Riflessioni (finalmente decenti) sul femminile

e sulla famiglia...

 

Sono lieto di poter una volta tanto offrire ai frequentatori di questo sito un CONSENSO, relativo ad alcune considerazioni che provengono da una donna, e da quel versante cattolico che ho piu' volte riconosciuto essere uno degli ultimi "baluardi" della nostra civilta' in pericolo di estinzione. Peccato per chi scrive non riuscire a condividere con talune persone un aspetto essenziale, e cioe' la "fede"...

Concludo il "pezzo" con un altro intervento, sempre da parte cattolica, questa volta sulla "famiglia", come non convenire con certe affermazioni?

 

(UB, agosto 2001)

* * * * *

Subject: riflessioni al/sul femminile

Date: Mon, 30 Jul 2001 11:12:54 +0200

From: " Assuntina Morresi" <morresi@unipg.it>

DIBATTITO Il modello dell'emancipazione non basta più: ora si riscoprono maternità e cura - Femministe anno zero

L'idea della femminilità è condizionata dall'immagine delle modelle e dall'imitazione degli uomini - Simboli e gesti inghiottiti dal narcisismo di massa - Lucetta Scaraffia

Sono anni, ormai, che nel dibattito intorno al femminismo, al cambiamento del ruolo delle donne nella società italiana, non si sente niente di nuovo, a differenza di quello che succede per il Sessantotto. Tutto cambia, anche molto velocemente, ma si direbbe che nessuno abbia il coraggio di riflettere: il politicamente corretto paralizza ogni dibattito in frasi fatte. Controcorrente sono le tesi di Eugenia Roccella, con il breve saggio Dopo il femminismo pubblicato nei quaderni della Fondazione Ideazione. Eravamo abituati da decenni a identificare ogni tipo di elaborazione teorica femminista con la sinistra: questa volta, invece, è proprio da destra che viene la più intelligente e nuova analisi del ruolo delle donne nella nostra società. Oggi infatti, scrive l'autrice, "la sinistra è sempre meno in grado di rappresentare le donne, ma non lo sa", così come la destra, che non sembra interessata a entrare in contatto con la circolazione delle idee del femminismo, e che invece potrebbe con più facilità sposare alcune tesi femministe, specie quelle legate alla maternità e alla famiglia. Ad un primo e superficiale sguardo, non solo sembra siano stati raggiunti tutti i traguardi, ma sembra anche che la sensibilità comune abbia digerito il femminismo, mentre la politica lo ha banalizzato e introiettato e i media continuano a diffonderne una versione volgarizzata. Ma questa situazione pacifica è solo apparente: un'attenta analisi del nostro più recente passato e uno sguardo critico sul presente ci portano a ben diverse conclusioni: come scrive la Roccella, "ogni obiettivo raggiunto scopre il fianco, mostra il suo lato in ombra, si rovescia nel proprio contrario". Soprattutto, preoccupa la distruzione dei saperi femminili, a cui si contrappone l'appiattimento dell'identità femminile su quella maschile. Sulla cancellazione dell'identità femminile pesa soprattutto "l'oscuramento e la desacralizzazione dell'essere (e apparire) madre". I modelli di femminilità proposti vanno da quello androgino delle modelle a un'accentuazione esasperata fino al ridicolo dei caratteri della donna come oggetto sessuale. Nelle immagini con cui i media ci bombardano manca infatti quella a cui eravamo più abituati, la donna con il bambino in braccio, così legata alla devozione popolare mariana. Le madri di oggi sembrano inoltre avere perso il contatto con il sapere femminile tradizionale relativo all'allevamento dei bambini: dipendono da pediatri, manuali e riviste, le cui informazioni sono proposte nel linguaggio asettico della divulgazione scientifica, spogliate del calore del vissuto e soprattutto dell'idea di autorità femminile che le accompagnava. Il modello materno, insieme a quello paterno, è stato inghiottito dalla cultura del narcisismo di massa: non ci si deve dunque stupire per il forte calo delle nascite che caratterizza l'Occidente. La maternità, comunque, continua a esistere - ed è forse l'unico rapporto davvero indissolubile rimasto nella società contemporanea - ma "abbandonata a se stessa in un deserto sociale e affettivo che impoverisce le donne sia dal punto di vista simbolico che da quello economico". Ripercorrendo l'elaborazione teorica del femminismo degli anni Settanta, la Roccella rintraccia il nodo critico, individuato ma non difeso sino in fondo, del rapporto fra madre e figlia, la "catena grazie a cui le donne possono porsi come soggetti di discorso autorevoli". Invece di ricollegarsi a questa genealogia femminile, forte ma priva di potere sociale, le donne hanno preferito entrare nel mondo culturale maschile e mimetizzarsi da uomini: come già avevano rilevato teoriche femministe come Luisa Muraro, non potendo attingere all'autorità simbolica materna in modo diretto, le donne di oggi imitano l'unico esempio riconosciuto di autorità, che è quello degli uomini. Questo è avvenuto anche in campo politico, dove non esiste più un progetto politico femminile chiaro e comprensibile a tutte: la sinistra non ha mai davvero accettato la sostanza del rapporto tra la donna e la famiglia, preferendo puntare sull'emancipazione ottenuta attraverso l'occupazione, e scommettendo sulla scomposizione del nucleo familiare classico. Roccella ha il coraggio di smentire questo luogo comune, cioè la contrapposizione fra liberazione della donna e ruolo familiare: "La resistenza della famiglia e dei desideri profondi di stabilità affettiva, il mantenimento della memoria e del legame intergenerazionale sono probabilmente ancora gli assi cartesiani che orientano la scelta politica delle donne", come dimostra il fatto che i candidati premier sfoggiano compiaciuti belle famiglie. I progetti politici invece si sono attestati sulla creazione di uno Stato sociale, assistenzialista, che cerca di convogliare su di sé i compiti e gli attributi del ruolo materno, strumentalizzando la volontà di emancipazione femminile. Il trasferimento di compiti, scrive Roccella, ha determinato così "lo svuotamento di senso e di credibilità della famiglia, della sua capacità di educare, curare, trasmettere valori". Le donne, private dei loro tradizionali saperi, come la cucina e la cura, saranno anche presto sostituite, probabilmente, nel loro ruolo biologico di procreatrici. L'ingegneria genetica contrappone infatti alla imperfezione della nascita umana la perfezione di quella scientifica, promettendo bambini perfetti, senza tare genetiche o imperfezioni, ma anche privati del calore dell'amore umano della maternità, della sua componente simbolica, sacrale, culturale. Non si può quindi che convenire con le conclusioni dell'autrice, che propone cioè una de-maschilizzizzazione della società che restituisca valore sociale al lavoro di cura e rinunci al desiderio di onnipotenza maschile per valorizzare la cultura femminile, che ha sempre avuto cura dell'imperfezione, del difetto, della mancanza: "Se osserviamo bene, dietro la ripetitività paziente dei gesti del lavoro di cura e delle pulizie domestiche c'è una forza utopica inesplorata che ha mandato avanti (e conservato!) il mondo".

