Su una possibile falsificazione sperimentale

della teoria della relatività ristretta
 
 
 
 

(Umberto Bartocci)*


 



 
 
 

Questo lavoro è dedicato a Roberto Monti, perché dimostra con la sua autonomia di pensiero che si può ancora fare scienza per passione.


1 - Se è possibile cercare di giustificare le profonde modificazioni nella struttura geometrica dello spazio-tempo introdotte dalla teoria della relatività ristretta (TRR), o speciale, con motivazioni teoriche e sperimentali dei suoi postulati, ciò che costituisce invece il vero punto di forza concettuale della teoria è il suo aspetto convenzionale in ordine alle cosiddette definizioni coordinative proposte da Einstein per le misure di spazi e di tempi. È questa circostanza che rende assai difficile la discussione sulla TRR come teoria fisica, in quanto ogni suo tentativo di falsificazione viene ritenuto viziato a priori in ordine a quell’aspetto. Si proverà qui invece che la TRR è del tutto falsificabile con esperimenti di natura elettromagnetica, e che è errato ritenere che fisica classica e TRR differiscano nelle loro previsioni solamente nel campo delle "alte velocità".
 
 

2 - Nonostante tutti i suoi grandi successi, sia teorici che tecnologici, la fisica contemporanea al finire di questo secolo comincia a essere messa sempre più sotto accusa. Le viene rimproverato di essere una costruzione che ha ormai perso le sue caratteristiche di scienza sperimentale, di essere diventata troppo astratta e troppo matematizzata1; P.K. Feyerabend la riconosce nella maggior parte dei casi "molto più opaca, e molto più illusoria, della scienza del Cinquecento o del Seicento"2; R. Thom, medaglia Fields per la matematica, arriva a dire che "I fisici in genere sono delle persone che, da una teoria concettualmente mal messa, deducono dei risultati numerici che arrivano alla settima cifra decimale, e poi verificano questa teoria intellettualmente poco soddisfacente cercando l’accordo alla settima cifra decimale con i dati sperimentali! Si ha così un orribile miscuglio tra la scorrettezza dei concetti di base ed una precisione numerica fantastica [...] [i fisici] purtroppo pretendono di ricavare un risultato numerico molto rigoroso da teorie che concettualmente non hanno né capo né coda"3.

Tutta questa situazione è perfettamente sintetizzata dalle seguenti parole di I. Licata: "Gli indiscutibili successi della costruzione [...] hanno però attenuato l’interesse critico per i postulati di base e per la loro corrente interpretazione. In realtà le basi della fisica non sono oggi più sicure di quanto non lo fossero agli inizi del secolo, ed esiste tutta una serie di "nodi" concettuali nel tessuto della fisica attuale [...] che impongono un riesame delle idee di base"4.
 
 

3 - La fisica teorica moderna si poggia su due grandi pilastri concettuali: le teorie relativistiche, elaborate da A. Einstein nei primi 20 anni del secolo, e le teorie quantistiche, messe a punto negli anni immediatamente successivi. In entrambi i casi, vengono modificate a tal punto le "nozioni ordinarie" di spazio, tempo e causalità, che si è costruita una vera e propria nuova filosofia allo scopo di rendere dette teorie più accettabili, con il risultato scontato però che la maggior parte dei fisici ha perduto ogni speranza di poter riuscire a comprendere, e ha rinunciato a cercare di interpretare la natura secondo i classici principi di razionalità fondati sulle tre richiamate categorie mentali5. L’abbandono della tomistica adaequatio rei et intellectus, che dovrebbe costituire lo scopo di ogni ricerca scientifica, ha fatto sì che inevitabilmente, a causa tra l’altro della cattiva didattica conseguente alla detta rassegnazione, la conoscenza della fisica si sia per lo più trasformata nella sola capacità di saper fare uso di una sorta di prontuario "per tecnici praticoni, per ingegneri, che hanno bisogno di regole piuttosto che di idee"6.

Contro questo stato di cose, originato presumibilmente dalla circostanza che la fisica non ha mai trovato il tempo per soffermarsi a compiere quella riflessione su se stessa che invece la matematica eseguì all’inizio del secolo, si comincia a manifestare una reazione sempre più forte. In conformità con i principi di una filosofia realista, sono stati per primi i fondamenti della meccanica quantistica quelli a essere presi di mira da una serie di ricerche7, che sembrano abbastanza tollerate da parte di un establishment che si mostra per altri versi assai poco incline a una messa in discussione delle basi della sua disciplina. Ancora assai scarsa, e completamente osteggiata, appare invece la critica delle teorie relativistiche, che sono diventate nell’opinione di molti fisici, almeno per quanto riguarda la TRR, "the holy of holies"8 della fisica moderna. In effetti, accade che anche la maggior parte dei contestatori dell’attuale situazione dimostra di non aver compreso invece che è proprio attraverso il successo della TRR che si sono insinuati nella fisica quei successivi livelli di astrazione e di matematizzazione oggi sotto accusa9: primo, poiché è con la TRR che hanno fatto irruzione nella fisica l’arbitrarietà definitoria tipica della matematica, e la sua pretesa di essere sganciata nei suoi fondamenti logici da ogni tipo di intuizione10; secondo, perché è con la scomparsa del concetto di etere, conseguente all’affermazione della "soluzione" einsteiniana dei problemi dell’elettromagnetismo11, che è stato impossibile poi di ricercare appunto nell’etere una possibile ragione per le pretese inspiegabili particolarità della fenomenologia del mondo microfisico12.

Nella convinzione infine che soltanto nel caso del riconoscimento della validità fisica della teoria della relatività si possa parlare dell’essersi verificata in campo scientifico una vera e propria rivoluzione13, in quanto è solo con essa che per la prima volta viene proposta realisticamente una modifica delle nozioni ordinarie dell’intelletto ai fini della comprensione del mondo fisico - o, se si vuole, che viene sottolineata la loro inadeguatezza nello studio di certi aspetti dei fenomeni naturali - è proprio alla TRR che queste pagine sono dedicate, con la pretesa di dimostrare come alcuni luoghi comuni su di essa siano completamente infondati.
 
 

4 - R.P. Feynman14 inserisce ormai la TRR nella fisica classica, dove con questo termine intende quella parte della fisica sorretta dai due pilastri della meccanica classica newtoniana (MC) e della teoria elettromagnetica di Maxwell (TM). Secondo tale, peraltro diffuso, punto di vista, è usuale presentare la TRR attraverso l’enunciazione delle seguenti tesi:
 
 

(1) la TRR si poggia sia sulla MC che sulla TM, unendole in una sintesi armoniosa (appunto, quella "fisica classica" appena nominata);

(2) tale sintesi si verifica nel modo seguente: mentre non c’è alcuna correzione da apportare alla TM, in quanto questa sarebbe già di per se stessa relativistica15, sono necessarie soltanto alcune "piccole" correzioni da apportare alla MC, in modo da renderla compatibile con l’approccio relativistico;

(3) il senso di quel "piccole" viene reso nel seguente modo ("principio di corrispondenza") - come è del resto da attendersi, in conformità con il permanere della moda di un’interpretazione progressista della storia in generale, e della storia della scienza in particolare: il successo della relatività costituisce soltanto un miglioramento della nostra conoscenza del mondo fisico (non si procede a ritroso, non ci sono più vere "rivoluzioni", dopo quella che ha dato origine alla moderna concezione scientifica del mondo); ovvero, la fisica classica continua a funzionare benissimo nel suo ambito di competenza, vale a dire quello delle "basse velocità", mentre le correzioni relativistiche si applicano soltanto al campo delle "alte velocità", per il quale non sarebbe allora sorprendente che la nostra "intuizione" possa trovarsi in difficoltà, di fronte a fenomeni per cui essa non sarebbe preparata16.
 
 

I punti precedenti costituiscono il fulcro dell’attuale tentativo di conciliazione della fisica classica con la TRR, i quali, rafforzati dalla circostanza che di solito17 si comincia prima con l’insegnare i principi della MC e della TM, e soltanto successivamente i loro "aggiustamenti" relativistici, sono la causa dell’attuale "confusione mentale" che sembra regnare presso molti fisici. In effetti, dette tesi (1), (2), e (3) non sono proprio parte integrante della teoria sotto critica, visto che si potrebbe evitarli con una sua presentazione più corretta, e soprattutto meno preoccupata di sottolineare la necessità di rivoluzioni contro-intuitive. Essi hanno evidentemente però la funzione di rendere meno penoso il passaggio da uno spazio-tempo trattato in modo "ordinario", a uno spazio-tempo diciamo anche solo semplicemente minkowskiano (lasciando pure da parte le ulteriori sofisticazioni matematiche - gli spazi-tempi "curvi" - della teoria della relatività generale). La situazione appena descritta sta comunque a significare che da qualche parte continua a esserci un "problema", per la risoluzione del quale non sono bastati novant’anni di relatività18, e il fatto che la teoria abbia perduto ormai il suo carattere di "novità". Per tutte queste ragioni, anche se alla resa dei conti dovesse risultare proprio l’impostazione relativistica a rivelarsi sempre come quella più appropriata dal punto di vista sperimentale, il dibattito su tali argomenti resta comunque di vitale importanza - e non soltanto per la fisica, visto che questa è il fondamento attuale di tutte le altre scienze, e una fisica irrazionale, nel senso specificato19, rischia di diventare poi la base di tutta una scienza irrazionale, ivi compresa la filosofia. lnfatti, anche se non si volesse riconoscere che allo stato delle conoscenze odierne non si possa ragionevolmente e onestamente escludere che da siffatte ricerche possano scaturire interessanti sviluppi anche applicativi, il permanere di una dialettica interna è sempre comunque indispensabile al mantenimento di quel livello minimo di approfondimento critico, e di acquisizione consapevole dei fondamenti20, senza il quale non ci può essere alcuna vera forma di conoscenza.
 
