il III secolo sino agli inizi del IV, non era affatto sgradita ai cristiani, che riconoscendo in Cristo il Sol Justitiae, <<non disdegnavano, nella loro iconografia, il ricorso a tipi ed immagini solari>> secondo M. Sordi. Si trarrebbe, perciò, di un utilizzo strumentale dei simboli stessi dell'età dell'oro di Virgilio, del resto assai consoni ai 'figli della luce', come appunto si autodefinivano, in contrapposto ai 'figli delle tenebre' (oggetto del loro odio irrimediabile, secondo la 'Regola' I, 10, dei rotoli del mar Morto), gli stessi 'esseni' del Khirbet Qumran, la cui 'allegoria della luce' potrebbe anche dipendere da una valenza religiosa di tipo cosmico-astronomico (come, in generale, propende a ritenere il menzionato de Santillana de Il mulino di Amleto), propriamente assegnabile dalle 'religioni celesti' ai valori salvifici da queste praticati. Ma non è questa la nostra traccia.

XVI.4. Facciamo invece leva sull'<<attesa>>, ugualmente presente nel mondo pagano, di un <<salvatore del mondo>>, che sarebbe stato poi impersonato da Gesù Cristo in modo del tutto opposto alle aspettative 'militari' dell'ebraismo giudaico ribelle ai Romani. Ciò che interessa non è tanto questo possibile, e molto probabilmente labile collegamento di Gesù col 'sole' (sicuramente una traccia suggestiva), quanto piuttosto il significato profondo dell'attesa, in cui sembra mantenersi anche il primo cristianesimo nell'allora sinceramente creduta e del tutto imminente 'parusia', o 'seconda venuta' del Cristo giudice, e quindi anche della riconnessa salvezza dell'umanità credente, finalmente riscattata dallo scomodissimo e del tutto scandaloso sacrificio della croce o nuova paradossale alleanza. Si tratta, in realtà, di un atteggiamento ambivalente, che sembra, via via, trapassare da una fase di terribile 'attesa' (perfettamente compendiabile nei simboli stessi della della 'morte' e dell' 'oscurità') alla speranza del 'giorno pieno', cioè a dire la 'resurrezione' e il 'ritorno' di Gesù sulla terra a completamento della profezia. Il Cristo della masuetudine, simbolizzato dall'agnello sacrificale del Vangelo di San Giovanni, in Matteo è anche un potente e maestoso sovrano, che viene appunto a portare <<non la pace, ma una spada>>. Un'affine ambivalenza si concentrava nel mondo pagano e ne percorreva gli oracoli. Il mondo antico, in Occidente e in Oriente, era effettivamente nell'attesa della fine d'un ciclo e dell'inizio d'una nuova era, come traspare, con chiarezza, da Virgilio e dai vaticini stessi. Proprio per questa ragione frammenti dell'Eneide, recuperati dagli archeologi moderni, giacevano fra le rovine della fortezza di Masada. Gli Zeloti della guerra giudaica applicavano a loro stessi i presagi pagani, così come già una volta era caduta Troia, ma il profugo Enea aveva alla fine rifondato quella stessa civiltà (impersonata dalla dinastia Giulio Claudia), che ora stava dominando il mondo, e che del resto aveva già conquistato e sottomesso la Grecia degli eroi omerici vincitori di Troia. Dopo il disastroso e terribile periodo delle guerre civili, la pax augustea stava dando i suoi frutti. Ma una civiltà molto più raffinata di quella romana, quasi di ispirazione universale, aveva preceduto l'egemonia di Roma, in tutto il bacino del Mediterraneo. Per una manciata d'anni, prima delle guerre puniche, e poi della conquista romana della Grecia, Alessandria d'Egitto era stata la grande capitale mediterranea, faro di civiltà e di progresso scientifico (quanto all'evolutissima 'civiltà alessandrina', che era sicuramente pervenuta a conquiste scientifiche sorprendentemente moderne, rimandiamo allo straordinario saggio di Lucio Russo, La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli, 1997, che mette perfettamente a fuoco il livello di scientificità e di alta tecnologia, allora raggiunto dal mondo antico, anche nel campo della 'chimica'). Alle civiltà in declino, ad es. quella etrusca delle profezie della 'vergine Vegoia' e di 'Tagete' e quella greco-alessandrina nel mancato avverarsi del sogno, tutto greco, della koinè mediterranea, si contrapponevano le potenze mercantili e militari di altre civiltà. Alla fine fu Roma a spuntarla. Ai nostri scopi si presenta, perciò, di grande interesse, nel quadro storico della conquista romana dell'Egitto e dell'ultima fase dei conflitti interni che drammaticamente portarono alla ribalta il nuovo modello del potere imperiale, la complessa figura di Filone d'Alessandria, il grande filosofo ebreo contemporaneo di Gesù (20 a. C. 50 d.C. circa), di netta ispirazione platonica, per quanto strettamente legato al giudaismo e alla sua pratica religiosa. Insieme a Giuseppe Flavio e a Plinio il Vecchio egli ci ha tramandato tutta una serie di informazioni e di notizie fondamentali intorno alla setta degli 'esseni', sorprendentemente mai menzionata negli scritti neotestamentari tanto che già prima della scoperta dei 'rotoli del Mar Morto' era stata avanzata la possibilità di un 'Gesù esseno' proprio a ragione di questo silenzio ed anche per certe singolari coincidenze rituali, la prima delle quali sarebbe il battesimo d'acqua (per Giovanni) e di 'spirito' per Gesù (se non addirittura di fuoco). Al momento ci interessa cogliere il possibile fondamento di una 'trama alternativa', che metta in luce 'nuovi spiragli' durante il declino, quantomeno politico-militare, della civiltà greco-alessandrina e il conseguente affacciarsi della potenza militare di Roma. Questo periodo di alcuni secoli, fino alla distruzione del 'Tempio di Erode' nel 70 d.C., è anche il periodo in cui, con alterne vicende, gli Ebrei della 'Terra Promessa' risentirono, fortemente, prima dell'influenza greca, e quindi, da Pompeo in poi, di quella romana. Alessandro Magno strappò la Palestina ai Persiani nel 332 a. C., e per due secoli e mezzo la zona divenne una provincia greca. Alessandro e la dinastia dei Tolomei furono tolleranti nei confronti del giudaismo, e la religione ebraica si diffuse allora nella maggior parte dell'Impero greco, tutt'intorno al Mediterraneo orientale. Nel II secolo vi fu un grande cambiamento, quando l'impero orientale si separò per formare l'Impero Seleucide governato dalla Siria. Nel 169 a. C. il re seleucide Antioco IV, temendo la diffusione del giudaismo, decise di ellenizzare i Giudei. Le pratiche giudaiche furono proibite e le scritture vennero distrutte. Gli Ebrei si ribellarono nel 167 a. C. con la rivolta di Giuda Maccabeo, figlio del sommo sacerdote. Venne istituita la dinastia asmonea che, sebbene greca, pose fine alle continue lotte, convertendosi al giudaismo. Le due maggiori sétte, i Sadducei e i Farisei, accettarono l'autorità greca, ma una terza setta vi si oppose nettamente, e si trattava degli Esseni. Nel 175 a. C., il sommo sacerdote Onia III fu deposto dal fratello Giasone, il cui nome tradisce la presenza culturale greca in Gerusalemme. Onia fu assassinato poco dopo, e Giasone dovette fuggire. Il sommo sacerdozio passava a Menelao, che non era nemmeno della stirpe dei sommi sacerdoti (stirpe sadocita). Sotto Menelao si ebbe il massimo sforzo per ellenizzare Gerusalemme, cioè per renderla simile alla grande cultura e al modo di vivere del tempo. Come fa notare Paolo Sacchi, <<la Torah fu sostituita con la legge di Antiochia>>. Le trame della storia non possono essere ignorate, e dal loro contesto si ricavano sicuramente profili di estremo interesse, anche ai presenti fini.

XVI.5. In quei due secoli e più che vanno dal periodo dei Maccabei agli Erodi, potrebbe essere fermentato (proprio ad Alessandria d'Egitto e in seno alla 'diaspora' venuta a contatto con la cultura greca) un ebraismo molto diverso da quello 'gerosolimitano', invece duramente costretto a terribili compromessi politici, che, ricongiungendosi idealmente con l'esodo mosaico, ripensò la vicenda biblica, e i termini stessi delle antiche profezie, secondo un modello universale. L'ipotesi, che qui viene affacciata, è che in realtà esistessero due distinte correnti di "Esseni", pur agganciate alle medesime lontane tradizioni mosaiche, cioè i Terapeuti 'egiziani' e gli Esseni del 'deserto del mar Morto'. Questa ipotesi conduce, infatti, ad una spiegazione razionale del 'mistero Gesù', sia un Gesù Messia che un Gesù Mago, schiarendo altresì quell'altrimenti inspiegabile fenomeno che ricondusse, proprio nella Tebaide, i Padri cristiani del deserto alcuni secoli dopo, al momento stesso del crollo dell'Impero d'Occidente, come se si trattasse d'una sorta di forzato ritorno alle origini 'egiziane' del 'monoteismo biblico', in una tragica età di lutti che si preannunciava disastrosa per la civiltà. Le vere origini del movimento 'messianico' impersonato da Gesù si collocherebbero perciò ad Alessandria d'Egitto, e Gesù stesso non sarebbe un fenomeno prodottosi all'interno della Palestina, come si è sempre creduto, ma il derivato di una ben più ampia visione, che affondava le sue radici nel sincretismo religioso più antico e di cui lo stesso Platone fu una della voci più rilevanti nell'ambito del mondo pagano. La Sindone sarebbe stata creata dai 'terapeuti alessandrini' presenti anche a Gerusalemme, in attesa del trionfo religioso e politico del loro venerato 'messia', predetto dalle scritture, e morto di croce per la cieca caparbietà giudaica, che aveva smarrito il rapporto col divino. Essa ha immortalato le fattezze umane del Cristo, nella certezza della sua 'regalità sacerdotale' di salvatore di tutti gli uomini, emblematizzata dell'Età dei Pesci. Una sorta di anticipazione, in chiave sacra, della monarchia universale improntata all'Unico Dio, che tornerà a popolare il mondo medievale nella contrapposizione politica tra Papato e Impero. E si tratterrebbe altresì del "Re del Mondo" di René Guénon, e, tanto per intenderci, del "Veltro" dantesco. Il Cristo della Sindone avrebbe potuto avere benissimo questo recondito significato per i Cavalieri Templari, costituiti in un ordine militare rimontante a San Bernardo, che partecipava sia dello spirito cristiano, che del braccio armato del potere.

