UFO?

Ubbia e Fomento Ossessivo

(Strabone)

Iam lucis orto sidere
Deum precemur supplices,
ut in diurnis actibus
nos servet a nocentibus.

(Incipit di un inno ambrosiano)

 

Cercare di fare il punto sul tema degli UFO è impresa difficile. Intorno ad esso, come nel caso di ciò che appartiene al cosiddetto paranormale e nonostante che, a differenza di questo, il primo s'ammanti di una veste di maggior concretezza, è tale la polvere sollevata dai personaggi più disparati ed inaffidabili per cui riuscire anche solo a migliorare la visione non appare cosa da poco. Si possono però, con raziocinio, mettere alcuni paletti confinari e, entro questi, cercare poi di aprirsi una via.

In questi ultimi tempi, m'è capitato d'associare qualche lettura sull'argomento, con la rivisitazione di alcuni articoli apparsi appunto su Episteme. Articoli che, tra l'altro, mi hanno indotto a meglio documentarmi sui riferimenti in essi citati.

In omaggio al metodo del filosofo, cui s'ispira il pensiero e l'attività dell'amico Prof. Bartocci, stimo essenziale cominciare con lo smontare la complessità che ci sovrasta nelle sue principali parti costitutive. Ritengo in realtà che gli eventi, oggi, in prevalenza, classificati come UFO siano stati, nei tempi passati, attribuiti al dominio del vero e proprio paranormale (celeste o infero che fosse) e che, pertanto, l'insieme di tali manifestazioni risalga ad epoca assai remota e quindi ben anteriore a quel XIX secolo nel quale hanno avuto la massima pubblicità e destato così vivo interesse.

Questo detto, subito però preciso che, a differenza (suppongo) degli amici post-cartesiani, io sono anche del parere di non considerare corretta la riduzione di tutta quella casistica o al mero dato naturalistico (fenomeni meteorologici ed elettromagnetici) o - con alcune riserve e specificità - alla visionarietà (la tesi di C. G. Jung) soggettiva e collettiva. In altre parole, io, pur non riconducendo ad essa tutto l'inspiegabile, non escludo l'obiettiva esistenza di una fenomenologia paranormale, cui alcune di queste apparizioni possono essere riportate ma neppure rifiuto la circostanza di una loro positiva materialità.

Nella disamina, in primis, privilegerò quest'ultima fattispecie mentre, in fine, passerò a considerare quello che io ritengo un eclatante, quantunque frainteso, esempio dell'altra.

Per sgombrare il campo da un altro possibile impedimento dialettico e quindi solo per poter proseguire il discorso, sono anche dell'avviso che sia necessario escludere l'imbroglio o l'equivoco e non - è ovvio - perché entrambi non siano da porsi (anzi, qui abbondano) ma proprio perché, sul piano statistico, l'influenza quantitativa degli episodi è di tale ingenza da imporre questo criterio espositivo il cui risultato finale è, appunto, non una certezza ma un'ipotesi.

Parlare di UFO significa anche esprimersi sulla vita in altri mondi e, riguardo ad essa, dico subito che, sulla sua eventualità non nutro incertezza alcuna ma molte invece me ne riservo per la praticabilità di una comunicazione con gli esseri che casomai la rappresentino.

Affrontare il problema come, in genere, si fa, m'appare invero oltremodo semplicistico: i recettori presenti nella nostra fisiologia ci permettono di percepire la realtà esterna attraverso gli organi di senso (esterocettori) mentre la contezza di noi stessi ci è data soprattutto dall'intero sistema nervoso al quale giungono stimoli (propriocettori) anche attraverso la pelle, i muscoli, i visceri e le ossa. Nella sua totalità, è questo a generare il nostro, contingente mondo di conoscenza. Mondo che ci rimanda a quella fondamentale componente vibratoria sottesa al reale nella sua interezza. Perciò l'uomo, nel percepire soltanto alcuni settori di queste frequenze, determina, con i confini della sua conoscenza sensibile, gran parte di quelli della stessa coscienza di sé. Gli strumenti permettono l'estensione di tali settori ma la loro concezione ed operatività non può non essere determinata dai limiti insiti nella natura del costruttore. Un corollario di queste considerazioni è che la conoscenza in senso assoluto non può coincidere con la coscienza.

Tra due mondi di conoscenza così delineati esiste dunque una possibilità di comunicazione esclusivamente quando essi, anche solo in parte, possono interagire ovvero quando ci sia almeno parziale sovrapponibilità dei rispettivi settori di frequenza percettiva. Dato per assodato non possa esistere eguaglianza totale tra due individui pur appartenenti alla stessa specie, è palese come queste possibilità di comunicazione diminuiscano mano a mano che le specie s'allontanano tra loro. Per illustrare ciò che intendo dire, è sufficiente riflettere sulla nostra prossimità a certi mammiferi, paragonandola al mondo di un insetto. Ma si può andare oltre fino ad ideare come tutte le componenti vibratorie, attinenti ad un individuo o, diremmo allora meglio, ad una certa condizione d'esistenza, siano al di fuori delle nostre capacità sensibili cosicché è concepibile che, qui ed ora, possano coesistere esseri e mondi senza alcuna possibile interazione con noi. E se questo vale per la nostra Terra, dove anche esseri molto prossimi all'uomo, come alcune specie domestiche, godono della fruizione di modalità vibratorie per noi inattingibili, quale sarà mai la situazione nello spazio esterno dove vigono condizioni remote da quelle cui siamo adusi? In conclusione e per quanto concerne un'ipotetica nostra relazione con civiltà non terrestri, le probabilità, non di una vita intelligente che - ripeto - l'escluderla sarebbe porre limiti alla possibilità universale ma solo quelle di venire in contatto con essa, appaiono oltremodo remote. Non sembra inutile specificare come, nel dubitare della presa di contatto, io intenda non solo l'improbabilità della comunicazione ma dello stesso accorgersi della reciproca esistenza.

