La bagarre universitaria…

 

Della "riforma universitaria" mi sono occupato in questo sito numerose volte in maniera critica (vedi pagina Attualita'), e sono ormai piuttosto stanco di scriverne ancora, visto che l'esercito dei riformisti marcia avanti compatto al grido di "giu' le mani dalla riforma". Dio gliel'ha data, e guai a chi gliela tocca, adesso e' forse troppo tardi per fermare il sicuro "sfascio" che ne conseguira', anche se, come al solito, tutto dipende dai punti di vista: legioni di semi-analfabeti (tra le perle: ingegnieri, odontogliatria, aquistare), che non hanno mai amato passare ore sui libri, saranno ben contenti di conseguire con sforzo non eccessivo qualcuno degli oltre cento (quasi duecento) nuovi (agli italiani la fantasia non manca mai) "titoli accademici professionalizzanti" (la matematica perugina avra': matematica per la didattica e la divulgazione scientifica; matematica per le applicazioni alle scienze economiche e statistiche; matematica per le applicazioni a teoria dell'informazione, codici e crittografia; matematica generale - e il numero degli studenti si aggirava negli ultimi tempi sulla trentina, puo' darsi addirittura meno). Vero e' che si accorgeranno presto di essere stati "imbrogliati" (si veda il terzo allegato ), perche' subito si dira', e giustamente, che quei titoli non valgono niente, che bisogna abolire il loro famoso "valore legale" (che significava soltanto una delle residue forme di "controllo" dello Stato a favore dei "cittadini", i quali restano sempre gli unici veri destinatari del "servizio": non gli studenti, ansiosi per lo piu' di avere il massimo possibile di retribuzione con il minimo possibile di sforzo!), etc.. Adesso gli italiani (del resto, chi si credono di essere? In giorni di G8 ci si sente spesso dire di pensare a chi sta peggio di noi, altra ottima e facile "strategia"…) dovranno affidarsi alle regole del famoso "mercato" per distinguere buoni giudici, medici, ingegneri, e cosi' via, da persone da cui sarebbe meglio invece girare al largo (intendiamoci, non che "prima" fossero tutte rose e fiori, giravano "mormorii" sul livello di certe sedi, ma il problema con il peccato non e' tanto quello di non commetterlo, bensi' di riconoscerlo, e soprattutto di non ostentarlo: i "somari" c'erano, sicuramente, ma almeno sopravviveva un ideale nobilmente selettivo, e li si poteva sempre definire "fuori posto", domani non si sa…). Certo, ci saranno le inevitabili "vittime", ma si sa bene che ogni "progresso" ne fa, e quindi pazienza, il gioco, viene affermato, vale la candela, o e' "necessario", avanti quindi senza esitazioni a "distruggere", assecondando la smania iconoclasta pure di chi ci rimettera' inevitabilmente (quos vult perdere dementat, e non sarebbe la prima volta nella storia che interi gurppi di persone vengono "diminuiti non solo a strumento ma a strumento inconscio di formazione di una realta' completamente diversa da quella per la quale hanno combattuto" - citazione da una fonte della quale si dira' in "Episteme" N. 4, i curiosi potranno ritrovarla li').

Avevo detto che non voglio piu' dedicarmi alla questione, ma mi fa comunque piacere inserire in questa rubrica un paio di contributi da poco pervenutimi. Il secondo non so neppure dove e quando sia stato pubblicato, ma non fa niente, il nome dell'autore funge da autorevole rassicurazione sul valore della sua testimonianza, che mi conforta alquanto, poiche' mi rende persuaso di non essere il "solo" a vedere gli avvenimenti in certo modo, e che non vaneggio quando li descrivo rabbrividendo. Ecco a cosa stanno riducendo la "categoria" dei professori, a fare riunioni da osteria sempre piu' rissose e chiassose, a perdere tempo per stringere alleanze e costruire strategie d'azione, in un'imitazione del "gioco" dei "politici" che guida l'Italia della democrazia repubblicana (a liberta' vigilata): quanti sono coloro che continuano a leggere e a studiare con la calma necessaria?