 

Tutto ciò premesso, cercheremo di provare nel seguito abbastanza succintamente, rinviando per specifici dettagli ad altri lavori21, come sia più esatto sostenere, al posto di (2) e (3), i loro enunciati esattamente opposti:
 

(2’) non è vero che la TM sia "in sé" relativistica; in realtà, essa non è né relativistica né non-relativistica, ma assai più semplicemente (una volta che sia definita in modo strettamente rigoroso) una teoria fisicamente indeterminata, la quale può essere integrata con assiomi di tipo "classico", e fornisce allora quello che potremo chiamare l’elettromagnetismo classico (EMC, che può essere considerato poi l’elettromagnetismo di Maxwell nella sua interpretazione più autentica), o con diversi postulati, di tipo relativistico, e fornisce allora quello che diremo l’elettromagnetismo relativistico (EMR);
 

(3’) non è vero che le divergenze tra fisica classica e TRR avvengano soltanto nel campo delle alte velocità: tale diffusa opinione poggia sulla ben nota circostanza che, per basse velocità, la differenza tra massa relativistica e massa ordinaria tende a scomparire, ma questa innegabile constatazione non implica nulla in ordine all’oggetto della discussione, dal momento che EMC ed EMR differiscono in alcuni casi assai sensibilmente nelle loro previsioni relative alle espressioni delle forze, che in una teoria possono addirittura scomparire, laddove nell’altra sono invece ben presenti.
 
 

In virtù dell’analisi precedente, vedremo anche come sia possibile immaginare degli esperimenti di tipo propriamente elettromagnetico, e non ottico22, e per giunta a bassa velocità, che consentirebbero di verificare più direttamente di quanto non si faccia oggi, ancorché lo si affermi con esagerata sicurezza23, se siano più corretti i postulati classici o quelli relativistici.
 
 
 

5 - Definiremo in modo rigoroso con TM (avvertiamo che in questo lavoro faremo uso del sistema MKSQ di unità di misura), con il simbolismo usuale (i caratteri in grassetto si riferiscono a grandezze vettoriali):
 
 

(A) il sistema formato dalle quattro equazioni di Maxwell:
 
 


(4) rot(E) = - B/ t
 
 

(5) rot(B) = m 0(e 0 E/ t + j)
 
 

(6) div(E) = r /e 0
 
 

(7) div(B) = 0 .


 








che diventano le equazioni d’onda per i potenziali elettrico e magnetico, rispettivamente F , A :
 
 


(8) o F = -r /e 0,
 
 

(9) o A = -m 0j ,


 








dove la funzione densità di carica r (x,y,z,t) e il campo densità di corrente j(x,y,z,t) sono assegnati in modo tale da soddisfare l’equazione di continuità della carica
 
 

(10) div(j) = - r / t ,


 







e i potenziali F , A la condizione di gauge di Lorentz
 
 

(11) div(A) = -c-2 F / t   ( c-2 = e 0 m 0) ,


 







mentre sono legati ai campi elettrico e magnetico E e B dalle relazioni
 
 

(12’) E = -Ñ F - A/ t,
 
 

(12") B = rot(A) ;


 








(B) la legge di forza di Lorentz, che fornisce l’espressione per la forza che agisce su una carica q avente velocità v :
 
 

(13) F = q( -Ñ F - A/ t + v ´ rot(A) ) ;


 







(C) un’ulteriore asserzione, che può essere in modo approssimativo espressa con il dire che i campi originano soltanto da sorgenti come cariche e magneti, e hanno un carattere locale, sono tali cioè da annullarsi, e in un particolare modo, all’infinito. Possiamo affermare che, in una qualche misura, appaiono qui effetti di una sorta di principio generale di realtà e di località, che trovano nel caso specifico la loro formulazione matematica nell’assunzione che, assegnati r e j , l’unica soluzione interpretabile fisicamente delle equazioni (8) e (9) è quella fornita dai cosiddetti potenziali ritardati di Liénard e Wiechert24:
 
 


(14) 4p e 0 F (x,y,z,t) =  INT ( r-1r (x’,y’,z’,t’-r/c)dx’dy’dz’) ,
 
 

(15) 4p A(x,y,z,t) = m 0 INT (r-1j(x’,y’,z’,t’-r/c)dx’dy’dz’)
 
 

(dove: r(x,y,z,t;x’,y’,z’,t’) = [(x-x’)2+(y-y’)2+(z-z’)2]1/2 ).


 








Naturalmente, si assume anche implicitamente nella TM che esiste almeno un riferimento R(O,x,y,z,t) nel quale la teoria si possa applicare!
 
 

Definita così "strettamente" la TM, è chiaro che essa da sola non può essere usata con successo neanche per risolvere semplici problemi fisici, quali quelli legati alla espressione delle interazioni tra cariche e circuiti in movimento, finché non si prescrivano le regole con le quali debbono essere assegnati i "termini noti" delle equazioni, vale a dire densità di carica e densità di corrente.

A questo punto, possiamo dire allora che l’elettromagnetismo classico è costituito dall’integrazione della TM precedentemente definita con i postulati dell’invarianza della carica e della densità di carica, visto che in ambito classico non è prevedibile alcuna "contrazione di lunghezze"25, mentre per la definizione di j basterà usare la legge galileiana di composizione delle velocità. A questi dovremo aggiungere un ulteriore postulato sulla densità di carica di un conduttore percorso da corrente, che introdurremo più avanti al momento opportuno. A proposito del riferimento R, che è quello che si direbbe un riferimento "in quiete assoluta", o un aether- frame, si può aggiungere che esso risulta univocamente determinato a meno di rotazioni e traslazioni spaziali (e a meno di cambiamenti dell’origine e della scala dei tempi), e che è soltanto in R che possono essere supposte valere le proprietà di omogeneità e di isotropia dello spazio.

Con queste aggiunte, l’EMC è capace allora di prevedere quale debba essere per esempio la forza che agisce su una particella carica q posta al centro di un circuito circolare S, di raggio r, percorso da una corrente stazionaria I, entrambi in moto rispetto a R con velocità v = (v,0,0) (completiamo il quadro assegnando ad esempio come equazioni parametriche di S: x = rcos(q )+vt, y = rsin(q ), z = 0, e supponendo che la corrente circoli in S nello stesso verso della assegnata parametrizzazione, ovvero in senso antiorario rispetto all’asse delle z).

Ciò premesso, con un calcolo diretto (per i cui relativi dettagli si rinvia al secondo degli articoli citati nella Nota N. 21) si trova che questa forza è (indipendente da t, e), a meno di effetti del secondo ordine in b = v/c, uguale a:
 
 


(16) F = -(m 0qIv/4r)iy ,


 






avendo detto iy il versore dell’asse delle y.
 
 

6 - In EMR la situazione è naturalmente del tutto diversa. Come conseguenza della presunta validità del principio di relatività, ovvero dell’ipotesi che in tutti i riferimenti inerziali (nei nostri termini, quelli in moto uniforme rispetto a R) le leggi fisiche assumano la stessa forma, si hanno come noto, tra l’altro, i fenomeni della contrazione delle lunghezze e la legge di composizione relativistica delle velocità. Fermo restando il principio dell’invarianza della carica, ciò conduce, nel caso che ci interessa, ad affermare che le quattro quantità (j,r c) costituiscono un 4-vettore dello spazio-tempo di Minkowski, il che, supposta la validità delle equazioni di Maxwell anche nel riferimento R’ solidale con il sistema {S, q}, ha come conseguenza che pure (cA,F ) è un 4-vettore, mentre E, B, combinati nel modo usuale, danno le sei componenti essenziali di una 2-forma.

Sotto queste ipotesi, che costituiscono un autentico nuovo postulato fisico indipendente dalla teoria di Maxwell, si trova evidentemente che la forza in oggetto, diciamola Frel, deve essere uguale a zero (va da sé, tanto in R quanto in R’):
 
 

(17) Frel = 0 .


 







Quanto precede sta a mostrare la validità degli asserti (2’) e (3’), visto che, oltre a provare chiaramente come EMC sia diverso da EMR (ancorché entrambi possano dirsi fondati sulla "stessa" TM), dal confronto tra la (16) e la (17) si deduce che la divergenza tra le previsioni dell’elettrodinamica classica e quelle dell’elettrodinamica relativistica può essere qualche volta anche assai significativa. Infatti, nella (16) si può pensare di aumentare I o q in modo tale da avere una differenza notevole anche per piccole velocità. Invece, nel famoso caso dell’induzione elettromagnetica, preso in esame da Einstein nella sua memoria fondamentale del 1905, non si troverebbe alcuna divergenza tra le previsioni di EMC e quelle di EMR, ma si tratta appunto, come abbiamo appena dimostrato, di un caso particolare, e non di un caso generale.