L'ostinazione però sull'origine extra-terrestre è, presso i cultori dell'argomento, davvero unanime e questo - nonostante appaia razionale, per i motivi esposti, escludere l'appartenenza dei misteriosi ospiti ad una civiltà aliena e sia quindi sensato supporre in loro dei nostri simili - fa sì che io creda come tale costante presunzione non debba essere sottovalutata, bensì debba essere considerata una traccia molto importante per giungere a mettere insieme tutti gli elementi del puzzle.

Ora, noi sappiamo come gli incontri, quando ci siano stati contatti ravvicinati (rammento ancora l'artifizio retorico della presunzione di verità), abbiano evidenziato l'esistenza di due tipi di gran lunga difformi, cosicché il gergo ufologico, per distinguerli, ha escogitato i nomignoli di "grigi" e "nordici". Per i primi, dato l'aspetto assai repellente ed inusitato, l'attributo di extraterrestri sembrerebbe trovare qualche obiettivo riscontro mentre per gli altri l'appartenenza alla specie umana, corroborata da un'allure atletica e da un'indubbia "bella presenza", appare lampante. Di conseguenza, se questi signori sono davvero individui come noi, le cose si complicano e non poco. Infatti, è allora lecito domandarsi da dove vengano, quali progetti abbiano e come facciano a nascondere tutta la flotta di cui sembrano dotati.

Sul tema, la vastissima letteratura esistente è, per la più gran parte, segnata da deprimenti caratteristiche d'inaffidabilità e, in parte, questo avviene anche in chi, come in Jean Robin (Le Royaume du Graal e Veilleur, où en est la nuit? Ed. Trédaniel), sussistono impostazioni di fondo che, in un certo qual modo, io trovo convincenti ma poi l'insidiosissimo soggetto deve avere stregato anche lui, trascinandolo in derive romanzesche assolutamente inverosimili. Per Robin dunque, i "nordici" sono - e non solo appaiono - uomini e sono coloro che Guénon designa quali contro-iniziati. I "grigi" sono invece esseri del mondo sottile, i quali, per il patto scellerato stipulato tra "maghi neri" e le valenze più basse del mondo à coté, con alacre impegno, collaborano al piano. Anche a voler immaginare, da parte di forze attive ab immemorabili ed allo scopo di meglio agire nell'attuale contesto, un tempestivo aggiornamento di linguaggio e pure senza escludere come certe entità possano mostrarsi nel nostro mondo (esempi: Melusine, l'agnazione della dinastia jagellonica, le "volpi" dell'Estremo Oriente, i djinn…), sembra molto difficile che, per pilotare un oggetto iper-tecnologico qual è un UFO, ci sia proprio bisogno di utilizzare uno gnomo, un elfo o qualche simile satanasso. Per dirla col Carducci:

…Non paure di morti ed in congreghe

diavoli goffi con bizzarre streghe,

ma del comun la rustica virtù…

Insomma, sebbene l'esito non sia meno angoscioso, si deve supporre qualcosa di più solido e ruspante. Si possono anzi ammettere entrambe le presenze; nel senso che, a volte, alcune manifestazioni paranormali, per i peculiari orientamenti della mentalità contemporanea, siano state interpretate quali incontri con extra-terrestri. L'inverso insomma di quanto sarebbe avvenuto nei secoli passati. Ma a quest'aspetto della questione mi dedicherò, con più ampiezza e come già annunciato, in chiusura. In tutti gli altri casi, nello scenario estremamente "avanzato" secondo il quale il mondo degli UFO si rappresenta, appare quindi più ragionevole ritenere questi esseri la risultante di operazioni genetiche finalizzate al supporto operativo nei tanti programmi dei loro creatori. In tale prospettiva, la supposta ostilità tra i due tipi appare come una sorta di disinformazione, un vero e proprio gioco delle parti, messo in atto da chi gestisce tutto lo spettacolo.

Ma da dove mai possono venire questi uomini schivi le cui umbratili, sporadiche ed imprevedibili apparizioni mostrano sempre un qualcosa a noi simile ma che frattanto ci sopravanza? Data per assodata, per le considerazioni già esposte, la comune appartenenza alla madre Terra, dobbiamo immaginarci, sulla falsariga di Robin, qualche sotterraneo rifugio nelle Ande o, come ipotizzano altri, vagheggiare improbabili recessi antartici? Tutte queste illazioni m'appaiono assai sprovvedute nella valutazione delle attuali capacità investigative: oggi non c'è angolo del pianeta che non sia monitorato dai satelliti e comunque un centro ancorché remoto e dal quale si levasse un tale traffico aereo non potrebbe, negli anni, essere passato inosservato. No, la base della flotta è altrove.

Prima però di cercare di localizzarla, vorrei mettere in evidenza come le impetuose crescite tecnologiche, le quali contraddistinguono questo momento culturale e che, implicite alla nascita della modernità, hanno avuto definitivo impulso dalla rivoluzione industriale, siano caratteristiche della fase tarda di ogni civiltà. Il mondo classico, con l'avvento del Cristianesimo, fu corretto o meglio, fu impedito dall'iniziare questo sviluppo però le premesse erano ben presenti non solo in quel naturalismo venato di forte pragmatismo (specie a Roma) ma anche in veri e propri exploits chimici e meccanici, quali - per esemplificare - il fuoco greco ed il cosiddetto "oggetto di Antikythera" che, certo, non sarà stato l'unico manufatto del genere. Inoltre, tutte le antiche civiltà non sono di sicuro prosperate sprovviste di una consistente crescita in campo applicativo e, senza voler insistere sulle ipotesi più ardite, basti pensare alle infrastrutture indispensabili per la realizzazione di tutte le grandi opere idrauliche ed edilizie. Non c'è, infatti, motivo di non classificare in quest'ambito dell'umana ingegnosità, le tecniche che le resero possibili e sarebbe semplicistico nonché fuorviante seguitare ad immaginare come la mera disponibilità quantitativa di un'inesauribile manovalanza possa continuare a spiegare ogni cosa.

