Sport, melting pot...
e qualche riflessione di "filosofia politica"

 


I.

A volte si vorrebbe proprio evitare il brontolio, ma davvero non si resiste! La follia sembra essersi impadronita di molti italiani (qualcuno sa se altrove in Europa la situazione e' migliore?!). Sento infatti in TV (4.8.2001) presentare una nuova gloria dell'atletica ITALIANA: essa consisterebbe in una cubana che ha sposato un tizio di Brescia, conosciuto durante una vacanza esotica (il maschio se ne sta li' vicino all'intervistata con un'aria che non saprei come definire).

Per cio' che valgono i matrimoni ai nostri giorni, la gloria italiana potrebbe essere tra pochi mesi francese, o russa... - anche se l'ultima eventualita' e' poco prevedibile: i poveri russi, dopo la "liberazione", non sono oggi ricchi abbastanza da essere considerati appetibili da femmine del "terzo mondo" (il viceversa, nel senso dei sessi, è meno frequente, ma pare talvolta accadere, vedi in seguito: qualche bella italiana che sposa un campione straniero - in effetti, pero', in settori non di primissima categoria - e questi diventa una "gloria" nostrana; per esempio, non si e' pensato di dire che della perizia tennistica di Bjorn Borg avrebbero dovuto andare giustamente fieri tutti gli italiani, quando se la faceva con Loredana Berte').

Colpa evidentemente di una normativa concepita da "cretini", e per "cretini". Ognuno e' ovviamente libero di valutare le situazioni come meglio crede, e di essere felice e soddisfatto di quanto arreca invece dispiacere a un altro, ma al solito e' un problema di "coerenza". Se la realta' dell'era contemporanea deve essere globalizzatrice, se il dominante riferimento al politically correct costringe a far finta di non notare alcune rilevanti "differenze", se stante l'attuale altra "liberazione", quella della donna, i matrimoni sono destinati a durare poco (vedi, tra gli altri, il Dissenso N. 71), allora che senso ha mantenere la stupidaggine delle SQUADRE NAZIONALI? (anche al livello di sports ben piu' ricchi e seguiti, basta vedere cos'e' diventata recentemente la nazionale francese di calcio; ricordo un quotidiano sportivo che giustificava la nostra sconfitta con i francesi agli Europei con la circostanza che non avevamo abbastanza giocatori di colore in squadra, con i quali opporre fisicita' a fisicita').

L'esempio dianzi riportato non e' purtroppo l'unico del genere: avevo conservato nel reparto "idiozie", per futura memoria, notizie sul caso di un nuovo motivo di vanto per gli italiani, almeno secondo i "deficienti" (nel senso che manca loro un po' di "buon senso", o di "senso del pudore") asserviti, in buona o cattiva fede, al carro della propaganda anti-frontiere, e anti-culture nazionali. Sotto un titolo a tutta pagina:
 


BESOZZI, IL FIGLIO DEL VENTO ITALIANO


 


si legge infatti - Corriere dello Sport del 4.6.2001, a firma di Franco Fava - la confortante notizia che:

"L'Italia dei Marcello Fiasconaro e delle Fiona May [un altro ottimo "caso"!] ha scoperto di avere anche il suo "figlio del vento". Ha soltanto 16 anni, e' di pelle scura con sangue americano nelle vene, ma gia' con tanta Italia nel cuore e nella testa. Si chiama Andrew Howe-Besozzi, cittadino di Rieti e atleta modello che da oggi saranno in molti a invidiarci" [mah, se lo dice l'articolista...]

Ci viene spiegato poi come mai l'italica gente dovrebbe essere fiera di poter annoverare tra le sue glorie questo "figlio del vento dell'Alabama":

"Nato a Los Angeles, la nuova speranza azzurra e' figlia della nuova societa' multietnica che ha trovato nelle consolidate tradizioni atletiche [ha dimenticato di dire anche democratiche, avrebbe potuto fare effetto] del capoluogo della Sabina il terreno fertile per stupire con le sue imprese agonistiche. Figlio di Andrew Howe, ex calciatore tedesco trasferitosi in California, e di Renee Felton, quarantenne statunitense della Pennsylvania [il ragazzo non ha quindi una goccia di sangue italiano nelle vene] [...] Andrew ha seguito la madre a Rieti quattro anni fa quando tutta la famiglia si trasferi' dopo il matrimonio in seconde nozze con Ugo Besozzi, un milanese trapiantato nella Sabina dove fa il rappresentante."