Sento d'altronde gia' dire in giro che bisogna favorire l'esodo degli "anziani" (testardi nostalgici, che vengono accusati di voler difendere chissa' quali "interessi corporativi") con opportune incentivazioni al pensionamento anticipato: i "giovani" (molti dei quali non lo sono neppure piu' tanto, e anzi inaspriti per essere stati lasciati per lungo tempo ai margini - sempre "ingiustamente"?!) che verranno (a quando le promozioni in massa nel ruolo docente di ricercatori, tecnici, dottori di ricerca, etc., con conseguente ulteriore proliferazione del "diritto" all'insegnamento e del numero dei corsi, e conseguente inversamente proporzionale abbassamento del livello degli esami - indispensabile per procacciarsi il pubblico discente - secondo i canoni darwinisti di una spietata "libera concorrenza"?) avranno sempre meno problemi ad adeguarsi, ed amen, della "vecchia" universita' non rimarra' piu' che il ricordo…

 

(UB, luglio 2001)

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Subject: tutto fermo in Università

Date: Tue, 17 Jul 2001 12:41:05 +0200

From: " Assuntina Morresi" <morresi@unipg.it>

La triste verità è che sembra che neppure in questa squadra governativa ci sia qualcuno a cui interessa veramente l'Università, altrimenti qualche segnale sarebbe già arrivato.

La riforma dell'Università non è ancora bloccata. Ministro Moratti come mai? (16/7/01)

Claudio Moffa

Docente di Storia e Istituzioni dei Paesi afroasiatici

promotore dell'Appello per l'abrogazione della Riforma universitaria

"Blocco istantaneo della riforma dei cicli scolastici e della riforma universitaria": così era scritto sul sito Internet elettorale di Forza Italia. Che fine ha fatto la promessa? Ormai i tempi stringono: o entro pochi giorni il ministro Moratti sospende la legge oppure l'Università italiana verrà completamente sradicata, e al suo posto sorgerà qualcosa a metà fra un superLiceo condito di "Laurea" triennale e un'area di parcheggio per giovani disoccupati in attesa di ipotetica sistemazione.

Ormai sono stati spesi fiumi di inchiostro contro la legge Berlinguer: Canfora e Panebianco hanno raccolto oltre tremila adesioni attorno a un loro appello; Galli della Loggia, Cardini, Losurdo si sono schierati contro, come del resto Melotti e Gnoli; Bertelli ha scritto due mirabili interventi su Ideazione, scagliandosi contro il Sessantotto e riassumendo la storia dell'Università italiana da Giolitti a Guerzoni; Possenti ha impugnato la penna su Liberal; accademici dei Lincei come Conte e Gentili sono per l'abrogazione; Firrao del Politecnico di Torino e Patriarca di Medicina di Trieste ricordano che la riforma danneggia anche le Facoltà scientifiche; Di Rienzo e Israel hanno addirittura lasciato l'università. E poi ci sono i fiumi di appelli: le 100 firme dell'Ateneo di Verona; le 180 della Sapienza; le 153 del documento nazionale per l'abrogazione; le mozioni dei Consigli di Facoltà, come Giurisprudenza di Napoli; i sociologi del Congresso di Messina.

Ma la sospensione tarda a venire. Come mai? Come mai, visto che la legge è intrinsecamente connessa con quella, già bloccata, della scuola? Come mai, visto che questa riforma - negazione vivente della difesa dell'italofonia - vuole spingere l'università italiana neppure verso un modello europeo (che non esiste: vedi la Spagna e la Germania, tornate indietro rispetto a tentativi di riforma analoghi) quanto piuttosto quello americano? Un'università dove il sapere degli studenti si misura a peso di pagine stampate?

Le risposte che si danno sono in genere due: la prima è che la Confidustria vuole la riforma. La seconda, opposta, è che se si bloccasse la legge scoppierebbe la "rivoluzione". In realtà sul Sole 24 Ore si possono leggere interventi pro e contro, e detto con una battuta, ci si potrebbe chiedere che fine farebbe quello stupendo inserto domenicale del quotidiano, se si accettasse la logica subculturale del 3+2. Quanto poi alle paure del centrodestra sono infondate: innanzitutto è in gioco solo e semplicemente una sospensione di un anno, "dentro" la stessa legge, del tutto legittima per un governo che si è appena insediato. In secondo luogo chi vive nell'Università sa bene che non ci sarebbe alcuna rivolta, ma solo un gran sospiro di sollievo della stragrande maggioranza dei docenti e ricercatori. Last but non least: questa riforma costa decine di miliardi. Un altro "buco" lasciato dall'Ulivo al governo di centrodestra?

