E' inusuale trovare, provenienti da ambienti "ufficiali", condannati a un ipocrita ottimismo di maniera, documenti come quello seguente, che proponiamo integralmente all'attenzione dei lettori, anche perche' ne abbiano rafforzata la consapevolezza che, su certe posizioni, non si e' cosi' SOLI come ci si vorrebbe far credere…

Per quelli piu' frettolosi, segnaliamo alcuni tra i punti piu' notevoli.

 

Sezione 3, punto a (L'amministrazione della giustizia penale - Considerazioni generali)

 

Ibidem, punto c (I reati contro la Pubblica Amministrazione)

 

Ibidem, punto d (La criminalita' in generale)

 

Ibidem, punto e (L'invasione dei cosiddetti extracomunitari)

 

 

RELAZIONE SULL'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA
NEL DISTRETTO DELLA CORTE DI APPELLO DI L'AQUILA

11 gennaio 1999

Signor Presidente,

mi è motivo di onore dare inizio a questa relazione sullo stato della amministrazione della giustizia nel distretto abruzzese con il rivolgere a Lei, che per la prima volta presiede questa assemblea, il saluto più cordiale e l'augurio più sincero che, sotto la sua intelligente guida, possano essere portati a soddisfacente soluzione i tanti problemi organizzativi che incombono sugli uffici giudiziari anche in conseguenza dell'attuazione delle imminenti riforme.

Il mio saluto, altrettanto cordiale, rivolgo a tutti i magistrati del distretto, della cui diuturna fatica mi piace dare atto all'assemblea; le tabelle allegate alla presente relazione, con la freddezza e la oggettività che sono proprie dei numeri, forniscono, molto più eloquentemente delle parole, la dimostrazione della operosità della magistratura abruzzese, e, nonostante le tante carenze che tuttora affliggono la nostra amministrazione, dello scrupoloso adempimento delle sue multiformi funzioni con encomiabile spirito di servizio.

Ho ritenuto mio dovere, dare questa testimonianza per sollecitare in favore di tutti i magistrati abruzzesi il rispetto, la riconoscenza e la fiducia della gente di questa nobile regione, specialmente nell'attuale momento storico, nel quale è in corso una accanita campagna di delegittimazione della magistratura, alimentata o dall'ignoranza o dalla mala fede.

Questi risultati, naturalmente, non sarebbero stati raggiunti senza l'assidua collaborazione di tutto il personale amministrativo, di ogni livello, al quale perciò non può mancare il mio plauso e l'incoraggiamento a sempre meglio operare per una più efficiente amministrazione della giustizia.

Il mio saluto riconoscente e rispettoso non può mancare a tutte le Autorità presenti, civili, militari e religiose, le quali aderendo al nostro invito danno lustro alla cerimonia, e confermano il costante interesse della società ai problemi, spesso tormentosi, della Giustizia. Il mio augurio, però, è che questa partecipazione non resti limitata alla odierna cerimonia, intesa soltanto come annuale rito, al quale si debba partecipare solo per dovere: le nostre toghe rosse, i picchetti armati, le alte uniformi, il cerimoniale tutto non hanno altro significato se non quello, del tutto secondario, di conferire solennità all'assemblea, ma non debbono rimanere fine a sé stessi, perché altrimenti questa solennità sarebbe completamente vuota di contenuti e quindi inutile; questa cerimonia, perché non ci si debba sconsolatamente rendere conto di una mattinata malamente perduta, deve costituire invece un motivo di stimolo, per l'anno giudiziario che oggi inizia, non solo per noi magistrati ma anche per coloro che sono stati chiamati a reggere la cosa pubblica. Molti problemi organizzativi infatti possono risolversi solo con la loro fattiva collaborazione, e mi riferisco specialmente alle Amministrazioni Comunali, la cui inerzia spesso impedisce il superamento delle difficoltà, in particolare di quelle inerenti ai palazzi di giustizia, che, come è noto, essendo di proprietà comunale, non possono essere gestiti dai capi degli uffici giudiziari secondo le esigenze che via via vengono a determinarsi, e ciò dico anche con riferimento agli obblighi che derivano dalla legge n. 626 del 1994.

Il mio, il nostro, ringraziamento più sincero per il loro intervento, che onora questa assemblea, va ai rappresentanti del Consiglio Superiore della Magistratura e del Ministero di Grazia e Giustizia, ai quali tutti noi guardiamo come a sicuri punti di riferimento.

Un altrettanto doveroso saluto, accompagnato da espressioni di viva riconoscenza per la meritoria opera svolta, anche nel periodo di tempo considerato, sempre con capacità e spirito di abnegazione, va a tutte le Forze dell'Ordine che hanno operato nella Regione, dai Carabinieri alla Polizia di Stato, dalla Guardia di Finanza alla Polizia Penitenziaria, alla Guardia Forestale, fino alle Polizie Municipali; a loro, ne sono certo, va anche e soprattutto la gratitudine della gente comune, per la quale esse continuano ancora a significare in modo più diretto ed immediato la presenza rassicurante dello Stato e delle Istituzioni.

Neanche quest'anno può venir meno il mio caloroso saluto a tutti gli avvocati del Foro abruzzese, ai quali sento di poter rivolgere i sensi della mia più ampia solidarietà per gli ingenerosi giudizi che sono stati espressi in occasione di una loro recente manifestazione di protesta.

Infine il mio pensiero di saluto si rivolge a tutti i giornalisti abruzzesi, a quelli della carta stampata ed a quelli della televisione. Se da una parte riconosco le difficoltà che può incontrare l'esercizio del delicatissimo diritto-dovere di informazione, dall'altra, ma proprio per ciò, mi permetto ancora una volta di raccomandare loro di esercitare l'enorme potere di cui dispongono con tutta l'attenzione dovuta e con la più ampia ed imparziale disponibilità, affinché sia fornita una informazione completa ed esatta; i giornalisti debbono essere consapevoli che, se ad esempio di una intervista o di una conferenza-stampa non fossero riportate tutte le parole pronunciate da chi vuol trasmettere il proprio pensiero, o, peggio, lo fossero in modo errato o falso, in quel caso da un lato la libertà di parola, costituzionalmente garantita, rimarrebbe alterata o annullata, e in ogni caso concretamente svuotata di ogni contenuto, dall'altro la violazione delle norme deontologiche potrebbe perfino sconfinare in una condotta penalmente rilevante e cagionare al cittadino danni non solo materiali ma soprattutto morali.

Prima di dare inizio alla relazione, che comprende il periodo di dodici mesi che va dal 1° Luglio 1997 al 30 Giugno 1998, il nostro ricordo deve andare con mestizia a tutti coloro che ci hanno lasciato dopo una vita trascorsa nelle aule giudiziarie, ed alle cui famiglie rinnovo i sensi del più vivo cordoglio: l'avv.to Michele Angelucci del Foro di Avezzano, l'avv.to Giacomo Rocchetti del Foro di Chieti, gli avv.ti Fulvio Frasca e Manlio Marinelli del Foro dell'Aquila, gli avv.ti Egberto Cesaroni, Domenico Di Giuseppe, Loredana Fracassi, Federico Liberatore, Carmine Montopoli, Francesco Regina, Giustino Troiano del Foro di Pescara.

Pochi giorni prima di Natale abbiamo pianto la scomparsa di Giuseppe Valentini, presidente del Tribunale di Lanciano, caro amico e collega, del quale desidero ricordare soprattutto le eminenti doti di umanità e di equilibrio. Ai suoi familiari vadano i sentimenti più sinceri del nostro cordoglio.

1 - LA GIUSTIZIA CIVILE

a) Considerazioni generali

Il maggiore impatto che i problemi del processo penale ed i fatti che in esso vengono rievocati hanno con l'opinione pubblica, favorito anche dall'interesse degli organi di informazione, che ad essi hanno sempre dedicato ampi spazi, cartacei o temporali, ha sempre indotto i Procuratori Generali, anche nel distretto abruzzese, non solo a dare a quei problemi ed a quei fatti un posto prevalente nelle loro relazioni annuali, ma anche a confinare le questioni del processo civile in una posizione secondaria, anche per la loro collocazione tipografica.

Quest'anno desidero, invece, trattare i problemi dell'amministrazione della giustizia civile come primo argomento di questa relazione.

Ciò vuol essere un segnale, sia pure soltanto meramente simbolico! Un segnale, prima di tutto, che avverta come l'aspetto più doloroso e più preoccupante della crisi della giustizia in Italia riguarda proprio il processo civile, quel settore della giustizia, cioè, nel quale, prima o poi, volutamente o no, può essere coinvolto ogni cittadino; un segnale, in secondo luogo, che stimoli il legislatore a rivolgere le prime e più urgenti cure proprio al processo civile.

Il principale rimprovero che si rivolge alla nostra giurisdizione civile, e ne fanno fede le numerose condanne riportate dallo stato italiano dinanzi alla Corte Europea, riguarda l'inammissibile lunghezza dei tempi necessari per la definizione d'una controversia: il trascorrere di anni, di molti anni, prima che un cittadino si veda riconoscere il proprio diritto, è già di per sé una indubbia manifestazione di ingiustizia e quindi di inciviltà non solo giuridica.

La lentezza dei nostri processi civili forse ha una causa di natura culturale: infatti mentre gli ordinamenti anglosassoni, che forse in questo appaiono come gli autentici eredi del diritto romano, pagano la loro rapidità ed il loro pragmatismo con una certa dose di superficialità, l'ordinamento italiano ha ereditato invece le sue attuali caratteristiche dal diritto bizantino, da quel diritto cioè che Giustiniano ed i suoi giureconsulti eressero come un monumento maestoso di perfezione teorica, nel quale l'errore fosse reso difficile da una serie di calibrati equilibri di pesi e contrappesi. Il nostro processo civile, con tale gene ereditario, appare infatti regolato da norme che, per garantire decisioni per quanto possibile scevre di errori, lo appesantiscono con un eccesso, a volte inutile, di garanzie; queste però lungi dall'evitare l'errore, che si annida sempre nelle cose umane, finiscono per rendere il processo interminabile (articolato com'è in tre gradi, quando bastano), e perciò sempre iniquo, qualunque sia il suo esito.

Negli ultimi tempi è stata tentata un'operazione di ingegneria legislativa, diretta ad eliminare, o almeno ad attenuare, queste lungaggini. Ma non si può affermare, in tutta coscienza, che l'applicazione delle recenti riforme apportate al codice di procedura civile abbia raggiunto i risultati auspicati, poiché essa continua ad essere ostacolata sia dalla persistente carenza degli organici dei magistrati e del personale amministrativo, sia dal mancato adeguamento delle strutture.