L'articolo si chiude con un invito, che la nazione tutta accoglie in trepidante silenzio:

"Basta continuare a farlo crescere in serenita', probabilmente. Al resto, siamo certi, ci pensera' lui con l'aiuto di mamma'"...

E se "mamma'" poi convolera' a nuove nozze, terze o quarte, che importa, pure il nuovo italiano cosi' acquisito (e forse aiutato a "crescere" in solido dalla nostra Federazione di atletica?!) convolera' con lei a consolidare la fama di altre squadre "nazionali".

Si potrebbe suggerire ai "progressisti", senza le cui costruttive idee il nostro paese non saprebbe come andare avanti: perche' non proporre anche il riconoscimento delle "unioni di fatto", non trascurando naturalmente le relazioni omosessuali? (quanto deve durare quella che un tempo si diceva "un'avventura", per produrre di simili conseguenze sul piano amministrativo e quindi sportivo?). E poi, per quale motivo parlare sempre di un'"unione" alla volta, retaggio dello stolto monoteismo che infesta l'Occidente da un paio di millenni? Ci sono coppie di amanti che vanno avanti molto meglio delle coppie regolarmente sposate, e i figli dei due potrebbero acquistare una moltitudine di nazionalita', a seconda di con chi va a letto la madre, o il padre - quali straordinari vantaggi per la societa' multietnica, peccato che non ci abbiano ancora pensato nessuno!

Sottolineiamo che nella presente contestazione non c'entrano niente i singoli, a cui non si puo' nulla rimproverare, ma soltanto l'idiozia di regolamenti che consentono certe situazioni, e soprattutto di coloro che da siffatti episodi vorrebbero invitare gli italiani a trarre motivo di orgoglio nazionale. Io potrei andare a finire la mia vita facendo per esempio l'insegnante di matematica in Nuova Zelanda, e non penserei mai, neppure dopo venti anni, di essere diventato a causa del mio soggiorno un neozelandese, ne' tanto meno che potrebbero diventare tali i miei figli italiani qualora trovassi una brava donna maori che volesse starmi vicino negli ultimi tempi, o che inversamente potrebbero diventare italiani i figli suoi! Tanto e' vero che - fatto di segno completamente contrario, ma la coerenza non e' evidentemente una virtu' dei tempi attuali - si tende a riconoscere, alquanto giustamente (ma ci vuole anche una certa intelligente prudenza, e distinguere caso da caso!), la permanenza dell'italianita' in nostri connazionali, e nei loro discendenti, che pure si trovino all'estero da piu' generazioni (abbiamo anche un ministro che si occupa della questione).

Per chiudere la prima parte del presente dissenso dedicato al melting pot nello sport, dico che avevo gia' preparato ormai diverse settimane fa delle riflessioni dedicate alla "nostra" nazionale di baseball alle recenti Olimpiadi. Il Giornale del 23.9.2000 informava ironicamente, a proposito di un incontro di questa squadra con quella statunitense, che:

"...durante l'incontro parlavano tutti (italiani e yankees) in inglese. Motivo molto semplice: la squadra e' azzurra di nome e americana di fatto ... Come direbbero in un collettivo sindacale: "Extracomunitari socialmente utili" ... Poche parole italiane, voglia di giocare e poi forse di tornare da dove sono venuti. Molto piu' azzurri di loro sono gli unici due atleti con nomi stranieri sino in fondo ... Il primo e' di Cleveland, ma e' in Italia da 15 anni ... e ha sposato una ragazza di Ronchi dei Legionari ... Il secondo e' nato a New Orleans, ma anni fa si e' perso dentro gli occhi di una ragazza di Garbagnate Milanese [ed ecco che l'ITALIANITA' della squadra e' precisata al 100 per 100!] ... Curioso melting pot quello che entra nel diamante olimpico. Se aggiungiamo le due ragazze americane e le due cinesi del soft-ball, possiamo dire di essere davvero multi-etnici..."