Osserviamo per finire che, per poter dedurre sia la (16) che la (17), si deve far uso di un ulteriore postulato sulla densità di carica del circuito S; un’ipotesi che si può formulare sia nell’assetto classico che in quello relativistico, ed è quindi indipendente da entrambi. Si tratta di quello che diremo il postulato di Clausius, secondo il quale "a closed constant current in a stationary conductor exerts no force on stationary electricity"26. In altre parole, il postulato presume che la densità di corrente r di un conduttore stazionario percorso da corrente è uguale a zero (e si soffermi l’attenzione sul fatto che il conduttore deve essere stazionario nel riferimento in cui r è definita, perché altrimenti in EMR la cosa non è più vera, mentre resta ovviamente vera in EMC).

La validità del postulato è stata abbastanza recentemente rimessa in discussione da un punto di vista sperimentale, ma di ciò parleremo nel successivo paragrafo N. 7.
 
 

7 - Prima di accennare a un semplice esperimento "cruciale" capace di discriminare tra EMC e EMR, vogliamo aggiungere qualche ulteriore commento alle considerazioni precedenti.

Se si va a guardare alle motivazioni sperimentali che ispirarono nel 1905 ad Einstein il principio di relatività, si trova che al tempo non ce n’erano molte, a parte "i falliti tentativi di constatare un moto della terra relativamente al mezzo luminoso", ai quali l’autore si riferisce in modo così concisamente generico, e sui quali "tentativi" ci sarebbe comunque molto da dire in ordine alle loro interpretazioni. A parte questi, la motivazione principale scelta da Einstein per elevare a principio generale della Natura il suo principio di relatività, fu invece proprio la "simmetria" dei fenomeni di induzione27: "Si pensi per esempio alle interazioni elettrodinamiche tra un magnete e un conduttore. Il fenomeno osservabile dipende qui solo dal moto relativo fra magnete e conduttore, mentre secondo il consueto modo di vedere sono da tenere rigorosamente distinti i due casi che l’uno o l’altro di questi corpi sia quello mosso". Si potrebbe osservare che si tratta qui di una motivazione che ha una radice più teorica, che non sperimentale. In effetti, tale simmetria era perfettamente prevista nell’ambito della TM28 (coincidente al tempo con quello che abbiamo indicato con l’espressione EMC), come abbiamo già detto, ma non risultano effettuati tentativi sperimentali diretti di una sua precisa conferma quantitativa (vale a dire, misure eseguite su sistemi in movimento effettivo rispetto a un laboratorio terrestre). A qualsiasi campo si voglia poi comunque ascrivere tale motivazione, resta però il fatto che la nostra analisi precedente dimostra come la simmetria in EMC non sia la regola (tra le eccezioni per l’appunto i fenomeni di induzione su circuiti chiusi), sicché il tentativo einsteiniano di riconciliazione delle differenti spiegazioni teoriche che nell’EMC si danno per fenomeni simmetrici appare quanto meno singolare. In altre parole, non siamo di fronte, in linea di principio, a una fenomenologia sostanzialmente simmetrica, rispetto alla quale è soltanto la teoria a presentare delle spiegazioni asimmetriche; al contrario, è proprio la teoria, giusta o sbagliata che essa sia dal punto di vista sperimentale, a prevedere invece una fenomenologia asimmetrica. Da quale parte sia la "verità fisica" nessuno ancora oggi può dire di saperlo per certo, vista la già notata insufficienza di verifiche sperimentali dirette al riguardo29.

Oltre alle accennate motivazioni teoriche e sperimentali della TRR, non vanno dimenticate quelle che potremmo per contro definire le sue motivazioni "filosofiche", ovvero quelle legate a una particolare "visione del mondo". È da questo punto di vista abbastanza chiaro che, mentre la TRR compie la sua analisi preliminare nella stessa visione della MC, ossia in conformità con il punto di vista newtoniano di uno spazio "vuoto" e fisicamente inattivo (vale a dire, una sorta di "contenitore" passivo nel quale i fenomeni naturali si limitano a verificarsi)30, d’altro canto si trova a dover "chiarire" una teoria elettromagnetica che era invece tutta basata sulla visione opposta, quella che potremo dire cartesiana, o dello "spazio pieno" (secondo la quale lo spazio sarebbe un mezzo dotato di ben precise caratteristiche fisiche, capace di trasmettere le interazioni tra gli oggetti, di opporre in linea di principio resistenza al movimento dei corpi, etc.; insomma, un attivo protagonista di tutti i fenomeni fisici che avvengono in esso). Proponendo un primo principio ispirato alla concezione dello spazio vuoto (il principio secondo il quale il moto uniforme non ha effetti fisicamente rilevabili), e un secondo a quella dell’etere (l’indipendenza della velocità di propagazione di un raggio luminoso dalla velocità della sorgente31), con la conseguente modifica della geometria dello spazio-tempo Einstein dimostra in effetti come si possano "conciliare" sotto l’aspetto matematico i due punti di vista apparentemente antitetici, ma il vero risultato è che sotto l’aspetto concettuale li distrugge entrambi. Scompare in effetti ovviamente la prospettiva legata al concetto di etere, che non per nulla sparisce quasi del tutto dalla scena della pratica scientifica, e, anche se potrebbe apparire che quello che resta maggiormente privilegiato sia il punto di vista newtoniano32, anche questo a ben vedere esce molto male dalla rivoluzione relativistica, con la scomparsa del concetto di azione istantanea a distanza. Quanto abbiamo in questo lavoro fin qui accennato mostra allora che la tesi secondo la quale l’impostazione relativistica preserverebbe l’elettrodinamica maxwelliana, mentre modificherebbe soltanto "leggermente" la meccanica classica, è una conclusione quanto meno superficiale. In realtà la questione è molto più complessa, e andrebbe comunque indagata sotto tutti e tre gli aspetti qui presi in esame, sperimentale, teorico e filosofico.

Per finire questo paragrafo dedicato a commenti di carattere generale, osserviamo che sarebbe stato da considerarsi più propriamente rivoluzionario tentare uno sviluppo matematico del punto di vista cartesiano33, fino ad abbracciare anche una riformulazione opportuna delle leggi della meccanica (eliminando per esempio dal suo cuore la "metafisica" dell’innaturale principio di inerzia), impresa questa quasi mai tentata da nessuno con sufficiente convinzione (per trovare qualcosa di valore in tale direzione bisognerebbe forse riandare addirittura al Tentamen leibniziano di fornire una spiegazione causale per il moto dei corpi celesti). È lungo questa strada che forse si sarebbe potuto arrivare al "reale" mantenimento dell’EMC, e a una modifica sostanziale (almeno da un punto di vista concettuale, se non "pratico") delle "leggi" della meccanica. A ben vedere, infatti, è proprio dal punto di vista di una teoria dell’etere che fenomeni quali quelli della velocità finita delle interazioni, di un aumento reale della massa inerziale di un corpo (dovuto a un probabile effetto di "reazione dello spazio"), oppure di possibili modificazioni reali delle dimensioni di corpi in movimento assoluto, etc., trovano in linea di principio una loro più appropriata collocazione. In altre parole, alcuni dei cosiddetti "effetti relativistici", della cui verità fisica sembrerebbe non ci sia da dubitare, almeno a sentire la maggior parte dei fisici contemporanei, potrebbero essere tanto poco relativistici quanto inquadrabili in una concezione fluidodinamica dell’universo, soltanto "colpevole", per il momento, di essere del tutto fuori moda34. In ogni caso, ribadiamo una volta ancora che ciò di cui ci si vuole qui occupare più da presso è la divergenza che si verifica tra previsioni classiche e previsioni relativistiche già nel campo delle basse velocità.
 
 

8 - Veniamo adesso all’annunciata presentazione di un (semplice) esperimento elettromagnetico che dovrebbe permettere di riconoscere quale, tra la (16) e la (17), sia la formula "giusta". In effetti, la differenza tra le due è così notevole che, da un punto di vista ideale, non dovrebbero esserci problemi: se un osservatore constatasse l’esistenza di un’azione esercitata da parte di una corrente stazionaria su una carica di prova in quiete rispetto a un circuito (direttamente proporzionale alla carica e all’intensità della corrente, oltre che dipendente dall’orientazione del circuito e dal verso della corrente), dovrebbe dedurre senz’altro di essere in moto assoluto, ciò che basta a dimostra come, in linea teorica, il principio di relatività sia perfettamente falsificabile. Infatti, questa verifica dello stato di quiete o di moto assoluto potrebbe essere eseguita senza alcuna preoccupazione concernente le convenzioni da adottare per la "sincronizzazione di orologi lontani", dal momento che qui si tratterebbe soltanto di verificare se "localmente" è presente o no una certa forza, e che l’esistenza o meno di questa non è cosa che possa farsi rientrare nell’ambito della convenzionalità. Si noti anche esplicitamente che le richiamate caratteristiche "quantitative" dovrebbero eliminare ogni dubbio in ordine ad eventuali altre cause per la forza così osservata.