Ora non si può onestamente pensare di risolvere le annose deficienze con la stravagante ideazione di un doppio binario per la trattazione delle cause civili, che rappresenta una soluzione ipocrita e, in ogni caso, del tutto insufficiente. Specialmente quando si affida il secondo binario, quello delle cause di "vecchio rito", alle cosiddette "sezioni stralcio", che ancora non entrano in funzione e che non potranno mai entrare pienamente in funzione con " giudici aggregati", ai quali non si offrono validi e seri incentivi.

Io colgo in tali penosi tentativi di risolvere una crisi che si trascina ormai da troppo tempo una " filosofia" contraddittoria, perché pur apparendo sorda ad ogni richiamo alla necessità non solo di completare ma anche di aumentare gli organici, tuttavia affida, contraddicendosi, una parte cospicua della giurisdizione civile a "privati", illudendosi che costoro, senza alcuna sufficiente contropartita, possano risolvere i problemi.

Perfino la cosiddetta riforma del "giudice unico", dalla quale in molti si attendono risultati miracolosi, è destinata al fallimento se non si mette mano al completamento ed all'aumento degli organici, cioè ad una operazione che deve costituire il presupposto necessario di qualsiasi riforma che ambisca ad avere successo.

b) L'amministrazione della giustizia civile nel distretto abruzzese.

L'amministrazione della giustizia civile in Abruzzo continua, purtroppo, a presentare le tendenze negative già segnalate nelle precedenti relazioni.

In particolare molto grave è la situazione che si avverte nella Corte d'Appello, che vede aumentare ancora la propria pendenza, rispetto al periodo precedente, da 3.879 processi a 4.043 (+ 164), perché se ne sono definiti 584 dei 748 sopravvenuti.

Anche quest'anno ritengo di poter ripetere la mia opinione sulla necessità di modificare la disciplina del giudizio di appello sul modello di quella vigente in molte legislazioni straniere, altrimenti le riforme preannunciate avranno, nel migliore dei casi, il solo effetto di spostare il "collo della bottiglia" dal primo al secondo grado del giudizio. Ecco allora la necessità non solo di prevedere anche nel processo civile un'ampia area di inappellabilità delle sentenze di primo grado, ma anche di sottoporre l'appellabilità residuale ad un giudizio di ammissibilità secondo criteri tassativamente predeterminati.

Per quanto riguarda i tribunali del distretto, non si sono riprodotti nel periodo di riferimento i fenomeni di quello precedente: infatti ad una notevole riduzione della pendenza dei procedimenti civili ordinari (da 34.638 a 32.038, grazie al contributo di tutti i tribunali - ad eccezione di quelli di Chieti e di Sulmona - con particolare riguardo, quest'anno come l'anno scorso, al tribunale di Pescara che ha registrato una diminuzione di 1.309 procedimenti), quest'anno ha fatto riscontro una riduzione (sia pure modesta, ma che, comunque sia, interrompe la pregressa tendenza negativa) anche dei procedimenti in materia di lavoro e di previdenza sociale, passati da 4.189 a 4.036, per l'apporto di tutti i tribunali, ad eccezione ancora di quelli di Chieti e di Sulmona.

Sempre nei tribunali risulta ridotta anche la pendenza delle procedure fallimentari (da 2.892 a 2.507, ma per il contributo soprattutto del tribunale di Pescara che da solo ha diminuito la pendenza di 419 procedimenti).

Risultano ridotte anche le pendenze delle controversie agrarie (da 140 a 119) e delle cause di divorzio (da 562 a 468), per cui può concludersi affermando che nei tribunali del distretto risulta aumentata soltanto la pendenza dei procedimenti relativi alla separazione di coniugi (da 1.106 a 1.333), a proposito dei quali, peraltro, è interessante constatare come siano sempre in aumento le sopravvenienze.

Nelle preture del distretto, invece, si nota una tendenza opposta a quella segnalata per i tribunali: infatti in esse appare aumentata la pendenza sia dei procedimenti ordinari (da 30.449 a 31.839) con una particolare attenzione alla Pretura di Avezzano, passata da 6.751 procedimenti a 7.742 (con un aumento quindi di ben 991 procedimenti), sia di quelli in materia di lavoro e di previdenza sociale (passata da 33.090 a 33.744, in controtendenza rispetto al periodo precedente), settore nel quale si sono poste in evidenza soprattutto la Pretura di Lanciano per aver ridotto la propria pendenza di ben 1.054 procedimenti, (da 4.168 a 3.114) e quella di Teramo, al contrario, per averla aumentata di ben 916 procedimenti (da 6.687 a 7.603).

c) I giudici di pace

Una disamina completa dell'amministrazione della giustizia civile nel distretto non può naturalmente prescindere dal prendere in considerazione, anche quest'anno, il funzionamento dei giudici di pace e le loro strutture, e a tal proposito va detto che in generale la situazione va sempre più migliorando, anche se per alcuni uffici permangono ancora delle difficoltà.

Per lo più i Presidenti dei Tribunali rilevano che alcuni degli uffici debbano essere soppressi o accorpati a causa dello scarso afflusso di affari, ma chi vi parla rileva che, prima di adottare provvedimenti in tal senso, sia opportuno attendere l'annunciato aumento della competenza civile dei Giudici di Pace se non l'attribuzione anche di una competenza in campo penale. In ogni caso non è inopportuno segnalare quegli uffici, nei quali la pendenza alla data del 30 Giugno 1998 si raccomanda per eccessiva scarsezza: a) nel circondario di Chieti: Lama dei Peligni (12) e Orsogna (9); b) nel circondario di Lanciano: Casoli (12) e Villa S. Maria (4); nel circondario dell'Aquila: Capestrano (1) e Montereale (3); nel circondario di Vasto: Castiglione Messer Marino (6) e Gissi(7).

Comunque sia, le informazioni pervenute sul funzionamento dei Giudici di Pace confermano il sostanziale apprezzamento per l'attività svolta da questi nuovi magistrati, specialmente per quanto concerne l'aspetto quantitativo delle loro decisioni ed i tempi di durata delle controversie.

Ritengo infatti di segnalare che nel periodo di riferimento in tutti gli Uffici dei Giudici di Pace del distretto sono state emesse 3.249 sentenze contro le 2.842 del periodo precedente e che le pendenze alla data del 30 Giugno 1998 erano 3.736, contro le 3.887 dell'anno prima.

Anche quest'anno, peraltro, è stata avanzata qualche perplessità sul contenuto di alcune decisioni adottate dai giudici di pace come conseguenza di scarsa conoscenza dei principi di diritto, per cui, pur esprimendo in via generale il mio parere sostanzialmente positivo sulla loro attività, svolta sempre con entusiasmo e senso del dovere, ritengo che debbano essere organizzati per i giudici di pace corsi di aggiornamento veramente seri ed approfonditi, perché possano produrre gli effetti auspicati, specialmente se verrà aumentata la loro competenza in materia civile ed assegnata anche una competenza in materia penale.

Per quanto, infine, concerne l'ancora permanente giurisdizione dei giudici conciliatori, informo l'assemblea che, nell'anno di riferimento, la pendenza dei procedimenti è diminuita da 1.160 a 1.000; di questo passo la pendenza potrà essere azzerata soltanto tra quasi sette anni.

2 - LA GIUSTIZIA MINORILE

 

a) Funzionamento dell'amministrazione della giustizia nei riguardi dei minori.

Permangono i problemi già segnalati nella precedente relazione per quanto concerne sia l'inadeguatezza degli organici dei magistrati e del personale amministrativo, sia l'insufficienza della sede degli Uffici minorili.

Viene altresì ribadita l'ampia applicazione dei nuovi istituti previsti dagli artt. 26, 27 e 28 del D.P.R. 22 Settembre 1988, n. 448.

Ripetendo quanto già riferito nella precedente relazione, riguardo al proscioglimento per irrilevanza del fatto, informo che continua ad esserne chiesta l'applicazione, oltre che per le contravvenzioni, anche per delitti di minima rilevanza, quando il minore sia incensurato, il danno sia lieve e l'ulteriore corso del procedimento possa pregiudicare le esigenze educative e lavorative del minore.

Continua ad essere applicato anche l'istituto della "messa in prova", con gli stessi criteri già segnalati l'anno scorso, secondo i quali viene sempre pretesa la ricorrenza della condizione che il minore ammetta la propria responsabilità e mostri una volontà di emenda.

b) Adozioni e affidamenti

In tema di adozioni deve rilevarsi come il rapporto tra le c.d. adozioni internazionali e quelle di minori italiani sia mutato per la prima volta in favore delle seconde. Infatti nel periodo considerato sono state decise 66 adozioni, di cui 31 di minori stranieri e 35 di minori italiani.

Il Presidente del Tribunale per i Minori pone in evidenza, riguardo all'istituto dell'adozione (L. 4 Maggio 1983, n. 184) che, pur essendo frequenti nel distretto le situazioni di mancanza di adeguate cure genitoriali, che integrano l'abbandono, tuttavia sono numericamente poche le dichiarazioni di adottabilità. Tutto ciò dipende anche dalla circostanza che il tribunale tiene conto della giurisprudenza della Sezione minorile della Corte d'Appello, la quale tende a dare prevalenza ai c.d. vincoli di sangue, revocando gran parte delle dichiarazioni di adottabilità emesse dal Tribunale in primo grado. Pertanto il tribunale spesso ha ritenuto più opportuno di non dichiarare l'adottabilità, per non sottoporre i minori, in caso di difformità della sentenza d'appello, a dannosi spostamenti da una famiglia all'altra.

Quanto all'affidamento familiare, se ne denuncia, anche quest'anno, la scarsissima applicazione sia per l'impreparazione della opinione pubblica, sia per la indisponibilità anche delle stesse coppie aspiranti all'adozione, sia, infine, per la nota e diffusa carenza delle strutture e dei servizi.

 

3 - L'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA PENALE

 

a) Considerazioni generali

Ho già sommariamente ricordato le ragioni per le quali le questioni che attengono al processo penale sono quelle che riescono a tener continuamente desta l'attenzione degli organi di informazione e, di conseguenza, dell'opinione pubblica. È sicuramente una naturale e comprensibile conseguenza del maggiore interesse che suscitano i fatti penali nei quali è predominante il profilo negativo dell'uomo, in tutte le sue manifestazioni: attraggono di certo più le cattive azioni che le buone, cosicché quelle fanno notizia, mentre queste si danno per scontate.

Inoltre non v'è alcun dubbio che solo il processo penale può dar luogo ad un vero e proprio spettacolo, non solo dentro ma anche fuori delle aule giudiziarie, tanto che le relative cronache riescono a riempire intere pagine di quotidiani e di settimanali e intere trasmissioni televisive.