Lucetta Scaraffia

* * * * *

Subject: LA CRISI DELLA FAMIGLIA GENERA MOSTRI.

Date: Tue, 07 Aug 2001 06:59:04 +0200

From: David <botti.d@tiscalinet.it>

Reply-To: politica_cattolici-owner@yahoogroups.com

To: politica_cattolici@yahoogroups.com

Come interpretare certe notizie di cronaca nera che coinvolgono il focolare domestico, macchiandolo di sangue come i fatti di Novi Ligure, di Pompei o della figlia che ha mandato all'ospedale il padre e la madre avvelenandoli.

Hanno ragione certi pulpiti giornalistici, cinematografici e televisivi quando addebitano l'origine di ogni male alla famiglia? Ma di quale famiglia si parla, quella sana o meglio "tradizionale", oppure l'"altra" famiglia, prodotta dalla cultura sessantottina? Quella cultura progressista che ha attaccato la famiglia come una cittadella assediata, erodendola dalle sue fondamenta, riducendola a un ammasso di rovine.

Si chiede Paolo Pugni sul Timone n.13 di maggio-giugno 2001: "Che famiglia ha prodotto la cultura sessantottina? Che cosa rimane della famiglia dopo l'approvazione delle leggi sul divorzio e sull'aborto? Come non vedere nelle tragedie di oggi le conseguenze di una politica e di una cultura che hanno esaltato l'egoismo del singolo sopra ogni cosa? La cultura del libertinaggio, dell'autorealizzazione a tutti i costi, vanamente mascherata dal buonismo e dalla tolleranza, ha generato una famiglia che non è più se non una forzata coabitazione, un contratto economico, una convivenza a tempo".

Purtroppo il nostro tempo, spesso, non riesce a collegare gli effetti alle cause; sarebbe interessante capire perché siamo pervenuti al profondo degrado della nostra società.