Visto l'argomento, mi corre l'obbligo di segnalare le indagini, sul sapere degli antichi, svolte, con grande competenza e acutezza, da Lucio Russo: La rivoluzione dimenticata, Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna, Flussi e riflussi; Ed. Feltrinelli. In esse, si smentisce, con abbondanza di prove, la pretesa ingenuità di quelle conoscenze mentre si dimostra come molte concezioni cosmologiche e scoperte tecniche, attribuite al solo imporsi della modernità, fossero, in realtà, rivisitazioni di quello che egli definisce <<un sapere fossile>> ovvero un sapere il cui senso sfugge essendo ormai avulso da un contesto nel quale erano invece esistite sia teorie giustificative, sia prassi d'utilità. Di fatto, è noto che Newton dedicasse un quantità incredibile del suo tempo allo studio dell'alchimia e di altre scienze tradizionali (cfr. Betty J. Teeter-Dobbs, The Janus faces of genius, Cambridge U.P. 1991) e che quello non fosse, appunto, né tempo perso, né una stravaganza albionica, da tutto ciò, appare davvero assodato.

Sempre dai nostri antichi, pel filum della traditio ed attraverso gli egizi, c'è giunta notizia della civiltà atlantidea. Per di più, dal testo biblico, sappiamo essersi verificata l'enigmatica deviazione dei Nephilim, i quali altro non sono se non i Titani ed i Giganti di molte mitologie. Della connessione tra Diluvio e Nephilim, è risaputo com'essa fosse intrinseca all'epoca ultima e disastrosa di quel ciclo ormai remoto. Ebbene, proviamo a supporre che la "colpa" di un mondo scomparso da dodicimila / tredicimila anni avesse forti analogie con quanto, da noi, s'è verificato tra la fine del Medio Evo e gli inizi della rivoluzione industriale. Se dilatiamo poi lungo un così grande arco di millenni l'intero processo, ci rendiamo conto che, pur non trascurando il dato tradizionale, relativo, per il passato, ad una minor velocità del fluire temporale, in quell'immenso intervallo, mantenendo un trend scientifico paragonabile all'attuale, si sarebbero potuti verificare progressi notevolissimi. Sì, mi si può obiettare, ma dove? Ecco il quid; dove?

Prima d'azzardare una risposta, deve essere premesso come concordanti dati tradizionali attribuiscano, durante la discesa ciclica, uno spazio ognora crescente al mare: solo 1/7 dell'intera superficie agli inizi di quello che l'Induismo chiama Manvantara, 1/4 nel periodo atlantideo mentre, ai nostri giorni, la proporzione s'è addirittura invertita scendendo per le terre emerse sino ad un misero 1 a 4. Sebbene il cataclisma che travolse Atlantide, debba essersi verificato in più stadi, la sommersione finale deve essere stata impressionante. In ogni caso, per raggiungere le attuali proporzioni, sono trascorsi millenni: basti pensare che la formazione del Mar Nero, avvenuta per tracimazione del Mediterraneo, viene fatta risalire ad un'epoca intorno al 5600 a. C. C'è stato, insomma, un lento volgere di ere nel corso del quale la disponibilità di spazi era, di gran lunga, superiore alla presente e, ove a questo s'aggiunga un'assai minore densità di popolazione, non è difficile immaginare come un gruppo umano, altamente organizzato e coeso, per di più, dotato di una superiorità militare indiscutibile (<<quei famosi eroi>> di Gen. 6) mentre, indisturbato, elaborava precise strategie, abbia potuto sviluppare, al riparo di non gradite ingerenze, la propria specifica cultura.

A questo punto, vorrei però ricordare come Atlantide fosse stata una talassocrazia e che, pertanto, in Poseidone, avesse avuto, naturaliter, il suo Dio. È curioso come il suo emblema sia il Tridente e come la reiterazione di quella triplice struttura dia poi la Menorah: il candelabro a sette braccia. Uno dei più antichi simboli dell'Ebraismo. Questa religione ha origini "occidentali" ampiamente attestate, sicché, oltre ad essere uno degli elementi fondanti la nostra cultura - non a caso autodefinitasi appunto occidentale - viene a rappresentare il più diretto erede della tradizione atlantidea. A tutto ciò, ampi ed approfonditi riferimenti sono reperibili nei lavori di d'Ausser-Berrau già apparsi su Episteme. In tempi recenti, nel 1999, a Barbury Castle, in Inghilterra, s'è manifestato un crop circle - genere di eventi la cui fenomenologia è certamente riconducibile alla materia di quest'articolo - nel quale era identificabile, disegnato con grande precisione ed eleganza grafica, questo stesso simbolo e, sempre per il medesimo luogo, si ha notizia di un altro glifo riproducente l'Albero Sephirotico. C'è da far presente come anche quest'ultimo schema sia una costruzione fondata su tre segmenti paralleli e verticali. Del resto, non ha analoga architettura anche l'Ancora, sorta di tridente rovesciato, indubbio strumento ed emblema marittimo? Cosa dire infine delle demenziali credenze nell'origine extraterreste degli Elohim, proprie a quella che - con mero eufemismo mi limito a classificare come stramba pseudo-religione - i cui fedeli sono conosciuti col nome di raeliani? E dove - sia pel gioco sotteso al nome tramite l'infantile sottrazione di due lettere, sia per la patente allusione al Mogen David nelle loro insegne - la volontà allusiva e mimetica è evidente: <<Though this be madness, yet there is method in't.>>.

