[Del CICAP, e dei suoi a volta "indebiti" sconfinamenti, dal campo dell'attivita' di controllo sul "paranormale", a una forma di "propaganda" scientifica piuttosto "ingenua", si e' gia' detto nel punto N. 11 della pagina dedicata alla Storia della Scienza e l'Epistemologia. Qui si offre un altro esempio di questa "divulgazione", con relativa contestazione da parte dello scrivente…]

 

 

Sul N. 21 della rivista "Scienza & Paranormale", sett./ott. 1998, compariva un articolo intitolato: La notte e' buia: o no? - Il paradosso di Olbers e la cosmologia", che qui riproponiamo integralmente per comodita' del lettore.

 

"Ogni giorno siamo spettatori di fenomeni naturali che passano quasi inosservati a causa della loro apparente banalita': siamo talmente abituati a essi e affannati a cercare improbabili meraviglie "esotiche" da non accorgerci che, facendo un minimo di attenzione, anche il fenomeno piu' comune puo' presentare dei risvolti curiosi e inaspettati. Quello che prendero' ora in considerazione rientra senz'altro in questa categoria ed e' il seguente: la notte e' buia. Ossia, dopo il tramonto del sole, la luminosita' naturale della volta celeste cala fino alla fioca illuminazione delle stelle ed eventualmente a quella della luce solare riflessa dalla luna. Per quanto cio' possa sembrare banale e di semplice spiegazione, l'evento assume caratteristiche paradossali se considerato nell'ambito di teorie cosmologiche basate sui seguenti presupposti:

 

1 - L'universo e' infinito e ha eta' infinita

2 - L'universo e' popolato in modo uniforme da stelle fisse di luminosita' costante e di eta' infinita

 

La discussione sulla veridicita' di queste caratteristiche, date per scontate agli inizi del nostro secolo, era molto accesa alla fine degli anni venti quando le ricerche compiute da Edwin Hubble sembravano incrinare almeno la seconda. In questo periodo, precisamente nel 1926, l'astronomo e medico tedesco Heinrich Wilhelrn Olbers mise in evidenza come le due assunzioni combinate portassero a conclusioni paradossali. Olbers segui' questo ragionamento1: immaginiamo una linea retta di lunghezza infinita che abbia origine dalla terra e punti in una qualsiasi direzione sulla volta celeste; date come premesse le ipotesi cosmologiche sopra riportate, tale retta dovra' necessariamente, prima o poi, incontrare una stella. Essa potra' proseguire per distanze enormi ma, dato che l'universo e' infinito, prima o poi dovra' farlo. Cio' significa che noi vedremo la sua luce, infatti i raggi luminosi viaggiano in linea retta2 e la stella ha un'eta' infinita: la luce da essa generata ha avuto tutto il tempo per raggiungerci. Generalizzando, possiamo immaginare infinite rette con origine sulla terra che puntino in tutte le possibili direzioni verso la volta celeste: ognuna di esse incrocera' prima o poi una stella, e ognuna di queste stelle sara' a noi visibile. Questo vuol dire che, in qualsiasi direzione volgiamo lo sguardo nel cielo, dobbiamo vederlo illuminato dalla luce di qualche stella lontana. Detto in altro modo, tutta la volta celeste dovrebbe essere costantemente illuminata a giorno3, anche dopo il tramonto del sole, e la notte non potrebbe esistere.

Per risolvere il paradosso dobbiamo rinunciare almeno in parte alle premesse sulle quali abbiamo basato il nostro ragionamento. Possiamo farlo senza grandi difficolta' dato che le moderne teorie cosmologiche propongono un quadro dell'universo ben diverso da quello su cui si basa Olbers4. Due sono i nuovi attori che recitano un ruolo fondamentale alla sua soluzione: l'espansione dell'universo e la sua eta' finita.

L'espansione dell'universo e' regolata dalla Legge di Hubble: la velocita' a cui una galassia (con le sue stelle) si allontana dalla Via Lattea (la nostra galassia) e' proporzionale alla sua distanza da essa. Le stelle e le galassie lontane inviano verso di noi la loro luce ma maggiore e' questa velocita' di allontanamento, detta "di recessione", minore e' l'intensita' della luce inviata verso la terra5; per velocita' di recessione molto alte l'intensita' si riduce talmente da scendere sotto la soglia del visibile, ed e' per questo motivo che noi vediamo il buio nel cielo notturno.