Se un siffatto "esperimento" avesse successo, si restaurerebbe finalmente nella fisica un’obiettività indipendente dal ruolo dell’osservatore, visto che tra i lati non meno "sgradevoli" della TRR c’è anche quello di teorizzare come certi fenomeni debbano accadere con determinate modalità anziché con altre soltanto perché certi e non altri sarebbero i risultati delle misure che "osservatori immaginari", solidali per esempio con particelle viaggianti quasi alla velocità della luce, andrebbero ad eseguire. Inoltre, in tale caso, bisognerebbe riconoscere che le definizioni coordinative proposte da Einstein per la misura di spazi e di tempi sarebbero non già illogiche, bensì prive di motivazioni fisiche adeguate, e che bisognerebbe quindi andare a cercare delle differenti procedure, la cui individuazione non deve però precedere necessariamente l’abbandono del metodo operativo proposto dalla TRR.

Se esso invece non desse il risultato previsto dall’EMC, si ripeterebbe il destino che fu già del celebre esperimento di Michelson-Morley, ma, a differenza di quest’ultimo, quello qui proposto sarebbe almeno una "conferma" della TRR più diretta e convincente.

Prima di passare dal livello astratto a quello reale, osserviamo infine che, quando la velocità assoluta v del circuito non giace sul piano a della spira, allora si osserverebbe una forza minore di quella qui prevista, sicché in linea di principio basterebbe ruotare questo piano intorno a un diametro della spira fino a determinare la giacitura nella quale la detta velocità è contenuta, in corrispondenza a quella in cui si osservasse un effetto massimo35. La (16) permetterebbe poi di stimare anche direzione e intensità di v.

Dal punto di vista di un esperimento reale in un laboratorio terrestre le cose si complicano naturalmente un poco, in ordine all’interpretazione da dare ai suoi possibili risultati. Bisogna fare prima di tutto una supposizione, relativamente alla circostanza se la Terra possegga o no una propria "velocità assoluta", ovvero se è necessario, dal punto di vista di una classica teoria dell’etere, che esista quel drift-effect ricercato invano da molti sperimentatori, e al quale Einstein fa il citato criptico cenno. Poi, bisognerebbe andare a vedere se una tale forza esiste davvero o no, e infine, in caso affermativo, se essa ha anche le caratteristiche qualitative e quantitative previste dalla (16).

Il primo punto è forse quello più difficile da affrontare dal punto di vista teorico. Bisogna riconoscere a tale proposito che se in un fissato riferimento R, supposto approssimativamente inerziale, non si osservasse la forza in oggetto, allora non si potrebbe trarre ancora alcuna conclusione, perché ci si potrebbe trovare proprio nel caso di un riferimento a riposo nell’etere. Sarebbe necessario ripetere le osservazioni in un riferimento R’ "in moto forzato" rispetto a R, e soltanto nel caso che sia in R che in R’ non si osservasse l’effetto cercato si potrebbe affermare che il principio di relatività in elettromagnetismo è, almeno nel presente contesto, sperimentalmente fondato.

Tornando al caso del laboratorio terrestre, bisogna ammettere che l’ipotesi che sembra più compatibile con un secolo di osservazioni apparentemente "favorevoli" alla teoria della relatività è proprio quella secondo cui il laboratorio terrestre è, quanto meno approssimativamente, un sistema a riposo nell’etere. Questa ipotesi, alla quale ci si riferisce di solito come all’ipotesi di Stokes, o "dell’etere trascinato", è più "viva" di quanto non si supponga di solito, perché non c’è una così forte evidenza sperimentale contro di essa. Allo scopo di confutarla si riportano di solito soltanto una presunta incapacità di spiegare il fenomeno dell’aberrazione stellare, e il cosiddetto esperimento di Fizeau36. La prima affermazione non è del tutto corretta, come è stato recentemente sottolineato da G. Cavalleri e altri37. A proposito invece dell’esperimento di Fizeau, senza entrare troppo in dettaglio38, è sufficiente osservare che esso appare comunque poco rilevante ai nostri fini, dal momento che smentirebbe, è vero, che i corpi in movimento trascinino "totalmente" con sé l’etere, laddove però l’ipotesi in oggetto (con la quale vogliamo indicare solo la possibilità che la velocità relativa Terra/etere sia uguale a zero) non implica per nulla la necessità di un siffatto "trascinamento totale". Allo scopo di illustrare questo asserto, dovrebbe forse essere sufficiente denominare in modo diverso l’ipotesi di cui trattasi, da teoria "dell’etere trascinato" a teoria "dell’etere trascinante": il nuovo appellativo evidenzierebbe la possibilità che sia un etere attivo e dinamico il soggetto che trascina con sé i corpi nel "suo" movimento, e non viceversa corpi posti in movimento forzato a trascinare questo con sé39. In altre parole, l’ipotesi che ogni corpo, anche se non di "grande" stazza, come potrebbe essere un pianeta, trascinerebbe totalmente con sé l’etere, appare veramente irrealistica, e facile in effetti confutarla.

Abbandoniamo la discussione su questo primo punto esprimendo le supposizioni che: la velocità assoluta di un laboratorio terrestre, se non proprio zero, sia almeno molto vicina allo zero; e che, compatibilmente con l’ipotesi dell’etere trascinante, sia eventualmente soltanto la velocità di rotazione diurna della terra la candidata più probabile a essere rilevata40, e passiamo al secondo punto, e cioè alla discussione se esista o no una forza agente su una carica di prova a riposo rispetto a un circuito percorso da una corrente stazionaria I, solidale con un laboratorio terrestre. È abbastanza sorprendente scoprire che in effetti una forza abbastanza simile è stata già osservata. Sono stati pubblicati rapporti sperimentali41 che affermano di aver rilevato una forza nelle condizioni specificate, la cui esistenza è detta risalire a cause "sconosciute". Nella spiegazione che qui si propone, la causa invece potrebbe trovarsi in una possibile velocità assoluta, e si sarebbe indotti a pensare che soltanto un "pregiudizio" di tipo relativistico non ha permesso ai citati ricercatori di arrivare alla conclusione "giusta". In realtà, la situazione è più complicata di quanto non appaia a prima vista, come subito diremo, e quello che bisogna fare - e questo sì che non è stato fatto assai verosimilmente per via di un pregiudizio - è indagare più in profondità. Il problema è che l’effetto osservato sembrerebbe dipendere dal quadrato della intensità della corrente, e quindi non dal suo verso di circolazione, mentre nei lavori citati non c’è informazione sulla dipendenza o meno della forza rilevata dall’orientazione dell’apparato strumentale. Ciò conduce a ritenere che queste esperienze possano dimostrare, tra l’altro, che è assai probabile che il postulato di Clausius, che abbiamo utilizzato nei nostri precedenti calcoli, sia falso42. In altre parole, che quando una corrente I passa in un conduttore "reale" (e quindi non in una "linea geometrica" senza spessore), la densità di corrente di questo non resta uguale a zero (nel secondo dei lavori citati si afferma che "the conductor appears to possess a net positive charge"). Chiameremo questo eventuale nuovo fenomeno l’effetto Edwards.

Il problema di distinguere tra EMC e EMR in un laboratorio terrestre diventa allora più difficile, in quanto sono impossibili previsioni quantitative, perché non si sa come quantificare con precisione questo effetto Edwards, e bisogna riconoscere peraltro che, se ci fosse stato un vistoso drift-effect del laboratorio, questo sarebbe stato comunque notato. Bisogna presumere allora che il drift-effect, se esiste, è quasi certamente più piccolo dell’effetto Edwards, e ne resta quindi occultato, ma naturalmente le sue caratteristiche particolari dovrebbero in ogni caso consentire di separarlo da altri effetti. La questione rimane in sostanza aperta, e sembra potersi risolvere (almeno per quello che riguarda le prove che bisogna effettuare in un laboratorio terrestre) con l’esperimento che andremo finalmente a illustrare nel prossimo paragrafo, e che chiameremo esperimento di Kennard-Marinov43.
 
 

9 - Invece che una carica q piazzata nel centro O di S, si immagini di utilizzare un sottile conduttore C (sostanzialmente, un’antenna) con un’estremità in O e l’altra vicino al filo percorso da corrente, come nella seguente figura:
 
 

********FIGURA******
 
 

Per un dato valore di I, se esistesse un drift-effect, questo metterebbe in moto gli elettroni liberi presenti in C, e provocherebbe quindi una differenza di potenziale d V tra i punti A e B. L’esperimento che si propone consiste proprio nella rilevazione di una tale tensione. Naturalmente, quella che si può osservare è soltanto la tensione totale D V presente alle estremità di C, che potrebbe essere dovuta a varie cause, tra le quali anche il possibile richiamato effetto Edwards. Nonostante tutto, però, l’esistenza di un contributo del tipo di d V si potrebbe evidenziare osservando una dipendenza di D V, anche in piccola misura, non soltanto dall’intensità della corrente, ma anche dal suo verso, visto che, per quanto riguarda il solo effetto Edwards, in un caso d V si andrebbe ad aggiungere a questo, e nell’altro a contrastarlo. Anche altre cause di possibile origine di D V, quali la presenza del campo magnetico terrestre, la non-inerzialità del laboratorio terrestre, effetti termoelettrici, etc., avrebbero come l’effetto Edwards la caratteristica di essere indipendenti dal verso della corrente, e quindi non darebbero problemi ai nostri fini. C’è poi ancora un altro modo molto importante per rilevare l’eventuale presenza di d V in D V, e cioè la dipendenza di D V dall’orientazione dell’apparato strumentale. Basterà predisporre una base girevole assieme alla quale la spira possa ruotare, e permettere anche la rotazione del "sensore" C intorno a O: si dovrebbe osservare un effetto "massimo" per certe ben precise posizioni del piano a e di C (ricordiamo, quando a contenesse v, e quando C fosse perpendicolare alla direzione di v). Tutte queste circostanze messe insieme permetterebbero di individuare almeno qualitativamente l’agognato drift-effect senza ombra di dubbio.