XVII. REX MUNDI

XVII.1. Scrive Luciano Canfora (Storia della letterattura greca, Laterza, 2001) che <<si inaugura coi Settanta una costante opera di traduzione in greco - in quell'ecumenico greco ellenistico - di opere che il mondo ebraico destina ad una circolazione più ampia (sia agli Ebrei dell'area siro-egizia sia a non Ebrei): un'opera che ha talora precisi fini politici come sarà il caso, in età flavia, delle opere storiche (Antichità e Guerra giudaica) di Giuseppe Flavio>>. Naturalmente non si tratta di un puro e semplice lavoro di traduzione, ma anche di rielaborazione e di arricchimento. Così, ad esempio, è nel corso del processo di formazione della redazione greca dell'Antico Testamento (la cosiddetta Bibbia dei Settanta), che vengono a confluire nel 'corpus' alcuni libri che la tradizione ebraica non ritiene canonici, quali appunto i Maccabei. La leggenda dovuta alla 'Lettera di Aristea a Filocrate' - un amplissimo scritto che può collocarsi al tempo di Tolomeo Filometore (180-145 a.C.) - vuole che Tolomeo Filadelfo, consigliato da Demetrio Falereo, desiderando avere nella Biblioteca una traduzione dei libri sacri ebraici, ottenne che il gran sacerdote Eleazaro gli inviasse "72 dotti giudei", i quali, segregati nell'isola di Faro, condussero a termine la traduzione in "72 giorni"! In realtà sembra che il lavoro di traduzione, iniziato nel III secolo a.C., sia durato almeno un centinaio d'anni (cfr. Raffaele Cantarella, Storia della letteratura greca). Ma questo fatidico numero <<72>> corrisponde, sorprendentemente, a quello dei membri del Sinedrio che incolpò Gesù davanti a Pilato, e proprio dal Vangelo di Luca (10,1-16) apprendiamo che Gesù stesso incaricò <<settantadue seguaci>> (cfr. ad es. Sanders, op. cit., pag. 128) di precederlo sulla strada verso Gerusalemme, due a due, al completamento del suo ministero. I 'settantadue' ritornarono e riferirono del 'successo' dei loro 'esorcismi' (Lc 10,17). In altre parole, Gesù inviò a Gerusalemme, prima della Pasqua, i suoi Terapeuti, ben introdotti nel mistero delle Scritture, ai quali non appartenevano certo gli apostoli, che erano, invece, soltanto i semplici e indotti operai della vigna, i rappresentanti e al tempo stesso i destinatari della predicazione universale ai popoli, che ovviamente doveva prendere le mosse da Israele e dalla Giudea, col superamento dell'ormai sterile giudaismo quale religione ristretta ai circoncisi.

XVII.2. Il 'Mistero Gesù' è tornato di recente alla ribalta televisiva sui 'Rai 3', in un trasmissione andata in onda venerdì 13 dicembre 2002 in prima serata, presenti il matematico Piergiorgio Odifreddi, lo scrittore cattolico Vittorio Messori, il biblista Gianfranco Ravasi, e Pierluigi Baima Bollone, medico legale torinese e notissimo studioso della Sindone. Abbiamo già ricordato che tra gli affascinanti libri di Odifreddi figura anche Il Vangelo secondo la Scienza: la prefazione a questo libro (datata "Torino, 1997 dell'era cristiana"!), reca allusivamente alla pari dignità delle religioni mondiali, anche le date 5757 dell'era ebraica, 5099 dell'era induista, 2540 dell'era buddhista, 1417 dell'era islamica e 157 dell'era baha'i. In realtà Odifreddi non si occupa affatto di 'critica neotestamentaria', un argomento che neppure sfiora, ma soltanto della 'questione religiosa alla luce della scienza'. Raccogliendo una delle tantissime citazioni di questo straordinario libro ed eccezionale Autore, va ricordato che secondo Jung (cfr. pag. 15, con riferimento all'opera Psicoterapia e cura d'anime), <<le religioni sono sistemi di guarigioni per i mali della psiche, dal che deriva il naturale corollario che chi è spiritualmente sano non ha bisogno di religioni>>. Obbiettiamo soltanto (cfr. C. Moeller, op. cit., pag. 147) che Eschilo per primo ha pronunciato "una delle parole più sublimi sul dolore", poiché <<I mortali sopra tramiti / esso avvia di sapienza>> (Eschilo, Agamennone). Agamennone, nel pensiero del poeta tragico, è infatti "ammaestrato" dal dolore. Lo 'scandalo della croce' è dunque lo strumento stesso della 'redenzione dai peccati del mondo', il che secondo noi non fa una grinza.

XVII.3. L'attesa pagana di una nuova età dell'oro era una renovatio mundi, miracolosa resurrezione, o nuova fioritura, del ramo secco e invernale dell'umanità. E' questo il senso di una medesima attesa, presente in ugual modo sia nel mondo pagano che in quello giudeo. La qual cosa parebbe inesplicabile, se essa non trovasse, invece, un radicamento nei fattori attivi della storia. L'insorgente cristianesimo, predicato dagli 'inviati', cioè gli apostoli degli "Atti", itineranti di città in città, soprattutto Pietro e Paolo attraverso le innumerevoli sinagoghe della 'diaspora' dalle coste mediterranee fino a Roma ('nuova Babilonia' la definì San Pietro, in una lettera canonica a lui attribuita, ricomprendendo anche i 'gentili', cioè i non circoncisi), somiglia alquanto ad un 'secondo esodo', se si ripensa, soltanto, alla maledizione del fico, che sotto la Pasqua ebraica non dava ancora i suoi frutti (Mc. 11, 12-14). Ai predicatori della Buona Novella si era aggiunto un certo Apollo (o Apollonio), si badi bene, proveniente da Alessandria, che gli Atti descrivono come "introdotto", ma non a perfetta conoscenza (s'intende) della 'dottrina paolina' su Gesù Cristo. "Apollo" è la prova stessa delle origini 'egiziane' del movimento cristologico, teso appunto a riformare l'ebraismo e ad esportare nel mondo pagano il messaggio della 'fratellanza universale'. Il Re dei Giudei è perciò anche il "Salvatore del mondo", cioè il rinnovatore della Storia. Gesù è dunque il "sommo sacerdote" di una religione di salvezza, il redentore dal peccato di tutta l'umanità, discendente dalla creazione divina. E tale si è conservata, nei millenni, la vera sostanza del cristianesimo 'cattolico apostolico romano', a riprova della straordinaria energia del messaggio 'universale' di Cristo. L'universalismo cristiano, che divenne in seguito 'cattolicesimo romano', proviene, esattamente, dalla rottura del vecchio schema preclusivo giudaico, isterilito nell'osservanza 'alla lettera' della legge (la questione del 'sabato' riflette perfettamente quest'assurdo irrigidimento). Esso deriva dall'originaria ed intenzionale propensione diffusiva, raggiunta con la predicazione di Gesù nel tempo esattamente previsto della 'pienezza'. Si tratterebbe, cioè, di un indirizzo già in origine caratterizzante la "buona novella", per quanto alcuni passi evangelici possano far ritenere, al contrario, che il 'messaggio' dovesse riguardare soltanto il mondo ebraico, e non espandersi 'toto orbe', come invece puntualmente avvenne. L'impronta della predicazione di Gesù, legata com'è al grande e prioritario significato del discorso della montagna (che ancora conserva, nelle traduzioni, il ritmo dell'originale scansione poetica in aramaico) malgrado che i 'sinottici' lo pongano, l'uno (Matteo), sulla "montagna", e l'altro (Luca), in "pianura" (mentre Marco, tralasciandolo, ne riporta, qua e là, poche sentenze staccate: cfr. G. Ricciotti, pag. 315 ss.), lascia perfettamente intendere il senso globale del messaggio, destinato all'umanità tutta e non soltanto agli ebrei del Tempio, che ormai era divenuto il superato simbolo di una unità, destinata a sciogliersi altrimenti. Individuato, in questo senso, il vero significato della missione apostolica e del kèrigma evangelico, che in effetti riguardare, direttamente, i primi due comandamenti mosaici, e, di conseguenza, anche l'ardita "promessa" del Regno dei Cieli, non è difficile, a questo punto, scorgere nel cristianesimo insorgente la sua autentica valenza universale, che lo rese così forte ed accettabile dalle più diverse sensibilità storiche e antropologiche dell'intero bacino mediterraneo, Roma compresa. Rudolf Bultmann aveva perfettamente inteso questo aspetto, concludendo per l'inutilità, ed anche l'impossibilità stessa, di una ricostruzione 'storica' della figura di Gesù. La Sua venuta segnò, infatti, la vera svolta del mondo antico, con la conseguente 'morte' degli antichi 'dèi sanguinari'. Ma l'oscuro "Pan" non morì del tutto, malgrado l'esoterismo di Plutarco gran sacerdote delfico.