Molto spesso è dato di assistere a spettacoli cinematografici e televisivi che ruotano intorno ad un processo penale, quasi sempre di ambiente nord-americano nel quale le aule giudiziarie sono tutte uguali l'una all'altra nella loro lindezza e nel loro ordine, ma nel quale si amministra la giustizia con procedimenti che fanno rabbrividire chi possiede una coscienza giuridica e morale, così diversa come la nostra. Il fatto è però che in tali spettacoli alla fine si riesce sempre a far trionfare la verità, perché c'è un avvocato come Perry Mason; c'è un pubblico ministero predestinato a fare brutte figure; ci sono i testimoni che riferiscono sempre il vero (e se mentono vengono immediatamente smascherati) giurando sulla Bibbia e rispondendo solo si o no alle domande; c'è il vero colpevole, sempre presente in aula, che, naturalmente, confessa; c'è infine il giudice, che è rimasto inerte per tutto il processo, impegnato solo ad accogliere o respingere le obiezioni delle parti, ma che alla fine, con un semplice colpo di martello sullo scranno, (beato lui!) manda tutti a casa, compreso l'imputato innocente, e il colpevole direttamente in prigione.

Purtroppo la realtà non è questa, e penso (anzi spero) che non lo sia neanche negli Stati Uniti d'America; certamente non lo è in Italia. Qui non tutti gli avvocati sono "bravi" (e fortunati) come Perry Mason; qui non tutti i pubblici ministeri si rassegnano a fare brutte figure (ed anzi qualcuno va oltre i limiti del deontologicamente consentito); qui i testimoni non giurano più, ma "si impegnano" a dire la verità, che è tutt'altra cosa (ma siamo o non siamo in uno Stato laico?), e se mentono non possono essere arrestati; qui il colpevole non confessa mai, ma come prima difesa accusa il pubblico ministero di essere vittima di un complotto; qui il giudice interviene continuamente nel dibattimento e non può assumere alcuna decisione, dalla meno importante a quella finale, se non la motiva compiutamente per iscritto, attento a non cadere in contraddizione od in omissioni; qui, infine, il colpevole non finisce in galera, a meno che non sia già in custodia cautelare, ma può attendere il secondo e poi il terzo grado del processo, ed a volte anche il giudizio di rinvio, prima di giungere ad una sentenza definitiva, che, se di condanna non superiore ad un certo limite, non verrà mai eseguita. E la conseguenza è che, a differenza di quanto avviene nella finzione cinematografica o televisiva, nella realtà la decisione del giudice, quando sia di condanna e interessi certi personaggi, spesso non viene assunta come affermazione di verità, ma a sua volta condannata come errore giudiziario senza che se ne conoscano nemmeno le motivazioni.

Nella attuale realtà italiana viene grottescamente chiamato "giustizialismo" ciò che è solo applicazione rigorosa della legge, "accanimento giudiziario" ciò che sono soltanto atti doverosi di indagine, mentre i magistrati che fanno il loro dovere vengono indicati come "forcaioli", e perfino come "assassini".

E così si sviluppa una campagna di delegittimazione della magistratura, che, nei primi tempi, colpì specialmente i pubblici ministeri (anche sfruttando alcuni loro comportamenti in verità censurabili) e poi, come avevo facilmente previsto, anche i magistrati giudicanti e in ultimo, perfino la Corte Costituzionale, che ha cercato di rimettere un pò di ordine nel travagliatissimo art. 513 del codice di rito.

Tutto ciò, inoltre, comporta una legislazione molto disordinata, che non solo pecca, nella sua smania di riforma, di settorialità non avendo dei problemi una visione generale, ma si muove anche sull'onda emotiva di un singolo avvenimento contingente. Uno degli ultimi esempi è costituito dalla norma che modifica la competenza territoriale in materia di giudizio di revisione, norma della cui ragionevolezza non può minimamente dubitarsi (perché impedisce che sulla revisione possa giudicare la stessa Corte d'Appello, sia pure diversamente composta, che aveva emanato la sentenza sottoposta alla revisione stessa), ma che intanto è stata concepita non da un anelito di giustizia, ma solo da una spinta di particolare favoritismo.

Quante volte in Italia ad una legge è stato dato, dai commentatori e dall'opinione pubblica, il nome della persona a cui favore era stata emanata! Mi domando se tutto ciò sia vera civiltà giuridica!

b) La criminalità organizzata

Anche quest'anno, naturalmente, questo tema costituisce il fulcro della mia relazione per quanto riguarda la giurisdizione penale nel distretto abruzzese: vale a dire la sua parte più significativa, perché, riferendosi ad un fenomeno estremamente variabile e facilmente sfuggente, tenta di fissarne i contorni precisi, in modo che rimanga fotografato in un tempo ben definito, qual è quello preso in considerazione, e in un quadro il più possibile aggiornato ed approfondito. A questo scopo ritengo utile tener conto, prima di tutto, di quanto risulta alla Procura Distrettuale Antimafia.

La prima osservazione da fare a questo proposito riguarda il crescente allarme che è determinato dal consistente aumento dell'insediamento albanese sul territorio, soprattutto costiero.

In effetti la criminalità organizzata albanese è risultata operante attivamente nel settore del traffico degli stupefacenti, specialmente attraverso accertati collegamenti con strutture delinquenziali della vicina Puglia, che assicurano protezione in occasione degli sbarchi, nonché il transito verso l'Abruzzo delle droghe importate, consistenti in ingenti quantitativi non più solo di marijuana, ma anche di cocaina ed eroina, a dimostrazione del crescente livello delinquenziale (come dimostra tra gli altri un processo trasmesso per competenza all'omologo ufficio di Bari, atteso il provato collegamento con la criminalità organizzata pugliese).

Ma la delinquenza albanese è in grado di sfruttare a proprio favore anche l'altro elemento rappresentato dallo stabile rapporto stretto con cellule criminali della comunità nomade pescarese, le quali, oltre a svolgere un'autonoma attività di procacciamento e di smercio delle droghe, si sono affiancate agli albanesi, assicurando loro un redditizio canale di traffico.

Il crescente allarme determinato dalla presenza della criminalità albanese sul territorio abruzzese è dimostrato oggettivamente da molti procedimenti penali, in ordine ai quali la Direzione Distrettuale Antimafia ha già richiesto ed ottenuto l'applicazione di misure cautelari in conseguenza dei gravi elementi di colpevolezza emersi. Ne fa fede uno contro 32 persone, in relazione al quale le indagini hanno consentito di scoprire una complessa organizzazione dedita alla importazione ed allo spaccio di ingenti quantità di droga, che con cadenza periodica provvedeva ad assicurare, tramite collegamenti navali, dapprima l'approdo di carichi di sostanze stupefacenti sulle coste pugliesi e poi il loro dirottamento, per mezzo di corrieri facenti capo alla criminalità comune pescarese oppure di soggetti albanesi già presenti in Italia, verso il capoluogo adriatico, ove veniva effettuato lo smercio in base alle direttive impartite dai due extracomunitari posti a capo del sodalizio.

Bisogna anche porre in rilievo che un più efficace contrasto a questo genere di criminalità, in crescente espansione, è ostacolato: a) dalla diffusa utilizzazione da parte dei criminali di documenti di identificazione contraffatti, nonché dal frequente scambio tra loro di passaporti, di visti di ingresso e di permessi di soggiorno; b) dalla difficoltà di poter risalire efficacemente alla loro identificazione a causa dell'uso indiscriminato di telefoni cellulari, il cui scambio e l'utilizzazione di schede provenienti dal mercato clandestino rendono pressoché impossibile risalire al vero titolare dell'utenza; c) dalla capacità degli albanesi di attingere ad una manovalanza sempre rinnovantesi, disposta a compiere attività di trasporto e cessione di droga; d) dalla loro capacità di movimento sul territorio nazionale, senza stabili radicamenti in una stessa località.

Ma l'argomento della criminalità organizzata in Abruzzo presenta anche altri aspetti, diversi da quello finora trattato dell'attività delinquenziale delle associazioni albanesi esistenti sul territorio. Infatti molti procedimenti penali hanno offerto la prova dei collegamenti con organizzazioni criminali di altre regioni e quindi delle infiltrazioni di queste in Abruzzo. Tra gli altri è il caso di ricordare:

1) quello contro cinquantacinque persone, nel quale si è avuto il significativo riscontro dibattimentale del continuativo collegamento tra un sodalizio (nomade) di Pescara ed una associazione criminale di Lucera, che conferma quanto sempre affermato nelle precedenti relazioni a proposito della ideale espansione della delinquenza pugliese verso il territorio abruzzese, agevolata dalla vicinanza delle due regioni e dalla facilità delle comunicazioni; e non solo per scopi criminali inerenti agli stupefacenti, ma anche per la perpetrazione di diverse rapine, che destano vivo allarme in tutta la zona rivierasca, compresa nelle province di Teramo, Pescara e Chieti;

2) un altro a carico di quindici persone, originato da un omicidio maturato nell'ambito di un regolamento di conti avvenuto all'interno di una struttura associativa (ex art. 74 D.P.R. n. 309/90) radicata a Pescara, formata per lo più da pregiudicati del luogo, che si rifornivano di droga anche attingendo a soggetti gravitanti nel napoletano, che in diverse occasioni si sono portati nella città adriatica per effettuare le consegne. È inutile aggiungere come l'efferatezza dell'omicidio (compiuto con pestaggio della vittima, e con numerose coltellate) e le sue motivazioni dimostrano il grado di violenza di cui sono capaci i componenti di queste organizzazioni quando si tratti di mantenere il rigido controllo del territorio e l'efficienza dell'organizzazione;

3) ancora un altro, a carico di dodici persone (trasmesso alla D.D.A. di Ancona per connessione con altro procedimento per il reato di cui all'art. 416-bis c.p.), relativo ad altro omicidio consumato a seguito di contrasti insorti tra associazioni delinquenziali, gravitanti tra la riviera abruzzese e quella marchigiana, per il controllo delle case da gioco; dimostrativo di come l'organizzazione clandestina del gioco d'azzardo si accompagni a crescenti interessi della malavita organizzata proprio per la facilità di guadagno, per l'eventuale riciclaggio di denaro di illecita provenienza e per la consumazione di tutta una serie di altri gravissimi delitti, che vanno dalla violazione delle leggi sulle armi all'usura ed all'estorsione;

4) altri due procedimenti l'uno a carico di quattro persone, e l'altro di trenta, hanno consentito di individuare in territorio pescarese un'abitazione destinata a raffineria, di recuperare decine di chilogrammi di stupefacenti e di trarre in arresto quattro cittadini colombiani, utilizzati da una vasta associazione dedita alla importazione da quel paese sud-americano di ingenti quantitativi di cocaina e soprattutto di pasta di coca da raffinarsi in Italia: in particolare si è trattato, secondo quanto riferito dai Carabinieri di Pescara, di una iniziativa dei cartelli colombiani di Calè, Baranquilla e Pereira di impiantare un laboratorio in territorio italiano per sperimentare la lavorazione "in loco" delle sostanze stupefacenti in funzione della produzione e della distribuzione di ingenti quantitativi di prodotto in tutta Europa;

5) infine se un processo a carico di tre persone, ha fornito solo spunti investigativi concernenti insediamenti della malavita organizzata campana sul territorio della Marsica, un altro, a carico di trecentottantuno persone, ha consentito di richiedere il rinvio a giudizio, anche per il delitto di cui all'art. 416 c.p., di numerosi imputati coinvolti nella disonesta pratica di organizzare e di gestire nell'alveo del Fucino unità lavorative extracomunitarie, costrette a lavorare "in nero" sotto minaccia.