Osserviamo ancora che, per evitare di "chiudere" il circuito che va dagli estremi di C all’apparato di misura - con il rischio di non misurare nulla, dal momento che per circuiti chiusi non si dovrebbe prevedere alcuna asimmetria - si può collegare l’armatura di un condensatore K (già riportato nella precedente figura) a un estremo di C, e l’altra armatura a terra, di modo che la misura della carica indotta su K sarebbe una misura della ricercata tensione (e al posto di un semplice condensatore, allo scopo di effettuare misure più sensibili, si potrebbe usare un amplificatore di carica).
 
 

Riportiamo infine i valori previsti per la differenza di potenziale d V dovuta unicamente al drift-effect, calcolata sulla base della teoria precedentemente esposta. Per fissati valori di I e di v = ||v||, nel caso ottimale dianzi specificato (v nella direzione dell’asse delle x, C in quella dell’asse delle y, la corrente circola in S in senso antiorario rispetto all’asse delle z) si trova che la forza agente per unità di carica in un punto (0,y,0) del sensore (0£ y <L, L lunghezza di C, L < r) è uguale, a meno di effetti del secondo ordine in b , a:
 
 

(18) -(m 0Iv/4p r)(1+(y/r)2)-3/2  INT [0,2p ] [(sin2(q )-ysin(q )/r)(1-2ysin(q )/(r+y2/r))-3/2dq iy)] .
 
 

E’ allora sufficiente integrare questa espressione da 0 a L, per avere il risultato. Se diciamo g (s) la tensione prevista, avendo posto s = L/r il rapporto tra la lunghezza di C e il raggio della spira, si trova in definitiva che g (s) è uguale a:
 
 

(19) 10-7Iv INT [0,s] [(1+u2)-3/2(INT[0,2p ] (usin(q )-sin2(q ))(1-2usin(q )/(1+u2))-3/2dq )du] ,
 
 

e l’integrale doppio I(s) che compare nella (19) può essere stimato per diversi valori di s come segue:
 
 

I(0.1) @ 0.31 , I(0.2) @ 0.64 , I(0.3) @ 0.98

I(0.4) @ 1.34 , I(0.5) @ 1.75 , I(0.6) @ 2.23

I(0.7) @ 2.82 , I(0.8) @ 3.63 , I(0.9) @ 5.08 .
 
 

In pratica, al posto di S può essere utilizzato un solenoide con un migliaio di spire, e per 1 Ampére circolante nel solenoide, per una velocità v dell’ordine di 10 m/sec, si otterrebbe per s = 9/10 un valore dell’ordine di 1/100 di Volt. L’esperimento appare quindi ben possibile, e la sua sola possibilità di concezione dimostra che si può falsificare il principio di relatività con esperimenti a bassa velocità, come asserito.
 
 

Terminiamo sottolineando come non basti constatare l’inesistenza dell’effetto ricercato per sostenere che il principio di relatività è valido nel campo dell’elettromagnetismo, perché bisognerebbe allora ripetere comunque le osservazioni in un laboratorio in movimento rispetto alla Terra (per esempio su un aereo, o un satellite artificiale?!). Inoltre che, conformemente a concezioni dell’etere del tipo di quelle qui delineate, ci si debbono aspettare valori diversi della detta tensione a seconda delle diverse quote su livello del mare in cui si effettua l’esperimento, e che, se ci fosse davvero una dipendenza dalla velocità di rotazione diurna della Terra, si debbono allora anche prevedere valori diversi a seconda delle diverse latitudini - e forse pure delle diverse ore della giornata?!, è oggi inusuale attendersi che i risultati di un esperimento possano dipendere dal momento in cui questo si effettua, o, peggio, dalla stagione (come in alcune antiche pratiche alchemiche!), ma uno studio assolutamente privo di pregiudizi non può trascurare, almeno all’inizio, alcuna possibilità...
 
 
 

Ringraziamenti - L’autore desidera menzionare con viva gratitudine Marco Mamone Capria e Stefan Marinov, per numerose discussioni sull’argomento, e Luigi Mantovani, dell’Istituto Tecnico Industriale di Foligno, per avere collaborato ad alcuni tentativi di esecuzione dell’esperimento qui descritto presso il suo Istituto, con risultati incoraggianti (soprattutto in ordine alla dipendenza dei dati sperimentali dall’orientazione dell’apparato), ma di difficile interpretazione.
 
 

Nota editoriale - Questo articolo è stato redatto per la prima volta nell'agosto 1990, e revisionato in seguito nel gennaio 1994, per un progetto di libro poi mai giunto a conclusione (ma si ringrazia comunque l'Editore Di Renzo, Roma, per avere predisposto con molta accuratezza il testo dell'articolo). L'ultima revisione risale all'aprile 1998, grazie anche alla cortese assistenza del personale del Centro Stampa dell'Università degli Studi di Perugia, in particolare nelle persone della Sig.ra Maria Grazia Lilli e del Sig. Roberto Cozzari. Questa revisione ha ispirato una prima esecuzione dell’esperimento ivi descritto da parte del Prof. Fabio Cardone, dell’Università dell’Aquila, che ha messo in evidenza una netta ancorché piccola anisotropia, la quale appare però, ancora una volta, di difficile interpretazione44.
 
 

NOTE


 





* Dipartimento di Matematica, Università degli Studi, 06100 Perugia, Italy.

1  Si veda ad esempio R.L. Oldershaw, “The new physics - Physical or mathematical science?”, Am. J. Phys., 56 (12), 1988.

2 Contro il metodo - Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, Feltrinelli, Milano, 1984, p.53.

3 Parabole e catastrofi, a cura di G. Giorello e S. Morini, Ed. Il Saggiatore, Milano, 1980, p. 27.

4 Dinamica reticolare dello spazio-tempo, Inediti, Soc. Ed. Andromeda, Bologna, N. 27, 1990.

5  Secondo un’azzeccata espressione di F. Selleri (La causalità impossibile - L’interpretazione realistica della fisica dei quanti, Ed. Jaca Book, Milano, 1987, p. 13), siamo qui di fronte a una vera e propria epistemologia della rassegnazione, mentre il premio Nobel per la fisica R.P. Feynman sembra battersi (in QED - The strange theory of light and matter, Princeton University Press, 1985) perché la responsabilità della situazione sia tutta ascritta, anziché ai fisici, alla Natura stessa, in quanto intrinsecamente assurda, almeno per l’umana ragione, esortando nel contempo a evitare i rischi per la propria integrità mentale che conseguirebbero dal voler cercare di comprenderne le manifestazioni entro i limiti della cosiddetta razionalità ordinaria.

6  C. Bernardini, L’Espresso, N. 43, 1984, p. 199.

7 Si veda per esempio F. Selleri, La causalità impossibile, cit..

8 Secondo un’espressione di T.E. Phipps, Heretical Verities: Mathematical Themes in Physical Description, Classic Non-Fiction Library, Urbana, 1986, p. 9. Tra i più attivi critici della teoria della relatività si può annoverare senz’altro il recentemente scomparso fisico bulgaro S. Marinov, il quale ha pubblicato in proprio (tra l’altro) tutte le lettere di rifiuto dei suoi lavori in una monumentale The Thorny Way of Truth, giunta fino a un nono volume (tra il 1982 e il 1991). Tra questi rifiuti ce n’è uno, proveniente dagli Annals of Physics (loc. cit., Vol. I, p. 214), che dice, senza entrare nel merito dell’articolo presentato per la pubblicazione: “la teoria della relatività ristretta è stata verificata in un enorme numero di situazioni sperimentali, sicché ogni tentativo di modificarla deve perciò non solo dimostrare qualche deviazione sperimentale, ma anche dimostrare come il grande insieme delle prove a conferma possa essere reinterpretato o dimostrato falso”. Tale motivazione appare una perfetto conferma del fatto che “il sapere può diventare più pesante di una catena”, e che alcuni ambienti sfavoriscono oggi di fatto ogni tentativo di discussione critica su teorie che sono elette a simbolo della compattezza e dell’affidabilità di una scienza che non può mostrare di condividere certi dubbi, tanto più quando essi provengano da parte di ricercatori “non integrati” (del resto, non è proprio una novità ritenere che “da Galilea non viene profeta”). Liberarsi da una siffatta eredità non sarà troppo facile: alle soglie del nuovo millennio ci vorrebbe un nuovo “rasoio di Occam” per liberarsi dai guasti provocati dalla diffusa mancanza di un’“etica scientifica”. Per quanto riguarda un istruttivo caso italiano, si può ricordare quello di G. Cannata, autore di un’interessante Interpretazione meccanica dell’elettromagnetismo per una visione unitaria dei fenomeni fisici (apparsa anche come “Mechanical Image of Electromagnetism” in Proceedings of the Conference on Foundations of Mathematics and Physics, Perugia 1989, B. Wesley Publ., 1990), il quale non viene ritenuto idoneo allo status di professore associato da una Commissione di professori universitari, che sottolinea come “non potrebbe non rilevarsi la positività” dell’attività didattica del Cannata “se [questi] non si ostinasse a indulgere a idee [..] che dimenticano non solo il travaglio di mezzo secolo XIX, ma anche che la fisica moderna ha, nella teoria della relatività, una delle spiegazioni più semplici”. La Commissione conclude perciò che le posizioni del candidato sono “evidentemente sbagliate ed arretrate”, e non si accorge di offrire proprio lei invece con tali parole un esempio di arretratezza, oltre che culturale anche morale.