XVIII. PAN NON E' MORTO

XVIII.1. Notevolissimo ci è parso a questo riguardo lo studio di Flavio Barbiero (vedi Episteme n. 5), secondo cui Giuseppe Flavio, il grande storico ebreo e discusso capo militare fariseo, poi passato ai Romani, favorì, sotto i Flavi suoi protettori, la diffusione del 'cristianesimo', che a Roma era giunto già al tempo di Nerone, e forse anche prima, nell'età dell'imperatore Claudio, che, infatti, aveva bandito da Roma molti ebrei, per i feroci 'dissidi' scoppiati tra loro (fra questi profughi 'ebrei' da Roma, andrebbero annoverati Aquila e Priscilla sua moglie, di cui agli Atti, 18, 1 ss.). L'argomento merita attenzione per varie ragioni. Una di queste ragioni riguarderebbe l'ebraismo della 'diaspora', che ad Alessandria d'Egitto, sotto i Tolomei, sembra essersi precocemente discostato da quello di Gerusalemme. Filone d'Alessandria, il grande filosofo di origine e religione giudaica, mediatore tra platonismo ed ebraismo, non solo era il fratello di un influentissimo personaggio dell'apparato statale egiziano molto legato ai Romani, ma egli stesso si era recato a Roma (verso il 39-40 d.C.) per una delicatissima missione politico-diplomatica nei confronti dell'imperatore Caligola, che tuttavia si risolse in un clamoroso fallimento. Secondo San Gerolamo, Filone proveniva dalla "casta sacerdotale", e gli elementi biografici contenuti nella sua vasta opera, soprendentemente pervenuta pressoché integra, lasciano intravvedere un'alternanza di vita attiva e di momenti comtemplativi, con netta prevalenza di questi ultimi, denotati, tra l'altro, dal vivo interesse per le prime manifestazioni della vita monastica, quali furono quelle delle due menzionate comunità ebraiche, rispettivamente denominate dei "Terapeuti" (cfr. De vita contemplativa) e degli "Esseni" (invece documentata nel Quod omnis probus liber sit e nell'Apologia pro Judaeis). A questo punto agguerriti investigatori come Padre Brown e il commissario Maigret comincerebbero probabilmente a sospettare che le radici della 'nuova alleanza', o meglio del 'secondo esodo', debbano essere ricercate nell'assai complesso, multifome e variegato mondo alessandrino, ed anche nel 'pensiero' stesso di Filone. Gli anni oscuri di Gesù (tanto per plagiare il titolo d'un famoso saggio di Raymond Aron) potrebbero in effetti nascondere una lunga permanenza in Egitto, ben al di là dell'episodio della semplice 'fuga' della 'sacra famiglia', appositamente avvertita da un angelo, come racconta Matteo (cfr. 2, 13-15), il solo evangelista che narri quest'episodio, mentre Luca (cfr. 2, 39-51) si occupa (in una paradossale concordia discors - concordanza discorde! - che non ha mai cessato di insospettire la critica evangelica 'razionalista') soltanto della 'vita nascosta a Nàzaret', e del 'ritrovamento di Gesù dodicenne' tra 'i dottori della legge'. La storia è ricca di pieghe oscure, aperte a tutte le possibilità. Ma qui si tratta del 'messaggio di pace' universale, rivolto a tutti gli 'uomini di buona volontà' (Lc. 2,14), che stabilirà la "nuova alleanza", per la quale non c'è più bisogno di un tempio nazionale eretto in pietre superbe, ed invece segno di contrapposizione e di distacco, ma del superamento 'morale' delle contrapposte identità tra i popoli. Come abbiamo ricordato, da pochi anni Erode il Grande aveva ricostruito il 'secondo tempio', e Gesù dichiarava che sarebbe stato capace di edificarne un altro in soli tre giorni! E così accadde veramente: quel 'nuovo tempio' potrebbe essere la Sindone, occorre sottolinearlo, "non fatta da mani d'uomo", il "sudario" di Gesù Cristo, re e sommo sacerdote, risorto nel 'Regno di luce' del suo Padre Celeste. A questa autentica 'immortalità della luce' mirarono infatti i Terapeuti alessandrini, seguaci di Gesù ed esperti di alchimia, attraverso quel 'rito' di riproduzione fotografica 'ante litteram' delle fattezze mortali del Cristo, che portò alla realizzazione della Sindone, poi gelosamente custodita, nell'assoluto segreto, durante primi secoli cristiani. Lo stesso lenzuolo sacro che fu mostrato a San Francesco dai Templari che ne erano venuti in possesso nel 1204 con la presa di Costantinopoli e che mantenevano gelosamente custodito il medesimo segreto. Un'affascinante 'ipotesi', che farebbe da 'trait-d'union' tra epoche diverse, però legate da un medesimo filo, in questo caso alla trama alterata di un lungo e sottile pezzo di lino.

XVIII.2. La contiguità tra Francesco d'Assisi e Gesù è un dato incontroverso, che ha fatto di San Francesco <<l'Alter Christus>> anche a ragione delle stimmate. Quel Cristo, assisistito dalle profezie, e parlante, nei Vangeli, con assoluta dottrina. Daniele è l'ultimo libro (scritto in tre lingue diverse: ebraico, aramaico e greco) dell'Antico Testamento, come Genesi (dove si trova il vaticinio di Giacobbe) è il primo. Ultimo libro anche in senso profetico, tale è la ricchezza, e la novità, di preannunci sul futuro. Lo stesso Renan sostenne che <<il libro di Daniele dà in qualche modo alle speranze messianiche la loro ultima e difinitiva espressione>>. Ci riferiamo, in questo caso, alla profezia delle 'Settanta Settimane' del capitolo 9 di Daniele, che inizia così: <<Settanta settimane sono fissate per il tuo popolo e la città santa per far cessare l'iniquità, per sigillare il peccato, per espiare l'iniquità, per addurre giustizia eterna, per suggellare visione e profezia e per ungere il Santo dei Santi>>. Il dato accomunante Francesco d'Assisi al Gesù storico dei Vangeli è ciò che possiamo chiamare 'essenza del cristianesimo', unico e vero mistero della fede. Si tratta, in realtà, di una trama evolutiva, di un passaggio storicamente necessitato. Le profezie si spiegano così, e così esse, di fatto, si realizzarono. Francesco stesso è presagito dal profetismo illuminato di Gioacchino da Fiore. Nel caso di Gesù, non si tratta di settanta settimane, ma di periodi settenari. Dunque le 'settanta settimane' sarebbero 490 anni in totale. Partendo dal decreto di Artaserse (di cui parla un altro libro della Bibbia), emanato nel settimo anno del suo regno, e cioè nel 458-457 a. C., la fine dei 490 anni sarebbe caduta nel 32-33 d.C.! (Qui non interessano altre possibilità e neppure altre soluzioni). Ciò che conta, è che Daniele non solo profetizza un Messia, che sarà soppresso, ma accenna anche al <<popolo di un principe che verrà e distruggerà la città e il suo santuario>>. Una profezia puntualissima, verificatasi con la guerra giudaica, che indica anche il tempo preciso della venuta del 'Messia'. E si tratta della stessa 'Profezia dell'Astro', che avrebbe poi accompagnato l'ultima rivolta ebraica nel 132-135 contro i romani (i 'kittim' del Rotolo della guerra: cfr. Moraldi, op. cit., pag. 271 ss.) da parte del 'messia militare' Simeone 'bar Kosba'. Tra l'altro, la traslitterazione del nome di quest'ultimo 'messia' (ufficialmente riconosciuto come tale dai giudei rivoltosi), ha dato luogo a qualche problema, ed infatti il lettore lo troverà diffusamente citato, in modi diversi, nei vari testi. A quanto pare (cfr. M. Baigent ed altri, Il Mistero del Mar Morto, op. cit., pag. 34) il capo dell'ultima rivolta contro i romani era, per i suoi sostenitori, 'bar Kokba', cioè il figlio della Stella, mentre, per i suoi avversari, era 'bar Kozba', il figlio della Menzogna (notiamo, tra le righe, che una 'stella' caratterizzò la 'bandiera rossa' del comunismo, e che Stalin, ex seminarista georgiano, si faceva chiamare compagno 'Koba').

