LA STORIA IMPOSSIBILE - N. 1
 

Umberto Bartocci

La scomparsa di Ettore Majorana: un affare di stato?

(pagine 160 - L. 25.000)
 

Un saggio che cerca di fare il punto, senza pregiudizi e tabù reverenziali, sui possibili più autentici retroscena della scomparsa del famoso fisico nucleare siciliano, in un momento storico turbato dai fermenti dell’imminente conflitto mondiale. Il testo presenta una rassegna critica esauriente delle opere che sono state dedicate a questo caso, ed è corredato di tutta la documentazione rilevante, oltre che di ampie informazioni sulla storia delle ricerche che condussero alla costruzione delle prime armi atomiche.
 

INDICE
 
 

Prefazione - Chi ha paura della storia?

Avvertenza

Cap. I - Una misteriosa scomparsa

Cap. II - Ettore Majorana e i "ragazzi di via Panisperna"

Cap. III - I possibili "perché" di una scomparsa

Cap. IV - Uno scenario alternativo

Appendice al Cap. IV - Breve storia del "progetto Manhattan" (e di qualcosa in più)

Cap. V - Majorana ‘segreto’

Cap. VI - Epilogo

Postfazione

Cronologia essenziale

Indice dei nomi.
 

______________________________________________
 


* La storia impossibile *


 


Per affrontare con coraggio argomenti che il potere e la convenienza politica non vogliono discutere, assecondati dalla prudenza di intellettuali servili, che non escono dal conformismo dei giudizi e delle interpretazioni che sanno lecite e gradite, e consentono vita tranquilla e facili carriere.

Per ricercare quei piccoli indizi che sfuggono a chi controlla i nostri indirizzi culturali e, mostrando crepe e contraddizioni nel sistema di pensiero che ci è proposto come unico legittimo, permettono così di intravedere ciò che si svolge realmente dietro le quinte.

Per riconoscere nella ricerca della verità un’esigenza insopprimibile dell’essere umano, e promuovere tale finalità in modo assolutamente incondizionato, senza nessun vincolo di ordine contenutistico o formale, metodologico o programmatico, nella persuasione che verità e libertà - di pensiero, di espressione, di coscienza - sono due facce della stessa medaglia, e che non può darsi l’una senza l’altra.

Per reagire alla moderna sottile inquisizione dei tanti "uomini in nero" che affollano scuole, università, mezzi di comunicazione, e svolgono, talvolta anche inconsapevolmente, il ruolo di cani da guardia di un sistema che sfavorisce ogni forma di reale pensiero alternativo, e cerca di eliminare screditandole a priori tutte le ricerche che rischiano di metterne in crisi l’autorevolezza.
 


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La Società Editrice Andromeda segnala l'inaugurazione di una nuova collana, dal nome "La storia impossibile", a chiunque sia interessato a conoscere alcuni aspetti non secondari, e molto spesso occultati, della storia di eventi che più di ogni altro sono stati causa delle note trasformazioni profonde e irreversibili che hanno portato all’attuale assetto socio-economico-politico della nostra civiltà.

Le prime due uscite della collana sono dedicate a due momenti fondamentali della storia della fisica di questo secolo. In esse non si fa inutile sfoggio di tecnicismo (il latinorum dei Don Abbondio, sovente utilizzato per confondere le idee, o tenere lontani da certe questioni). Si cerca al contrario di fornire informazioni e giustificare argomentazioni nel linguaggio più semplice e diretto possibile, sicché essi sono fruibili anche da parte di chi, attento in generale a scienza, storia, filosofia,... non sia particolarmente addentro alle discipline fisico-matematiche.
 

I libri possono essere ordinati tramite richiesta diretta alla:

Società Editrice Andromeda
via Salvador Allende 1
40139 Bologna

Tel. ø 051.548721 - 051.490439
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al prezzo sotto indicato, più £. 5.000 per contributo spese di spedizione (che avverrà con pacco raccomandato in contrassegno).

Se l'importo verrà versato anticipatamente tramite bollettino postale sul ccp n. 15121403 intestato alla Soc. Ed. Andromeda, il contributo per la spedizione sarà ridotto a £. 2.500.
 


Promozione speciale


 


I primi due volumi insieme L. 52.000, senza aggiunta di spese di spedizione.

I libri possono pure essere ordinati presso qualsiasi libreria al prezzo di copertina.
 

Bologna, dicembre 1998
 
 

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POSTFAZIONE


  C’è chi lavora per cercare la verità e chi lavora per acquistare potere e fama. Purtroppo sembra che gli uomini che seguono la prima via debbano necessariamente soccombere. (VT, p. 17)
 