9  Non bisogna dimenticare quanto fu intensa ed esplicita la collaborazione offerta da matematici quali D. Hilbert, H. Minkowski, H. Weyl, etc., allo sviluppo e all’affermazione delle teorie relativistiche e quantistiche, nel successo delle quali vedevano confermate nel campo della fisica, anche se con qualche differenza di posizione personale, le loro particolari concezioni matematiche (in una parola, si potrebbe parlare di questa tendenza come dello spirito di Gottinga, dal nome della città in cui aveva sede l’università che fu centro della rivoluzione in chiave astratta e formalista che ha investito tutta la scienza del XX secolo). Su tale argomento vedi per esempio: L. Pyenson, The young Einstein - The advent of relativity, A. Hilger Ltd, Bristol and Boston, 1985 (nel quale si parla esplicitamente di “Physics in the shadow of Mathematics”, p. 101); oppure, del presente autore: “La svolta formalista nella fisica moderna”, in Quaderni Progetto Strategico del CNR Tecnologie e Innovazioni Didattiche, Epistemologia della Matematica, a cura di F. Speranza, N. 10, 1992.

10  Su questi problemi si vedano ad esempio, ancora del presente autore (le autocitazioni non sono proprio il massimo, ma il fatto è che di certe cose non sembra volersi occupare quasi nessuno!): “Tendenze ‘monofisite’ nei fondamenti della matematica”, in Incontri sulla Matematica, N. 3, Quaderni della Mathesis, Ed. Armando, Bologna, 1986; “Fondamenti della teoria dei numeri reali”, in Dove va la scienza - La questione del realismo, a cura di F. Selleri e V. Tonini, Ed. Dedalo, Bari, 1990; “Riflessioni sui fondamenti della matematica ed oltre”, Synthesis, N. 4, Di Renzo Ed., Roma, 1994.

11  Secondo la quale, l’introduzione del concetto di etere sarebbe “superflua” (questa posizione rappresenta in fondo il modo più semplice di risolvere la questione, cioè ignorarla). La conseguenza è stata che l’etere finì presto con l’essere dichiarato inesistente, e questo forse al di là delle intenzioni dello stesso Einstein (cfr. ad esempio L. Kostro, “Outline of the History of Einstein’s relativistic Ether Conception”, in History of General Relativity II International Conference, 1988, Luminy, J. Eisenstaedt e D. Howard Ed., Birkhäuser). F. Winterberg, in “The Goal Towards Unified Theory of Elementary Particles and the Ether Hypothesis” (contenuto in Physical Interpretations of Relativity Theory. Proceedings, London, 1988) sostiene che i molto promettenti tentativi della fine del XIX secolo nella direzione di una conoscenza della “struttura” dell’etere “were brought to an abrupt end by Einstein’s rejection of the ether and its replacement by his well-known postulates”.

12  B.H. Lavenda ed E. Santamato affermano per esempio che “Quantum indeterminism is explainable in terms of the random interactions between quantum particles and the underlying medium in which they supposedly move” (“The Underlying Brownian Motion of Nonrelativistic Quantum Mechanics”, Foundations of Physics, Vol. 11, N. 9/10, 1981, p. 654).

13  È infatti certamente vero che si sono trovate spesso a fronteggiarsi nella storia della scienza teorie radicalmente antitetiche (un esempio per tutti è lo scontro tra la concezione tolemaica e quella copernicana del cosmo), ma mai come nel caso della TRR si sono trovate in contrapposizione teorie non tutte ugualmente fondate sulle stesse nozioni di spazio e di tempo. Per affrontare un caso paradigmatico, il punto di vista di Copernico vinse sì quello di Tolomeo, ma non si può dire che una teoria fosse più “irrazionale” dell’altra, tanto è vero che come “prima” era abbastanza semplice “credere” a Tolomeo, “dopo” fu altrettanto semplice, e abbastanza immediato, credere a Copernico e a Galileo (tanto che alcuni architetti, all’epoca di queste polemiche, adottarono con allusivo entusiasmo la figura dell’ellisse nella pianta di alcune chiese). Per inciso, anche in questo caso si pone il dubbio che fu solo una “moda ideologica” a decidere della questione (cfr. la successiva Nota N. 16), anziché un rigoroso criterio scientifico, visto che c’è chi sostiene, e non senza fondamento, che il sistema tolemaico fosse “superiore” a quello copernicano in ordine a capacità di precisione osservativa. Solo nel caso della TRR i tanti anni che ci dividono dalla prima presentazione della teoria non sembrano aver placato le reazioni e le polemiche, anche se ci sarebbe da notare a tale riguardo la seguente curiosa “antinomia”: se da un canto la teoria di Einstein non può non dirsi rivoluzionaria, come abbiamo spiegato, dall’altro essa non può non dirsi anche conservatrice, perché prende le mosse da concetti fondamentali della meccanica classica di stampo newtoniano, come quelli di riferimento inerziale e di “principio d’inerzia”, ma di ciò avremo modo di riparlare meglio nel seguito.

14  R.P. Feynman, The Feynman Lecture Notes in Physics, Addison- Wesley, Reading, Mass., 1964.

15 M. Bunge (Foundations of Physics, Springer-Verlag, 1967, p. 197) afferma ad esempio che l’elettrodinamica relativistica “is not a new theory but a reformulation of [classical electromagnetism], which was relativistic without knowing it”.

16  È questa la più comune obiezione contro l’opinione che può invece essere sintetizzata con le parole di Spinoza: “Ordo et connectio idearum idem est ac ordo et connectio rerum” (Ethica Ordine Geometrico Demonstrata, Parte II, Prop. 7). Si evidenzierebbe quindi, sottinteso anche nella controversia in oggetto, il leitmotiv della “deantropocentrizzazione”, che fu una delle chiavi del successo della teoria copernicana nei confronti di quella tolemaica: nella stessa linea direttrice si sviluppò poi, con baldanzosa sicurezza, tutta la “scienza illuminista” (il presente autore si è occupato del problema delle eventuali connotazioni ideologiche delle origini della scienza moderna in: America: una rotta templare - Un’ipotesi sul ruolo delle società segrete nelle origini della scienza moderna, dalla scoperta dell'America alla Rivoluzione copernicana, Ed. Della Lisca, Milano, 1995).

17  Tra pochi altri fa ad esempio lodevole eccezione, comunque, il testo di Feynman dianzi ricordato.

18  C’è chi sostiene che la “colpa” di tale fenomeno sia imputabile al fatto che “idee preconcette di spazio e di tempo sono state impiantate nelle nostre menti e rinforzate per tanti anni”, etc. (R.L. Faber, Differential Geometry and Relativity Theory, M. Dekker, 1983, p. 110), ma si potrebbe obiettare: impiantate e rinforzate da parte di chi? Se provassimo davvero a costringere fin dall’inizio dei loro studi i pensieri dei nostri figli negli schemi di geometrie non-euclidee e di spazi curvi, avremo forse finalmente generato una “nuova umanità”?

19  Va specificato che, qui come altrove, il termine “irrazionalità” non è usato per indicare teorie logicamente contraddittorie, ma vuole semplicemente connotare quelle teorie che non riconoscono il ruolo fondante delle nozioni ordinarie di spazio, tempo e causalità (di contro, il riferimento a queste può dirsi costituire una sorta di “principio di razionalità”). Sulla questione si veda anche “Fondamenti della teoria dei numeri reali”, cit., p. 177.

20  Secondo F. Enriques (Le matematiche nella storia e nella cultura, Zanichelli, Bologna, 1983 p. 153): “Pei valori dello spirito come per quelli materiali dell’economia, sussiste una legge di degradazione: Non si può goderne pacificamente il possesso ereditario, se non si rinnovino ricreandoli nel proprio sforzo d’intenderli e di superarli”! Il rischio che si corre oggi, con l’attuale atteggiamento dogmatico e intollerante nel campo della ricerca scientifica (condizionato tra l’altro dal problema molto sentito delle “carriere” e dei “finanziamenti”), è quello di diseducare intere generazioni di studenti, oltre che di ritardare il progresso generale della conoscenza.

21  U. Bartocci, M. Mamone Capria: “Some Remarks on Classical Electromagnetism and the Principle of Relativity”; Am. J. of Phys., 59, 1991; “Symmetries and Asymmetries in Classical and Relativistic Electrodynamics”, Foundations of Physics, 21, 7, 1991.