XVIII.3. L'attesa giudaica non aveva trovato placazione alcuna nel pacifismo di Cristo, mandato a morte col pretesto, peraltro rispondente a verità, di essere il 're dei Giudei'. Lo scontro politico, sulla fedeltà ai Romani, tra le varie sétte, era feroce. E questo Cristo, legato al movimento alessandrino e venuto a predicare, da fuori, il sovvertimento sociale, in nome d'un pacifismo utopistico, apparì, dunque, un perfetto estraneo, tra l'altro un pericoloso capopolo, di cui sbarazzarsi quanto prima. Ciò faceva comodo sia ai sacerdoti fedeli al regime, che agli stessi agitatori politici, che, all'estremo opposto, predicavano invece lo scontro più duro (e che forse, con Giuda Iscariota, tradirono Gesù stesso, al momento del massimo consenso, constatando che la sua predicazione volgeva a ben altro scopo). C'era dunque un'attesa nel mondo ebraico, a quanto pare specifica e dettagliata. La 'stella in Oriente', seguita dai Re Magi secondo Matteo, potrebbe forse essere identificata con la 'congiunzione' Giove-Saturno, osservata da Keplero a Praga, nel dicembre del 1603 (ma esistono altre possibilità, anche se, come scoprì lo studioso danese Muenter in un commentario ebraico medievale al libro di Daniele, secondo i dotti giudei la congiunzione Giove-Saturno, nell'allusiva costellazione dei Pesci, era proprio uno dei 'segni' della nascita del Messia). Ciò che, invece, più conta, è il fatto che c'era una parallela attesa di "svolta" nel mondo pagano. In aggiunta a quanto abbiamo già riportato a proposito di Virgilio, Flavio Giuseppe (Guerra giudaica, 6, 5) sostiene testualmente che <<quello che incitò maggiormente (gli ebrei) alla guerra (nella rivolta del 66-70 d.C.) fu (proprio) un'ambigua profezia, ritrovata ugualmente nelle sacre scritture, secondo cui in quel tempo "uno" proveniente dal loro paese sarebbe diventato il dominatore del mondo>>. Secondo Marta Sordi (loc. cit., pag. 48 ss.), la rivolta del 66, quella cioè che precedette l'ultima rivolta ebraica del 132-135 d.C., e che assistette, nel 70 d.C., alla distruzione, probabilmente accidentale, del secondo Tempio da parte dell'esercito di Tito, <<era stata in realtà alimentata dall'interpretazione politica delle grandi profezie messianiche, da Isaia a Michea, da Geremia ad Ezechiele, secondo le quali il liberatore sarebbe uscito da Sion, sarebbe stato un discendente di David ed avrebbe dato leggi a tutte le nazioni: a Roma, la profezia che il dominatore del mondo sarebbe venuto dalla Giudea circolava già al tempo di Nerone (Svetonio, Vita Neronis, 40, 2), a cui i mathematici avevano preannunziato la destituzione, ma avevano altresì promesso anche <<il dominio dell'Oriente>>, ed alcuni, esplicitamente, <<il regno di Gerusalemme>>. Essa acquistò attualità al tempo della rivolta giudaica e dopo la vittoria: Tacito (Historiae V, 13, 2) parlando della resistenza di Gerusalemme dice che <<nei più era presente la convinzione che secondo le antiche scritture sacerdotali proprio in quel tempo l'Oriente avrebbe acquistato vigore e uomini partiti dalla Giudea si sarebbero impadroniti del potere>>. Ed aggiunge: <<Queste oscure espressioni avevano preannunciato Tito e Vespasiano>>. Svetonio (cfr. Vita di Vespasiano, 4) conferma la notizia, e la sua interpretazione suona quasi con le stesse parole: <<Si era diffusa in tutto l'Oriente un'antica profezia, secondo cui in quel tempo uomini partiti dalla Giudea si sarebbero impadroniti del potere>>. Questo era stato predetto sull'<<imperatore romano>> (come gli avvenimenti dimostrarono in seguito). Ma i Giudei, <<interpretando la profezia come riferita a se stessi, si ribellarono al loro governatore…>>. La profezia dell'età dell'oro, riecheggiata da Virgilio, maestro di Dante nell'affresco poetico della Comedia, corrisponde esattamente ad una 'buona novella', così come l'escatologia cristiana dei 'tempi ultimi', resa ancor più drammatica nell'Apocalisse, guarda all'esatto contrario, cioè alla giustizia vendicatrice di un Cristo "giudice" al di là dei vivi e dei morti. Un medesimo ambiente culturale, nell'attesa del rinnovamento, potrebbe aver prodotto tutte queste varianti. E difatti, durante le luttuose guerre civili dell'ultima età repubblicana <<circolava un gran numero di apocalissi d'origine orientale>> (come scrive M. Eliade, in Storia delle credenze religiose, vol. II, pag. 363, Sansoni, 1980). Quelle note con il nome di Oracoli Sibillini annunciavano la prossima caduta della potenza romana. Quando Cesare passò il Rubicone il neo-pitagorico romano Nigidio Figulo (e qui va sottolineato il riferimento al 'neopitagorismo romano', sul quale insiste Carcopino e al quale aderì lo stesso Cicerone, in particolare nel Sogno di Scipione) annunciò l'inizio di un dramma cosmico-storico, che avrebbe messo fine a Roma e alla stessa specie umana (vedi Lucano, Farsalia, 639, 642-645). Ma Virgilio - prosegue Eliade - vuole rassicurare i Romani, e nell'Eneide (I, 255 ss.) Giove, rivolgendosi a Venere, la rassicura di non voler fissare ai Romani nessun tipo di limitazione spaziale o temporale: <<Ho loro concesso un impero senza fine>>. Roma potrà estendersi (Eneide, VI, 798) fino alle regioni che <<si trovano al di là delle vie del sole e dell'anno>>. Si noti il richiamo in questo passo di Eliade alla 'profezia pitagorica'. Oggi si ammette l'esistenza di un certo collegamento tra dottrina pitagorica e cristianesimo delle origini, e tra gli studiosi che la pensano così, si colloca il noto biblista Angelo Penna (op. cit., I, pag. 157), che appunto si rifà a Zeller, Schuerer, Cumont, Lagrange ecc. Nel Foro romano l'Arco di Tito ci ricorda la presa di Gerusalemme e la sconfitta ebraica. Varie suppellettili sacre del Tempio furono portate a Roma dall'esercito vittorioso (la Fig. 12 rappresenta un bassorilievo dell'Arco di trionfo in oggetto; vi si nota il particolare del candeliere a sette bracci simbolo dell'ebraismo). Di tali cimeli si è persa la traccia per sempre, ma il 'tempio' universale della nuova alleanza cristiana fu eretto proprio a Roma, sul Vaticano, segno evidente della 'veridicità profetica' ed anche del fatto che la necessità storica è una sorta di 'mistero causale'.
 
 

(Fig. 12)


 





XVIII.4. A chiusura del capitolo intitolato "Il crepuscolo degli dèi" (op. cit., pag. 412), Mircea Eliade ha un autentico colpo di genio (vedi "L'autobus che si ferma ad Eleusi", con riguardo all'incendio del santuario, che avvenne, come narra Eunapio, nel 396 d.C., da parte dei Goti di Alarico, che aveva al seguito "uomini in nero", cioè monaci cristiani). Così Eliade, grandissimo studioso di storia delle religioni: <<Tuttavia, se ad Eleusi scomparve il rituale iniziatico, non per questo Demetra abbandonò il luogo della sua teofania più drammatica; è vero che, nel resto della Grecia, San Demetrio ne aveva preso il posto, divenendo il patrono dell'agricoltura, ma a Eleusi si parlava - e si parla ancora - di santa Demetra, santa sconosciuta altrove, e mai canonizzata ... L'episodio più toccante della mitologia 'cristiana' di Demetra avvenne all'inizio del febbraio 1940 e fu ampiamente riferito e discusso dalla stampa ateniese: a una fermata dell'autobus Atene-Corinto salì una vecchia <<magra e rinsecchita, ma con grandi occhi molto vivaci>>; poiché non aveva denaro per pagare il biglietto, il controllore la fece scendere alla stazione seguente - quella di Eleusi, appunto. Ma il conducente non riuscì più a mettere in moto l'autobus e, alla fine, i viaggiatori decisero di fare una colletta per pagare il biglietto della vecchia. Questa risalì sull'autobus, che ora potè ripartire. Allora la vecchia disse: <<Avreste dovuto farlo subito, ma siete degli egoisti; e già che sono qui, vi voglio dire ancora una cosa: sarete castigati per il modo in cui vivete; vi saranno tolte persino l'erba, e l'acqua!>>. <<Non aveva ancora finito la sua minaccia>> - continua l'autore dell'articolo pubblicato sull'Hestia, riportato da Eliade, <<ed era scomparsa. . . Nessuno l'aveva vista scendere. E si andò a guardare il blocchetto dei biglietti per convincersi che era veramente stato staccato un biglietto>>. Pan doveva morire davvero, stando all'annuncio di Tamo. In realtà, il Dio bizzarro e sanguinario della natura indomata, continuò, imperterrito, a suonare il suo zufolo irridente. L'ultimo sforzo dell'imperatore Giuliano l'Apostata per ripristinare gli dèi pagani cadde nel vuoto, ma non per questo Pan resuscitò, così come non era mai morto davvero. Fu il 'pagano' Costantino a fare del cristianesimo la religione di Stato (formalmente sancita da Teodosio nel 387), e il di lui prolifico biografo, Eusebio di Cesarea, scrisse, tra l'altro, una Storia ecclesiastica, opera fondamentale per la ricostruzione delle oscure origini del cristianesimo insorgente. Nei riportati passi, Eliade intende sottolineare la molteplicità delle epifanie del sacro, e in ogni caso allude, in modo evidente, alla sistematica sostituzione dei riti cristiani rispetto a quelli pagani, attraverso quella singolare stratificazione, per cui il dato reale si mescolò, ovviamente, a quello leggendario o puramente inventato. Una strada, questa, che conduce lontano nell'esercizio critico, e che mostra alcune singolari affinità tra cristianesimo e i culti isiaci, quello del dio Mithra, di Dioniso, di Adone, del Pastore di Ormuz ecc., che si erano ampiamenti diffusi, nella società romana, proprio in nell'epoca in cui il cristianesimo si affacciava oltre i confini della Giudea, come mostrano, del resto, alcune sorprendenti scoperte archeologiche fatte nelle due città cancellate dall'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. : una probabile croce cristiana venerata in un angolo della sua stanzetta da uno schiavo di Ercolano, ed il quadrato magico inciso su una colonna della palestra di Pompei, che sembra di tipo iniziatico e criptico, ancora aperto ad una precisa conclusione (a questo Quadrato magico è dedicato un singolare libro di Rino Camilleri, Rizzoli, 1999, con prefazione di V. Messori). Il che ci riporta alla predicazione apostolica e alla diffusione del cristianesimo a Roma, "nuova Babilonia", con lo straordinario annuncio del "risorto dai morti", avvenuta ben prima dell'inizio della Guerra Giudaica e della distruzione del grandioso Tempio di Gerusalemme, di cui resta oggi soltanto il 'muro del pianto' (ma, a proposito della distruzione del Tempio da parte dei Romani, vedi quanto se ne è detto nella sezione XVI.1; si potrebbe aggiungere che il famoso 'muro', scomparso tutto quanto ricordava il vero ultimo tempio, la costruzione alquanto recente di Erode il Grande, non era altro che un muro di sostegno del terrapieno su cui sorgeva l'edificio, e che continuò a essere utilizzato dall'acquartieramento romano mantenuto per impedire a chiunque, fino ai tempi di Costantino, di recarsi a venerare i ruderi che restavano nel 'luogo sacro'). Questo Gesù è per i pagani una sorta di 'dio asino', in un blasfemo graffito ritrovato sul Palatino, che sembra riportarsi all'Asino d'oro di quel teurgo mistificatore, grande scrittore e lestofante, di Apuleio. Ma il mistero della 'tomba vuota' avvinse la religiosità dell'Impero, e in pochi secoli lo conquistò fatalmente al nuovo significato della storia. La civiltà antica non si ruppe, ed anzi, i suoi fili continuarono a legarsi nel travaglio delle epoche. Un solo pezzo di stoffa, un sottile lino lungo 4,17 metri e poco più largo d'un metro, recante due immagini 'negative' e contigue d'un uomo martirizzato con la crocifissione, sembra connettere tra loro venti secoli di storia umana! Infatti è nel nome di Cristo che i secoli hanno parlato, narrandoci di questo 'segreto', che persiste, e continua, ancora, a sfidare la ragione. Il "mistero della tomba vuota" potrebbe infatti consistere nel segreto stesso della prima fotografia chimica della storia, realizzata a Gerusalemme dagli alchimisti della setta religiosa dei Terapeuti quasi venti secoli prima di Daguerre.
 