Poseidone è un Dio quasi pari, in dignità, al fratello Zeus ma, rispetto al maggiore, è contraddistinto da un carattere cupo e litigioso, del tutto in sintonia con la scelta di volere, per reggia, un tenebroso palazzo abissale, nel quale, in stalle spaziose, sono custoditi i bianchi cavalli, dagli zoccoli di bronzo e dalle auree criniere, che, aggiogati all'altrettanto aureo cocchio del loro signore, inesausti lo conducono a trascorrere gli oceani. A tale divino, maestoso apparato, emersi - immani - dalle onde, fanno terribile, innumere scorta i mostri marini. A tanto spettacolo, pel pavor panicus, attonito ogni vivente s'acquieta, cessano i venti ed ogni tempesta si placa. È allora il caso di fare presente che, poco meno noti degli unidentified flying objects, in questa singolare casistica, ci siano anche gli unidentified submerged objects (USO), il cui avvistamento non è forse meno impressionante: corpi metallici di grandi e, a volte, di grandissime dimensioni, sorti improvvisi dal fondo, i quali, non sempre, si limitano al liquido elemento ma, con altrettanta facilità, sembrano in grado di navigare nell'aria: infatti, facilmente, s'involano dimostrando la mera formalità di una loro distinta classificazione. Ecco dunque, anche in quel sesto e tuttora, in gran parte, sconosciuto continente, un ulteriore, possibile nascondimento per chi, ex antiqua consuetudine, doveva ben conoscerne i segreti.

Se ciò è avvenuto e per l'epoca in cui è avvenuto, n'è risultato uno strano mixing tra vaste conoscenze cosmologiche tradizionali, per le quali - ricordiamolo - la realtà ha innumeri livelli vibratori, uno solo dei quali è quello sensibile ed esperibile attraverso il metodo della scienza empirica, e qualcosa di molto affine a quest'ultima, con la sua vasta ed inquietante panoplia di un minaccioso corredo tecnologico ed utilitaristico. Questi nostri simili, nell'accezione corrente del termine, non sono quindi uomini moderni ma, parimenti, rispetto all'attuale civilizzazione, sono - con paradossale coincidenza - precursori ed epigoni. Credere però che tanta superiore specificità sia potuta, ed aggiungerei anche voluta, passare appieno inosservata sarebbe illudersi, sia sulle effettive capacità di nascondimento offerte, alla lunga, dal nostro pianeta, sia sulle più profonde inclinazioni della stessa natura umana. In questo senso ovvero per giungere ad identificare tali remote, probabili e sconcertanti comparse, io sono del parere sia indispensabile il rifarsi ad una precisa, quantunque prudente e calibrata metodologia.

Nella storia delle idee, tra i precursori, ed in contrasto con quant'è di solito identificato sotto titolo di scetticismo e d'ateismo, io sarei per una diversa interpretazione di quella linea di pensiero che, nella cultura occidentale, lascia traccia di sé, sin dal 500-400 a. C. Ad emergere in modo tangibile dalle nebbie di un lontano passato, il primo di tali anticipatori è Ecateo di Mileto, il quale - appunto - del traditum est, cerca d'attenuare gli elementi più favolosi contenuti nell'epos arcaico, dando ordine a quella che, sul piano storico, era solo confusione e contraddizione. Sia ben chiaro, io non discuto che il mito, come l'etimo suggerisce, "silenziosamente", dietro il velo del suo specifico linguaggio, trasmetta elementi di carattere metafisico e cosmologico, affermo però che, se la storia è sempre ierostoria, lo stesso non avvenga pel contrario e che ciò sia tanto più vero quanto più, nella sua lettura, l'approccio a quest'ultima sia stato di pedissequo tipo letteralistico. Quindi, quello del mito è un linguaggio complesso, dal quale possono trarsi diversi ordini d'insegnamento e, non ultime, importanti notizie storiche. Ecateo, del quale non si può passare sotto silenzio la simpatia per la cultura egizia, cultura - ricordiamolo - tra le più ieratiche tra quante ne annoveri la civiltà occidentale, Ecateo dunque, dal materiale di cui disponeva, cercò di fare storia ed è forse un ben moderno anacronismo positivista, supporre che il suo scopo fosse di minarne il senso trascendente: affermare, come alcuni fanno, che egli abbia vanificato il mondo del mito riconducendolo a quello della physis, significa - tra l'altro - misconoscere la latitudine, dagli antichi attribuita al concetto di cosmos dove, alla physis, apparteneva non solo la materia subtilis in questo piano d'esistenza ma erano propri anche gli stati superiori dell'essere. Fatto si è che, a prescindere dai di lui ormai imperscrutabili intenti, già in epoca remota ed assai prima della decadenza del mondo antico, si provò ad estrarre informazioni "utili" da un corpus in altra maniera strutturato ed ad altro scopo destinato.