22  L’insistenza su esperimenti propriamente elettromagnetici è giustificata dalla circostanza, qui più volte sottolineata, che lo spunto per la proposta di assunzione del principio di relatività come uno dei principi generali della Natura fu offerto ad Einstein da un fenomeno elettromagnetico. In verità, l’ottica è diventata ormai un capitolo dell’elettromagnetismo, ma ci sembra si faccia torto all’auspicata trasparenza fondazionale invocando per un chiarimento osservazioni sperimentali che riguardano fenomeni di natura ancora oggi non del tutto ben compresa, e basta pensare al cosiddetto dualismo onda-corpuscolo per rendersene immediatamente conto (ci trovreremmo cioè in una di quelle situazioni per cui è stata coniata l’espressione ignotum per ignotius). Nonostante la rilevanza di tale distinzione, il recente libro di Yuang Zhong Zhang, tutto dedicato ai fondamenti sperimentali della TRR (Special relativity and its experimental foundations, World Scientific, 1997), include, nel breve capitolo dedicato agli esperimenti elettromagnetici (24 pagine appena), diversi esperimenti ottici, come quelli di Fizeau e di Zeeman, o di riflessione della luce con specchi mobili, mentre non menziona neppure classici esperimenti veramente elettromagnetici, quale ad esempio quello di Trouton e Noble.

23  Come esempio della sicurezza ostentata dai fautori di Einstein basterà citare soltanto: “La possibilità che un dubbio sulla teoria della relatività possa essere accolto è la stessa che avrebbe un dubbio sul sistema copernicano” (T. Regge, Cronache dell'Universo, Ed. Boringhieri, Torino, 1981); “Special relativity: Beyond a Shadow of a Doubt” (C. Will, Was Einstein right?, Oxford University Press, 1988). È divertente, oltre che istruttivo, sottolineare come echi di siffatte “certezze” giungano anche in ambienti non scientifici. Una Procura della Repubblica di una grande città italiana dispone l'archiviazione (luglio 1995) di una certa deuncia utilizzando, tra le altre, la seguente motivazione: "Il lavoro scientifico svolto dal [...] prende le mosse da consolidate esperienze e applicazioni della teoria della relatività ristretta formulata da A. Einstein nel 1905, notoriamente accettata a livello mondiale e non superata a livello teorico".

24  Questa espressione fornisce il “giusto” comportamento dei campi E e B all’infinito, ed esclude i cosiddetti potenziali anticipati come privi di un possibile significato fisico. L’integrazione viene effettuata sull’intero spazio, e si ottengono soluzioni “regolari” se si parte da dati regolari per r e per j . Questa unicità non esclude naturalmente la possibilità di operare una trasformazione di gauge del tipo F* = F - H/t , A* = A + ÑH , che fornisce un’altra soluzione delle stesse equazioni di Maxwell quando si scelga H(x,y,z,t) in modo arbitrario, purché tale che oH = 0. Per quanto riguarda il problema delle “sorgenti”, e il fatto che esistono soluzioni non zero e non singolari dell’equazione omogenea d’onda, citiamo da B.H. Chirgwin, C. Plumpton, C.W. Kilmister, Elementary Electromagnetic Theory, vol. 3 (Maxwell’s Equations and their Consequences), Pergamon Press, 1973, p. 549-550: “How is one to interpret such a solution of Maxwell’s equations? There are no singularities - that is, no sources of the field anywhere or at any time. [...] The existence of this kind of solution of Maxwell’s equations suggests that Maxwell’s theory may be incomplete. It seems to lack some additional restriction that will serve that fields originate only from sources like charges and magnets. But we do not know how to modify the theory so as to rectify this defect”. Sempre a proposito della teoria di Maxwell come qui definita, si può osservare che nell’equazione (5) sarebbe forse pensabile di introdurre (all’interno delle parentesi) un termine di dispersione sigma0E, il cui coefficiente numerico starebbe a rappresentare la “conduttività elettrica nel vuoto”. La moderna scelta di evitare il problema, ponendo direttamente sigma0 uguale a zero, non sembra sperimentalmente così ben fondata come dovrebbe essere, e l’ipotesi contraria, sigma0 > 0, ha recentemente guadagnato alcuni seguaci. Naturalmente, la “piccolezza” del coefficiente in parola fa sì che sia legittimo trascurarlo nell’elettrodinamica di cui ci si occupa di solito nelle applicazioni, ma la questione ha comunque notevole importanza ai fini teorici, oltre che cosmologici, perché il termine di dispersione nell’equazione (5) rompe senz’altro la simmetria lorentziana delle equazioni di Maxwell omogenee (una curiosa pura “coincidenza” di carattere matematico, che potrebbe non avere alcuna rilevanza fisica, come non ce l’hanno le equazioni di Maxwell omogenee, ma che tanti guasti ha forse procurato!). L’argomento è stato recentemente riproposto da R. Monti (“The electric conductivity of background space”, Problems in Quantum Physics, Gdansk 1987, World Scientific, 1988), il quale ne ha anche dimostrato l’importanza in problemi di vasta scala; vedi anche J.P. Vigier, “Evidence For Nonzero Mass Photons Associated With a Vacuum-Induced Dissipative Red-Shift Mechanism”, IEEE Transactions on Plasma Science, 18, 1, 1990.

25  Si potrebbe naturalmente “complicare il quadro” introducendo qualche forma della cosiddetta contrazione di Lorentz-Fitgerald (che pure sarebbe perfettamente comprensibile nell’ottica dell’etere, cfr. il paragrafo N. 6), ma vogliamo occuparci qui soltanto dell’elettromagnetismo inteso nella sua accezione più classica. Inoltre, non è verosimile che tale ipotesi possa modificare la situazione nel campo delle “basse velocità”, al quale vogliamo prestare attenzione, né essa può eliminare, se non nella sua interpretazione relativistica, la caratteristica essenziale che qui discrimina EMC da EMR, e cioè la validità del principio di invarianza della densità di carica (si osservi che tale invarianza verrebbe a mancare solo quando si debbano considerare diverse le contrazioni degli elementi di volume solidali uno con le cariche positive, l’altro con quelle negative, in quanto aventi diverse velocità; non c’è luogo invece per il verificarsi di tale circostanza se si pensa a un “reale” accorciamento del materiale del quale è costituito il conduttore percorso da corrente per effetto del suo movimento nell’etere, visto che allora nello “stesso” volume ridotto si dovrebbe trovare sempre un uguale numero di cariche positive e negative).

26  A. O’Rahilly, Electromagnetic Theory - A Critic Examination of Fundamentals, Dover, New York, 1965, vol. II, p. 589.

27  In A.I. Miller, Albert Einstein’s Special Theory of Relativity, Addison-Wesley, Reading, 1981, p. 145, troviamo l’informazione che, in un saggio non pubblicato del 1919, Einstein scrisse esplicitamente: “The phenomenon of the electromagnetic induction forced me to postulate the (special) relativity principle”.

28  Già Maxwell nel suo Trattato aveva provato la validità di un “principio di relatività” per le interazioni tra correnti chiuse, e la sua analisi venne ripresa da A. Föppl nel suo Einführung in die Maxwell’sche Theorie der Elektricität, 1894, che fu probabilmente una delle principali fonti di Einstein (cfr. A.I. Miller, cit., pp. 145 e segg.).

29  Ancora recentemente (luglio 1990; Nature, 346, 12, p. 103), a proposito di siffatto tipo di esperimenti, l’allora direttore di Nature, il fisico J. Maddox, riconosceva che non sono mai stati effettuati propriamente, e che “nessuno conosce la risposta”.

30  Per esempio, quando propone come punto di partenza di un’apparente riflessione “fondazionale” il concetto assai poco chiaro (al di fuori di un ben preciso quadro concettuale) di “riferimento inerziale”.

31  A questo riguardo ci sarebbe luogo per un’osservazione non troppo frequente nella letteratura. Il termine italiano “velocità”, come pure quello tedesco “geschwindigkeit”, non permettono una quanto mai opportuna precisazione, riguardante la differenza che in inglese è resa dai due termini speed e velocity. Il postulato einsteiniano riguarda soltanto l’invarianza della “speed”, ovvero della velocità scalare, della luce, mentre la velocità vettoriale, diciamo di un singolo fotone, può ben dipendere invece da quella della sorgente. In una “rigorosa” teoria dell’etere ci si dovrebbe aspettare, al contrario, una totale indipendenza della velocità (velocity) della luce da quella della sorgente (in un aether-frame), e questa circostanza potrebbe forse essere la base concettuale di qualche esperimento tendente a confrontare previsioni relativistiche e previsioni “classiche”. Per esempio, si potrebbe pensare di mettere una sorgente laser fortemente mono-direzionale sul bordo di una piattaforma circolare, per esempio orientata verso il centro quando l’apparato è fermo in un laboratorio terrestre, e poi andare a vedere se davvero il raggio emesso è “trascinato” o no dalla velocità della sorgente (aberrazione, come la teoria della relatività la prevede!), quando la piattaforma è messa in moto rotatorio uniforme.