 

PARTE TERZA


 




XIX. LA TOMBA VUOTA

XIX.1. E' davvero sorprendente che Gesù possa essere stato processato e condannato a morte in quel così esiguo lasso di tempo che va dal giorno della Pasqua (14 o 15 Nisan, secondo il computo dei diversi calendari in uso), durante il quale venne celebrata "l'ultima cena" secondo il rito essendo, fino alla conclusione del periodo dei 'sette giorni' della festa degli Azzimi, poi divenuta la 'settimana santa'. Gesù aveva detto ai discepoli di andare a Gerusalemme dove avrebbero incontrato un uomo con una brocca d'acqua. Dovevano seguirlo, e vedere in quale casa entrava. Al padrone della casa dovevano dire che il <<maestro>> (sic) avrebbe usato la stanza superiore per la sua cena pasquale. Allora i discepoli <<prepararono per la Pasqua>> (vedi Mc 14,12-16 e paralleli), nel senso che forse portarono un agnello che avevano ucciso nel Tempio e avevano messo su uno spiedo ad arrostire (vedi Sanders, op. cit.). Flavio Giuseppe ci fa sapere che i Giudei arrivavano a Gerusalemme una settimana prima, ma non dice cosa facevano durante questi giorni (Guerra Giudaica: 6, 290). Poi gli eventi precipitarono. Gesù viene arrestato di notte, riconosciuto da Giuda con un bacio sulla guancia (altra cosa poco chiara). Strano assai che Giovanni e Pietro possano assistere all'immediato processo notturno, subito seguito, addirittura nella casa stessa del sommo sacerdote. Straordinarie ed inesplicabili le ragioni, e le stesse circostanze 'evangeliche', del tradimento di Giuda iscariota, appunto il Sicario, e tutto il successivo contorno dei rapidissimi accadimenti, fino al processo romano, e all'esecuzione della condanna a morte. In questo brevissimo lasso temporale, dal mercoledì santo (o se si vuole dal martedì in cui si sarebbe celebrata la pasqua secondo il rito esseno), si passa da un Gesù vivo tra la folla inneggiante dei fedeli, ai processi, al cadavere deposto, e infine alla resurrezione. C'è poi quel 'Bar-Abba' (Figlio del Padre) in alternativa a Gesù, e perciò il mistero di questa doppiezza: o l'uno o l'altro; ma sembrano davvero la medesima persona (malgrado l'omonimo romanzo del premio Nobel per la letteratura, P.F. Lagerkvist). E non bastando questo, c'è un Simone di Cirene, di cui gli Atti riportano, sorprendentemente, il nome dei 'due' figli, dei quali sarebbe stata addirittura ritrovata dagli archeologi la tomba a Gerusalemme. La leggenda ha poi aggiunto la "Veronica" ('vera-immagine'), e il 'fazzoletto' col quale venne asciugato il sudore di Gesù, anch'esso donato a re Abgar di Edessa. C'è poi il pentimento di Pilato, e quant'altro si accompagna a questa pia leggenda assolutrice dell'avidissimo procuratore romano di origini italiche, compreso il "laghetto di Pilato", sui monti Sibillini, che ne porta ancora il nome. Ma su un punto i Vangeli hanno certamente ragione. Pilato rivestiva esattamente la carica indicata. Le fonti cristiane del secondo secolo, Giustino (cfr. Apologia, I, 35 e 38, nell'edizione Città Nuova, 2001) e Tertulliano (cfr. Apologeticum V, 2 e XXI, 24 nell'edizione Rizzoli, 1984), accennano ad una <<relazione>>, inviata a Tiberio da Ponzio Pilato sulla vicenda di Gesù. Eusebio data l'informativa all'anno 34. Questa "relazione" è considerata dagli storici (M. Sordi) del tutto plausibile, e peraltro da connettere con l'esecuzione del protomartire Stefano, e della conseguente punizione di questo abuso, consumato dal Sinedrio, da parte dei Romani nell'anno 36-37. Secondo Tertulliano, Pilato era <<già in sua coscienza cristiano>>. E' decisamente troppo. Ma è storicamente provato che il cristianesimo era precocemente entrato addirittura nella <<casa di Cesare>>. Nella Storia della grande Armenia di Mosè di Korene, che scrive nel V secolo, viene riferito, ancora una volta, lo scambio di lettere tra Gesù (<<la cui fama si era sparsa in tutta la Siria>>, come riporta il Vangelo) e re Abgar, il toparca di Edessa dal 13 al 50 d.C. Paradossalmente coloro che ammettono la veridicità della Sindone in realtà sostengono implicitamente che Gesù non è risorto, per quanto il 'lenzuolo' fu trovato ripiegato, in modo assai singolare e del tutto fuori dell'ordinario, avvoltolato accanto al sepolcro vuoto. Quel sudario funebre, trovato accuratamente ripiegato in un certo modo, sarebbe stato appunto la 'Sindone', letteralmente "una veste di lino" usata soltanto da persone facoltose stando a letto (cfr. Erodoto, Storie, II, 95 ed Eusebio, Storia ecclesiastica, VI, 40,7). Una 'sindone' simile la indossava, sul corpo nudo, il giovinetto dell'orto del Gethsemani, la notte stessa dell'arresto di Gesù. Secondo Giuseppe Ricciotti (Vita di Gesù Cristo, op. cit., par. 561), si può supporre <<che terminata l'ultima cena, egli per simpatia avesse seguito la comitiva di Gesù>> e si fosse intrattenuto al Gethsemani per qualche tempo <<con gli otto Apostoli>> (quanti quelli presenti nel monumento funebre di Giovanni di Brienne!) ricoverati nella casupola o grotta, e che <<dopo un certo tempo, anch'egli si fosse messo a dormire>>. I 'fatti' narrati dagli evangelisti non possono fornire alcuna spiegazione della formazione dell'immagine della Sindone, non potendo "aloe e mirra" (molti chilogrammi) spiegare di per sé lo straordinario fenomeno dell'immagine impressa sulle fibre del tessuto a contatto col cadavere. Del resto, la 'falsificazione' scientifica della Sindone in base alla radiodatazione al carbonio 14 lascerebbe perfettamente intatto il grande mistero della resurrezione. Una Sindone 'autentica' è invece paradossalmente scomoda. Essa proverebbe soltanto l'evento morte e non la proclamata resurrezione. Tra coloro che negano l'autenticità della Sindone, figurano pure il Prof. Piergiorgio Odifreddi (che prese parte alla trasmissione televisiva sul mistero di Gesù) e il Prof. Umberto Bartocci, due illustri matematici sulle cui eccezionali capacità logiche non si può certo discutere. Odifreddi, dal canto suo, fa osservare che sui risultati della 'datazione al carbonio 14' non possono esservi dubbi, e che si tratta, per di più, di un'impronta, che non può essere lasciata da un cadavere, in quanto le due immagini, quella frontale e quella dorsale, differiscono di ben quattro centimetri, ed hanno, tra l'altro, la stessa intensità, oltreché presentare alcune altre anomalie che ne compromettono serissimamente l'autenticità. Abbiamo in precedenza detto che il Prof. Bartocci ha invece avuto modo di esprimersi sulla Sindone, con la chiarezza che lo contraddistingue, recensendo (cfr. Episteme n. 4, pagg. 329-33) il libro sulla Sindone del giornalista perugino Carlo Giacchè, il quale sostiene che l'immagine impressa sul telo sia quella del Gran Maestro templare Guglielmo di Beaujeu (1273-1291), mentre i già citati C. Knight e R. Lomas (Il secondo messia) sostengono trattarsi del successore di questi, Jacques de Molay (1294-18 marzo 1314), l'ultimo Grande Maestro del Tempio prima dell'estinzione dell'Ordine. Le fattezze dell'uomo della Sindone richiamerebbero direttamente la possanza fisica d'un guerriero templare, ben esercitato nelle armi, piuttosto che quelle di un 'rabbi', d'un predicatore errante abituato ai digiuni.