Ci sono opere alla realizzazione delle quali si è sospinti da una sorta di irresistibile fatalità, che si manifesta sotto forma di incontri, segni, coincidenze, che non si possono alla lunga ignorare. Questa, che il lettore ha presentemente tra le mani, è una di quelle, nelle vesti di un altro libro che mai avrei immaginato sarebbe stato compreso tra quelli da me scritti, ma che di fatto ho dovuto invece scrivere, in obbedienza alle a volte appena decifrabili intimazioni di un inesorabile destino. La questione della scomparsa di Majorana non mi aveva mai interessato particolarmente, e ne sapevo più o meno quanto la maggioranza delle persone a me vicine, quasi esclusivamente grazie alla visione di sceneggiati televisivi dedicati alla storia dei famosi "ragazzi di via Panisperna". Nel mio caso personale potrei aggiungere una lettura alquanto superficiale dell’opera di Leonardo Sciascia più volte precedentemente citata, ma nel complesso di tale vicenda conoscevo ben poco, né mi era mai parsa un argomento a cui bisognasse dedicare qualche particolare attenzione. Una questione ‘privata’, o poco altro, che pur riguardando uno degli esponenti di rilievo della storia della fisica italiana di questo secolo, veniva messa in secondo piano da tante altre ‘storie’ più importanti. Poi, mi sono venuto a trovare man mano in possesso di una serie di informazioni, all’inizio neppure ricercate volontariamente, che poco alla volta, e in modo naturale, sono andate a comporre un quadro piuttosto coerente, che si inseriva perfettamente del resto in quello più generale che ero venuto costruendo nel corso di miei decennali studi sulla storia della scienza moderna (e al quale ho alluso nella mia recente ricerca su un possibile ruolo delle "società segrete" nelle sue ‘origini’).

Almeno una delle persone che hanno avuto un ruolo decisivo in questa progressiva maturazione debbo qui esplicitamente citarla: si tratta del compianto Prof. Valerio Tonini, di cui ho lungamente parlato, che incontrai per la prima volta nell’ormai lontano 1988, durante un Convegno a Bari dedicato a "La questione del realismo". Allora avevo già fondato la mia persuasione dell’esistenza di un filo diretto tra l’affermazione della teoria della relatività in fisica e dell’impostazione formalista in matematica, il tutto sotto l’ombra e la regia degli ‘uomini di Göttingen’1, e mi interessava ogni notizia che poteva contribuire ad arricchire l’immagine che mi ero fatta di quelle persone, e di quei tempi. Lo zio di Ettore Majorana, Quirino, era uno dei personaggi, ancorché ‘minori’, di questa particolare vicenda, le cui connotazioni, di natura anche ideologica e politica, stavo finendo proprio allora di precisare, e quindi...

Eppure, ho esitato tanto prima di dare alle stampe questo libro, perché l’argomento scabroso, facile a fraintendimenti, e una naturale tendenza al quieto vivere, mi avevano sempre portato a posporre l’impresa. Sarebbe difficile dire cosa mi abbia improvvisamente tolto dall’indecisione: forse, l’incontro con un caro amico di lunga data, il quale, al termine di una mia breve esposizione del contenuto potenziale del libro, ha confessato che lavori come questo gli davano il voltastomaco2; o con quell’altro, che mi ha detto che ordine e logica non esistono nella realtà, ed è quindi impresa del tutto inutile tentare di inserirli nella storia3; forse, la continua dimestichezza con quel pensiero di Ezra Pound che ho appeso, per vincere l’accennata istintiva vigliaccheria, nello studio che utilizzo nella mia qualità di docente di Geometria presso l’Università di Perugia: "Se un uomo non è disposto ad affrontare qualche rischio per le sue opinioni, o le sue opinioni non valgono niente, o non vale niente lui"; forse, la lettura della riflessione di Friedrich Dürrenmatt apposta in epigrafe all’ultimo capitolo di questo lavoro ["Lascia perdere, vecchia", disse Tiresia ridendo a Pannychis, "non preoccuparti di ciò che può essere stato diverso da come ce l’hanno raccontato e che non smetterà di cambiare faccia se noi continueremo ad indagare ... La verità resiste in quanto tale soltanto se non la si tormenta." (F. Dürrenmatt, La morte della Pizia)], che contrasta così profondamente, nel suo scetticismo universale, con il mio amore, pur esso istintivo, per la ‘verità’ - o, se si preferisce, per la ricerca di essa - nella convinzione che il celebre detto del Cristo "conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi" (Giovanni, 8:32) possa avere anche più modesto riferimento a ogni tipo di verità; forse, infine, l’incontro con un angelo, o un demone, chissà...

Dicendo queste parole, sono naturalmente ben consapevole che ci si trova qui di fronte a una di quelle che potrebbero definirsi antinomie della ragione pratica, e che il cedimento a un amore istintivo per la verità potrebbe essere considerato molto più un difetto che una virtù. Il problema è infatti, per tutti coloro che hanno nel cuore il motto ORDO AB CHAO, se tale impresa sia possibile restando sempre comunque nell’alveo della verità, o se dalla pratica di essa costringa dolorosamente a distaccarci la constatazione che, nell’attuale umana contingenza, il "popolo" non è ancora maturo per non essere ingannato4, e l’auspicabile pacifica coesistenza tra verità e ordine, o tra verità e carità5, sia ancora purtroppo irrealizzabile.

Fatto sta che questo libro - il cui ‘grosso’ è stato scritto, dopo una meditazione di quasi 10 anni, nell’arco di tre sole settimane, a cavallo di un torrido Ferragosto, mentre godevo a Terni della cortese ospitalità della famiglia Salvati, e servizi di informazione degni di un paese ‘occupato’ e in disfacimento morale6 centravano tutta la loro ipocrita attenzione sulle prodezze amatorie di un presidente degli Stati Uniti - adesso è qui, davanti ai miei occhi, e a quelli dei lettori. Mi scuso con coloro di questi che avranno potuto trovare le precedenti considerazioni ridicole e/o offensive, nella speranza almeno che a persone tanto superiori dal punto di vista filosofico, scientifico, morale e politico non sarà difficile trovare nei confronti dello scrivente espressioni più di commiserazione che di condanna7.