Il più famoso erede di questa linea di pensiero è Evemero di Messene (circa 340/240 a. C.), il quale, a proposito della sua ben nota dottrina sulla natura degli dei, afferma d'averla tratta da un dato tradizionale ossia dall'esposizione della medesima quale sarebbe risultata da un testo inciso su una stele antichissima, situata nel tempio di Zeus Trifilio. Purtroppo, l'affermazione, sulla quale s'imposta la sua ‘Ierà ànagraphế (Sacra Scrittura nell'accezione di descrizione delle cose sacre), che è poi l'unica opera di cui s'abbia notizia, è inficiata dal tono romanzesco ed utopico di un improbabile resoconto di viaggio. Per Evemero, gli dei hanno origine umana e sono assurti a gloria divina grazie alla devozione tributata loro dalle masse: così è avvenuto nel caso di alcuni re, pei quali, determinante è stata la riconoscenza dei sudditi. In tutto questo, ove si valuti con attenzione il processo, che configura le forme tradizionali, non c'è niente di davvero ateistico: si tratta della collocazione - in funzioni che, negli stati superiori dell'essere, trovano il loro fondamento intemporale - di certe figure storiche, la cui effettiva incarnazione di tale spirito pre-esistenziale non è, di fatto, determinante alla loro santificazione. In pratica, non tenendo conto di ciò che, nei più, sia o meno cosciente, il culto e la sua efficacia spesso discendono entrambi dalla funzione e non dall'intercessione dell'eventuale personaggio storico nella cui nicchia il medesimo si trova ad essere sistemato. Per giunta, la vita, da lui stesso di fatto vissuta, dai posteri, ne sarà in toto reinterpretata sino ad essere opportunamente rifusa in uno stampo che la trascenda. In ogni caso, nella fattispecie della tradizione classica, la deificazione di una precisa individualità non mi sembra episodio frequente ma, a parer mio, molto numerose sono invece le sparse intrusioni storiche in racconti d'impronta mitica. Racconti il cui peculiare linguaggio, fatta accezione per l'ineffabile che, difficilmente, potrebbe esimersene, fa sì che rivelare sia velare di nuovo, col risultato che chi legge, di norma, non capisce. E questo avviene perché anche chi redige i testi trasmette qualcosa che, della limpidezza originaria, ha ormai ben poco, e quindi tutto è come disperso, mascherato, nascosto e - diciamolo pure - deformato. In un certo senso, anche in questa fattispecie, siamo di fronte ad una delle possibili accezioni del precitato concetto di <<sapere fossile>>. Da qui, la necessità dell'esegesi e di un continuo, difficile lavoro di scavo e di ricostruzione. C'è anche da aggiungere che, se al linguaggio mitico si fossero tolte le sue suggestioni, le masse non avrebbero "creduto", le società non si sarebbero ordinate ed il caos si sarebbe impadronito di ogni settore dell'umana attività. Purtroppo la nuda verità non è facilmente affrontabile. Per nessuno.

Chiusa questa breve digressione, condotta, per l'importanza del tema, in termini davvero sommari e riduttivi, mi limito, per quello che reputo a obvious embedded historical element, ad un solo esempio tratto dall'Iliade: canto XVIII, la fucina di Efesto. Il soggetto è il dio:

…venti tripodi in una volta faceva,

da collocare intorno alle pareti della sala ben costruita;

ruote d'oro poneva sotto ciascun piedistallo,

perché da soli entrassero nell'assemblea divina,

poi tornassero a casa, meraviglia a vedersi.

(vv. 373-377)

Ed ancora:

…due ancelle si affaticavano a sostenere il signore,

auree, simili a fanciulle vive;

avevano mente nel petto e avevano voce

e forza, sapevano l'opere per dono dei numi immortali;

queste si affaticavano a sostenere il signore…

(vv. 417-421)

Senza voler supinamente cadere nell'assai discutibile abitus, caratteristico di molti autori sensazionalistici, sempre intenti a rinvenire meraviglie tecnologiche in remote narrazioni ed in reperti archeologici, in certe occasioni, è difficile essere in forse: infatti, nelle circostanze, quale quella dei versi citati, optare per l'interpretazione allegorica, sarebbe più espressione di volontà anziché di un sincero proposito di comprensione. Non c'è dubbio come la descrizione dell'ambiente, nel quale si stava adoprando questo dio, tra macchine utensili robotizzate ed androidi, fosse più consona a quella relativa ad un informatizzato centro di produzione - in un mondo, ancor oggi, in gran parte da venire - piuttosto che conforme al risultato elegiaco della mitopoiesi del secondo millennio a. C. E qui, tengo a precisare che condivido le tesi omeriche e, con essa, anche la cronologia loro attribuita dal ns. collaboratore Felice Vinci.

Nel riflettere su tutta questa tematica mi sono però detto che, intanto, quel gruppo, o meglio, quel popolo doveva essere davvero molto ridotto e, soprattutto, di ben singolare formazione:

…i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero…

(Gen. 6.2).