L'eta' finita dell'universo, che si ritiene essere compresa tra i 15 e i 18 miliardi di anni, identifica la sua porzione a noi visibile (15-18 miliardi di' anni luce in ogni direzione), anche supponendo che esso sia infinito. Questa porzione contiene un numero di galassie finito con una distribuzione che non copre tutte le possibili viste sulla volta celeste; al contrario, la loro distribuzione e' abbastanza rada. Quindi il paradosso e' risolto, poiche' non e' vero che ovunque guardiamo vediamo una stella. Per nostra fortuna, in conclusione, possiamo tranquillamente goderci le nostre ore di sonno notturno.

Il paradosso di Olbers, oltre a rivestire una certa importanza storica, ci consente alcune considerazioni di portata piu' generale. Si tratta infatti di uno di quei paradossi che si sono inseriti nel dialogo scientifico, avvenuto in questo caso tra i sostenitori di due modelli cosmologici differenti: quello di un universo statico e immutabile e quello di un universo dinamico e in espansione. Come abbiamo visto, il paradosso e' stato in grado di mettere in evidenza alcune incrinature dei primo, le cui premesse portavano a conclusioni incoerenti con la nostra esperienza. Ovviamente, la scelta per il secondo dei due modelli e' avvenuta non certo grazie a Olbers ma a seguito di un dialogo scientifico molto piu' ampio e suffragato da evidenze sperimentali; e' tuttavia interessante notare come, in questo come in altri casi, i paradossi possano mettere in evidenza problemi di modelli scientifici ben stabiliti. Sono una sorta di campanello di allarme che dovrebbe spingerci a rivedere meglio le basi delle nostre teorie. E' probabilmente questo che intendeva Bertrand Russell quando affermava che le teorie scientifiche devono sapersi misurare con gli "indovinelli".

 

Bibliografia

 

Poundstone W., Labirinti della Ragione, Pan Libri, 1991, pp 173-179

Autori vari, Astronomia - L'Universo, Fabbri Editori, 1991, pp 17-18

 

Note

 

1) In realta' gia' prima di Olbers altri pensatori e astronomi si erano occupati del paradosso; in particolare Giovanni Keplero, nel suo Dissertatio cum Nuncio Sideris, anticipa con notevole acume quelle che saranno le conclusioni a cui giungeranno i posteri.

2) Olbers non poteva essere a conoscenza, ovviamente, di come la gravitazione influenzi la traiettoria dei raggi luminosi in modo tale da farla apparire curva a un osservatore.

3) Si puo' dimostrare che, con queste premesse, ogni sezione della volta celeste dovrebbe risplendere con una luminosita' pari a quella del sole.

4) Con notevoli eccezioni, ad esempio il modello cosmologico dello stato stazionario proposto, tra gli altri, da Fred Hoyle.

5) Analogamente a come una sirena che si allontani da noi ci fa pervenire un suono tanto piu' basso quanto maggiore e' la sua velocita'.

 

 

Alessandro Fronte

chimico fisico,

segretario del CICAP Gruppo Piemonte"

 

 

Ben sapendo quanto questo argomento possa in realta' essere collegato con le possibili caratteristiche fisiche dello "spazio vuoto" (il famoso "etere"), scrissi alla rivista la seguente lettera:

 

 

A proposito della cosmologia moderna...

 

 

Spett.le Redazione,

nel N. 21 della vostra sempre interessante rivista e' comparso un breve articolo (pp. 60-61) dedicato al cosiddetto paradosso di Olbers, che interrompe, come ormai capita spesso (vedi gli interventi su omeopatia, fusione fredda,...), la tradizionale attenzione verso i problemi del paranormale, in favore di una non troppo dissimulata apologia non solo del metodo e dell'etica democratica dell'attuale comunita' scientifica ("dialogo [...] ampio e suffragato da evidenze sperimentali"), ma anche delle sue attuali convinzioni - tra le quali appunto la teoria che costituisce uno dei piu' inossidabili miti della cosmologia contemporanea, e cioe' quella del big-bang. Naturalmente, non e' il caso di entrare qui in una polemica sulla validita' di questa concezione, che ha visto coinvolti anche stimati esponenti della suddetta comunita' (oltre al citato F. Hoyle, avrebbero potuto essere ricordati anche gli astrofisici H. Arp e G. Burbidge, oppure il libro di E.J. Lerner, Il big bang non c'e' mai stato, Ed. Dedalo, Bari, 1994, pp. 1-494), ne' di proporre un tentativo di analisi delle ragioni extra-scientifiche che ne hanno sostenuto, e continuano a farlo, il successo a livello di divulgazione popolare (di cui l'articolo in discussione e' uno degli innumerevoli esempi). Pero', quando si compiono operazioni di questo genere, su una rivista che fa della critica razionale il suo punto di forza, bisognerebbe almeno rispettare certi canoni di correttezza logica, se non di completezza informativa, e vorrei invitare i lettori a giudicare se questo e' quanto avviene nel caso in esame.