Al lettore non prevenuto torno comunque a ripetere quanto ebbi già a dire in America: una rotta templare: ho cercato di fornirti tutte le informazioni che presumevo rilevanti in mio possesso, adesso giudica sinceramente con la tua testa...
 


NOTE


 


1 Göttingen è la città tedesca che dà il nome alla famosa università, centro di una delle rivoluzioni più importanti di tutta la storia della scienza. Là furono elaborati i nuovi fondamenti della matematica, la formalizzazione della teoria della relatività, i principi e i metodi della nuova meccanica quantistica, etc.. Per qualche notizia in più, vedi: David Rowe, "Jewish Mathematics at Göttingen in the Era of Felix Klein", Isis, 77, 1986, pp. 422-449; "Klein, Hilbert and the Göttingen Mathematical Tradition", Osiris, 5, 1989, pp. 186-213 (cfr. anche la precedente Nota N. 251).

2 Si tratta peraltro di persona strettamente legata a quel ‘gruppo romano’ di cui abbiamo fornito in precedenza qualche notizia. Del resto, anche il presente autore è stato in qualche senso ad esso abbastanza ‘contiguo’, come si è potuto forse notare da alcuni dei cenni biografici qua e là riportati.

3 Samuel Eliot Morison, in The Oxford History of the American People, sostiene che "La storia è così, in molta parte un gioco del caso". Ma, appunto, senza trascurare il ruolo del caso nelle umane vicende, compito dello storico dovrebbe essere proprio quello di accertare quanta parte di queste non sia viceversa frutto del caso, ma di intervento deliberato e programmato da parte dell’uomo. La precedente considerazione è inserita all’interno di una riflessione sulla scoperta dell’America, che qui di seguito riportiamo, proprio per farne vedere lo stridente contrasto con l’interpretazione alternativa dell’evento che segna l’inizio dell’Era Moderna, quale illustrata in America: una rotta templare (e proporre quindi l’ipotesi che sia proprio il ‘pregiudizio’ dianzi citato la ragione della ‘cecità’ di certi storici): "L’America fu scoperta per caso da un grande navigatore che cercava qualcos’altro; quando fu scoperta, nessuno seppe che farsene, e per i successivi cinquant’anni venne esplorata soprattutto nella speranza di trovare un modo di traversarla o aggirarla. Infine, ebbe nome da un uomo che non scoprì nessuna parte del Nuovo Mondo".

4 La questione è naturalmente una di quelle che hanno accompagnato il dibattito sui rapporti tra politica e morale (all’interno delle riflessioni metafisiche sull’uomo) sin dall’inizio dei tempi, a partire dalle considerazioni di Platone nel Libro III de La Repubblica (III, [b]): "se il falso è invece utile agli uomini come può esserlo un farmaco, è chiaro che l’uso di questo farmaco è riservato ai medici [...] se c’è qualcuno che ha diritto di dire il falso, questi sono i governanti", per finire a Machiavelli, e oltre. Potrà interessare il lettore sapere che, sotto il titolo Bisogna ingannare il popolo?, l’editore De Donato (Bari, 1968) ha pubblicato le due dissertazioni su questo argomento premiate dalla Reale Accademia Prussiana di Scienze e Lettere nel 1780, la quale aveva bandito un apposito ‘concorso’ sul tema (per coincidenza, i vincitori, che sostennero punti di vista opposti, erano due matematici, Frédéric de Castillon e Marie-Jean-Antoine N.C. de Condorcet).

5 Bisogna considerare eticamente fondato il monito rivolto dal cardinale domenicano de Lai al grande storico tedesco Ludwig Pastor, quando a questi fu affidato l’incarico di comporre la sua monumentale Storia dei Papi: "Prima la carità e poi la verità, anche nella storia"? (dall’epigrafe al testo di Peter De Rosa, Vicars of Christ, Corgi Books, Londra, 1992).

6 Una civiltà può definirsi in disfacimento morale quando le qualità di una persona sono valutate in funzione della quantità di denaro (o di potere) che riesce a controllare, indipendentemente dai modi, e dalle ragioni, con cui questa ‘capacità di controllo’ è stata acquisita.

7 Per avere espresso con sincerità le proprie opinioni? Per avere offeso, con le sue congetture e ‘analisi logiche’ alla portata di qualsiasi intelletto, l’onorabilità e la reputazione di un’intera corporazione accademica, che si riconosce nell’autorevolezza di certi ‘capi spirituali’, di cui non gradisce vedere lesa l’immagine neanche a livello di semplici speculazioni logiche, prive di ogni concreta conseguenza? Nel dialogo di Platone ricordato nella precedente Nota N. 312, si afferma purtroppo non solo che il mentire è lecito esclusivamente ai governanti, ma anche che dire la verità non è in generale troppo ‘consigliabile’ "a privati qualunque": "tra persone intelligenti e amiche è sicuro e senza pericolo parlare" (Libro V, II, [d]; i corsivi sono aggiunti dal presente autore).
 


