A sorpresa, una delle storie precedentemente raccontate ha un happy end (ma dipende ovviamente dai punti di vista!)

 

Confesso che e' con grande piacere che aggiungo queste righe sul caso della nigeriana mandata assolta dall'ineffabile "giudice unico del tribunale di Perugia, Beatrice Cristiani", di cui al dissenso precedente.

Cito infatti da "La Nazione" del 24.12.2000:

"Usare cocaina per togliere quegli anestetici rotolini sui fianchi e quella pancetta ... be', francamente e' una cura che, piu' che non convincere affatto, fa semplicemente sorridere. E siccome gli investigatori della sezione Narcotici della Squadra Mobile ... non hanno mai creduto a questa storia, e cosi' hanno sempre tenuto d'occhio Victoria Changa, nigeriana di trentacinque anni, dall'aspetto innocuo, donna apparentemente impegnata a costruirsi un futuro nella totale legalita'. E l'osservazione, sempre discreta, e' durata per otto, nove mesi; per l'esattezza fino a ieri pomeriggio. Quando un altro nigeriano, tale Jonathan Uka, di trenta anni, sospettato di far parte di un importante giro di droga, si e' recato a far visita alla Changa nella sua abitazione ... . Una visita breve, durata appena una manciata di minuti. Quando e' ricomparso nell'androne del palazzo della Changa, gli investigatori della Narcotici sono usciti allo scoperto e gli hanno intimato l'alt. Ma Uka, che aveva appena avviato il motore della sua auto, anziche' rispondere diligentemente all'invito, e' schizzato fuori dall'abitacolo cercando la fuga. E' stato rincorso ... e mentre correva si e' liberato di giubbotto e camicia e di qualche involucro di cellophane. Ma non ha fatto molta strada: e' stato fermato e con lui in manette sono stati recuperati anche due grossi ovuli contenenti una venticinquina di grammi di coca. Dalla perquisizione nella casa di Victoria Changa, oltre a una dose di cocaina, sono venuti fuori bilancine di precisione e tutto l'occorrente per il confezionamento e il taglio della droga ... Victoria Changa, che ufficialmente non ha un'occupazione [ha perso evidentemente il posto di commessa che occupava quando ebbe inizio questa vicenda], e' stata trovata in possesso di un bel gruzzolo: qualcosa come una decina di milioni di lire in contanti che naturalmente si era preoccupata di nascondere con estrema cura qua e la' in tutto l'appartamento ... conclusione: arresto per spaccio di sostanze stupefacenti" [Giuseppe Smuraglia].

Non ci sarebbe molto da dire, se non esprimere soddisfazione nei confronti di chi continua manifestamente a fare il proprio DOVERE, e a credere nell'importanza del ruolo della polizia, e della magistratura, a difesa della comunita' civile, e disapprovazione verso chi invece ha comportamenti professionali che fanno ridere, piu' che sorridere, e che soprattutto ci fanno ridere dietro anche dai malviventi stranieri, che ci considerano giustamente un popolo ormai in declino, incapace perfino di difendersi legittimamente.

Mi piace citare da ultimo al riguardo delle riflessioni che provengono dal giornalista Riccardo Orioles, autore di quella "Catena di SanLibero" gia' piu' volte citata in questa rubrica:

"Non concordo con la rassegnazione con cui Lei parla dell'operato (o del non-operato) di magistratura e polizia. Se cento delinquenti delinquono, ci sono le leggi e ci sono i mezzi materiali per mettere in condizioni di non nuocere tutt'e cento, albanesi o meno che siano. Se cio' non avviene, non e' per debolezza "politica" verso dgli albanesi, ma per incapacita' tecnica e professionale verso i criminali. A Milano un magistrato (che mi onoro' d'amicizia: Franco Di Maggio) spazzo' via successivamente le bande, che si succedettero negli anni Settanta-Ottanta, di milanesi, di jugoslavi e infine (ed egli era siciliano...) di catanesi. Senza discorsi razzisti ma con terrificante efficienza. Non c'e' nessuna ragione al mondo per cui un albanese assassino (vedi recenti casi) venga rimesso in liberta', salvo la scarsa professionalita' di magistrati e poliziotti operanti nei singoli casi".

Non posso non essere d'accordo (anche se mantengo i dubbi sulla presenza di una "debolezza" quanto meno ideologica nei confronti di taluni malfattori e forse anche di taluni reati), e la questione si ricollega secondo me chiaramente anche alla crisi - sia culturale che morale - dell'universita', che sforna senza alcuna capacita' di giusta selezione dei talenti i cui comportamenti perniciosi tutta la societa' e' poi chiamata a sopportare...

 

(UB, gennaio 2001)