Si indicano due presupposti cosmologici dai quali risulterebbe il paradosso in parola, e quindi, essendo un ovvio dato di fatto che: "la notte e' buia", ecco la necessaria pretesa "rinuncia" (eventualmente parziale) a qualcuna delle premesse, e l'equazione logica: [notte buia = evidenza a favore dell'espansione dell'universo] - anche se, in realta', nell'articolo di cui trattasi l'enigma viene risolto addirittura in due modi diversi e indipendenti: una prima volta, quando si dice che "per velocita' di recessione molto alte l'intensita' si riduce talmente da scendere sotto la soglia del visibile"; una seconda, quando si osserva che "non e' vero che ovunque guardiamo vediamo una stella" (tra l'altro, cio' e' certamente vero, anche se il fatto che non la si veda non vuol dire che non ci sia). Peccato pero' che sia stato omesso almeno un terzo (e piu' importante, perche' di natura fisica generale) presupposto dell'argomentazione del Dott. Fronte (peraltro identica a quella che si trova ripetuta in ogni simile occasione): e cioe' che un singolo fotone, per usare un modello oggi corrente, possa percorrere il suo cammino da una stella lontana fino a noi inesauribile, senza mai ‘stancarsi', senza perdere neppure una frazione della propria energia iniziale (che, come si sa, e' proporzionale alla sua frequenza). Un tale incredibile esempio di moto perpetuo, degno delle migliori fantasticherie che Scienza & Paranormale doverosamente rimprovera in altri settori, ha naturalmente delle radici profonde, legate come esse sono al dibattito sulla natura fisica dello spazio vuoto, all'imporsi della visione newtoniana su quella cartesiana nel XVIII secolo, fino all'affermazione della teoria della relativita', e alla scomparsa del concetto di etere (che era tornato temporaneamente in auge nelle teorie elettromagnetiche dell'Ottocento) nel nostro. Cosi', il pregiudizio anti-etere (e anti-eteristi!, nonostante in questa schiera abbiano militato Cartesio, Huygens, Leibniz, Faraday, Maxwell,...) si e' tanto fortemente radicato, che pure gli esigui supporters ufficiali della teoria della "luce stanca" devono ricorrere a improbabili cabale quanto-relativistiche (parole magiche, con l'uso delle quali ogni astrusita' diventa lecita) per tentare di spiegare i meccanismi attraverso i quali questa perdita di energia potrebbe avvenire.

Personalmente ritengo che con certe scelte la scienza moderna si sia avviata su una strada sbagliata, in cio' spinta da mode di pensiero, ed influenze, che non troppo spesso storici e filosofi hanno avuto voglia di indagare con le necessarie attenzione e liberta' di giudizio. Il citato G. Burbidge descrive per esempio il quadro della ricerca attuale con parole molto meno confortanti di quelle di Fronte: "Potenti meccanismi incoraggiano il conformismo ... La pratica dei referees e' diventata una forma di censura ... Ai lavori non ortodossi si nega spesso la pubblicazione per anni ... Nessun giovane ricercatore sarebbe disponibile a mettere a repentaglio la propria carriera scientifica scrivendo un saggio come questo" - Scientific American, Feb. 1992, p. 96; e ancora: "Risultati sperimentali sono messi in dubbio o ignorati, argomenti statistici criticati o derisi ... Pregiudizi radicati vengono prima dell'evidenza ... Poiche' non si lavora intorno a certi problemi, essi non vengono risolti ... L'assenza di una teoria viene considerata prima facie un argomento contro un'ipotesi" - 10° Texas Symposium on Relativistic Astrophysics, Annals of N.Y. Ac. of Sci., Vol. 375, 1981, p. 152.