Su quest'ultimo punto interviene anche il Procuratore della Repubblica di Avezzano, il quale rileva come le indagini compiute nell'ambito del suddetto procedimento sembrano confermare la presenza di una organizzazione esterna di area camorristica, interessata ad usare manovalanza extracomunitaria con l'appoggio di soggetti della Marsica.

Lo stesso Procuratore è portato poi a concludere che, sebbene nel territorio marsicano non ci sia radicamento di strutture associative di tipo mafioso o camorristico, tuttavia molti sintomi fanno fondatamente presumere che ci siano soggetti operanti come se fossero collegati con la criminalità organizzata e come se si stessero creando avamposti pronti ad introdurre metodi che sono propri di quelle organizzazioni: tali collegamenti agiscono soprattutto: a) nella gestione dei numerosi locali notturni della zona (ben trenta), con tutto ciò che essa comporta in ordine allo sfruttamento della prostituzione, al gioco d'azzardo ed al traffico di stupefacenti; b) nell'illecito smaltimento di rifiuti provenienti dal Nord in cave abbandonate o in opifici destinati apparentemente ad attività lecite; c) in alcuni fatti di estorsione (mediante applicazione del c.d. "pizzo") in danno di sei-sette locali pubblici, che sono evidentemente mutuati da metodi di stampo mafioso e che dimostrano in modo allarmante che anche persone e gruppi indigeni stanno imparando a dedicarsi a tale tipo di attività criminosa.

Tutte le considerazioni sopra svolte ricevono una importante conferma nelle relazioni del Procuratore della Repubblica di Pescara e dei suoi sostituti, dalle quali esce rafforzata la prova di una sorta di complicità e di alleanza tra la criminalità pescarese e quella albanese, dimostrativa del fatto che quest'ultima si è già inserita nella realtà delinquenziale locale, integrandosi con essa. Ed a questo proposito non si può non condividere l'opinione di quei magistrati che lamentano come "l'attuale configurazione del sistema cautelare sia pessima e non dia alcun frutto in termini di effettiva e concreta difesa sociale" e come tale sistema sia "troppo sbilanciato a favore degli indagati / imputati". Sembra proprio vero che "la cultura della parte offesa e della difesa sociale" si sia "dissolta del tutto nei meandri del nostro codice".

Molto grave è la segnalazione pervenuta dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Pescara sulla scoperta di una organizzazione facente capo ad una nota famiglia pescarese, la quale, di fatto, è giunta a monopolizzare, con metodi illeciti, il mercato ittico ( inteso come ogni attività di pesca e commercializzazione del pesce) del medio Adriatico. Tale associazione per delinquere è finalizzata non solo al controllo illecito del mercato ittico di Pescara per l'acquisizione di partite di pesce a prezzi non concorrenziali, tali da creare difficoltà economiche agli altri operatori del settore, ma anche alla concessione a costoro di prestiti usurari ed alla estorsione per il conseguimento degli illeciti profitti. Su questo fenomeno il magistrato inquirente rileva come dalle indagini sia emerso un quadro davvero preoccupante per la realtà socio-economica locale, e come l'associazione criminale, oggetto delle indagini, si sia pienamente inserita in questa realtà fino a farne parte integrante; tanto da rendere fondato il sospetto che per la prima volta in Abruzzo ci si trovi di fronte "ad un fenomeno di tipo mafioso non importato dall'esterno ma figlio di una certa cultura della nostra terra".

Anche nella zona pescarese, a conferma di quanto già sopra esposto, è stato rilevato l'interesse delle organizzazioni criminali per la gestione dei rifiuti: è infatti sottoposta a indagini una pericolosa associazione per delinquere, operante su tutto il territorio nazionale, costituitasi al fine di gestire traffici illegali di rifiuti speciali pericolosi, e di smaltirli abusivamente in Abruzzo, commettendo anche fatti diretti a danneggiare impianti di pubblica utilità e, in particolare, interrompendo il normale ciclo dell'impianto di depurazione consortile di Montesilvano. A questo proposito il magistrato inquirente precisa come l'illecita attività di smaltimento dei rifiuti ruoti intorno al meccanismo della "declassificazione" dei rifiuti, che prende l'avvio già alla fonte presso i produttori (che emettono documenti di accompagnamento con indicazioni mendaci corredate da false certificazioni di analisi rilasciate da chimici compiacenti e senza scrupoli); oppure al sistema rappresentato dall'uso sistematico del c.d. "Giro bolla o della triangolazione", che consiste nel far transitare "cartolarmente" il rifiuto da uno stoccaggio all'altro (di una o più regioni), al fine di aggirare le norme vigenti in materia di smaltimento e le prescrizioni delle varie autorizzazioni.

Nell'ambito di tale grave fenomeno criminale viene segnalato un altro procedimento penale, originato da informazioni fornite dai Carabinieri del N.O.E., con le quali viene posto in risalto come la malavita, direttamente o indirettamente, controlli il flusso di diversi tipi di rifiuti, prodotti essenzialmente in Abruzzo, che, con artificiosi passaggi (sempre fittiziamente declassificati) vengono abusivamente smaltiti in un impianto industriale di una società come residui inutilizzabili ed impiegati con ripristino ambientale della cava in uso di quella stessa società, con pericolo per la pubblica incolumità e per l'ambiente a causa del conseguente gravissimo inquinamento del sottosuolo e delle falde acquifere.

Per concludere sul tema in esame, è lecito dunque affermare che se da un lato non risulta che sul territorio abruzzese si sia radicata la criminalità organizzata già esistente in altre regioni meridionali, tuttavia: a) risulta radicata, sulla zona costiera, avente come perno Pescara, una criminalità organizzata albanese in stretto collegamento con quelle pugliesi e con la delinquenza locale; b) cominciano a costituirsi forme locali di criminalità organizzata di evidente stampo mafioso, come lascia intravedere il segnalato fenomeno creatosi intorno al mercato ittico di Pescara; c) esistono sicuri collegamenti tra la criminalità locale (specialmente nel pescarese e nella Marsica) ed organizzazioni criminali campane e pugliesi.

La "febbricola" di cui ho parlato nella relazione dell'anno scorso non è stata debellata, anzi forse tende al rialzo, e non potrebbe essere altrimenti dal momento che non sono state aumentate, come auspicato, le dosi terapeutiche sotto forma di decisiva crescita di anticorpi, quali il potenziamento quantitativo e qualitativo degli uomini e dei mezzi impiegati. Finora solo l'impegno e il sacrificio di pochi ma valorosi "sanitari" contrasta l'andamento della febbre.

c) I reati contro la Pubblica Amministrazione

Quest'anno ritengo di includere tra i temi oggetto di relazione quello riguardante i reati contro la pubblica amministrazione, con particolare riferimento agli effetti delle modificazioni apportate al reato di abuso di ufficio con la Legge 16 Luglio 1997, n. 234; anche se si tratta di un tema la cui trattazione non può che procurare allo stesso tempo amarezza e delusione per chi, magistrato o comune cittadino, ha a cuore la giustizia.

Questo stato d'animo non è solo di chi vi parla, ma si coglie agevolmente anche nei magistrati del distretto che sull'argomento hanno ritenuto di intervenire con una loro relazione.

E se il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Chieti si limita, asciuttamente, a rilevare come appaia "difficile per i cittadini comprendere che il delitto di abuso di ufficio è oggi ben diverso per la modifica di cui alla legge" su ricordata, e che "spesso il denunciante crede, in buona fede, che il P.M. non voglia procedere"; quello di Avezzano, dopo aver elencato gli effetti di quella modificazione (aumento delle archiviazioni, non essendo più punibile l'eccesso di potere, né sempre facile provare la violazione di legge e il dolo, e essendosi abbreviato il termine di prescrizione a causa della diminuzione della pena edittale), non esita a concludere, sia pure molto compostamente, che "purtroppo il livello di reazione contro le disfunzioni del corretto svolgimento della funzione amministrativa è apprezzabilmente diminuito".

A loro volta il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pescara ed i suoi sostituti indugiano maggiormente sull'argomento, con considerazioni che condivido pienamente e che possono sintetizzarsi nel rilievo che, sebbene le indagini giudiziarie accertino la permanenza, presso le pubbliche amministrazioni, di prassi illegali e di favoritismi diffusi da parte di amministratori e di funzionari, tuttavia si è varata una legge che, combinata con quella che ha riformato la disciplina delle misure cautelari, ha avuto l'effetto di rendere oggettivamente difficile, se non impossibile, "una seria ed efficace azione giudiziaria di accertamento, contrasto e repressione dei fenomeni del pubblico malaffare, con il risultato dell'aver ulteriormente alimentato la sfiducia del cittadino" nella giustizia (ma anche nella Pubblica Amministrazione).

Delle norme contenute nella legge n. 234, non si riesce a comprendere soprattutto quella che ha disposto la diminuzione della pena edittale, determinando una riduzione del termine di prescrizione, e costituendo, di fatto, una sorta di " amnistia occulta", "riservata ai potenti ed ai meno deboli". Ma essa comporta anche l'impossibilità non solo di ricorrere alle intercettazioni telefoniche, vale a dire ad uno strumento di indagine utilissimo, a volte indispensabile, sia per l'accertamento del reato, sia per la scoperta dell'eventuale concorrente "extraneus"; ma anche di applicare qualunque misura cautelare o interdittiva contro i pubblici ufficiali infedeli, nei confronti dei quali, dunque, non esiste più un solo mezzo giudiziario di contrasto, onde possa ripristinarsi la legalità turbata dall'abuso di ufficio. E non può trascurarsi neanche la considerazione che questo delitto non è quasi mai fine a sé stesso, poiché la condotta, che lo caratterizza, costituisce spesso una spia di altri e più gravi fenomeni criminali.

Concludo portando a conoscenza dell'assemblea che nell'anno in considerazione sono stati iscritti nei registri degli indagati delle procure abruzzesi 36 casi di peculato, 13 di concussione, 10 di corruzione e 401 di abuso di ufficio.