Ora, se decodifichiamo le specificità linguistiche del testo, si può pensare che i figli di Dio costituissero la classe sacerdotale o, in termini ancor più attuali, l'élite intellettuale della civiltà atlantidea o, almeno, una sua porzione. Del resto, quel modo di trovare una compagna, da parte degli esponenti di un nucleo che, in origine, sembra essere stato esclusivamente maschile e dominato dall'idea guida di un progetto fondatore, è lo stesso che, millenni dopo, ritroviamo nella mitica descrizione del costituirsi dell'Urbe. E tale sembra essere una costante di quei gruppi di giovani guerrieri denominati maryannu (in accadico ma cfr. anche il skr marya, young men) che, con i loro carri da battaglia, hanno molta parte in tutta l'epica indoeuropea e, in particolare, presso gli Hittiti, i Mitanni ed gli altri popoli dell'area. Nel nostro caso, non si trattava però, almeno nell'immediato, di fondare un impero, perché quello, al momento, già esisteva ma forse il piano, nascendo proprio prima della fine di esso ed evidentemente perché quest'esito catastrofico, in qualche modo, era già stato intravisto, il piano dunque si presentava, in una prospettiva di continuità nella trasformazione, assai più complesso ed ambizioso. Pertanto, oltre che su un elemento di potenza militare (<<sono questi gli eroi dell'antichità, uomini famosi>> Gen. 6.4), si basava su importanti fattori di conoscenza. Il concetto guida per il mantenimento del gruppo, già messo in atto - al fine d'ottenere anche un normale supporto demografico - verso l'altro sesso, doveva essere quello della cooptazione; da qui un discretissimo proselitismo che, io ritengo non sia mai cessato. In ogni caso, la sopravvivenza di società chiuse può essere straordinaria: si pensi agli Hutteriti che, ai tempi della Riforma, usciti da Moos in Val Fiscalina (Alta Pusteria), dopo vicissitudini incredibili che, nei secoli, li hanno portati prima in Ungheria e poi in Ucraina, vivono adesso, essendo fuggiti negli anni della rivoluzione russa, nel Montana e in Manitoba. Là, in America, ancora parlano il loro ruvido, remoto dialetto pusterese e seguono sempre i rigidi, immodificati dettami del fondatore (Jacob Hutter). Così facendo, continuano, instancabili, a generare colonie agricole, secondo una regola che ne prevede la geminazione al momento in cui una di queste raggiunga i centoventi membri. E sono solo contadini senza aspirazioni intellettuali, che vadano oltre la gretta osservanza del loro devozionalismo settario. Analoga storia per i Mennoniti e, a ben considerare, anche analoghi raggruppamenti di casa nostra - mi suggeriscono un paio di casi qui in Piemonte - nel loro piccolo, con l'endogamia e tutto un contorno dottrinario e normativo, stanno anch'essi sperimentando - nella loro illusione: ad maiorem Dei gloriam - la costituzione di uno di quei magici cerchi volti al totale asservimento sociale e psicologico di chiunque, al loro interno, ingenuamente, cada:

...nella ricerca del Vero, razionalità e spirito critico sono indispensabili per chi, su essi come su zattera, navighi nel gurgite vasto dell'esistenza profana ma, del Vero giunti alla riva e trovato il Maestro, quella zattera è solo un peso e deve essere abbandonata…..

…..così, suadente, canta la sirena….

Cerco, adesso, d'immaginare alcune possibili obiezioni.

Non è da trascurare l'osservazione che, il nostro mondo, prima con la rivoluzione industriale e poi con ciò che, sino ad oggi, n'è seguito, abbia dato luogo ad una serie di modifiche dell'ambiente di un'imponenza impressionante e tali, se tutto dovesse durare ancora migliaia di anni, da lasciare tracce indelebili e difficilmente trascurabili per le civiltà successive. Ebbene, qualcosa d'analogo, pel passato, manca: è incontestabile. Ma, qui ripeto; quella non era, ancorché appartata, una civiltà "normale", bensì si trattava di una società strutturata e rigidamente diretta. Insomma non ci dovevano essere né le incomprimibili dinamiche di quello che, oggi, conosciamo quale libero mercato, né il magmatico procedere di tante civiltà tradizionali. Inoltre, un'altra possibilità non è da trascurare: la padronanza di tecnologie sofisticate e potenti può aver fatto optare, per tutto quello che avrebbe potuto essere considerato imbarazzante o comunque inappropriato mostrare, a favore della disposizione sotterranea e - perché no? - per il possibile, anche di quella sottomarina. Basti pensare come, già nella nostra epoca, ci sia chi, nel sottosuolo, prospetta la futura, privilegiata destinazione di quanto di sgradevole ci assilla: centrali, industrie ed altre bruttezze. Non a caso, da tempo ed un po' ovunque, per alcune grandi infrastrutture di sicurezza, direzione e ricerca, s'è optato a favore di tale discreta ed appartata dislocazione.

Un altro prevedibile argomento contrario potrebbe consistere nel fare presente come le caratteristiche qualificative del tempo, intrinseche alle epoche passate, non avrebbero permesso uno sviluppo alternativo a quello conforme alle fasi culturali, le quali hanno preceduto l'attuale momento tecnologico. Si può rispondere che, infatti, l'era tardo atlantidea avesse generato, appunto, una deviazione e che proprio tale fosse, tanto da essere ristretta ad un ambito estremamente limitato dell'umanità. Ambito sopravvissuto proprio grazie ad una specifica volontà ed a risorse che, per i tempi, erano definibili, sotto svariati punti di vista, assolutamente prodigiose.

Naturalmente, non si può, in assoluto, escludere che gli UFO siano davvero il prodotto di civiltà aliene ma questa è un'ipotesi che ritengo tanto remota da evitare per adesso ogni ulteriore argomento oltre a quelli esposti.