Nondimeno, anche se certe concezioni fossero davvero irrimediabilmente sorpassate, e non conformi a ‘verita' fisica', come ritiene oggi la stragrande maggioranza degli scienziati (sebbene, dal punto di vista della sociologia della scienza, simili fenomeni di unanimita' dovrebbero essere sempre accolti con pregiudiziale sospetto!), ecco che comunque la necessita' di un terzo presupposto: "3 - Inesistenza di un mezzo avente capacita' di ridurre con la propria interazione l'energia e la frequenza della radiazione luminosa", avrebbe dovuto essere evidenziata.

Non posso naturalmente dimostrare in questa sede ai lettori di S & P come si potrebbe tentare di collegare tra loro direttamente, assumendo la negazione della 3 (e quindi supponendo al contrario l'esistenza di un mezzo dotato di ben precise caratteristiche fisiche, quali densita', resistivita', etc., capace quindi anche di dissipazione), red-shift e distanza della sorgente emittente, che e' l'unica vera informazione fattualmente incontestabile proveniente delle osservazioni di Hubble, senza passare affatto attraverso un'ipotetica velocita' di recessione, causa di quell'effetto Doppler (che in qualche caso potrebbe ovviamente sovrapporsi al precedente), il quale resta, almeno in prima battuta, l'unico rifugio esplicativo per chi voglia invece fare proprio un tale presupposto (ovvero, che lo "spazio vuoto" sia assolutamente non dissipativo, per "principio"). Spero pero' che mi sara' concesso, in virtu' di una doverosa par condicio, ulteriore spazio per informare coloro i quali considerano rilevante in questo tipo di discussioni il grado di autorevolezza da cui provengono i pareri, che l'alternativa appena accennata era per esempio condivisa da un premio Nobel quale Walther Nernst, e che lo stesso Hubble non era per nulla convinto dell'ipotesi della recessione ("I modelli di universo in espansione sono un'interpretazione forzosa dei risultati sperimentali"), come si puo' assai istruttivamente apprendere dalla lettura di: "Albert Einstein and Walther Nernst: Comparative Cosmology", in Proceedings of the VIII National Congress of History of Physics, Milano, 1988, p. 331-351, del controverso fisico bolognese Roberto Monti (del quale, in relazione al tema trattato, potrebbero pure opportunamente leggersi, ancorche' in qualche punto discutibili: "The Electric Conductivity of Background Space", in Problems in Quantum Physics, Gdansk '87, World Scientific, Singapore, 1988, p. 640-658; e: "Theory of Relativity: A Critical Analysis, Physics Essays, Vol. 9, N. 2, 1996, pp. 238-260).

Con l'impegno di fornire ai lettori che vorranno contattarmi ulteriori informazioni e chiarimenti su tale questione, esemplare della cultura scientifica del XX secolo, ringrazio per l'attenzione e porgo molti cordiali saluti,

 

Perugia, 15.2.99 Prof. Umberto Bartocci

Dipartimento di Matematica

Universita' degli Studi - 06100 Perugia

 

 

Questa lettera e' stata pubblicata sul N. 27 della stessa rivista, sett./ott. 1999, con il seguente commento:

 

 

"Risponde Alessandro Fronte.

 