XIX.2. Non staremo a ripercorrere la storia della Sindone. E' sufficiente ricordare che sarebbe pervenuta in mano ai Templari nell'aprile del 1204, secondo la precisa testimonianza del cronista francese Robert de Clary, il cui manoscritto è conservato nella biblioteca di Copenaghen, per riapparire poi, quasi due secoli dopo a Lirey, una località non lontana da Troyes, nella Champagne, dove San Francesco si recava a mercanteggiare con suo padre, e dove erano sorte le leggende del Graal. Nel 1349, Geoffroy de Charny - già gran cavaliere templare e marito di Jeanne de Vergy, il cui casato apparteneva a quello di Othon de la Roche, il predatore della Sindone, conservata a Costantinopoli nel palazzo di Blachernae - aveva chiesto al papa avignonese Clemente VI <<indulgenze e privilegi>> per la chiesa del suo feudo di Lirey, annunciando che avrebbe esposto <<quondam figura sive representationem Sudarii Domini Nostri Jesu Christi>>. Così ricomparve, due secoli dopo, proprio in terra catara, il telo sindonico, col suo mistero durato fino ai giorni nostri. Questo lenzuolo miracoloso, che si è salvato, ancora una volta, da un ultimo terribile incendio grazie all'indomito coraggio dei pompieri di Torino, mostra un Volto straordinario, inquietante al massimo, con la palpebre fortemente appesantite dalla morte, e una ieraticità sacra, assolutamente sorprendente anche per gli scettici e i non credenti. Alla Sindone (definita un "falso copto") ha dedicato un eccellente ed esaustivo lavoro Antonio Lombatti, nel quale vengono ripercorse tutte le citazioni 'antiche' a proposito del lenzuolo, che, come ad es. riporta il Venerabile Beda, verso il 750 d.C. era ancora conservato a Gerusalemme come <<sudarium capitis Domini>>. Ma nessuno, fino ad oggi, ha pensato che certi passi, contenuti in diversi testi risalenti alle origini del cristianesimo, possano essere letti come 'allusioni criptiche' alla Sindone, e al mistero che la circonda, sempre gelosamente conservato. L'idea di riportarne un florilegio, a nostro giudizio assai interessante, sarebbe dunque un'autentica novità, anche se non ci aspettiamo riconoscimenti in questo senso. E si tratterebbe di una novità tale da fare a meno di tutte le testimonianze di tipo 'storico', in quanto direttamente riferita all'immagine sindonica, tal quale ci si presenta sotto nostri stessi occhi. La singolarità delle allegorie sindoniche, dettagliatamente contenute seppure in forma criptica, ma sempre altamente evocativa, in questi ed altri passi ancora di antichi testi, siano essi le scritture canoniche che i libri apocrifi, alimenta il fondato sospetto di una pista consistente, per nulla inventata oppure costruita sull'effetto di una suggestione soggettiva. Ciò che in effetti sorprende non poco è il coincidente e pressoché identico richiamo alla duplice immagine impressa nel lino, essendo questa la particolarità assolutamente caratteristica della Sindone, quale misterioso reperto.

XIX.3. Il Prof. Pierluigi Baima Bollone è dei più illustri sindonologi. I suoi studi ed i suoi libri risultano senza dubbio avvincentissimi ed altamente informati. Accanto a lui vanno annoverati tanti altri agguerriti studiosi italiani e stranieri, che in questi ultimi anni hanno prodotto ricerche e lavori di pregio, soprattutto diretti a contrastare la radiodatazione al carbonio isotopico 14, che falsificherebbe scientificamente il lenzuolo come contraffazione medievale ricompresa entro due date di oscillazione limite, che non superano neppure l'età francescana. Tralasciando ogni richiamo e dettaglio, ciò che ha sempre colpito l'autore del presente articolo, è la singolare, perfetta coincidenza dei 'segni' del 'martirio' di Gesù, desumibili dai Vangeli, con quelli risultanti dall'esame ispettivo della Sindone (famosi, al riguardo, gli studi di G.B Judica Cordiglia, senza sottrarre nulla a Baima Bollone e agli altri studiosi italiani e stranieri che si sono occupati di questo importantissimo aspetto). Si può essere, a buona ragione, scettici quanto si vuole, ma la Sindone possiede un 'fascino tale' da inquietare fortemente la 'ragione'stessa. Se non è quello il Volto di Gesù, a chi mai può appartenere quell'espressione regale e sublime, fortemente umana, e allo stesso tempo 'superumana', e, addirittura, 'sovrumana'? Abbiamo accennato a coloro che propendono per l'immagine di un guerriero, di un templare, e la radiodatazione darebbe loro perfettamente ragione. Provi però il lettore ad eseguire un semplicissimo esperimento di diffrazione luminosa attraverso le ciglia, fissando, ad occhi leggermente strizzati, l'immagine del Volto della Sindone. Con meraviglia vedrà ancor più chiaramente stagliarsi il viso 'umano' di Gesù, reso più dolce ed attendibile rispetto al 'rigor mortis' da questa possibilità ricostruttiva dell'onda luminosa. Osserverà quasi un Cristo vivo, ad occhi chiusi, nell'ombra, assorbito nel mistero della morte, <<chè la secunda nol farà male>> come affermò poeticamente Francesco d'Assisi, nel Cantico delle Creature, rifacendosi in questo caso all'Apocalisse. Questo volto addolcito somiglia moltissimo a quello di Gesù secondo l'iconografia edulcorata delle immagini del Sacro Cuore.