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[Ci sembra sensato inserire qui, a ulteriore presentazione non solo di questo lavoro, ma pure di altre simili ricerche, un vecchio articolo sul "metodo indiziario", che e' stato successivamente la fonte d'ispirazione per il Cap. I di "America una rotta templare" - Adesso disponibile in questo stesso sito:
http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/st/indiz.htm]
 


SUL METODO INDIZIARIO
NELLA RICERCA STORIOGRAFICA


 


"Se non ce lo si aspetta, l'inaspettato non si trovera'"
(Eraclito)

Si e' discusso, e si continua a discutere, sulla legittimita' e sul valore dell'uso del metodo 'indiziario' nella ricostruzione di avvenimenti storici. Esemplare e' a questo proposito l'articolo di Umberto Eco1, che contesta a priori ogni tentativo di rintracciare indizi di una persistenza dell'organizzazione templare in vicende verificatesi ben oltre lo scioglimento forzato dell'ordine2, quasi che sia veramente piu' plausibile ritenere che i cavalieri sopravvissuti alla persecuzione "con la paura che si erano presi, [abbiano] cercato di rifarsi una vita altrove, in silenzio", anziche' cercare qualche forma di resistenza e di rivincita entrando in clandestinita'. Una siffatta opinione, che distingue (ovviamente) gli studi storici "seri" ed "affidabili" da quelli compiuti dalle "mezze calzette di tutti i tempi e di tutti i paesi", si conclude facendo (come al solito pessimo, ancorche' abbastanza improprio) uso dell'ammonimento wittgensteiniano, "Di cio' di cui non si puo' parlare si deve tacere"; a utilizzare ancora una volta questo pensiero con un intento critico non costruttivo a difesa della chiusura della mente, per elevare una barriera di impossibilita', un moderno "nec plus ultra", con il quale segnare i confini tra il campo delle vere scienze (e dei veri scienziati) da quello delle pseudo-scienze3.

Peccato per chi sostiene tali opinioni che, invece, i confini tra i due settori si trovino per la verita' piu' spesso marcati semplicemente da quella sorta di 'pigrizia accademica' alla quale fa riferimento Benedetto Croce quando rileva tristemente che:

"La maggior parte dei professori hanno definitivamente corredato il loro cervello come una casa nella quale si conti di passare comodamente tutto il resto della vita; da ogni minimo accenno di dubbio vi diventano nemici velenosissimi, presi da una folle paura di dover ripensare il gia' pensato e doversi mettere al lavoro. Per salvare dalla morte le loro idee preferiscono consacrarsi, essi, alla morte dell'intelletto."

Va da se', questo frequente atteggiamento dei 'professionisti' della cultura deve essere celato sotto abbaglianti paludamenti, ed ecco quindi l'esaltazione di un metodo con il quale sia possibile senza troppa fatica distinguere il grano dalla gramigna, i buoni dai cattivi, o, per restare nel campo che piu' ci interessa, la storia dalla "fantastoria", o peggio dalla "paranoia ermeneutica". In effetti pero', questo famoso metodo assomiglia di solito assai di piu' alle regole di un galateo che ad una serie di indicazioni formulate allo scopo di 'ben condurre la propria ragione' (e quindi una ricerca), ma risulta facile cosi' classificare come "spazzatura", con la quasi assoluta certezza di essere imitati ed apprezzati da legioni di accademici interessati principalmente a questioni di progressione della carriera (propria o dei propri 'seguaci') ed alla produzione dei relativi 'titoli', anche onesti tentativi di comprensione ed interpretazione di particolari momenti storici, e di individuazione delle loro 'cause nascoste'.

Che poi, a ben vedere, sarebbe forse piu' comprensibile la preferenza per i prodotti formalmente ineccepibili di coloro che hanno ricevuto dall'apparato, peraltro dopo un lungo condizionamento culturale, il crisma canonico che autorizza all'insegnamento ed alla ricerca, se di tanti momenti storici importanti ci venisse proposta dalla vulgata ufficiale una ricostruzione credibile4. Influenzata invece dal proposito di evitare tabu' ideologici, e da un ideale astratto di 'perfezione' accademica, ecco che sovente la ricerca storica 'ufficiale' si alimenta su dettagli marginali (i soli studi che non facciano correre troppi 'rischi' ai loro autori), ed accade che provengano per lo piu' da 'dilettanti', che nutrono ambizioni che vanno al di la' del ristretto orizzonte degli 'specialisti', le opere piu' interessanti e di maggiore respiro.

Per accennare, nei limiti di questa breve nota, al punto del contendere, la critica si limita sostanzialmente allo stesso luogo comune: "vogliamo le prove, le prove 'materiali'; dove sono i documenti che confermano le tue argomentazioni?; le deduzioni non costituiscono prova". Richiesta questa che appare a prima vista del tutto legittima, ma che resiste ad una semplice analisi soltanto al livello elementare in cui e' ovvia, e quindi superflua, dal momento che ogni tentativo di ricostruzione storica ha il suo punto di partenza in una 'realta' documentaria', che comprende pero' anche la valutazione di tracce, indizi, moventi, testimonianze scritte o verbali (voci e tradizioni), opere materiali, mappe, strumenti, silenzi ed omissioni contrapposte a 'zone di brillanza sospetta', etc.; in una parola, tutti i frammenti che restano li' davanti alla nostra attenzione come il fondamento sul quale edificare quel processo deduttivo che consente (nei casi fortunati) di conoscere, o di congetturare fondatamente, l'esatto svolgersi degli avvenimenti di un ormai invisibile scomparso passato.