Sempre in occasione delle ultime Olimpiadi, avevo intravisto poi, ancora in TV, una squadra di pallacanestro, definita naturalmente "italiana", numerosi dei cui componenti erano significativamente neri (ma ho conosciuto pure neri che erano da considerare senza dubbio italiani; ripeto che in questo genere di questioni sono necessarie prudenza ed intelligenza, ma non si puo' far finta che non esistano piu' le culture nazionali, le lingue madri, solo perche' alcune persone, soprattutto quelle "pubbliche", del mondo dello "spettacolo", vivono in continuo movimento da una parte all'altra del mondo - una volta si sarebbe detto "senza casa" - e sarebbe oggettivamente difficile in effetti definire quale sia la loro "cultura" d'origine, o dei loro talvolta sconosciuti genitori). E tutto cio' mentre i nostri giornali invitavano ad esultare per le imprese di un'altra campionessa italiana, Fiona May, e, in diverso punto, si lamentavano perche' "Cosi' muore lo spirito olimpico" (Il Giornale, 28.9.2000). Pero' di presunta "morte" si parlava soltanto in ragione del seguente episodio: un povero ciclista kazako (e speriamo che il termine non venga sentito come politicamente scorretto!), tal Vinokourov, che forse avrebbe vinto, ha invece alla fine "frenato di brutto", regalando a un suo piu' prestigioso compagno di squadra tedesco (nella vita da professionista di tutti i giorni) "la meravigliosa passerella solitaria". Il quotidiano aggiunge: "Vergogna? Per niente: questo e' lo sport moderno...", ma lasciamo perdere, e veniamo ad alcune importanti considerazioni che il presente dissenso ispira.

II.

La "follia suicida" dilaga, e non si riesce ad arrestare certa contentezza, che si tramuta in aggressivita' rabbiosa, e quindi pericolosa (vedi il Dissenso N. 65), quando si vede che altri non condividono taluni "entusiasmi". Alcune persone (ipnotizzate dalla propaganda televisiva - non a caso chi scrive non guarda mai telegiornali, e legge di rado i quotidiani, trovando intelletti solitamente "ragionevoli" tra coloro che seguono la stessa pratica) sentono oggi tutti i mali del mondo sulla loro testa, non mangiano neppure piu' pensando alla folla dei poveri del pianeta, e vorrebbero inviare nel "terzo mondo" il pane che gli avanza, chiedendosi come mai lo "stato" (e cioe' altri) non riesca a fare questo. Malati del "complesso del CREATORE", vorrebbero che ci si suicidasse insieme con allegria*, e intanto cercano di costringerti psicologicamente alla beneficenza senza frontiere cui vengono invitati dalle suggestioni mediatiche, al cui condizionamento non riescono a sottrarsi (recentemente ho pure visto: "adotta un cucciolo a distanza"). Li si puo' riconoscere facilmente perche' continuano a ripetere come automi che SIAMO tutti d'accordo, che ogni persona con un minimo senso di umanita' non puo' che aderire (esemplare e' il caso della donazione degli organi, che ha viceversa risvolti alquanto "scabrosi", come arriva a scoprire chi si avvicina alla questione con una certa circospezione - vedi Link N. 43 in questo stesso sito), etc. (vedi il Dissenso N. 42). Nel delirio di onnipotenza che li affligge, sono infatti abituati a usare uno sgradevole PLURALE che non e' certo nelle loro intenzioni rappresentativo di quella humilitas che pure ben piu' converrebbe al caso.