Tra i numerosi processi penali che hanno riguardato questo genere di reati ritengo di poter segnalare all'assemblea quello contro 41 persone tra pubblici ufficiali, imprenditori e professionisti, tutti rinviati a giudizio dinanzi al Tribunale di Pescara per rispondere di delitti contro la Pubblica Amministrazione, di violazione delle leggi antimafia, falso, truffa e bancarotta fraudolenta, nonché di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti per circa due miliardi di lire, delitti tutti commessi in occasione dell'appalto dei lavori per la costruzione della strada Alanno-Val Pescara ed Alanno Capoluogo.

Va anche segnalato che la Procura pescarese ha richiesto il rinvio a giudizio di 4 persone per i delitti continuati di abuso di ufficio, di truffa aggravata e di numerose ipotesi di falsità, a seguito di indagini svolte per gravi fatti legati alle illecite attività commesse da un cancelliere.

d) La criminalità in generale.

I dati forniti dagli uffici giudiziari del distretto, riguardo ai delitti di maggiore allarme sociale commessi nell'arco di tempo considerato, offrono un quadro della situazione abruzzese abbastanza indicativo rispetto ai più gravi episodi criminosi.

Da tale quadro risalta in modo del tutto evidente che permangono preoccupanti sia il livello sia il numero di tali fenomeni criminosi.

Risultano iscritti nei registri delle Procure fatti di rapina consumata (445) e tentata (63), in numero superiore a quello indicato nella precedente relazione, mentre in numero inferiore sono quelli di estorsione consumata (116) e tentata (113); in perfetta parità sono invece i fatti di sequestro di persona (32); 15 fatti di omicidio consumato e 20 di omicidio tentato costituiscono un dato in lieve diminuzione, ma esso desta un giustificato allarme, se si considera che, anche nel periodo considerato, una parte di tali gravi episodi di sangue sono avvenuti ad opera o nell'ambito della malavita, e quindi, sono il segno di una permanente gravità della situazione sotto il profilo "qualitativo".

Infine sono state segnalate in diminuzione le denunce per usura (99) e in aumento quelle per violenza sessuale (132). Tra questi ultimi frequenti e preoccupanti sono i reati incestuosi commessi da genitori a danno di figlie minorenni.

Per quanto riguarda l'usura occorre segnalare: a) che la Marsica si conferma come terra in cui l'usura è fenomeno endemico: essa non è più esercitata soltanto da zingari, come qualche anno fa, ma ha trovato altre facili vie di espansione nella crisi economica che investe molti settori, con collegamenti anche con il Reatino e con Roma (un procedimento ha evidenziato tali collegamenti anche con soggetti a suo tempo coinvolti in indagini relative alla Banda della Magliana); b) che anche nel pescarese l'usura resta su livelli degni della massima attenzione, che sono, comunque sia, inferiori a quelli reali per la mancanza di collaborazione delle vittime; ne derivano non solo una "crescita esponenziale del giro d'affari legato alle attività usurarie" ed "il collegamento, sempre più frequente, tra le fattispecie di usura e quelle previste dagli artt.131 e 132" del Decreto Legislativo 1° Settembre 1993, n.385, ma anche "l'accresciuta capacità sostitutiva degli usurai nella direzione e nella amministrazione delle medio-piccole imprese commerciali gestite dai soggetti usurati".

Non hanno mai trovato applicazione nel distretto le recenti misure in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa. Questo dico solo per mettere in evidenza come la Legge 25 Giugno 1993, n.205, che ha convertito con modificazioni .il D.L. 26 Aprile 1993, n.122 e che ha esteso il reato di discriminazione anche ai motivi religiosi, non contenuti nella precedente legge del 1975, almeno per quanto si riferisce alla discriminazione religiosa, sia inapplicabile. Se infatti la si esamina nel suo spirito più profondo, non ci si può esimere dal considerare che queste severe norme potrebbero essere oggi applicate anche a Chi proclamasse "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo mio" (Giov.14.6); e "Chi non rimane in me, è gettato via come tralcio che inaridisce e viene poi raccolto e gettato ad ardere nel fuoco" (Giov. 15.6); oppure osasse bollare come "Ladri e malandrini" (Giov.10.8) tutti coloro che predicano dottrine diverse dalla Sua, o inveire contro gli "scribi e farisei ipocriti" (Matt.23), o chiamasse i farisei "razza di vipere". È un monumento all'assurdo.

Nell'arco di tempo che va dal 1° Luglio 1997 al 30 Settembre 1998 sono stati registrati nella Regione Abruzzo 99 incendi boschivi, dei quali 44 di accertata origine dolosa (con una superficie percorsa dal fuoco di 937 ettari di cui 355,700 boscata e con un danno di £.1.759.766.000), 40 di accertata origine colposa (con una superficie percorsa dal fuoco di 755,8 ettari, di cui 317,050 boscata, e con un danno di £ 572.419.000) e 15 di origine incerta (con una superficie percorsa dal fuoco di 697 ettari, di cui 427,700 boscata, con un danno di £ 365.312.000). Questi dati sono stati forniti dal Compartimento Regionale del Corpo Forestale dello Stato con una relazione molto accurata, la quale ha ritenuto di porre nel giusto rilievo, per dimostrare la gravità di questi fenomeni, che nell'ultima estate hanno assunto proporzioni notevoli, che tale gravità si misura più con le superfici percorse dal fuoco che con il numero degli incendi, e che al danno economico deve aggiungersi quello ecologico, di difficile valutazione, ma di gran lunga superiore al primo. Conforta, in ogni caso, apprendere che l'Abruzzo è tra le regioni meno colpite da questa piaga, nonostante un indice di boscosità di circa il 30% ed una presenza di estesi impianti di resinose altamente a rischio.

e) L'invasione dei cosiddetti extracomunitari

Si è già fatto cenno alla negativa incidenza, sulla criminalità in Abruzzo, della presenza, quasi sempre abusiva, di soggetti "extracomunitari", specialmente albanesi.

Questa presenza determina una tensione preoccupante nelle zone di maggiore densità: per esempio nella Marsica, come riferisce il Procuratore di Avezzano, si verifica la massiccia presenza di circa quattromila extracomunitari (forse un unicum nella Regione per un ambito così limitato), i quali sono ormai visti con sospetto dalla popolazione soprattutto per l'aumentato numero di furti in abitazione e per il traffico di droga.

Nel pescarese (ma anche nel teramano) la presenza di un gran numero di albanesi dà luogo a gravissimi fenomeni di prostituzione e di spaccio di stupefacenti, che hanno assunto proporzioni preoccupanti anche per gli episodi di feroce e implacabile violenza nei confronti delle donne, clandestinamente introdotte nello Stato dai paesi dell'EST, commessi dai loro stessi connazionali.

Insomma, torno a rilevare anche quest'anno, che in Abruzzo la situazione della criminalità, già così poco rassicurante, viene tragicamente ad aggravarsi per la sempre maggiore sovrapposizione di una realtà sociale di origine straniera che si introduce nel nostro territorio, quasi sempre abusivamente, dando vita ad iniziative criminose e eludendo le (pur inadeguate) leggi vigenti. Ciò che aumenta il disordine, rendendo ancora più gravoso il compito dei già troppo esigui organici delle Forze dell'Ordine e della Magistratura.

Peraltro la recente legge sulla immigrazione non ha risolto il problema degli aspetti criminogeni del flusso migratorio, anche a causa delle perduranti difficoltà di una rapida identificazione degli "extra-comunitari", i quali sono disposti a tutto pur di assicurarsi la permanenza sul territorio.

Negli ultimi tempi, poi, il flusso migratorio ha assunto dimensioni così rilevanti, e l'opera di contrasto è apparsa così insufficiente e velleitaria, favorita da una legislazione forse volutamente inefficiente, che si è indotti a ritenere fondata la tesi di chi sostiene che si tratti di una vera e propria invasione dell'Europa, voluta e finanziata da centrali operative internazionali, allo scopo di determinare col tempo la ibridazione dei popoli e delle religioni, onde possano realizzarsi più facilmente e più compiutamente progetti di dominio universale.

f) L'amministrazione della giustizia penale nel distretto abruzzese.

Le tabelle allegate a questa relazione offrono un quadro abbastanza completo dell'attività svolta dagli uffici giudiziari abruzzesi nel settore penale, e ad esse quindi rinvio chi volesse desumere notizie più dettagliate e particolari. Tuttavia ritengo opportuno un breve commento, onde siano poste in risalto le linee tendenziali del fenomeno:

aa) Per quanto riguarda le tredici procure che operano nel distretto si deve purtroppo notare, dopo le diminuzioni segnalate negli anni scorsi, un nuovo incremento delle pendenze complessive, sia pure molto lieve (da 57.043 a 57.332). Tale risultato è dipeso in verità solo dall'aumento sensibile che si è riscontrato anche quest'anno nelle procure circondariali (da 30.911 a 32.446) e nell'ambito di queste nelle procure di Pescara (+2.127), di Teramo (+1.344) e di Chieti (+61), mentre in quella dell'Aquila si è invece conseguito un risultato molto brillante con una diminuzione di 1.997 procedimenti.

Complessivamente favorevoli sono stati, al contrario, i dati raccolti nelle altre procure, tra le quali degne di nota sono quella di Pescara (che con -910 reitera il successo segnalato l'anno scorso) e quella di Avezzano (-1.117).

bb) Nella Corte d'Appello continua la tendenza all'aumento della pendenza, iniziata alcuni anni fa e che non è destinata certamente a fermarsi, se non si adotteranno seri provvedimenti diretti a delineare una radicale riforma del giudizio di appello, con una drastica limitazione della sua ammissibilità. Nell'anno di riferimento si è rilevato un ulteriore incremento di 874 procedimenti pendenti (da 4.435 a 5.309), pur essendone stati definiti 1.534.

cc) Nei Tribunali si è purtroppo interrotta la serie positiva che durava da due anni, per quanto concerne i procedimenti in fase dibattimentale, con un aumento della relativa pendenza da 1.191 a 1.833 (+642), dovendosi segnalare soprattutto la situazione del Tribunale di Teramo, che ha visto aumentare la propria pendenza da 225 a 666 (+441). Deve peraltro essere sottolineato che in questo Tribunale, alla data del 30 Giugno 1998, era rimasto un solo processo di "vecchio rito" (così come nei Tribunali di Avezzano e di Vasto).