Il compito del vero storico, piu' che di restare "[impigliato] tra le piccolezze confuse della 'lettera che uccide'"5, resta sempre quello di rintracciare l'esile filo della verita' vagliando tutto l'insieme dei segni che gli provengono da tempi lontani, avendo come unici strumenti a sua disposizione la propria libera ed autonoma ragione ed il criterio di verosimiglianza, i soli che gli permetteranno di individuare i nessi significativi, sottolineare le coincidenze eccezionali, stabilire una trama convergente di dati sulla quale fondare delle ipotesi, e successivamente confrontarle tra loro, cercando di determinarne la maggiore o minore probabilita'. Alla pazienza metodica ed all'accuratezza scrupolosa con le quali svolgere il lavoro di ricerca preliminare negli archivi e nelle biblioteche, o nelle interviste a persone, lo storico dovra' accompagnare pertanto intuizione creativa, immaginazione, capacita' di 'inferenza abduttiva', talento nel sapersi calare nei panni di persone diverse in periodi diversi6, allo scopo di riuscire a respingere i tentativi di dissimulazione coperti dalla polvere del tempo, saper leggere tra le righe per distinguere le (eventualmente poche) certezze dalla ragnatela di bugie, aggiungere ricostruendole nella sua fantasia alle tante storie scritte dai vincitori e dai persecutori quelle che sarebbero state scritte dai perseguitati e dai vinti, con il proposito ultimo di presentare al proprio (ed all'altrui) intelletto una possibile soluzione di qualcuno dei tanti enigmi che ci offre la storia; soluzione che sara' pero' tanto piu' convincente quanto piu' affondera' le sue radici nella plausibilita', che non su una mitica irraggiungibile certezza 'scientifica'7. Il lavoro dello storico da assomigliare quindi piu' allo sforzo di un investigatore8, o di un magistrato, che indaga sull'individuale e su elementi malcerti, molto spesso artefatti a bella posta dal colpevole, senza alcuna possibilita' di quantificazione, che non a quello di uno 'scienziato' che si occupa in laboratorio di fenomeni ripetibili un numero illimitato di volte, e sui quali puo' quindi applicare le regole del calcolo e le 'certezze' della matematica9.

Per restare nell'ambito della metafora di tipo giudiziario, sembra quasi, di fronte a certe critiche, di trovarsi di fronte a quella stessa 'gelosia' che si puo' immaginare possa provare il semplice poliziotto destinato a raccogliere le prove materiali di qualche misfatto nei confronti dell'investigatore che, senza sporcarsi le mani sul campo, le vaglia poi tutte insieme, cercando di costruire un quadro di riferimento concettuale nel quale tutte assumano il giusto significato. Nel nostro caso, nessuna forza esterna, fisica, impedisce di fatto allo storico di giocare simultaneamente entrambe le parti, se non la propria stessa rinuncia, ed il peccato di non aver saputo resistere alla tentazione della 'specializzazione', piaga oggi largamente diffusa tra gli operatori culturali in tanti diversi settori. E' l'adesione ad una specializzazione che impedisce di vedere, soprattutto nella storia, il panorama generale10, e nella definizione del giusto valore da assegnare alle opinioni di tanti pretesi 'esperti' non si puo' rinunciare a tenere conto di tale dato di fatto.

A questo disarmonico intrico tra storia, e piu' in generale tutte le cosiddette scienze morali, o umane, e scienze 'naturali', ha gia' posto brillantemente attenzione Carlo Ginzburg11, rilevando l'esistenza di quella che potremmo definire una seduzione operata su una classe di studiosi dal successo di un'altra: "L'indirizzo quantitativo ed antiantropocentrico delle scienze della natura da Galileo in poi ha posto le scienze umane in uno spiacevole dilemma: o assumere una statuto scientifico debole per arrivare a risultati rilevanti, o assumere uno statuto scientifico forte per arrivare a risultati di scarso rilievo" (sottolineatura aggiunta)12.

Detto cio', di fronte ai lavori di coloro che producono delle nuove ipotesi, ancorche' a volte azzardate o premature (ma feconde allora di nuove ricerche ed imprevisti approfondimenti), critiche di sapore corporativo, o richiami ad una professionalita' di metodo, appaiono piu' che ininfluenti irritanti13, visto che non e' vantaggioso, per chi avesse come obiettivo esclusivo la ricerca della verita', respingere delle intere visioni d'assieme a partire dall'unica circostanza che esse possano essere confutate in qualcuna delle singole parti su cui sono state edificate o, peggio, unicamente per qualche difetto relativo alla 'forma' con la quale esse sono presentate. Cosi' si esprime per esempio il Ricolfi14, fatto evidentemente oggetto di simili critiche per studi pure interessantissimi sulla questione del "linguaggio segreto" dei "Fedeli d'amore":

"Poiche' se si accetta [questa teoria], sia pure in via provvisoria e come pura 'ipotesi di lavoro', si puo', e' vero, correre il rischio di qualche avventura pericolosa, ma si puo' anche trovare un filo di Arianna la' ove prima esisteva la tenebra [...]. Terreno infido, il nostro, sta bene; e che per cio'? Solo i poltroni dell'intelletto sono padroni di rimanersene a riva a irridere ogni tentativo di esplorazioni ulteriori fra queste malagevoli sirti".