XIX.4. <<Eravamo due separati, eppure ancora uno nella forma. E l'immagine del re dei re era raffigurata dappertutto su di se stesso>>. E' questo l' <<ADAMO-LUCE>> della Sindone, in attesa del "punto Omega"? <<Vengo incontro alla mia immagine / e la mia immagine viene incontro a me>>. Così fu 'fabbricata' la Sindone. Ce lo suggeriscono questi, ed altri passi ancora, degli antichi scritti cristiani. Nel 1978, il farmacista di Stradella Pietro Ugolotti, affermò di aver individuato, negli ingrandimenti fotografici di Judica Cordiglia, fatti nel 1969 e trattati, in quest'ultima occasione con filtri colorati, la scritta <<Nazarenu>>, proprio sopra l'arcata sopracciliare sinistra. Successivamente il Prof. Aldo Marastoni dell'Università Cattolica di Milano, sacerdote e importante filologo, affermò di aver letto "alcune lettere dell'alfabeto quadrato ebraico" al di sopra del sopracciglio destro: un <<tau>>, una <<wau>> e una <<iod>>, che sarebbero caratteri di fine parola. Si tratterebbe, cioè, di una scritta tracciata con un pennello in un cappuccio d'infamia o mitra, che sarebbe poi trapassata al lenzuolo. Al centro della fronte crede di poter leggere <<iber>> al di sopra, e <<ib>> al di sotto. Egli vede inoltre caratteri latini con base verso il lato lungo del lenzuolo, paralleli alla metà destra del volto. Qui legge, dal basso in alto, la scritta <<innece>>, interpretabile come <<in necem>>, vale a dire 'a morte'. Sulle foto di Ugolotti e quelle di Tamburelli, realizzate con tecnica tridimensionale, Marastoni legge <<Neazare>>, residuo di 'Nazarenus': il dittongo 'ae' rivelerebbe l'incertezza grafica nel rendere la pronuncia semitica. Egli osserva pure, nel quadrante inferiore sinistro del volto, una <<T>>, in carattere romano lapidario, con base verso l'interno del lenzuolo. Al proposito non viene avanzata alcuna ipotesi. Sul negativo delle foto scattate nel 1931 da Giuseppe Enrie (si trattava di "un noto fotografo torinese, titolare di un grande studio fotografico cittadino, frequentato dalla società bene dell'epoca, e direttore di una rivista specializzata in fotografia", tra i maggiori estimatori di Secondo Pia, che fu il primo a fotografare il sacro lenzuolo nel 1898), Marastoni rileva, poco sopra il ginocchio destro, una scritta a penna in caratteri pregotici (impiegati nell'area gallica fino all'XI secolo) intorno a due linee a croce, che dai frammenti che apparirebbero, viene così ricostruita: <<Sanctissime Jesy misere nostri>>. Nel 1983, dall'elaborazione elettronica delle immagini sindoniche, sarebbe stata rilevata l'impronta d'un filatterio, cioè un contenitore di passi della Legge, che gli ebrei legavano alla fronte o al braccio sinistro, con strisce di tessuto o di cuoio anch'esse recanti scritte religiose. Nel 1988 Oswald Scheuermann avrebbe rilevato sul telo l'impronta di un amuleto con la scritta <<Marà(dak)ran i>>, cioè <<Signore ricordati di me>>. Il problema dei caratteri ebraici sulla fronte è stato riesaminato dal medico legale Roberto Messina e dall'esperto di lingue semitiche Carlo Orecchia dell'Università di Milano. A loro avviso la scritta 'quadrato ebraica' che vi si leggerebbe: <<milk hw' hyhwdym>> oppure <<mich dy hyhwdyn>>, in entrambi i casi significherebbe <<Questo è il Re dei Giudei>>. Ci sono poi le due monetine, del diametro di 1,5 centimetri e del peso di 1,5 grammi, che chiudono le palpebre di Gesù morto. Sono di Tiberio Cesare (in greco 'Tiberiou Kaicaros'). Queste monetine romane, con l'immagine di un 'lituo' (messa in evidenza dai fortissimi ingrandimenti eletronici), furono ritrovate, in antiquariato, proprio da Ian Wilson e dal Prof. F.L. Filas, un gesuita dell'Università di Chicago. Che si tratti forse di abbagli, di miraggi della mente, di immaginarie 'macchie di Rorschach'? Trascuriamo pollini vari, grumi di sangue, esame del lino (in tessitura 'tre su uno'), radiodatazione al carbonio e quant'altro, rinviando agli accuratissimi testi di Baima Bollone, di G. Fanti ed E. Marinelli, nonché di A. Lombatti e di M.G. Siliato (siano essi a favore della Sindone, o contro come Lombatti). Occorre però sottolineare quanto esattissimamente affermato dal Prof. Adalberto Piazzoli, ordinario di fisica generale all'Università di Pavia. <<L'immagine della Sindone di Torino non può essere stata provocata da un corpo avvolto, né morto né vivo, né sudato né spalmato né dipinto, né emanante qualunque forma di un'improbabile radiazione. E ciò per una semplice ragione di geometria euclidea: l'impronta del volto (limitiamoci a questo) stesa su un piano apparirebbe deformata, poiché il modello non era piano>> (riportato da Lombatti, in Sfida alla Sindone, op. cit., pag. 31). Tra i vari tentativi volti a riprodurre la Sindone (tutti falliti), va segnalato quello del Prof. Nicholas Allen, con la modalità di proiezione dell'immagine verticale d'un uomo appeso, attraverso lenti di cristallo di rocca già conosciute in età alessandrina (si noti la costante 'egiziana' della Sindone), fatta passare in camera oscura dove era stato preparato un telo di lino pretrattato, e cioè spalmato di un sottilissimo strato di certe sostanze naturali. Il Prof. Alan Mills (cfr. C. Knigth e R. Lomas, op. cit, Appendice 3, pag. 276-282) ha poi messo in luce la possibilità 'chimica' di zone di impressione più o meno marcate delle fibre superficiali del lino sindonico, in base al fattore distanza del telo, perfettamente teso in orizzontale appena sopra al cadavere, ma non a diretto contatto (tranne la nuca e la punta del naso). L'annerimento micrometrico (per ossidazione) delle fibre vegetali del lino, dipendendo da minime distanze, è tale da poter essere notato sultanto nel suo insieme, e ad una distanza non inferiore a circa quattro metri. Il contrasto si sarebbe attenuato con i secoli, ed era perciò, in origine, molto più marcato ed evidente. Sul telo sono state trovate tracce di sostanze organiche e minerali. Non siamo degli scienziati, ma ad ipotesi affini eravamo arrivati anche noi, proprio sulla scorta dei passi già riportati, ed avevamo abbozzato il seguente scenario: Gesù morto viene prelevato dai alcuni membri della setta dei Terapeuti presenti a Gerusalemme, alla quale appartenevano Gesù, Nicodemo, Giuseppe di Arimatea e vari altri. Gesù è il Salvatore del mondo. Possiede poteri eccezionali e una straordinaria conoscenza delle scritture. E' il Cristo-Messia e al tempo stesso il Re dei Giudei di discendenza davidica e sacerdotale. E' il vero Messia predetto dalle profezie. I Terapeuti, nella cui setta era stato educato, lo avevano pienamente riconosciuto come 'maestro' e 'messia', e ne appoggiavano la missione rivoluzionaria di pace, rivolta al mondo intero, anziché ai soli Giudei. Gesù morto viene letteralmente 'imbalsamato' in una veste simbolica e sacra di Luce Eterna, del tutto degna del Regno del Padre celeste. Si tratta dello stesso lino immacolato della veste, regale e sacra ad un tempo, da Re dei Giudei e di Sommo Sacerdote: ed è appunto il lino della Sindone, che corrisponde, del resto, ai simboli stessi dell'altare cristiano, con la tovaglia bianca, il calice e la patera. Il cadavere di Cristo, trattato con sostanze reagenti, venne tenuto in posizione verticale (malgrado le monetine sulle palpebre, evidentemente incollate, e le braccia incrociate sul pube, evidentemente trattenute), entro una specie di contenitore o ingabbiatura di legno a tenuta d'aria, sulla quale era stato passato il telo teso, davanti e di dietro, quasi a stretto contatto del corpo. In un ambiente chiuso e surriscaldato, la sostanze volatili, spalmate sul corpo di Gesù, ed anche quelle di cui era stata appositamente impregnata la parte interna del telo, pretrattandone le fibre superficiali, avevano creato una miscela gassosa omogenea, che si mantenne in sospensione per un certo tempo entro il contenitore riposto in una grotta o messo al riparo. Poi, all'improvviso, facendo passare un fiotto di luce attraverso la trasparenza del lino, ed anche una forte corrente di aria fredda (si deve immaginare la scena di primissimo mattino, allo spuntare del sole), la miscela di gas saturi, presente nell'ambiente surriscaldato, ebbe a subire un rapidissimo collasso, sia per effetto dell'aria fredda, che per quello fotochimico, altrettanto improvviso, della luce, separandosi in due: una parte ossidante, che reagì col lino pretrattato, e l'altra che ricadde inerte sul corpo di Gesù. La reazione traformò chimicamente in due sostanze diverse la medesima miscela gassosa, con un effetto quasi esplosivo, e cioè piuttosto rapido. L'operazione venne ripetuta due volte di seguito, per impressionare il lino davanti e di dietro. Gesù tiene la mani incrociate sul pube, nella posizione tipica di un certo tipo di sepoltura, a quanto pare praticata soltanto dagli Esseni, ma i Terapeuti erano una sétta affine anche se distinta, con molteplici tratti rituali in comune, seppure caratterizzata da una diversa apertura ideologica. Il corpo è sostenuto in verticale con qualche accorgimento, e le mani pure, incrociate verso il basso nel 'rigor mortis'. Le monetine sugli occhi sono mantenute in posizione da sostanze adesive. La differenza di lunghezza delle due immagini, sottolineata da Odifreddi, dipende da un certo cedimento verticale del corpo nella ripetizione delle due operazioni del tutto simili tra loro, ma ovviamente non identiche perché realizzate in momenti diversi, ripetendo lo stesso procedimento chimico-alchimistico che certamente richiese qualche giorno di preparazione (i tre giorni di Giona) per essere portato a compimento. Per questo stesso motivo anche il Volto Santo di Borgo Sansepolcro viene rappresentato fortemente proteso in avanti. La grande <<M>> che si vede sul petto di quest'opera lignea di antichissima fattura, sicuramente realizzata in oriente, potrebbe essere benissimo una stola sacerdotale, con Gesù 'sommo sacerdote'(si intende anche Re degli Ebrei). La posizione verticale di Gesù non era perfettamente eretta, forse anche perché raccolto nello spasmo e nella torsione stessa della morte, che l'aveva colto sulla croce. Il cadavere reca tutti i possibili segni della sua identificazione, e le monetine, come le scritte varie che ancora si possono leggere nell'immagine sindonica, erano rivolte a trasferirne l'identità nel mistero stesso dell'impressione luminosa, con la riconsegna a Dio Signore della Luce, nel Regno celeste del Padre. La luce, filtrando attraverso la trasparenza del lino, è il fattore determinante della reazione chimica di 'impressione', che ha permesso la esatta riproduzione delle fattezze di Gesù, invertite in chiaroscuro, mentre non si è avuta nessuna inversione ottica o speculare, come invece nelle moderne fotografie. E' stato in ragione della distanza (calcolabile in pochi millimetri di scarto differenziale) che il telo sindonico, reagendo chimicamente, si è impressionato proprio come una lastra fotografica, impregnandosi anche di sostanze (sangue compreso) presenti sul cadavere, trasportate sulla stoffa dalla reazione improvvisa. Questo sangue non si è annerito in quanto la reazione chimica lo ha subito alterato. In questo modo è stata ottenuta un'immagine 'negativa', che come un calco chiaroscurale, riflette la sottostante profondità millimetrica, rispetto ai vari punti, più o meno vicini, del corpo, alcuni anche a contatto col lenzuolo. La luminosità ha seguito una legge di ossidazione-annerimento, esattamente proporzionale alla distanza. La Sindone è un manufatto acheirotipo, realizzato cioè senza intervento umano diretto sul pezzo di lino come ad esempio una pittura o altro ancora. Le modalità d'impressionamento del telo esigono la verticalità della posizione del corpo in luogo di quella supina che avrebbe ostacolato la formazione dell'immagine posteriore. Di necessità, la procedura è stata ripetute due volte, nelle medesime condizioni. La reazione chimica non poteva avvenire che per collasso di una miscela gassosa, cioè per rapida decomposizione in due diverse sostanze, una delle quali ha reagito con la superficie interna del telo pretrattato, provocandone l'impressionamento per ossidazione delle fibre superficiali appena imbevute di un particolare reagente. L'immagine posteriore è stata ottenuta allo stesso modo, ripetendo la procedura. La zona di contatto tra le due distinte immagini presenta naturalmente alcuni inconvenienti dovuti allo spessore del capo. Tutte le operazioni si sono svolte a Gerusalemme, e sicuramente trascorsero molti giorni tra l'arresto di Gesù, i due distinti processi, e il momento dell'esecuzione. Nel frattempo la comunità dei Terapeuti potè attrezzarsi per realizzare l'immagine sindonica sul cadavere, alla quale fu effettivamente assegnata la valenza, sacra e misterica, di una simbolica, ma altresì autentica, forma di resurrezione. Quella resurrezione dai morti alla quale credette, con fede sincera, tutta la più larga comunità dei seguaci di Gesù, che erano abbastanza all'oscuro del radicamento iniziatico del suo messianismo. Gli gnostici, più al dentro del mistero Gesù, ne rappresentano l'aspetto e la versione esoterica, rispetto alla versione (peraltro fedele) della diffusione del suo universale messaggio di pace, da parte degli apostoli Pietro e Paolo.