E' in effetti incredibile che un simile condizionamento di massa possa "funzionare", e con tale estensione, nei fatti, seppure non nei pensieri di tutti: gli italiani sono meno stupidi di come li si vuole rappresentare, ma certo sono alquanto "pavidi", e opportunisti, comprendono sempre subito da che parte spira il vento del potere del momento, e si adeguano di conseguenza. La lezione di Machiavelli ce l'hanno purtroppo nel codice genetico, e sono naturalmente versatissimi nell'arte dell'ipocrisia e della dissimulazione (anche se non arrivano a definire ancora apertamente tali caratteristiche quali virtu', e trovano per fortuna ripugnante l'obbligatorio "sorriso sul lavoro" tipico degli ambienti nord-americani, vedi il Dissenso N. 60). Non sembra potersi disconoscere che, dietro alle campagne pubblicitarie martellanti (per esempio i vari spots "umanitari", sponsorizzati da diverse istituzioni governative, alcuni dei quali veramente "ridicoli"; a vedere la Albright che ride e balla non si puo' evitare di immaginarla ballare e ridere mentre da' l'ordine ai bombardieri americani, o NATO, di scaricare tonnellate di esplosivo sulla Serbia), o ai messaggi che provengono dal mondo della scuola, ufficialmente schierato in modo compatto su un unico fronte (se le suggestioni ricevute da queste sorgenti fossero di segno contrario, si puo' scommettere che tanti pensatori presunti indipendenti esprimerebbero tutt'altre opinioni), e' sottintesa sempre l'INTIMIDAZIONE (si veda il Dissenso N. 65). Chi "non e' d'accordo" e' ovviamente un pericoloso nazista (che fa del resto rima con razzista; pochi saprebbero dire precisamente cosa significano l'un termine e l'altro, ma ognuno capisce che e' qualcosa di cattivo, e di insultante), e quindi assassino e seviziatore, per giunta sadico, di vecchi, donne e bambini, potenziale terrorista (e del resto la DIGOS, e i magistrati "progressisti", sono sempre li', pronti a schedare, perquisire, a creare quindi oggettivi disagi e pene, pur in assenza di una sentenza pronunciata "in nome del popolo italiano", anche per meri semplici "reati d'opinione alternativa").

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Una (lunga) parentesi - A questo proposito e' forse opportuno sottolineare come sia ben noto agli specialisti il fenomeno secondo il quale le parole possano assumere in determinate circostanze dei significati diversi dai loro "propri" (pur nell'ambito della polisemicita' del linguaggio). Si dimentica cosi', per esempio, che il termine "nazismo" e' soltanto una rispettabile contrazione di socialismo e nazionalismo, due concezioni che hanno a priori soltanto a che fare con la sfera della filosofia della politica, e non con quella del codice penale. Del socialismo nessuno mai ha osato ancora dire che si tratti di una concezione criminale (stupida, utopistica, inefficace, invece si'). Per quanto riguarda il nazionalismo, siamo in effetti molto vicini a un tale riconoscimento (imposto per legge), ma chissa' perche' solo la Thatcher puo' permettersi di dire cose quali: "Se accetti la moneta unica, rinunci alla tua indipendenza, alla tua sovranita'. Il pensiero che [il Regno Unito] possa essere assorbito dall'Europa e' ripugnante e combattero' contro finche' avro' fiato" (La Nazione, 23.5.2001). Si puo' ovviamente essere nazionalisti o no, in maggiore o minore misura, ma ecco che sarebbe preferibile sapere bene per cosa ci si ammazza, ed evitare fraintendimenti. Nazionalismo potrebbe essere considerato in politica l'equivalente del "localismo", che ispira per esempio il cosiddetto "realismo locale", un principio-guida nella fisica in cui diverse persone di buon senso si riconoscono, senza paura di poter essere portate davanti a uno dei nuovi tribunali dell'inquisizione. Localismo vuol dire semplicemente badare prima di tutto al proprio PROSSIMO, in senso letterale (ricordate una famosa vecchia storia che si riferiva a questo concetto?)**, e fissare delle dimensioni UMANE per il proprio ambito di intervento, e di "responsabilita'". In altre parole, qualcosa che ha a che fare con la ricerca di un EQUILIBRIO. Per chi non lo conosce, a mo' di esemplificazione altamente istruttiva, riportiamo qualche brano di un documento programmatico concernente "L'organizzazione economico-sociale dello stato repubblicano del lavoro", elaborato (novembre 1943) durante il triste periodo della cosiddetta Repubblica di Salo':

"Premettiano che nel punto 10 si riafferma il principio della garanzia della proprieta' privata "in quanto frutto del lavoro e del risparmio individuale e integrazione della personalita' umana", ma si aggiunge subito dopo che "essa non deve pero' diventare disintegratrice della personalita' fisica e morale di altri uomini attraverso lo strumento del loro lavoro". Nel successivo punto 11 si afferma che "nell'economia nazionale tutto cio' che per dimensione e funzioni esce dall'interesse singolo per entrare nell'interesse collettivo appartiene alla sfera d'azione che e' propria dello Stato" (da StoriaVerità, Europa Lib. Ed., Roma, V, 28, 2001, p. 5).