Invece la serie positiva continua per i procedimenti pendenti dinanzi al G.I.P. dei Tribunali, che registrano un decremento complessivo di ben 1.148 unità (da 3.685 a 2.537), con particolare nota per l'ufficio di Teramo, che da solo ha diminuito la pendenza di 1.027 procedimenti (da 1.393 a 366), determinando in tal modo l'abnorme aumento della pendenza in fase dibattimentale. Come si vede le nostre leggi di riforma, invece di eliminare i cosiddetti "colli di bottiglia", ottengono solo il loro spostamento da una fase ( o da un grado) all'altra di giudizio.

dd) La situazione si presenta invertita nelle Preture del distretto. In questi uffici sono quest'anno diminuiti i procedimenti in fase dibattimentale (da 16.031 a 14.348), con una menzione speciale per quello di Chieti (-897) e per quello di Pescara (-682), mentre prosegue ancora l'aumento di quelli pendenti dinanzi ai G.I.P. (da 24.466 a 29.965), con punte veramente preoccupanti per le Preture di Avezzano (+2.527), di Pescara (+1.517), dell'Aquila (+1.516) e di Teramo (+679), ma con la dovuta menzione di quella di Chieti, che, in controtendenza ha ottenuto una diminuzione di 732 procedimenti.

ee) Per quanto riguarda le Corti di Assise, i conti possono farsi con le dita delle mani, anzi, per quelli di primo grado, di una sola mano. In queste, infatti, risultano pendenti alla data del 30 Giugno 1998 solo quattro processi come l'anno scorso e tutti dinanzi alla Corte d'Assise di Chieti, così come nella Corte di secondo grado, dove sono rimasti pendenti cinque processi, dopo la definizione di un numero di processi (9), pari a quello dei sopravvenuti nell'anno in considerazione.

ff) Per quel che concerne i procedimenti speciali, deve ripetersi ciò che si è esposto negli anni precedenti circa la loro scarsa incidenza rispetto al risultato auspicato che essi potessero avere un effetto deflattivo. Le tabelle allegate dimostrano infatti che tali procedimenti non vengono utilizzati se non in una percentuale molto modesta. Basti considerare che di fronte a 11.332 procedimenti definiti con giudizio ordinario o con giudizio speciale diverso da quello abbreviato e da quello con applicazione di pena a richiesta delle parti (3.748 dinanzi ai Tribunali e 7.584 dinanzi alle Preture), sono stati definiti con rito abbreviato solo 326 procedimenti (pari al 2,87%), e precisamente 168 dinanzi ai Tribunali (4,48%) e 158 dinanzi alle Preture (2,08%); e con "patteggiamento" solo 2.876 procedimenti (pari al 25,37%) e precisamente 759 dinanzi ai Tribunali (20,25%) e 2.117 dinanzi alle Preture (27,91%).

g) Situazione delle carceri nel distretto abruzzese

Alla data del 30 Giugno 1998 gli otto istituti di pena del distretto accoglievano 1.436 (1378 detenuti e 58 internati), ben 278 di più dell'anno precedente (1.158, di cui 1.105 detenuti e 53 internati). Tuttavia, nel complesso, neanche quest'anno può parlarsi di effettivo sovraffollamento, giacché le strutture carcerarie abruzzesi hanno una capienza di 1.547 persone. Ciò non esclude che un leggero sovraffollamento esistesse negli istituti di Avezzano (+7), di Lanciano (+6), di Pescara (+25) e di Vasto (+22).

Dei detenuti è tornata ad abbassarsi la percentuale di coloro che erano ancora in attesa del giudizio di primo grado (15,04%) e ad alzarsi quella di coloro che erano in espiazione definitiva della pena (65,73%). Il 15,94% era in attesa del giudizio di secondo grado e il 3,27% del giudizio di terzo grado.

Sempre in aumento è il numero dei detenuti di origine straniera sia in assoluto (da 294 a 378) sia in percentuale (dal 25,38% al 26,32%). Tra costoro i più numerosi sono sempre i nord-africani, che quest'anno, in numero di 208, raggiungono il 55,02% di tutti gli stranieri; tra gli altri, da segnalare i 64 albanesi (16,93%), i 34 ex-iugoslavi (8,99%) e i 10 colombiani (2,64%).

Per concludere su questo argomento, ritengo utile segnalare che l'istituto previsto dall'art. 8 del D.L. 14 Giugno 1993, n. 187 ha suscitato scarso interesse tra i detenuti stranieri, i quali, conoscendo le difficoltà amministrative che incontra l'esecuzione del provvedimento di espulsione a fine pena, sovente preferiscono affrontare un ulteriore periodo di carcerazione nella speranza di riuscire a non lasciare l'Italia.

Riguardo alle strutture degli otto istituti di pena del distretto debbono ripetersi i rilievi positivi già segnalati nella precedente relazione, in quanto si tratta per lo più di edifici nuovi o assoggettati ad interventi edilizi molto efficaci, per cui appaiono del tutto idonei alla loro funzione, secondo un moderno concetto della carcerazione.

Inoltre in tutti gli istituti funzionano adeguate strutture sanitarie, che comprendono i maggiori servizi specialistici, compreso quello diretto ai trattamenti per soggetti tossicodipendenti.

Risultano essere state sospese dal Magistrato di Sorveglianza di Pescara, ai sensi dell'art. 684, comma 2, c.p.p., 49 condanne per grave infermità fisica, mentre 59 sono stati i rigetti. Tuttavia, riportandomi ai rilievi formulati ancora una volta da quel magistrato, non può non essere evidenziato che la normativa in materia è insufficiente in quanto non tiene conto della necessità che sia esercitata nei confronti dei soggetti scarcerati una qualsiasi forma di vigilanza, onde possa essere scongiurato il pericolo che si determini per loro una sorta di "immunità" penale.

Deve aggiungersi che in 21 casi la pena è stata sospesa dall'Ufficio di Pescara per infermità psichica, con contestuale ricovero in Ospedale Psichiatrico Giudiziario.

Nessun problema è sorto dai ricoveri di detenuti, disposti sempre dall'Ufficio di Pescara, in luoghi esterni di cura, che, nel periodo in esame, sono stati 821.

h) Il Tribunale e gli Uffici di Sorveglianza

Persiste ancora il problema della carenza degli organici per quanto riguarda sia il personale amministrativo, con particolare riferimento all'Ufficio di Sorveglianza di Pescara, sia quello dei magistrati per la vacanza di un posto creatasi nello stesso Ufficio, al quale peraltro è stato già assegnato un uditore giudiziario per il tirocinio mirato.

Alla data del 30 Giugno 1998 risultavano essere stati ristretti cinquantuno detenuti sottoposti a sospensione delle regole del trattamento ai sensi dell'art. 41-bis, comma 2°, dell'O.P., tutti nelle due apposite sezioni istituite nella Casa Circondariale dell'Aquila nel 1997.

L'andamento delle misure alternative in esecuzione è segnalato sempre del tutto regolare: nell'anno di riferimento sono stati definiti 3.989 procedimenti nelle 44 udienze tenute. Sono stati concessi: 617 affidamenti in prova al servizio sociale, 126 affidamenti in prova per casi particolari, 176 semilibertà, 5 liberazioni condizionali, 40 rinvii dell'esecuzione obbligatori e 29 facoltativi (in parte relativi a casi di soggetti affetti da HIV), 5 rinvii dell'esecuzione a tossicodipendenti, 1071 liberazioni anticipate e 57 detenzioni domiciliari.

Riguardo poi ai permessi (compresi quelli di natura premiale), ne sono stati concessi 1.642 (contro i 1.233 dell'anno precedente), mentre ne sono stati rigettati 2.385.

Si segnalano alcuni inconvenienti in ordine a tali permessi, in quanto: a) un detenuto, che già aveva ottenuto permessi-premio, durante la fruizione dell'ultimo è stato tratto in arresto nella flagranza dei reati di rapina aggravata e tentato omicidio; b) quattro detenuti extracomunitari, avviati in permesso premio (dopo che ne avevano già fruito con esito positivo), non hanno fatto rientro in carcere alla scadenza del permesso.

Per quanto riguarda la recente Legge 27 Maggio 1998, n. 165 (la c.d. legge "Simeone"), alcune osservazioni sono state fornite dal Presidente del Tribunale di Sorveglianza, che dimostrano, almeno in questa prima fase, il fallimento della nuova legge, dovuta alla "impossibilità di una pregnante valutazione delle richieste dei detenuti a causa della scarsità degli elementi su cui fondare il delicato giudizio di prognosi, in quanto esso, bisognevole di una compiuta osservazione scientifica della personalità del condannato da parte degli operatori penitenziari relativa anche alla criminogenesi, alla vita anteatta al reato e al contesto familiare e territoriale di appartenenza, non può essere formulato in tempi brevi", con la paradossale conseguenza che "usufruiscono dei benefici della detenzione domiciliare e dell'affidamento in prova solo quegli individui che stanno espiando condanne pesanti, mentre per i condannati a pene lievi".... "i tempi di concessione si allungano inevitabilmente per mancanza agli atti del procedimento della necessaria documentazione relativa agli elementi di giudizio di prognosi della pericolosità sociale e del pericolo di fuga".

Nonostante queste considerazioni così negative, il suddetto magistrato non esita a lodare la legge in esame, come attuativa del "principio costituzionale della umanizzazione della pena e del concreto e costante adattamento delle sue modalità attuative alla tendenziale finalità della rieducazione del condannato, fermo restando il principio che si deve ricorrere alla sanzione del carcere".... "quando l'offesa recata alla società è certamente più grave ed è punita con dure condanne".

Parole queste sulle quali non si può non essere d'accordo, a condizione che esse rimangano assegnate ad un ambito puramente astratto e filosofico; perché se dalla teoria (se non dall'utopia), si passa alla pratica ed al concreto, cioè (come si dovrebbe sempre in questo campo) all'ambito che è proprio della politica, intesa come arte del governo di uno Stato, ed in particolare dello Stato italiano nell'attuale momento storico, non potrebbe negarsi che il sistema penale, anche nella sua fase esecutiva, si dimostra sempre più privo di efficacia reale, ed appare perciò estremamente ingiusto.

Infatti pur condividendosi la necessità della umanizzazione della pena, in quanto finalizzata alla rieducazione del reo, (problema questo con cui non va però confuso quello della effettività della pena), non può contestarsi che la sanzione, comminata dalla legge, può esplicare la sua principale funzione solo se effettivamente applicata per effetto dell'accertamento della responsabilità penale. Altre sono le fasi del processo penale in cui deve intervenire il legislatore per eliminare le attuali distorsioni e per garantire i principi della eguaglianza e della legalità; l'intervento sulla sua fase finale, quella della esecuzione della pena, oltre ad avere un sapore vagamente demagogico, soprattutto vanifica la funzione giurisdizionale, rendendola connotata da una sorta di secondarietà, se non proprio di casualità. Il che potrebbe sopportarsi in uno Stato in cui la criminalità rappresentasse un fenomeno sporadico, ma non in uno Stato, come quello italiano (almeno nell'attuale momento storico), in cui essa ha raggiunto una costante e pericolosa diffusione in tutte le regioni e in tutti gli strati della popolazione.