Il dibattito sulla cosmologia e' probabilmente uno dei campi piu' controversi della scienza moderna, e a ben vedere: la cosmologia presenta difficolta' ignote ad altri rami della scienza. La principale, e' senz'altro che molti degli argomenti fondamentali di studio sono lontani nello spazio e nel tempo. Fra questi l'origine dell'universo e' l'esempio piu' importante; per usare un detto spesso usato dai cosmologi stessi "non e' possibile ripetere il Big Bang in laboratorio". E quindi non lo si puo' analizzare, misurare, filmare. Una difficolta' non da poco, considerato che uno dei pilastri che ha sorretto la scienza da Galileo in avanti e' proprio la ripetibilita' del fenomeno studiato. Del Big Bang (se c'e' mai stato) e dell'origine dell'universo (se c'e' mai stata) possiamo solamente esaminare gli effetti dopo miliardi di anni. Effetti che solo oggi siamo in grado di indagare, grazie all'evoluzione della tecnologia. Non mi stupirebbe affatto che la teoria del Big Bang dovesse essere rivista ma cosa possiamo dire oggi? Le anomalie segnalate da molti scienziati, tra i quali Arp e Burbidge che Bartocci cita, sono sufficienti a demolire il Big Bang? Alla fine degli anni ottanta sembrava che la risposta dovesse essere affermativa, e la stessa rivista Nature annunciava che la teoria non avrebbe avuto piu' di dieci anni di vita. Tuttavia qualche anno dopo, il Big Bang riceveva un nuovo impulso, grazie alla scoperta delle irregolarita' nello spettro di fondo della radiazione cosmica registrata dal COBE, che evidenziava gli embrioni degli ammassi galattici che si sarebbe formati col passare del tempo dopo "l'esplosione". In questa sede, non e' certamente il caso di scendere in dettaglio nell'argomento, ne' riportare il dibattito che ne e' seguito, delle nuove prove a sfavore e a favore. Tuttavia, nonostante problemi e anomalie, il risultato netto e' che ad oggi la teoria, del Big Bang e' quella che ancora risponde meglio all'insieme dei dati che abbiamo a disposizione. Con questo non voglio certamente affermare che sia l'unica teoria, ma questo puo' essere il tema di un articolo sul dibattito cosmologico, non sul paradosso di Olbers, dove ho dato per buona quella piu' accreditata, pur accennando al fatto che ve ne sono altre.

Per quanto riguarda la presunta chiusura del mondo scientifico a teorie nuove e in disaccordo con quelle consolidate, non sono d'accordo con quanto sostenuto da Bartocci. Se e' vero che vi puo' essere, da parte di alcuni, una certa reticenza a nuove idee non motivata solamente da criteri scientifici, e' anche vero che la scienza si e' dimostrata in grado di accettare idee radicalmente nuove. D'altra parte, i promotori di teorie "eretiche" non sono certo esclusi dal dibattito scientifico, al contrario, pubblicano sulle stesse riviste degli scienziati ‘ortodossi", e alcuni, come evidenziato proprio da Bartocci, sono addirittura premi Nobel. Mi sembra, quindi, che la scienza sia tutt'altro che censoria nei loro confronti. Al contrario, sarebbe forse il caso di controllare meglio quanto pubblicato su riviste non di prim'ordine, ma pur sempre scientifiche, sulle quali a volte si trovano pubblicazioni di validita' scientifica, per essere gentili, assolutamente nulla.

Infine, per quanto riguarda la giustificazione del redshift cosmologico e agli argomenti correlati, vale quanto detto piu' in generale per il dibattito sulla cosmologia, nella quale e' fortemente integrato. Alle cosiddette "cabale quanto-relativistiche dei non-eteristi', si contrappongono quelle ancora piu' improbabili dei "pro-etere ", quali ciclopici scontri tra ammassi galattici di materia e antimateria. Sinceramente, fin quando il dibattito si svolge a questi livelli, preferisco ancora dar retta a Michelson e Morley che nel 1887 hanno mostrato, con argomentazioni forse piu' ragionevoli e sicuramente meno pirotecniche di quelle che si trovano negli attuali dibattiti, l'inesistenza dell'etere. E non riportarlo, quindi, tra le possibili ipotesi per una spiegazione della "notte buia".

 

PS. Il testo di E.J. Lerner citato nella lettera, Il Big Bang non c'e' mai stato, basa le sue critiche alla teoria del Big Bang sull'assenza di irregolarita' nella radiazione cosmica di fondo rilevata dal COBE. Critiche ormai fuori luogo, visto che dopo qualche mese dalla pubblicazione del libro (1991), queste irregolarita' sono state effettivamente osservate".

 

 

Conclusione - La forza di certi pseudo-argomenti, che ad un'analisi piu' approfondita si rivelano falsi, o dubbi (vedi per esempio quanto si dice nel punto N. 12 di questa stessa pagina a proposito del "vero" esito dell'esperimento di Michelson-Morley, e delle sue ripetizioni, per non dire della possibile interpretazione di un mai realmente presentatosi "effetto nullo" nella cornice della teoria dell'etere "trascinante", che in diversi altri punti di questo sito abbiamo illustrato), e' evidentemente irresistibile. Per quanto riguarda il libro di Lerner, e' ovvio che le sue 500 pagine non presentano un unico argomento contro la teoria del Big Bang…