Ben venga dunque il paradigma 'indiziario' nella ricerca storica, senza nessuna 'invidia' di classe da parte di chi tenta di risolvere qualcuno dei problemi elusivi offerti dalla storia nei confronti dello sperimentatore che riesce ad ottenere oggi maggiori fondi per la sua ricerca, tenuto conto che anche la conoscenza del proprio passato e' un elemento costitutivo essenziale di una societa' e di una cultura. Comprendere cio' che e' stato ieri allo scopo di essere consapevoli dell'oggi, e di progettare convenientemente e con impegno il domani, tenendo per l'appunto sempre presente che, in accordo con una considerazione di Santayana, i popoli che dimenticano la storia sono condannati a ripercorrerla. Ed e' veramente ora che la storia, la storia vera, la si cominci a studiare e comprendere sul serio, come primo passo verso un'ulteriore tappa nell'evoluzione dell'umanita', ed il tanto atteso riscatto di una larghissima parte di essa.
 


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"A tutti coloro che nella ricerca della verita' hanno con maggiore o minore successo tentato di applicare il metodo sopra descritto, la presente nota viene con spirito di ammirazione e solidarieta' dedicata"15.

NOTE


 


1 - "Storia e mito dei Templari", L'Indice dei libri del mese, Gennaio 1992.

2 - L'ordine dei Templari viene dichiarato disciolto nel 1312, anche se l'ultimo loro Gran Maestro Jacques De Molay sale sul rogo soltanto nel 1314. Qualche processo ai Templari continua a verificarsi pero' anche dopo tale data, come nel caso di Cecco d'Ascoli, il quale conosce analoga sorte a quella di Jacques De Molay a Firenze nel 1327. Dopo questo periodo si perde in effetti ogni traccia 'materialmente documentabile' di una sopravvivenza dell'ordine, fino al momento della nascita del 'mito templare' tra il '600 e il '700, se si esclude pero' il caso del Portogallo, nazione nella quale i Templari si limitarono semplicemente a cambiar nome. Guarda caso, proprio in Portogallo, e per opera dei Templari 'travestiti', accadranno vari episodi la cui approfondita analisi e' di fondamentale importanza per una comprensione realistica di diverse caratteristiche della storia moderna. Il presente autore si e' occupato in vari scritti di questo argomento, anche se, naturalmente, quasi tutti questi sono apparsi su fonti secondarie, quelle ancora non controllate dalla 'cintura di sicurezza' costituita dai referees delle riviste scientifiche 'ufficiali'. Comunque sia, un "La questione colombiana e il problema del metodo indiziario nella ricerca storiografica" e' stato pubblicato a puntate dalla rivista amatoriale "Nova Astronautica" nel 1993, ed e' anche in corso di pubblicazione su "Coscienza Storica"; sempre nello stesso anno un "Cristoforo Colombo e le origini della scienza moderna" e' stato pubblicato a puntate su "Il Gazzettino dell'Umbria", dal N. 4 al N. 10; un "Colombo e Copernico - alle origini della scienza moderna" e' in corso di pubblicazione sugli Atti del Congresso "Alessandro Geraldini e il suo tempo", tenutosi ad Amelia nel novembre del 1992, a cura del Centro Italiano di Studi per l'Alto Medioevo; la rivista "Nature" ha ospitato, a p. 390 del Vol. N. 361, 4 Febbraio 1993, un breve commento dal titolo "Columbus a jew?".

3 - Ne' e' da credere che tale divisione passi soltanto nel campo delle cosiddette scienze umane o morali, perche' viene utilizzata anche in quello delle scienze naturali, per screditare il lavoro di quanti si dichiarino poco convinti dei 'dogmi' accettati dalla comunita' degli addetti ai lavori, e propongano delle ricerche in direzioni 'eccentriche'. Come punto di riferimento in Italia per studi scientifici alternativi, si possono citare i due Convegni internazionali organizzati dal Gruppo di Ricerca "Geometria e Fisica" del Dipartimento di Matematica dell'Universita' degli Studi di Perugia (con la collaborazione dei fisici 'eretici' Roberto Monti e Stefan Marinov): "I fondamenti della matematica e della fisica nel XX secolo: la rinuncia all'intuizione", Perugia, 1989 (Proceedings a cura di U. Bartocci e J.P. Wesley, B. Wesley Ed., 1990); "Quale fisica per il 2000? Prospettive di rinnovamento, problemi aperti, verita' 'eretiche'", Ischia, 1991 (Atti a cura di G. Arcidiacono, U. Bartocci, M. Mamone Capria, Ed. Andromeda, Bologna, 1992). E' in queste occasioni semi-clandestine (ma ad Ischia non e' mancata una forma di controllo da parte di non meglio precisate 'autorita'') che si e' iniziato ad esempio a parlare di "fusione fredda" assai prima che dell'argomento si occupasse la grande stampa, anche se di solito pilotata dalla corporazione dei fisici che hanno tutto l'interesse a non veder cessare importanti finanziamenti ad alcune loro molto improbabili (e costose) linee di ricerca.