Siamo arrivati al punto di lodare la legge Simeone perché, trascorsa l'attuale fase transitoria, riuscirà a raggiungere l'obiettivo dello "sfollamento delle carceri"! Anch'essa dunque può collocarsi a giusto titolo nell'attuale sistema penale italiano, connotato da un evidente squilibrio a favore degli imputati, mentre dovrebbe trovare applicazione generale il principio che l'azione di contrasto contro la criminalità, quella "gigante" come quella "nana", dovrebbe portare, dopo l'accertamento giurisdizionale della colpevolezza, a pene non solo immediate e adeguate, ma anche effettive.

Comunque sia, la legge in esame, "ispirata dalla necessità di deflazionare subito e in termini quantitativamente rilevanti l'indice di carcerazione, non ha nell'immediato sortito l'effetto sperato" nel distretto abruzzese, in quanto alla data del 30 Agosto 1998 su 463 istanze (240 di detenzione domiciliare e 223 di affidamento al servizio sociale) sono state concesse dagli Uffici di Sorveglianza dell'Aquila e di Pescara solo 57 applicazioni provvisorie di detenzione e 12 sospensioni dell'esecuzione della pena, pari al 14,9%. Sempre alla stessa data il Tribunale ha emesso 12 ordinanze di concessione dei chiesti benefici per lo più confermative dei provvedimenti provvisori emanati dal Magistrato di Sorveglianza.

La norma, infine, che impone al pubblico ministero competente per l'esecuzione l'obbligo di adottare, prima dell'ordine di carcerazione, un decreto di sospensione con invito al condannato a presentare nel termine di trenta giorni la richiesta di applicazione di una misura alternativa alla detenzione, se da un lato tende a tutelare i meno abbienti ed a ripristinare il "principio di certezza nelle modalità di espiazione della pena per tutti i cittadini", dall'altra dà luogo, nella sua pratica attuazione, a tutta una serie di incertezze e perplessità. Ma anche di critiche, perché, tra l'altro, non si comprende come possa dall'ordinamento giuridico essere tutelato più un condannato che un imputato, se è previsto per il primo la "consegna" del decreto del pubblico ministero, e cioè un atto estremamente garantista mai previsto per il secondo in tema di notificazione degli atti processuali.

4 - QUESTIONI DI ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE

 

Nell'anno di riferimento risultano sollevate nel distretto sette questioni di illegittimità costituzionale, e precisamente:

1) dal Pretore di Pescara, con ordinanza del 2 Agosto 1997, quella dell'art. 274, lett. c), c.p.p. - per contrasto con il principio della ragionevolezza in relazione all'art. 3 Cost. - nella parte in cui non prevede che il limite all'applicazione delle misure di custodia cautelare contenuto nell'ultimo periodo di tale disposizione non si applichi nei casi in cui la decisione sulla misura cautelare abbia luogo in sede di convalida di arresto.

2) Dal Tribunale di Pescara, con ordinanza del 6 Aprile 1998, quella dell'art. 6, comma 2-5, della Legge 7 Agosto 1997, n. 267, in relazione all'art. 513, comma 2, c.p.p., per contrasto con gli artt. 3,101,111 e 112 Cost.

3) Dal Tribunale di Pescara, con ordinanza del 28 Aprile 1998, quella dell'art. 513, comma 1, c.p.p., come modificato dall'art. 1 della Legge 7 Agosto 1997, n. 267, per contrasto con gli artt. 3, 25 e 101 Cost.

4) Dal Tribunale di Pescara, con ordinanza del 20 Maggio 1998, quella dell'art. 513, comma 2, c.p.p., come modificato dall'art. 1 della Legge n. 267 del 1997, per contrasto con gli artt. 3, 97, 101 e 112 Cost.

(Queste tre ordinanze del Tribunale di Pescara hanno ritenuto la rilevanza e non manifesta infondatezza sotto vari profili della questione di legittimità costituzionale del regime transitorio attinente alla nuova formulazione dell'art. 513 c.p.p., introdotta dalla suddetta Legge n. 267).

5) Dal G.I.P. del Tribunale di Avezzano, con ordinanza del 4 Agosto 1997, quella dell'art. 409, commi 1 e 6 , c.p.p. - in riferimento agli artt. 3, 97, 1° comma, e 101 Cost. - nella parte in cui non prevedono, rispettivamente, che il g.i.p. possa dichiarare con il decreto di archiviazione la falsità di atti e documenti e che tale declaratoria vada notificata alla persona sottoposta alle indagini e sia da questa autonomamente impugnata.

6) Dal Pretore di Avezzano, con ordinanza del 5 Maggio 1998, quella dell'art. 513 c.p.p., come modificato dalla Legge 267 del 1997, in relazione agli artt.3 e 24 Cost..

7) Dal Tribunale per i Minorenni dell'Aquila, con ordinanza del 26 Giugno 1998, quella dell'art.30-ter della Legge n.354 del 1975, per contrasto con gli artt.3 e 31 Cost.

Si precisa che in relazione alla ordinanza sopra riportata al n. 5, la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 150 del 23 Aprile 1998, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione sollevata.

5 - QUALCHE (RI)PROPOSTA DI RIFORMA

 

Avvicinandomi al termine di questa relazione, ritengo di ripetere quasi testualmente alcune proposte di riforma, già avanzate nelle precedenti analoghe occasioni, e che potrebbero costituire motivo di riflessione:

a) Depenalizzazione

Ritengo di dover sottolineare, ancora una volta, l'assoluta necessità di un'ampia depenalizzazione, che elimini dall'area di rilevanza penale quegli illeciti non più sentiti tali dalla coscienza sociale. Essa dovrebbe comprendere anche tutte le ipotesi di emissione di assegni "a vuoto" o senza autorizzazione, perché i procedimenti relativi sommergono, per il loro grande numero, tutte le Preture e la stessa Corte d'Appello, distogliendo molte energie a procedimenti di maggiore rilevanza. D'altra parte bisogna anche considerare che la diffusione di tali comportamenti è, sia pure involontariamente, agevolata dalla estrema facilità con cui gli istituti bancari rilasciano libretti di assegni, essendo per loro sufficiente che si apra un conto corrente con depositi irrisori di denaro. In alternativa non sarebbe, peraltro, errato prevedere legislativamente l'inserimento dei fatti in esame in una specifica fattispecie di truffa mediante opportuni ritocchi dell'art. 640 c.p., in modo che la procedibilità sia sottoposta alla condizione della querela.

b) Giudizio di appello

Ritengo di poter ripetere anche quanto ho già avuto modo di esporre circa l'opportunità di riformare in modo incisivo la disciplina del giudizio di appello nei processi sia penali sia civili, limitandone l'ammissibilità.

Sia nel giudizio civile sia in quello penale (con l'introduzione del rito accusatorio) le prove utili per la decisione vengono infatti raccolte, nel contraddittorio tra le parti, davanti ad un magistrato (o perfino ad un collegio di magistrati). Non potendo, quindi, porsi alcuna questione circa la loro genuinità, l'unica materia del contendere in ordine al "fatto" resterebbe quella della interpretazione e della portata delle prove, ma in questo campo non può negarsi una palese incoerenza tra la posizione del giudice di primo grado e quella del giudice di secondo grado: il primo, avendo raccolto la prova, l'ha vissuta personalmente e ne ha riportato uno stimolo immediato per il suo intelletto e per la sua sensibilità, senza alcuna mediazione; il secondo, invece, rivive la prova soltanto attraverso la mediazione delle carte, non potendo non ricevere uno stimolo solo indiretto, e per questo certamente meno affidabile. Il giudice di primo grado, perciò, e quello di secondo grado esprimono giudizi sulle prove ( e quindi sul "fatto"), che si fondano su basi tra lo incoerenti e mi sembra davvero contraddittorio dare maggiore dignità e rilevanza al secondo giudizio, nel caso che esso sia diverso dal primo.

La limitazione del grado di appello serve, naturalmente, a ridurre notevolmente i tempi necessari per la definizione dei processi, senza apprezzabili alterazioni della giustizia, giacché, secondo i dati delle statistiche, sono minoritarie (v. tabelle allegate) le riforme in punto di fatto delle sentenze di primo grado (non tenendo conto, naturalmente, in campo penale, delle riforme che attengono solamente alla determinazione della pena in concreto o ai benefici di legge). Mi pare, quindi, che un indiscriminato giudizio di merito di secondo grado non trovi alcuna valida giustificazione, ed appare, anzi, come un elemento di incoerenza nell'attuale quadro del nostro processo.

L'appello deve essere quindi sottoposto ad un preventivo giudizio di ammissibilità (come avviene nelle legislazioni processuali che prevedono il rito accusatorio) come mezzo straordinario di impugnazione, quando per esempio tutte le parti siano d'accordo oppure in altri casi, tassativamente previsti, come il rinvenimento di una nuova prova, o la mancata valutazione da parte del giudice di primo grado di un punto autonomo della causa o di una prova, o la mancata ammissione di una perizia.

Ma in tema di appello possono e debbono farsi altre proposte subordinate, tutte rivolte a limitare il ricorso indiscriminato a questo grado del giudizio, spesso ispirato solo a scopi dilatori e che quindi contribuisce non poco ad allungare la durata di un processo, anche quando non vi è alcuna valida giustificazione.

In primo luogo con l'appello, sia nel processo civile sia in quello penale, non solo dovrebbero essere portati alla cognizione del giudice di secondo grado solo i punti discussi tra le parti nel giudizio di primo grado, ma soprattutto non si dovrebbero introdurre nuovi temi, neanche nel processo penale.

In secondo luogo (e ciò vale ovviamente solo per il processo penale) dovrebbe operarsi una modificazione dell'art. 593, comma 3, c.p.p. nel senso che l'inappellabilità dovrebbe colpire, tra l'altro, "le sentenze di condanna relative a reati per i quali è stata applicata la sola pena pecuniaria". Non ha nessuna ragionevole giustificazione l'attuale formulazione limitata alle sole contravvenzioni, punite con l 'ammenda, tenuto conto che non può dubitarsi che attualmente certe contravvenzioni (contenute in leggi speciali) sono ritenute anche dalla coscienza sociale ben più gravi e dannose di molti delitti. Naturalmente tale estensione della inappellabilità prevista dalla norma su riportata dovrebbe essere preceduta (perché sia veramente efficace ed incisiva nella operazione diretta a ridurre l'ambito dell'appello penale) da una riforma del codice penale in tema di pena per i delitti, mediante la sostituzione delle pene congiunte (detentiva e pecuniaria) con la reclusione e di quelle disgiunte con la multa e, nello stesso tempo, la previsione per le contravvenzioni della sola ammenda.