XIX.5. I "Terapeuti" avevano acquisito notevoli conoscenze chimiche, che erano state affinate ad Alessandria d'Egitto, durante l'epoca dell'età alessandrina, nel campo pratico della tintura di stoffe e della produzione di coloranti. Erano insomma degli 'alchimisti' veri e propri. Sull'alchimia antica rimandiamo ai testi già citati di L. Russo (pag. 174 ss.) e di G. Luck (pag. 406 ss.), ormai due classici nel loro genere. Gli ebrei aborrivano invero dalle rappresentazioni iconografiche, ma nel caso di Gesù si tratta di una volontaria inversione di tendenza, determinata dall'eccezionalità assoluta della figura Messia, mandato crudelmente a morte. Tale avversione riapparve nella lotta iconoclasta bizantina, ma fu respinta nella chiesa d'occidente con la grande e progressiva diffusione delle immagini sacre, secondo lo stesso costume pagano, che porterà ai grandi mosaici bizantini di Ravenna o alle analoghe opere artistiche romane. Il mistero della fabbricazione della Sindone non appartenne ovviamente a coloro che proclamarono l'avvenuta resurrezione dai morti di Gesù, rimanendo invece ristretto all'interno della sétta degli iniziati, con la quale può essere identificata la primitiva comunità o chiesa di Gerusalemme, prima dell'avvento di San Paolo. Ma la Sindone fu sempre custodita e gelosamente preservata, e nessuno com'è evidente, ha potuto sbarazzarsene o distruggerla in tutti questi secoli. Si è tentato, con la radiodatazione, di falsificarne la genuinità e la provenienza, ma l'operazione "scientifica" non sembra perfettamente riuscita. Essa viene infatti contrastata da forti obiezioni di ordine tecnico-scientifico, e, ancora una volta, appare avversata dall'intrinseca memoria storica e allusiva che si è potuta conservare in certi scritti, che risalgono quasi all'epoca stessa di Gesù. Secondo noi la prova più convincente della genuinità della Sindone sta proprio nelle stesse criptiche menzioni neotestamentarie, e nei richiami, ancora più espliciti, di altri passi degli scritti apocrifi o nelle citazioni di testi antichi, che vi fanno inequivocabilmente riferimento. Un argomento, questo, assai solido, mai prima d'ora preso in considerazione, che sembra possedere una valenza probatoria, a nostro avviso determinante, in quanto del tutto coerente e perfettamente adesivo al reperto. La gelosa ma attentissima custodia del lenzuolo, che di fatto ne ha permesso la conservazione nel primo millennio, deriva dalla frattura verificatasi tra le varie componenti in cui si articolò il cristianesimo primitivo, soprattutto a seguito del successo della predicazione paolino-pietrina, che faceva benissimo a meno della Sindone, con una completa perdita di memoria. Ma i veri custodi del lenzuolo sacro, i Terapeuti e le loro diramazioni nelle vicissitudini secolari (dovute anche allo scontro tra cristiani romani ed eredi del platonismo, ad Alessandria d'Egitto, nel IV secolo d.C., culminato con l'assassinio di Ipazia), ne curarono la perfetta conservazione, pur non avendo elevato un vero e proprio culto a quest'immagine, che rifletteva soltanto la venuta del Cristo.

XIX.6. Vale ora la pena d'osservare che Ruggero Bacone era a conoscenza di alcuni metodi 'chimici' compresa la polvere da sparo, e che diversi francescani si segnalarono proprio per le loro attività alchimistiche (vedi ad es. P. Marshall, I segreti dell'alchimia, Corbaccio, 2001, e P. Cortesi, Pietra filosofale, Newton e Compton, 2002 - quest'ultimo testo è stato presentato nel n. 6 di Episteme). E' altresì nota la stretta relazione tra 'alchimia' e 'cattedrali medievali' (es. Chartres) secondo lo spirito dei "costruttori" di templi, al cui novero, molto probabilmente, apparteneva Giuseppe, sposo di Maria, la madre di Gesù. E' tutto un filone sotterraneo, che finalmente riaffiora col suo profilo indiziario, mai in precedenza preso in considerazione sotto questo particolare aspetto. E' in effetti la chartula di San Francesco a fra' Leone, nel contesto stigmatico della Verna, a fondare la possibilità di un percorso del genere, che non può essere facilmente smontato dal punto di vista logico e indiziario, per quanto appaia piuttosto incredibile, se non addirittura fantasioso. Noi stessi ne siamo rimasti sorpresi, e tuttavia folgorati dalla semplicissima evidenza che ci si è posta dinanzi, e che la nostra 'ragionevolezza' non riesce ad eliminare per quanto si renda conto dell'azzardo di questa singolarissima ricostruzione, decisamente fuori dai canoni. Giudicheranno gli agguerriti lettori di Episteme la debolezza dei nostri argomenti, facendoci cosa grata nel segnalarci le loro obiezioni. Da parte nostra abbiamo tentato di percorrere una via inusitata, sfidando l'ufficialità, per incamminarci sugli strettissimi sentieri che non appartenendo all'ortodossia, sono di difficilissimo transito. Che si debba severamente dubitare delle piste alternative ci sembra cosa altrettanto ovvia, come anche della certezza di certe 'versioni ufficiali', fatte passare per assoluta verità. Abbiamo cercato in definitiva di saggiare un banco di prova e d'accendere una flebilissima candela nell'oscurità d'una immensa cantina, certi soltanto che due torti non fanno una ragione, così come due punti neri, assommati fra loro, non ne restituiscono uno bianco. L'aver tentato di percorrere una via completamente nuova, potrà costuire senz'altro un vano conato e un incredibile azzardo, il cui sterile sforzo colpevolmente ci si addossa. Ma chi possiede la "verità", a nostra differenza potrà facilmente dimostrarlo.
 
 




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Il mattino del giorno successivo al sabato, le discepole si recano al sepolcro per <<imbalsamare>> il corpo di Gesù, ma lo trovano vuoto (Mc 16, 1-8). Poco dopo apprendono che Pietro e i Dodici, fuggiti in Galilea, vi avevano incontrato Gesù, resuscitato dalla morte per mano di Dio (1 Cor 15,5). Ma questo è l'inizio d'un'altra storia.
 
 




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<<Nonostante i suoi tratti dogmatici ed ecclesiastici estranei, il cristianesimo possiede ancora elementi essenziali delle spiritualità di Gesù, quali l'accento posto sulla purezza di intenzioni e di generosità del cuore, esemplarmente rappresentata da un Francesco d'Assisi che lasciò il mondo per servire i poveri e, ancora nel nostro secolo, da un Albert Schweitzer, che abbandonò il successo per curare i malati nella sperduta Lambaréné, e da una Madre Teresa che sino alla fine della vita si è presa cura dei moribondi nelle strade di Calcutta>> (G. Vermes, La religione di Gesù l'ebreo, Londra 1993, Ed. Cittadella, Assisi, 2002, pag. 265).
 
 




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Dopo duemila anni Gesù, l'ebreo sapiente morto sulla croce, è ancora trionfante, qui accanto a noi, per <<sempre>>, come Egli stesso aveva assicurato. Il suo 'messaggio' ha di fatto percorso la storia del mondo. Gesù è davvero risorto nel cuore dell'umanità, come già aveva compreso Renan. Chiedendo scusa ai lettori per gli errori, le omissioni e le imprecisioni in cui siamo incorsi, possiamo chiudere questo articolo, che è soltanto il povero racconto di una serie di indizi letti in un certo modo e in una certa direzione, ricordando, in un momento storico come quello presente, caratterizzato da forti tensioni internazionali, da gravissime minacce di guerra, nonché da un presagio di catastrofi, la figura di un grande storico del francescanesimo, l'Avv. Arnaldo Fortini di Assisi, che così si espresse, oltre mezzo secolo fa: <<Il mondo non avrà pace fino a quando non avrà ritrovato l'Amore di Francesco>>. Per questa sua profetica frase Arnaldo Fortini fu segnalato per il Premio Nobel per la Pace. L'amore di Francesco, stimmatizzato alla Verna, fu la continuazione stessa dell'amore di Cristo. Per questa ragione dovremmo auguralmente aggiungere e ripetere, con Francesco d'Assisi, il suo motto di <<Pax et Bonum!>> che ne caratterizzò il perfetto esempio di vita cristiana che egli ci ha testimoniato e offerto nel millennio trascorso. La brillantissima stella che comparve sopra la grotta della "casa del pane" (Bet-lehem) illuminò gli occhi di tutti gli uomini di "buona volontà", ma il malefico Pan non è ancora morto.

* Un "sospetto" sensazionalistico best-seller (Michael Drosnin, Codice Genesi, Rizzoli, 2003), pretendendo di poggiarsi sull'autorità del matematico israeliano, Eliyahu Rips, esperto di teoria dei gruppi, annuncia che la Bibbia nasconderebbe un codice. Questo 'codice' sarebbe 'esatto', ed in grado di rivelare il futuro dell'umanità. Nella migliore delle ipotesi l'armageddon sarebbe previsto per il 2006. Non sappiamo se notizie come queste siano propalate ad arte, poniamo da alcuni 'servizi segreti' interessati al catastrofismo. Né possiamo credere che la Bibbia nasconda veramente un codice simile, capace di prevedere eventi a venire, per quanto anche lo stesso Newton nutrisse simili interessi 'esoterici'. Ma l'attuale fase storica è terribilmente critica ed incertissima. Crediamo che soltanto la piena riscoperta del messaggio francescano potrà arrecare all'umanità una salvifica consapevolezza del proprio destino.
 
 




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[Una presentazione dell'autore si trova nel numero 5 di Episteme. ]

donatellacina@libero. it