4 - Noam Chomsky ad esempio parla (tra l'altro) di questo fatto in una intervista apparsa sulla rivista "Rolling Stone", Maggio 1992, ricordando come da bambino avesse avuto la tentazione di alzarsi a dire, di fronte a qualche affermazione del suo insegnante a proposito della storia americana (cosi' assurda che gli veniva da ridere): "That's really foolish. Nobody could believe that. The facts are the other way round", ma di essere stato gia' fin da allora consapevole del fatto che agendo cosi' spontaneamente avrebbe corso il rischio di andare a finire nei guai. Nelle righe successive Chomsky si occupa del condizionamento e della selezione accademica, nei quali gioca una parte non trascurabile l'inclinazione all''obbedienza' ed alla sottomissione. Emilio Michelone ("Il mito di Cristoforo Colombo", Varani Ed., Milano, 1985, p. 28) afferma allo stesso riguardo: "Mi rendo conto, d'altro canto, di propugnare una tesi scabrosa da qualunque lato la si riguardi. E non tanto per il metodo di interpretazione, che, ove risulti inattendibile, viene rifiutato, quanto per le suggestioni mesmeriche del tirocinio pedagogico di convalida" (sottolineatura aggiunta).

5 - Dalla Prefazione al libro di Luigi Valli, "Il linguaggio segreto di Dante e dei 'fedeli d'amore'", 1928; Ed. Melita, 1988.

6 - Questa della necessita' dell'intervento di un 'professionista' per interpretare le vicende di tempi passati senza correre il rischio di leggerli con ottiche temporalmente incongrue e' un altro dei punti di forza di chi difende il 'metodo' di cui si vuole qui ridurre l'importanza. In effetti anche questa ammonizione in fondo non dice nulla di nuovo oltre all'ovvio precetto di fare bene attenzione a non commettere errori banali nell'impresa di investigazione che stiamo cercando di descrivere e suggerire, e quindi ad esempio nel calarsi nei panni di persone di altre epoche. Errori possono pure capitare, ma il lavoro di una persona dovrebbe essere giudicato, piuttosto che sulla base di un principio di autorita', o di corrispondenza a dei canoni (ideologici o formali), su quella delle sue "intenzioni ed illuminazioni", come chiede giustamente il protagonista del racconto di J.L. Borges "Il miracolo segreto" (dalla raccolta "Finzioni"). Per il resto, pero', quella che si contesta e' la pretesa epistemologica alla base di quell'opinione, e cioe' che gli uomini di periodi passati siano radicalmente differenti da quelli di oggi, come se non avessero avuto uguali bisogni, passioni, aspirazioni, paure, o le stesse categorie strutturali del pensiero, caratteristiche comuni che ce li rendono invece comunque 'vicini'. Ritengo molto significativo, ed efficace, il proposito di Simon Wiesenthal espresso in relazione al suo noto studio su Cristoforo Colombo ("Operazione Nuovo Mondo - I motivi segreti del viaggio di Cristoforo Colombo verso le Indie"; 1973; Garzanti, 1991, p. 121): "Io mi sono detto: dimentica che sono passati 450 anni, consideralo fuori dal suo passato immediato che per molti nostri contemporanei sembra ancora presente. Paragonalo con gente che conosci e forse avrai di lui un'immagine accettabile".

7 - Il termine 'scientifico', di cui oggi si abusa in tutta una serie di situazioni in cui e' assolutamente fuori luogo, finisce con l'avere per lo scrivente un effetto sgradevole, per l'implicito riferimento a delle pretese 'esattezza' e 'superiorita'' della 'scienza' che non esistono (anche se in loro nome si contrabbandano talvolta come prodotti dello 'spirito di verita'' delle precise scelte ideologiche). Non ci sarebbe nulla da obiettare se con il termine ci si riferisse all'impresa dell'edificazione della conoscenza in generale, ma purtroppo esso viene utilizzato con una connotazione per contrasto che mi sembra soltanto il cattivo frutto di una disdicevole 'moda'.

8 - L'autore di questa nota, appassionato 'giallista' (ed autore, con Tiziano Agnelli ed Adriano Rosellini, di un ancora inedito "Nascita, morte e resurrezione del libro giallo in Italia nella prima meta' del XX secolo"), e' rimasto evidentemente suggestionato, piu' che dal successo, dal metodo di indagine di personaggi quali il Monsieur Dupin di Edgar Allan Poe e lo Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle. Date per scontate le somiglianze tra indagine storica ed investigativa (e per acquisita la circostanza che gran parte della storia e' in qualche misura anche una 'storia criminale'), diventa abbastanza patetica la dichiarazione di Gaetano Arfe' (Unita', 20.11.1993), il quale ammette: "Nella mia pratica di storico e di giornalista non ho mai avuto il gusto di indagare sui retroscena della storia e della politica, su quello che non avviene alla luce del sole". C'e' da chiedersi quanto abbia capito Arfe' con questa norma di comportamento di tante delle vicende che hanno purtroppo caratterizzato la piu' recente storia politica d'Italia.

9 - Anche se un recente e celebrato lavoro dello storico della matematica Morris Kline riferisce anche a questa disciplina il concetto della "perdita della certezza", nel nostro contesto si puo' ben parlare ancora di "certezza della matematica".