Quando dunque le possibilità d'occultamento offerte dalla Terra apparvero minacciate oppure scaturendo solo da una scelta programmata e meditata, svincolata quindi da limitazioni contingenti ed allorché, grazie ad un salto tecnologico d'assoluta rilevanza, quale avrebbe potuto essere l'acquisizione di una propulsione antigravitazionale, si resero possibili i viaggi interplanetari, quel piccolo popolo, che potremmo anche definire di superstiti, si creò altrove un rifugio imprendibile, una corazza impenetrabile. Quale fu dunque la destinazione? Ma è ovvio: la Luna, Marte, qualche asteroide … e dove mai sennò? Dove altrimenti si sarebbe potuta nascondere e con tanta infrangibile sicurezza una così imponente armata aerea nonché le infrastrutture, la logistica, i comandi, gli alloggi, la produzione, i laboratori, gli istituti di ricerca, i centri direzionali e, last but not least, il governo di tutta la comunità? Forse, e senza escludere altre basi e presidii, soprattutto per un limitato e ben mirato terraforming, tra i possibili, Marte sarebbe stato il luogo migliore. Altre civiltà, nei cicli su quel mondo trascorsi, lo avevano abitato lasciando segni che, quantunque imponenti, ancora s'intravedono sconvolti e diruti. Al momento della scelta, nella condizione grossolana, comune a tutta questa modalità cosmica, il pianeta si presentava però inospitale ma, a livello sotterraneo, si poteva fare molto e, pur con qualche limitazione, anche la superficie, avrebbe offerto modeste possibilità. Poi c'era sempre la Terra dove, secondo un opportuno incognito, molti avrebbero potuto continuare a vivere e, con molta oculatezza, seguitare a far proseliti. Quando dunque c'è stato il "trasloco" maggiore, grazie a tecniche ormai collaudate, anche "lassù" e non solo per motivi di sicurezza ma, in quel contesto, soprattutto, per le particolarissime condizioni ambientali, s'è praticata, come la più ovvia e naturale, tale ormai sperimentata sistemazione. A quel punto, si può anche presumere come, per ciò che atteneva alla Terra, tracce ed indizi compromettenti, al momento opportuno, siano stati abilmente cancellati mentre altri, meno rintracciabili, siano rimasti occultati nelle profondità; alcuni caduti in disuso mentre altri….Ma, in ogni caso, quei nostri simili - androidi e varianti genetiche a parte - sono, appunto, a noi così simili che, quando vogliono, se la possono cavare benissimo alla luce del sole. Ecco dunque una ristretta comunità di uomini che, secondo l'aurea regola della disinformatzija, per confondere vuol apparire aliena e col far credere una menzogna confessa però il vero:

Così facendo il cover-up assumerà la forma della rivelazione e la rivelazione sarà il cover-up. Negate l'evidenza ma lasciate che la gente si formi la propria opinione. Lasciate che lo scetticismo giochi dalla nostra parte finché la verità non diventerà accettabile.

(Col. Philip J. Corso, Il giorno dopo Roswell, ed. Futuro)

Ma torniamo ai i proseliti ed all'ipotesi di Jean Robin. Essi sono organici al progetto, che regge e di sé permea tutta l'organizzazione, imponendone la necessità. Perché la prospettiva non può che essere un ritorno e la presa di possesso piena ed incontrastata del nostro (ma anche loro!) pianeta e delle sue sorti, in un disegno parodistico - sebbene convinto e appunto per questo, ai danni degli stessi promotori, intimamente illusorio - della vera spiritualità. Perché è importante ripetere che questi non sono davvero, nell'accezione corrente, uomini moderni. Di conseguenza, nella lunghissima fase preparatoria, la convinzione e la totale adesione di individui "qualificati" è ed è sempre stata indispensabile mentre la conversione universale permane quale irrinunciabile obiettivo finale. E come, nel linguaggio teologico cristiano, in quell'evento, che va sotto il nome di Seconda Venuta,

…si manifesterà il Signore Gesù dal cielo…

(2Ts. 1.7)

così, in stupefacente e supertecnologica concretezza, quando i tempi saranno maturi, da un ben noto ed usuale firmamento, potrà fare la sua epifania il Grande Mistificatore. Se tutto ciò non è vero, la guénoniana contro-iniziazione è solo un'accolita di prevedibili ed indigesti maghi neri. Facile immaginarli, con i piedi ben saldi su questa Terra e dediti a riti tenebrosi e potenti malefici. Resta da capire come tanto eccentrici e desueti personaggi, quando i tempi saranno maturi, possano, presentandosi con vesti così incongrue, fare davvero colpo sulle moltitudini come le parole di Paolo fanno intravedere:

Il mistero dell'empietà infatti è già all'opera, aspettando soltanto che chi lo trattiene [il tanto citato katέχwn] al presente sia tolto di mezzo. Allora sarà manifestato quell'empio che il Signore distruggerà col soffio della sua bocca e annienterà all'apparire della sua venuta. La venuta di quell'empio avverrà per l'azione di Satana, accompagnata da ogni sorta di portenti, di segni e di prodigi bugiardi, e da ogni inganno di malvagità per quelli che periscono, perché hanno rifiutato di amare la verità per essere salvati.

(2 Ts. 2.7-12)

In questo, io, col Robin, sono più del parere d'interpretare e, di conseguenza, di figurare in altro modo lo scenario lì delineato. Insomma, se l'<<empio>> in questione scendesse da un UFO, dicendo (senza mentire) di venire da Marte, il successo, malauguratamente, sarebbe molto meglio assicurato. Assai più, credo, che con improbabili giochi di magia. In fin dei conti, non è la stessa tecnica una forma di magia? E perché poi non pensare che il temibile personaggio padroneggi entrambe? Anzi è proprio dalla coalescenza cognitiva dei due ambiti, il grossolano ed il sottile, che il controllo della physis dovrebbe raggiungere il suo massimo operativo.

Finora ho parlato di uomini ma, nell'intricato puzzle di questo dannato tema, ci sono anche altre presenze e di uno speciale genere di esse, esemplare, m'è sembrata la davvero intrigante e quasi pubblica dimostrazione avvenuta in un italiano ed ormai datato episodio di abduction: quello del genovese caso Zanfretta (1978). Riportare per esteso quell'evento non entra nei limiti già troppo ampliatisi di quest'articolo ma l'aspetto, che mi preme mettere in evidenza, è come - insieme a caratteristiche senza dubbio paranormali - i riscontri obiettivi effettuati da testimoni ed investigatori esterni non certo mancassero: impronte di esseri giganteschi e tracce d'oggetti posatesi dove si diceva un UFO fosse stato visto. Effrazioni con danneggiamenti rilevanti alla casa disabitata nel cui giardino era avvenuto uno degli avvistamenti. Concordanti testimonianze di persone del luogo su fenomeni luminosi osservati nelle notti incriminate. Consonanti attestazioni dei colleghi del soggetto, in via parziale, coinvolti nei fatti. Inspiegabili traslazioni dell'auto e della motoretta guidate dal protagonista, con susseguente, insopportabile e persistente surriscaldamento del mezzo. Ripetute sedute di ipnosi, sino all'uso del "siero della verità", sulla vittima-protagonista e tutte confermanti ed amplificanti la narrazione cosciente. Insistiti, professionali riconoscimenti della normalità psichica dello Zanfretta, la cui buona fede, almeno iniziale, è certa.