La violenza giovanile di questi ultimi mesi è la naturale conseguenza di quella semina di veleni esercitata trent'anni fa, dell'abbandono di quei valori e sani principi che caratterizzavano la tanto vituperata società "tradizionale".

Oggi si raccolgono i frutti di quella semina. In particolare è venuta meno la famiglia sana il luogo dove si impara tutti gli uni dagli altri, nella mutua correzione e nel reciproco amore. Dove quello che conta è la felicità dell'altro e non solo la mia, dove è bene non solo quello personale, ma quello comune. Dove la libertà è un mezzo per giungere al bene e non un fine, come insegna la cultura progressista.

E' la famiglia il luogo privilegiato dove ogni persona è valorizzata in quanto tale, dove si impara a sviluppare tutte le potenzialità, attraverso la fatica, l'educazione. Ma oggi non è più così, la famiglia è diventata un luogo di egoismi, dove sono stati svuotati i ruoli dei propri componenti, penso al padre, o alla madre. La società occidentale è stata protagonista di una rivoluzione contro e nella famiglia, certe volte è stata, giustificata e perfino promossa, accompagnata sempre da quell'ideologia della "morte del padre".

La famiglia di oggi è privata della sua forza, rispetto alla società non ha più nessun potere. I frutti sono sotto gli occhi di tutti, basta sfogliare la cronaca nera di qualsiasi giornale. "La mancata identificazione con i genitori ostacola la formazione dell'identità personale: solo un adeguato rapporto con i genitori consente di trovare il proprio equilibrio come figli e quindi un ruolo preciso all'interno della società e nel divenire storico. L'uomo moderno assomiglia sempre più a un eterno adolescente,, che non ha ancora trovato il proprio ruolo all'interno della società, e che, a causa del suo atteggiamento negativo nei confronti della generazione precedente, ha difficoltà a maturare e ad assumere a sua volta il ruolo di genitore". (Cfr. La crisi della famiglia e l'ideologia della "morte del padre" di Ermanno Pavesi, in Cristianità n. 304 marzo-aprile 2001).

Infatti spesso l'uomo moderno ha la tendenza a non diventare genitore, a rimandare di mettere al mondo dei figli, e una volta che diventa padre cerca di evitare di assumerne la responsabilità, preferendo il rapporto amichevole col proprio figlio. Tra l'altro in una recente indagine promossa dalla Fondazione "Exodus", emerge che Non è giocando a fare i ragazzini-amiconi, che i genitori possono pensare di accorciare le distanze con i figli. I quali, invece, cercano qualcuno a cui guardare. Un modello da seguire. O almeno per confrontarsi, persino per ribellarsi". (A. Picariello, I figli bocciano i genitori "amiconi", in Avvenire, 27/4/2001)

L'uomo del nostro tempo è come l'adolescente preoccupato di perdere la propria autonomia, cerca sempre l'autorealizzazione di se stesso, che si riduce spesso a evitare quelle scelte di vita che comportano l'assunzione di responsabilità. Preferisce vivere alla giornata, così la libertà non può essere libertà per, ma solamente libertà da.

E' il giovane di oggi che non ha una meta alla quale puntare, tranne che quella di liberarsi dalle restrizioni, rifiuta ogni tradizione e come scrive lo psicoanalista tedesco Erich Fromm, questi giovani in "Preda di una sorta di ingenuo narcisismo, hanno creduto di poter scoprire da soli tutto ciò che vale la pena di scoprire; in sostanza, il loro ideale era di ridiventare bambini, e autori come Marcuse hanno fornito loro l'ideologia adatta, quella secondo cui il ritorno all'infanzia anziché lo sviluppo verso la maturità costituisce l'obiettivo ultimo del socialismo e della rivoluzione. Si sono sentiti felici finchè sono stati abbastanza giovani perché questa euforia durasse; ma molti di loro, usciti da questo stadio, sono andati incontro a gravi delusioni, senza avere acquisito convinzioni ben fondate, senza avere dentro di sé un centro; e sovente finiscono per essere individui delusi, apatici, oppure infelici fanatici della distruzione". (E. Fromm, Avere o essere?, trad, it., Mondadori, Milano 1996, p.89)

In pratica l'uomo moderno, liberandosi da tutte le autorità da quella di Dio a quella politica e familiare, ha tagliato le proprie radici: cercava la libertà e si è ritrovato sradicato e orfano.

DOMENICO BONVEGNA

(c) Il Corriere del sud (http://www.corrieredelsud.it)

_______________

Portale di cattolici: http://www.totustuus.it/