10 - Quando questa rinuncia ad una sintesi non sia in realta' una premeditata, consapevole, operazione di depistaggio, in favore del sostegno ad una tesi piu' gradita a coloro da cui la carriera di uno storico (e di un giornalista) puo' dipendere! (vedi a questo proposito anche la successiva Nota 13).

11 - "Spie. Radici di un paradigma indiziario", in "Crisi della ragione - Nuovi modelli nel rapporto tra sapere e attivita' umane", a cura di Aldo Gargani, Einaudi, 1979.

12 - Questo di aver notato l'anti-antropocentrismo come una delle caratteristiche comuni allo sviluppo di tutta la scienza, e non soltanto quella delle origini, e' un altro dei meriti di Ginzburg [detto invece che filo comune di tutto l'umanesimo sarebbe al contrario un antropocentrismo etico e culturale, ci si troverebbe di fronte all'apparente paradosso che l'unico modo di antropocentrizzare l'etica e la politica sia quello di deantropocentrizzare la concezione del mondo naturale; in effetti, se la visione cristiana del mondo puo' dirsi per l'appunto cristocentrica, e non antropocentrica, tale connotazione non sarebbe del tutto erronea, trattandosi appunto di un Do che si fa comunque "uomo", e che questo resta sempre al centro della creazione. Vero e' peraltro che, data una sorta di rapporto inverso tra "forza" della metafisica e "liberta'" nell'etica, la riduzione di spazio della prima corrisponde di necessita' ad un aumento di quello della seconda, proprio allo stesso modo che un aumento di informazione riduce la molteplicita' delle congetture possibili - fino al limite dell'unica 'vera']. Tale 'filo conduttore' merita di essere sviluppato in una storia del pensiero scientifico diversa dalle tante apologetiche o eccessivamente specializzate che esistono. Della questione il presente autore, impegnato attualmente nella redazione di un "Breve profilo storico della matematica e del pensiero scientifico", si e' gia' occupato in diversi scritti, del solito tipo 'a circolazione limitata', tra i quali: "Scienza, parascienza e scienza 'eretica'", Almanacco Letterario di Primavera, Ed. Della Lisca, Milano, 1992; "La svolta formalista nella fisica moderna", Epistemologia della Matematica, Seminari 1989-1991, Progetto Strategico del C.N.R. "Tecnologie e Innovazioni Didattiche", Quaderno N. 10, 1992. Un "Riflessioni sui fondamenti della matematica, ed oltre" e' stato invece recentemente rifiutato per la pubblicazione da parte del Bollettino dell'Unione Matematica Italiana.

13 - In tali richiami alla 'certezza' delle 'prove' non si possono non avvertire echi di certi episodi delle recenti cronache italiane, e diventa d'obbligo il riferimento al 'professore' protagonista del racconto di Leonardo Sciascia "Filologia" (dalla raccolta Il mare colore del vino), con i suoi abili "[contributi] alla confusione", e le sue parole conclusive: "La cultura, mio caro, e' una gran bella cosa ... "!

14 - Dalla Prefazione al libro di Alfonso Ricolfi, "Dai poeti di corte a Dante - Studi sui "Fedeli d'Amore" - Simboli e linguaggio segreto", 1939; Ed. Bastogi, 1983.

15 - Mi piace ricordare esplicitamente, oltre alle opere fin qui citate, anche il bel libro del giornalista romano Ruggero Marino, "Cristoforo Colombo e il papa tradito - Un giallo storico lungo cinque secoli", Newton Compton Ed., 1991 (che ha aperto nuove prospettive nel campo della ricerca colombiana), e lo studio di Pier Costanzo Brio, che si auspica possa essere presto accettato per la pubblicazione da parte di qualche editore coraggioso, "Identita' di Cristoforo Colombo", Torino, 1993. Citerei inoltre, e per restare piu' o meno sempre nello stesso ambito tematico, i libri di Carlo Giacche', "Sindone una trama templare", Perugia, 1992, e di Richard Ambelain, "Jesus Christ et le mortel secret des Templiers", Ed. Robert Laffont, 1970. In quest'ultimo si applica il criterio del vaglio e della selezione dei 'documenti' nell'ambito di uno sforzo deduttivo dai risultati comunque interessanti a proposito di uno dei tanti argomenti tabu' della storia, quello delle origini del Cristianesimo. Di fronte alla tesi di Ambelain non si puo' in effetti fare a meno di restare sbalorditi ed increduli (a causa dei condizionamenti culturali di cui si diceva prima), se non fosse che simili opinioni vengono in qualche modo confortate da un altro recentissimo testo: Michael Baigent & Richard Leigh, "The Dead Sea Scroll Deception", Jonathan Cape Ed., 1991; Corgi Books, 1992. Ma la novita' piu' importante dal punto di vista di una storiografia anti-conformista e' senz'altro lo straordinario libro di Geminello Alvi, "Dell'Estremo Occidente", Marco Nardi Ed., 1993, il quale pure ha dovuto aspettare la buona volonta' di un editore 'minore' per essere pubblicato.
 


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Perugia, Dicembre 1993

Umberto Bartocci
Dipartimento di Matematica - Universita'
06100 Perugia