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La nuova Università: se il professore è costretto a dare i numeri

di Claudio Magris

La riproduzione è parziale e non rende giustizia al quadro della realtà offerto dall'immagine intera. Tuttavia, come un piccolo campione di tessuto può rivelare a un esame istologico una condizione generale della salute di una persona, così forse anche il frammento di un foglio o di una lavagna può dare il quadro di una situazione. Quel talloncino zeppo di numeri, lettere, segni matematici, frecce, sigle, cerchietti, parentesi e cancellature è il particolare di un ritratto, come potrebbero esserlo le labbra della Gioconda. In questo caso, è un particolare del ritratto dell'Università italiana oggi. Non si tratta di calcoli fatti bizzarramente a mano da qualche scienziato che stia lavorando sull'equazione di Schrödinger o progettando un nuovo tipo di reattore. Sono le cifre e le operazioni cui, da mesi, si dedicano con furia coatta i docenti di tutte le facoltà dell'Università italiana e che assorbono in gran parte l'attività degli organi accademici, Corsi di Studi e Consigli di Facoltà. Sono cioè i frenetici arzigogoli numerici volti a calcolare, in obbedienza alla riforma universitaria, quanti cosiddetti crediti formativi vanno assegnati a una disciplina e quanti tolti a un'altra, come ripartire i crediti da acquisire nel biennio specialistico e quanti riconoscerne alla prova finale di una o dell'altra materia. Nuova università: se il professore è costretto a dare i numeri Oppure come stabilire - cito un documento a caso fra gli innumerevoli analoghi - "la frazione dell'impegno orario complessivo riservato allo studio o alle altre attività formative di tipo individuale in funzione degli obiettivi specifici della formazione avanzata e dello svolgimento di attività formative ad elevato contenuto sperimentale e pratico". Le riunioni accademiche si trasformano in concitate lotterie. Menadi assatanate di crediti formativi e banditori da fiera si avventano alla lavagna o vergano con furore fogli e foglietti in cui sommano, detraggono, moltiplicano, dividono, frazionano crediti da togliere e da aggiungere, giubilanti se riescono, in virtù di astute alleanze sul campo, a scalfire il patrimonio creditizio di un odiato collega. Un credito spostato è un'ebbra vittoria, sfascia una colonna di cifre che crolla come una muraglia, lasciando un varco sguarnito all'invasore. Battaglie e conteggi continuano telefonicamente a casa; ore e ore di linee intasate per spostare capitali didattici, aggiustare curricula, moltiplicare le lauree speciali che crescono come funghi. Nell'aula riunioni i numeri risuonano come quelli del gioco della morra all'osteria. Come all'osteria, gli atteggiamenti sono diversi. C'è chi si appassiona , vociando e berciando. C'è chi si eccita quasi sessualmente. C'è chi è ben contento di tutta questa bagarre, perché in tal modo non resta più tempo per le cose che si dovrebbero veramente fare - leggere, studiare, preparare lezioni ed esperimenti - e si annulla dunque ogni differenza fra un autentico studioso e un incompetente. I buoi sarebbero probabilmente felici di blaterare a interminabili congressi di sessuologia, perché finché si blatera non c'è differenza fra il bue e il toro. C'è chi ascolta intimidito, chi non ascolta affatto [l'umile curatore del presente sito ha scelto questa strategia, UB], chi non capisce niente ed è lieto di non capire niente; chi - pur detestando quella logorrea - si sforza onestamente di capirla e di fare anche dell'assurdità il migliore uso possibile nell'interesse degli studi e degli studenti; c'è chi ne approfitta per non fare nulla. E c'è chi comincia a comprendere in tutta la sua pienezza il significato dell'espressione "dare i numeri".

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LA REPUBBLICA

Diplomi universitari in ingegneria (3/5/01)

Il mittente della lettera ha pregato di rimuoverla dal sito (Gennaio 2009).