Inoltre dovrebbe essere prevista la sola multa per tanti delitti minori (per esempio quelli previsti dal Capo I del Titolo IV, gli atti osceni, la violazione di domicilio non aggravata, il pascolo abusivo anche aggravato) della sola pena pecuniaria (magari resa più severa e convertibile, in caso di effettiva insolvibilità del condannato, in sanzioni assimilabili al servizio civile). Ciò varrebbe anche, sia pure in modesta misura, ad alleviare la pesante situazione carceraria.

c) Procure Generali

Prima di esaurire questa parte della relazione sento il dovere di ripetere quanto ebbi ad esporre, nelle precedenti, sul problema dell'organizzazione, e della conseguente efficienza, delle procure generali presso le corti di appello.

Ricordo ancora una volta che nel marzo 1994 hanno avuto luogo presso il Ministro di Grazia e Giustizia tre riunioni dei procuratori generali, nel corso delle quali (come ha riferito lo stesso Ministero in una "sintesi" diramata agli uffici interessati) è stata unanimemente "sottolineata la necessità di ridisegnare le funzioni e il ruolo dei procuratori generali per rendere effettivo il potere di sorveglianza ad essi attribuito dall'art. 16 R.D.L. 31 Maggio 1946, n. 511".

Ora, tralasciando, in una visione realistica delle cose, tutte quelle proposte di modificazioni ordinamentali che non potrebbero certamente essere realizzate in tempi brevi, ritengo che sia più opportuna e più facilmente realizzabile, per il momento, la proposta di alcune riforme processuali "minime", al fine di meglio "connotare di effettività il potere di sorveglianza sugli uffici giudiziari del distretto" e di "razionalizzare alcuni istituti rispetto ai quali il ruolo attribuito ai procuratori generali presenta, nella normativa vigente, vistose anomalie". Nell'ambito di tali riforme ritengo di poter segnalare ancora una volta:

aa) l'ampliamento dei poteri di avocazione, riforma questa facilmente realizzabile attraverso un intervento legislativo che può inserirsi nel tessuto normativo vigente senza apportarvi stravolgimenti incoerenti con l'attuale assetto processuale;

bb) il congruo allungamento del troppo breve termine previsto dall'art. 412, comma 1, c.p.p. È certamente assurdo che una procura generale (con i suoi organici insufficienti e priva com'è di una propria sezione di polizia giudiziaria) possa compiere in trenta giorni le indagini sostitutive, sicché è da prendersi atto che la norma attualmente vigente resta quasi del tutto inapplicata, con conseguente violazione del principio della obbligatorietà dell'azione penale.

cc) la facoltà di chiedere informazioni, al fine di rendere concreto l'esercizio del potere di vigilanza, che costituisce la funzione più importante e veramente significativa delle procure generali; mi riferisco, in particolare, alla opportunità che siano apportate modificazioni all'art. 409, comma 1, c.p.p. (con l'aggiunta della norma che imponga al g.i.p. di dare comunicazione al procuratore generale anche dei decreti di archiviazione), all'art. 412, comma 2, dello stesso codice (con il richiamo anche del comma 1, oltre che del 3, dell'art. 409), in modo che sia prevista la possibilità di avocazione anche a seguito della comunicazione del decreto di archiviazione. Non ha, infatti, nessun senso logico prevedere l'intervento avocativo del procuratore generale nel solo caso che il g.i.p. non accolga "de plano" la richiesta di archiviazione e fissi l'udienza in camera di consiglio, e non anche nel caso che il g.i.p., concordando con il p.m., accolga quella richiesta.

dd) l'estensione al procuratore generale della facoltà di impugnazione in tutti i casi in cui, con le vigenti norme, essa è genericamente attribuita al "pubblico ministero", se si comprende in tale accezione - come ritiene una parte della giurisprudenza - solo il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale, ordinario o minorile, e presso la Pretura: in particolare dovrebbe essere prevista la ricorribilità per cassazione contro tutte le ordinanze emanate dal c.d. tribunale della libertà (in sede di riesame o di appello) nelle materie di sua competenza, mediante un semplice intervento sugli artt. 311, comma 1, e 325, comma 1, c.p.p.

Allo scrivente questa modificazione delle norme suddette sembra del tutto logica, sol che si consideri che il potere di impugnazione del procuratore generale potrebbe evitare che un provvedimento del "tribunale della libertà" diventi definitivo contro il parere del p.m. originariamente appellante, ma diverso dal p.m. presso quel tribunale, eventualmente inerte.

ee) la modificazione dell'art. 548, comma 5, c.p.p. nel senso che alle procure generali debbano essere inviate le copie integrali (e non il solo estratto) delle sentenze per consentirne un controllo maggiormente efficace.

Ripeto che queste riforme rappresentano un "minimum" facilmente realizzabile, mediante ridotti interventi legislativi, in tempi brevi e, soprattutto, mantenendo inalterato l'attuale assetto processuale.

 

6 - CONSIDERAZIONI SUL COSIDDETTO "GIUDICE UNICO"

 

Per quanto attiene ad una mia valutazione sulla Legge 16 Luglio 1997, n. 254 (delega al Governo per l'istituzione del giudice unico di primo grado) e sul relativo decreto legislativo di attuazione (19 Febbraio 1998, n. 51), mi sia consentito di esprimere la mia opinione contraria a tale riforma, che non fa che seguire la "filosofia dell'accorpamento", e che si risolve, in pratica, nella creazione, come sempre, di uffici giudiziari sempre più grandi e quindi di più difficile gestione, come è già avvenuto nel passato con l'accorpamento delle preture, che davvero non si può dire abbia avuto successo, riuscendo solo ad aggravare la loro situazione con gli effetti disastrosi che sono sotto gli occhi di tutti.

Ritengo, invece, che si sarebbe dovuto seguire la "filosofia" opposta, quella, cioè, di istituire uffici giudiziari più agili, distribuiti quanto più possibile nel territorio, e di suddividere quelli di grandi dimensioni esistenti nelle maggiori città (questa ultima esigenza comincia ad avvertirsi). La fondatezza di questa concezione è dimostrata dalla necessità sentita dal legislatore di creare il giudice di pace, che, in definitiva, riproduce la figura dell'antico pretore. Ed allora mi domando perché mai si sia dovuto scardinare il vecchio sistema, per instaurarne uno nuovo, che non offre alcuna garanzia di successo.

Perché poi parlare di giudice unico di primo grado, quando ne esiste un secondo, il giudice di pace, che è ormai entrato a pieno diritto nell'ambito dell'ordinamento giudiziario come magistrato semi-professionale e certamente non onorario? Ed al quale il legislatore si appresta ad affidare anche una competenza penale, oltre che ampliargli quella civile?

Infine non può non rilevarsi che l'insuccesso della nuova riforma sarà assicurato se non si provvederà quanto meno, a completare gli organici dei magistrati e ad aumentare quelli del personale amministrativo; in caso contrario l'accorpamento delle sole risorse umane attualmente disponibili non potrà tenere dietro all'accorpamento dei fascicoli, questo sì completo e non riducibile.

Sembra davvero assurdo che ci si possa apprestare a realizzare una riforma, che non si è esitato a definire "epocale", senza impegnare minimamente il bilancio dello Stato.

CONCLUSIONE

 

Mi avvio alla conclusione; e non solo di questa relazione, che per l'ultima volta sono chiamato a svolgere sullo stato dell'amministrazione della giustizia nel distretto abruzzese.

Mai come ora, perciò, vorrei, nel congedarmi, essere capace di pronunciare parole di fiducia: chiamare a raccolta dalla mia mente le parole più convincenti che ci annunciassero come prossimo, finalmente, il recupero, in questa nostra amata Patria, della piena legalità e di quel senso del diritto e della giustizia, che in altri tempi avevano costituito il nostro vanto.

Ma queste parole non le ho trovate laddove ho creduto di doverle cercare. Pur tuttavia potrei pronunciarle ugualmente, facendo esercizio di quella facile ipocrisia che è uno degli atteggiamenti più frequenti di questi tempi e che spesso svilisce la nostra democrazia ad una mera ritualità priva di contenuti. Allora mi sarebbe agevole, comprimendo le mie convinzioni, fingere espressioni di fiducia e di ottimismo, come adempiendo un rituale già scritto, e da tutti atteso.

Ma la mia mente non riesce a dettarmi neanche queste espressioni; violentandola tradirei me stesso e il dovere (e il diritto) di dire quello che penso.

Quando la mia memoria ritorna a considerare i quarantasette anni della mia vita consacrati all'amministrazione della giustizia, sempre con estrema lealtà verso quelle istituzioni, alle quali avevo giurato fedeltà, mi assale uno sgomento: quello di constatare che alle iniziali macerie materiali, che man mano venivano rimosse grazie alla operosità ed alla intelligenza degli italiani, sono venute a poco a poco sostituendosi macerie morali e spirituali, ben più gravi ed irreparabili. È facile la ricostruzione di un bene materiale, ma come si fa a ricostruire l'amore autentico per la Patria, o il senso della giustizia e della responsabilità, insomma il senso del dovere e il timore di Dio, se questi valori sembrano dimenticati se non perduti? E l'onestà di cui negli ultimi decenni si è fatto scempio (e se ne fa ancora) da parte di molti cattivi maestri e di molti volenterosi allievi, dov'è soprattutto l'onestà, nella quale si riassumono il senso dell'onore, la rettitudine, la sincerità, la lealtà, il rispetto della legge e del prossimo? Questa enorme forza morale, oggi è rimasta confinata in quella moltitudine di persone perbene, che vivono in ogni angolo di questo Paese, ma che sono senza voce e si rassegnano a svolgere solo un ruolo di silenziosi e smarriti spettatori.

Ecco, proprio alle tante persone perbene intendo parlare, perché a loro non possa mancare almeno una parola di speranza e di fede. Ma per far questo ho dovuto rovistare nel mio vecchio cuore, ed infatti soltanto là ho trovato parole di incoraggiamento, che le invitino a conservarsi oneste senza alcun timore, anzi menandone vanto, così da essere per tutti testimonianza dei veri valori della vita; ma che le spingano anche a non rimanere nascoste, inerti, silenziose, quasi escluse dalla vita pubblica, loro che sono la maggioranza, ma invece pronte alla riaffermazione di questi antichi valori, onde di essi torni ad informarsi la vita pubblica e privata, per un ritorno all'honeste vivere.

Ed è con queste parole di speranza che, signor Presidente, le chiedo di dichiarare aperto, nel nome del popolo italiano, l'anno giudiziario 1999 nel distretto della Corte di Appello dell'Aquila.