In sostanza, tutto sembra tornare ma è questo invece uno di quei casi dove, a parer mio, i protagonisti sono tutt'altri da quelli che sembrano. Nello stesso tempo, gli esseri mostruosi alti tre metri ed in dettaglio descritti dal povero metronotte, in modo singolare somigliano sia a the creature from the Black Lagoon, dell'omonimo film di fantascienza degli anni '50, sia ai del pari orridi protagonisti di un paio di episodi - disegnati da Franco Donatelli e da questo stesso film ispirati - comparsi sul fumetto italiano Zagor,. Tale pubblicazione fu una creazione, anni '60, di Guido Nolitta - alias l'editore Sergio Bonelli - e del suo primo disegnatore Gallieno Ferri. Ancora: queste entità chiamano sé Dargos e dichiarano di provenire da una lontana galassia dove abitano il pianeta Titania. Ma Titania is the Queen of the Fairies nello shakespeariano A Midsummer Night's Dream. Ella è quindi, con il suo compagno Oberon, un essere del mondo sottile mentre risponde allo stesso nome la quattordicesima e la più grande delle lune di Urano. E gli astronomi l'hanno chiamata così proprio per le note, mitiche relazioni, che legano i tenebrosi Titani (cfr. supra anche il loro rapporto coi Nephilim) al dio eponimo di quel sistema. Strano poi che, a nessuno dei dotti esaminatori dello sconvolto Zanfretta, sia venuto da domandarsi e, di quindi, d'approfondire come esseri provenienti da un mondo immensamente lontano, pur traducendo il loro pensiero nella nostra lingua, lo chiamassero con un nome così evocativo ed al contempo tutt'altro che esotico. Per mio conto, su Internet, ho poi condotto una breve ricerca relativa a Dargos ed ho appreso che, intorno alla stessa epoca in cui nacque il fumetto italiano, in 1966, the legendary futurist Gene Roddenberry created a science fiction-based television series called Star Trek (nientemeno! Un must del genere) e che Dargos is a tall man. Oltre a questo, il nome imperversa nei giochi di ruolo ed ha a che fare sia con la fantasy, sia col mondo dei "supereroi". È per il complesso dei succitati richiami che, mutatis mutandis, l'intera vicenda mi ricorda lo stupore destato, nei due secoli passati, tra i partecipanti a certe sedute spiritiche, quando, a volte ed inopinatamente, evocate dalla trance medianica, si presentavano figure letterarie quali la signora Bovary o il gobbo di Nôtre Dame. È qui che allora entra in gioco quello psichismo impersonale e pervasivo, cui Carl Gustaf Jung ha dato nome d'inconscio collettivo, ed al quale il medesimo, nel suo Ein moderner Mythus. Von Dingen am Himmel gesehen werden (Rascher Verlag 1958), attribuisce, nella sua totalità ed in una prospettiva visionaria, il fenomeno degli UFO. Il mio insistito parere è che, nella complessa e vasta casistica ufologica, a tale fattispecie, possa ricondursi solo una parte degli episodi che la costituiscono e questo di Genova, per tanti versi, di essa, m'appare affatto dimostrativo. Del resto, i casi d'abduction hanno sempre tormentato poveri cristi; individui che, in altra epoca o, in contesti meno aggiornati, dopo analoghi eventi, sarebbero stati costretti a subire durissime pratiche d'esorcismo. Persone, dunque, con una struttura psichica assai elementare e con falle di tipo medianico, sì che stupisce come a nessuno venga da domandarsi perché alieni così "avanzati", per comunicare col nostro mondo, vadano poi a pescare soggetti sprovveduti e resi inetti da intrinseche incapacità. Quando poi, per la modestia del ruolo sociale, risultano inascoltati latori di qualsivoglia, supposto, autorevole messaggio. Posso aggiungere che, gli stessi riscontri obiettivi, sopra elencati in tutta la loro evidente materialità, in alcun modo contraddicono la mia conclusione, essendo proprio del medianismo e di quanto va sotto il nome di paranormale, il superamento dell'esperienza soggettiva sicché, oltre alla produzione di fotismi, è accertata anche quella di violenti e talvolta pericolosi episodi cinetici.

Ora che le tessere del mosaico sembrano andate a posto, qualcuno potrebbe pensare che, su così tormentata materia, sia questa la mia definitiva e consolidata opinione: ….e sia….io non voglio davvero smentirlo però, sull'intera ipotesi, pongo a suggello una grave riserva e, nella traversata di quest'infida palude, mi piace allora aggiungere come, tutte le soluzioni di percorso, che abbiamo visto in competizione tra loro, siano esse stesse un segno ovvero l'epifenomeno di quello specifico dominio nel quale le opposizioni, non più armonizzate e composte dall'azione di un principio superiore, si scatenano ne

La bufera infernal, che mai non resta,

mena li spirti con la sua rapina:

voltando e percotendo li molesta.

(Inf. V. 31-33)

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[Dato il tema assai controverso, e la soluzione altamente originale proposta, l'autore preferisce mantenere riservatezza sulla propria persona, facendo ricorso all'evidente pseudonimo "Strabone"...]