Ecco cosi' enunciate, in poche parole, delle chiarissime indicazioni socio-politiche, socialiste e "localiste", da cui e' possibile far discendere come corollario un'intera normativa pratica. In tempi di "pensiero debole" e' forse opportuno sottolineare che in siffatte questioni l'essenza sono i "principi", i quali non si costituiscono partendo dal basso, con una moltitudine di regole che vengono oltre tutto cambiate continuamente (come e' palesemente avvenuto in questi anni di "repubblica democratica"), nella vana illusione che esse possano consentire l'avvento di una societa' meno imperfetta. La questione e' ovviamente "antica", gia' Platone ammoniva che, una volta individuati i giusti principi costituzionali, diventa superfluo o addirittura pericoloso scendere ad una legislazione troppo minuziosa:

" [...] la costituzione di uno stato, se ha un buon inizio, procede accrescendosi come un cerchio [...] Si rischia di altrimenti di "pass[are] la vita a fare e a correggere molte leggi consimili, convinti di arrivare alla migliore [...] come i malati che, per la loro intemperanza, non vogliono rinunciare a un cattivo regime di vita [...] [e] con tutte le loro cure finiscono soltanto di rendere piu' varie e gravi le loro infermita'; e sempre sperano, se si consiglia loro una medicina, che questa li faccia guarire [...] [e giudicano] particolarmente odioso chi dice [loro] la verita'" (La Repubblica, IV, 424 e 425-426).

In conclusione, bisognerebbe saper ammettere che continuare ad utilizzare a fini politici attuali un giudizio di tipo storico su azioni passate commesse da persone che si riconoscevano in certi ideali e' quanto meno poco "leale".

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Ritorniamo infine al punto che stavamo discutendo. Le persone di cui abbiamo parlato non si rendono neppure conto di essere loro "strutturalmente" vittime di un fanatismo intollerante e violento, potenzialmente pericoloso per gli altri, proprio come quei "modelli" che gli hanno insegnato viceversa a deprecare sin da piccoli. Sono poverette del tutto persuase che "di qua", dove si trovano (per caso) a militare, ci siano soltanto civilta', e rose e fiori, mentre "di la'" c'e' l'oscura barbarie, mai sfiorate in vita loro dal minimo dubbio...

Pioveranno prevedibilmente ancora polemiche sul capo dello scrivente, definito da qualcuno anche un "cattivo maestro". Peccato che lo si disse pure di Socrate, e poter asserire questo e' almeno una consolazione, sebbene assai modesta, visto che di fatto fu poi il vecchio filosofo obbligato a bere la cicuta, e non quelle "nullita'" dei suoi accusatori...
 
 

* Chissa' perche', mi viene alla mente la seguente buffa, ma mica tanto, notizia:

"GRAZIE, SCEMO! Il Darwin Awards e' istituito "in nome e onore" di Charles Darwin, padre della teoria dell'evoluzione, allo scopo di "commemorare" coloro che migliorano la razza umana auto-eliminandosi. In pratica, rende onore alle morti stupide. Il sito "certifica" alcuni degli episodi segnalati, su altri lascia ai navigatori la possibilita' di esprimersi. Comunque, vale la pena dare un'occhiata, si possono imparare molte cose da non fare!

http://www.darwinawards.com " (da: Netlife <list@it.buongiorno.com>, Sat, 04 Aug 2001).

** Ho conosciuto molto bene donne che erano tutte istericamente agitate per la situazione nel Vietnam, ma non badavano alle esigenze dei loro figli piccoli - guai a chi li prendeva in braccio, che non avessero a "viziarsi". Tra queste c'era anche chi invitava i bambini a limitare per esempio le loro richieste di giocattoli (o di cibo), invitandoli a pensare ai loro coetanei meno fortunati (ma forse con madri assai migliori di quelle prodotte dalla "cultura del '68"...).
 
 
 
 

(UB, agosto 2001)