32  Anche perché, dei due principi della TRR, è il primo quello più “fondamentale”, in quanto in un certo senso implicante il secondo (cfr. R. Torretti, Relativity and Geometry, Pergamon Press, 1983, pp. 76-82). Invero, se si accetta la validità della TM, sia pure in un solo riferimento inerziale, allora l’invarianza della velocità della luce, in ogni riferimento inerziale, consegue direttamente dalle equazioni di Maxwell plus “principio di relatività”.

33  Non è ovviamente un “caso” che una delle opere che più hanno impregnato di sé lo spirito di questi ultimi secoli si intitolasse appunto "Philosophiae Naturalis Principia Mathematica", titolo tutto coniato in contrapposizione all rivale "Principia Philosophiae" cartesiano, un vero e proprio trattato di “fisica teorica”. Con quelle parole Isaac Newton limitava non soltanto il campo della sua indagine ‘filosofica’ (e da allora in poi anche di quella di tutti gli altri che avessero condiviso la sua stessa impostazione) alla filosofia naturale, vale a dire alla fisica, ma specificava anche la “superiorità” del suo metodo, basato sulla “matematica”. È forse curioso osservare che la specificazione finale sulla veste dei suoi Principia venne evidenziata in un’edizione olandese del testo (Amsterdam, 1723) con un carattere di formato molto più grande di quello usato per le altre tre parole che costituivano il titolo (il libro di Newton fu pubblicato per la prima volta a Londra nel 1686, ma in quell’occasione non fu dato altrettanto rilievo tipografico al termine “Mathematica”).

34  Coerente con questo punto di vista, sarebbe l’affermazione che un riferimento “a riposo” può avere soltanto un significato “locale”, perché non è da escludersi che lo spazio possa trovarsi in differenti stati di moto da una regione all’altra. Potrebbe cioè ben accadere che diversi osservatori, sostenenti entrambi a ragione di essere in quiete assoluta (per esempio, dopo aver eseguito l’esperimento che in questo lavoro si propone!), risultino invece in stato di moto l’uno rispetto all’altro. Sarebbero questi gli unici riferimenti da considerarsi inerziali, e solo in essi lo “spazio vuoto” apparirebbe omogeneo e isotropo, nei limiti di validità del riferimento. Il moto anche uniforme rispetto a uno di questi “aether-frames” sarebbe capace di provocare una “reazione”, e il principio di inerzia potrebbe essere così modificato: “ogni corpo tende ad assumere lo stato di moto dello spazio circostante”. Naturalmente, il problema della “struttura” intima, e della costituzione dell’etere, è ancora molto lontano dall’essere risolto, anche per le ragioni indicate nella Nota 11, ma questo vuol dire soltanto che il nuovo secolo potrebbe aprirsi per la fisica con una sfida intellettuale affascinante. Si vuole ricordare qui esplicitamente il contributo nella direzione auspicata di dimenticati e trascurati scienziati italiani non “integrati”, quali Olinto De Pretto, Niccolò Mancini, Marco Todeschini, il cui nome e le cui opere il presente autore cerca di fare uscire, nel corso di questo tipo di attività di ricerca, dall’ingiusto oblio nel quale sono state relegate, a causa anche di una “moda positivista”, e di un malinteso senso di “superiorità accademica” (al primo di essi, e alla sua più importante intuizione scientifica, è già dedicato comunque un recente studio del presente autore: Albert Einstein e Olinto De Pretto - La vera storia della formula più famosa del mondo, Ed. Andromeda, Bologna, 1999).

35  Si osservi anche esplicitamente come la teoria qui presentata preveda l’invarianza dell’effetto descritto sotto l’azione del gruppo delle rotazioni del piano alpha della spira intorno a un particolare diametro di essa.

36  Si veda per esempio la tabella riportata alla p. 36 di R. Resnick, Introduzione alla relatività ristretta (Ed. Ambrosiana, Milano, 1969).

37  G. Cavalleri, L. Galgani, G. Spavieri, G. Spinelli, “Esperimenti di ottica classica ed etere”, Scientia, 111, 1976, p. 670: “Alcuni libri di testo di relatività ristretta affermano, senza dare una storia dettagliata del problema della aberrazione, che la teoria di Stokes è sbagliata, prendendo in considerazione soltanto un argomento che, a prima vista, è convincente. Vogliamo qui chiarire questa situazione paradossale mostrando che il loro argomento è basato su un equivoco: precisamente, l’etere da essi considerato non è irrotazionale, e dunque non ha nulla a che vedere con l’etere di Stokes”. Naturalmente, tale osservazione non elimina altri problemi legati alla possibile struttura del “mezzo”, come l’apparentemente contraddittoria compresenza nelle onde elettromagnetiche di caratteristiche quali l’alta velocità e la trasversalità, o la fino ad oggi non rilevata esistenza di “onde d’etere” longitudinali.

38  Cfr. per esempio: G. Antoni, U. Bartocci, “A simple classical interpretation of Fizeau’s and Hoek’s experiments”, 1999, preprint (sottoposto per la pubblicazione in Foundations of Physics Letters).

39  Si tratterebbe, in altre parole, della “vecchia” teoria dei vortici di Cartesio-Leibniz.

40  Non bisognerebbe dimenticare a questo proposito che l’effetto della rotazione diurna della terra sulla velocità della luce è stato già rilevato con successo dallo stesso A.A. Michelson del celebre esperimento, in collaborazione con H.G Gale, e prima di loro ancora da G. Sagnac. “Sfortunatamente”, la teoria della relatività appare perfettattamente in grado di spiegare gli stessi risultati (cfr. per esempio: E. Borel, Space and Time, Dover Pub., New York, 1960, p. 190; per un parere contrario, invece: R. Monti, “The Michelson-Morley, Sagnac and Michelson-Gale Experiments”, Atti del IX Congresso Internazionale di Storia della Fisica, Overseas, Milano, 1988). L'ipotesi in questione è stata recentemente ridiscussa da H.C. Hayden (“Experimentum Crucis”, Galilean Electrodynamics, 1, 1, 1989), il quale argomenta come i risultati del famoso esperimento elettromagnetico di Trouton-Noble potrebbero essere compatibili con una velocità assoluta del laboratorio terrestre di circa 300 m/sec, cento volte inferiore ai 30 km/sec che si stava cercando, invano, di mettere in evidenza. E' interessante notare che in effetti al termine del lavoro illustrante un altro celebre esperimento, considerato “a favore della teoria della relatività” (“Experimental Establishment of the Relativity of Time”, R.J. Kennedy & E.M. Thorndike, Phys. Review, 42, 1932) si riconosca l’esistenza di una (piccola) fluttuazione avente un periodo di 24 ore. Inoltre, conformemente al principio che un campo magnetico è generato da una carica elettrica in movimento nell'etere, questa ipotesi sembra essere capace di spiegare anche l’origine del campo magnetico terrestre, come effetto della detta velocità di rotazione diurna del pianeta Terra, e del suo ben noto possesso di una carica elettrica negativa (vedi per esempio: U. Bartocci, “On a possible experimental discrimination between classical and relativistic electrodynamics”, Atti del Convegno Internazionale "Quale fisica per il 2000?, Ischia, 1991, Ed. Andromeda, Bologna, 1992; S. Marinov, “A new hypothesis for the origin of Earth's magnetism”, Deutsche Physik, 2, 5, 1993; “Earth’s rotation is the cause for its magnetization”, Il Nuovo Cimento, Vol. 19 C, N. 2, 1996).

41  W.F. Edwards, C.S. Kenyon, D.K. Lemon, “Continuing investigation into possible electric fields arising from steady conduction currents”, Physical Review D, 14, 4, 1976; R. Sansbury, “Detection of a force between a charged metal foil and a current-carrying conductor”, Rev. Sci. Instrum., 56, 3, 1985. Il primo gruppo di ricercatori ha successivamente pubblicato una parziale smentita: “Electric Potentials Associated with Steady Conduction Currents”, Phys. Lett. A, 162, 1992.

42  A questo riguardo, si vedano anche: O. Jefimenko, “Demonstration of the Electric Fields of Current-Carrying Conductors”, Am. J. of Phys., 30, 1962; T. Ivezic, “The ‘relativistic’ electric fields produced by steady currents: comparison with experiments”, Phys. Lett. A, 156, 1-2, 1991; A.K.T. Assis, W.A. Rodrigues, A.J. Mania, “The Electric Field Outside a Stationary Resistive Wire Carrying a Constant Current”, 1999, preprint, accettato per la pubblicazione in Foundations of Physics.

43  Con questa scelta, si vogliono ricordare il nome e l’opera di E.H. Kennard (cfr. ad esempio: “On Unipolar Induction - Another Experiment and its Significance as Evidence for the Existence of the Aether”, Phil. Mag., 33, 1917), e l’appassionata attività del già ricordato S. Marinov, a favore della interpretazione “classica” dell’elettromagnetismo. Si osservi esplicitamente che l’esperimento qui proposto può essere propriamente considerato come una verifica alquanto diretta (modulo naturalmente il modello standard della corrente elettrica) della validità della legge di composizione galileiana delle velocità, contrapposta all’analoga legge relativistica.

44  I risultati della sperimentazione sono contenuti in: U. Bartocci, F. Cardone, R. Mignani, “New electromagnetic test of breakdown of local Lorentz invariance: Theory and esperimental results”, 1999, preprint (sottoposto per la pubblicazione in Physics Essays).