[ In coincidenza con l'imminente pubblicazione (in un volume "Fede e Ragione", curato dal Dipartimento di Filosofia dell'Universita' di Perugia), ho ritenuto potesse essere utile per qualche lettore anche mettere a disposizione in rete il seguente "articolo cartesiano", soprattutto perche' sarei lieto di poter discutere con eventuali interessati, di tutti i punti, ovviamente, ma di uno in particolare, che e' stato all'origine di una vicenda che narrero' in breve. Quando mi fu richiesto dai colleghi filosofi il presente contributo sul tema indicato, ritenni l'occasione propizia per scrivere un articolo su Cartesio, e la concezione fluido-dinamica dell'universo, insieme all'amico Rocco Vittorio Macri', tenuto conto delle predilezioni speciali che uniscono i nostri "sistemi del mondo". Cosi' gli proposi questa mia intenzione, ricevetti un assenso, ma piu' tardi, a collaborazione gia' in qualche modo avanzata, ci si e' resi conto che sarebbe stato impossibile un accordo su un punto essenziale, e cioe' il "valore" da assegnare nel corso dell'analisi alla "fede cristiana". Piu' specificamente, decidere se la "razionalita'" di Cartesio completamente dispiegata dovesse di necessita' portare, i seguaci del suo metodo e il grande pensatore stesso, a "dubitare" ragionevolmente anche dei fondamenti di questa, oppure no. Secondo la mia personale opinione, Cartesio NON puo' dirsi una persona partecipe di tale "fede" (ancorche' non potesse al tempo, per ovvi motivi, essere esplicito sulle sue convinzioni al riguardo), secondo il Macri' invece SI'. Cio' ha impedito - e avrei dovuto prevederlo, me ne dispiace - un lavoro a doppia firma (molto piu' facili le collaborazioni in ricerche di matematica o di fisica!). Al Macri' va comunque tutta la mia gratitudine, menzionata anche al termine dello scritto, e resto in attesa di leggere un (suo o di altri) saggio convincente che possa "risolvere" il dilemma: CARTESIO ERA O NO UN "CRISTIANO"?! Sarei davvero interessato a leggere le ragioni di chi pensa che il mio parere in merito non sia corretto...

 

UB, Perugia, dicembre 2001 ]

 

 

Alle origini della modernità: il "programma di ricerca" cartesiano

quale tentativo di sintesi tra nuova scienza e vecchia religione

(Umberto Bartocci*)

I.

Se la "modernità" è certamente fenomeno complesso, nelle sue contingenti sfaccettature storiche e concettuali, pure è possibile individuarne alcune caratteristiche macroscopiche essenziali, che la definiscono quale evento unico nella storia dell'umanità (per quella parte che oggi ci è nota). Esse sono il rifiuto del "divino", del "sacro", ovvero della Weltanschauung religiosa1, e la sua sostituzione con una concezione scientifica del mondo che, in assenza di interlocutori propri2, rimpiazza la "parola magica", la "preghiera", con l'azione meditata e consapevole dell'uomo, e l'esegesi di "testi sacri"3 con l'investigazione di ben altro "libro"4.

Le tappe (almeno le "principali", come si spiegherà poi nel seguito) attraverso cui un tale articolato processo si è affermato sono ben conosciute, e ci piace richiamarle qui utilizzando ancora delle parole di Sigmund Freud5, perché esprimono, insieme alla sostanza storica, anche un comune "giudizio di valore" - va da sé, soltanto di una delle due parti "contendenti":

"Nel corso dei tempi l'umanità ha dovuto sopportare due grandi mortificazioni che la scienza ha recato al suo ingenuo amore di sé. La prima, quando apprese che la nostra terra non è il centro dell'universo, bensì una minuscola particella di un sistema cosmico che, quanto a grandezza, è difficilmente immaginabile [...] La seconda mortificazione si è verificata poi, quando la ricerca biologica annientò la pretesa posizione di privilegio dell'uomo nella creazione, gli dimostrò la sua provenienza dal regno animale e l'inestirpabilità della sua natura animale. […] Ma la terza e più scottante mortificazione, la megalomania dell'uomo è destinata a subirla da parte dell'odierna indagine psicologica, la quale ha l'intenzione di dimostrare all'Io che non solo egli non è padrone in casa propria, ma deve fare assegnamento su scarse notizie riguardo a quello che avviene inconsciamente nella sua psiche".

Naturalmente, per ciò che concerne gli aspetti sociali più evidenti di detta trasformazione, non deve tanto farsi riferimento ai contenuti specifici delle singole teorie scientifiche in sé, e al relativo nucleo problematico, quanto piuttosto alla loro "interpretazione comune", descritta per esempio in modo assai brillante da Aldo Mola in ordine all'affermazione del darwinismo6:

"La vulgata dell'evoluzionismo divenne presto uno dei punti d'incontro di certi massoni che, anche senz'avere una precisa cognizione dei contenuti scientifici del darwinismo e delle sue possibili implicanze socio-politiche, dalle strenua lotta sostenuta dalla Chiesa di Roma contro la sua diffusione e per la sua stessa provenienza dalla terra di Desaguliers ed Anderson deducevano ch'esso fosse comunque un buon compagno di strada, se non verso la Vera Luce almeno per dissipare le tenebre più fitte [...] A cominciare dalla improvvisa scaturigine di vegetarianesimo motivato con patetiche dichiarazioni...".

In effetti, l'irruzione sulla scena della storia del metodo scientifico, che richiede una faticosa indagine condotta in proprio, anziché l'accettazione - in linea di principio acritica7 - di una pretesa "rivelazione" da parte dell'autore di tutte le cose, riduce progressivamente lo spazio di verità reclamato da metafisiche che inevitabilmente diventano con il passare del tempo sempre più incrinate, e non poteva non portare lo sparuto gruppo iniziale di uomini e di idee che sostenevano il nuovo corso della storia8 in rotta di collisione grave con il potere millenario della Chiesa, erede diretto di quello dell'Impero romano: l'aperto conflitto diventava sempre meno differibile. Non a caso, nella prima celebre condanna storica della scienza da parte della Chiesa non si parla unicamente di questioni di fede, ma anche di contenuti oggettivi: la teoria di Copernico viene dichiarata (1616) non soltanto "formalmente eretica, perché contraddice la Sacra Scrittura", ma in aggiunta "stolta e assurda in filosofia".

Nonostante l'ultima affermazione fosse destinata ad essere clamorosamente ritrattata9, non poteva non permanere un comprensibile stato di conflitto, latente o palese, tra i sostenitori del "progresso" e quelli della "conservazione", tra le verità rivelate dalla "fede" e quelle viepiù "rivoluzionarie" successivamente proposte nel corso dello sviluppo di una "scienza vanitosa e bugiarda"10. E ciò pure se, per la verità, è possibile riscontrare recentemente prevalente ostilità contro la "scienza" - o meglio sarebbe dire, come vedremo, contro il "metodo scientifico" - presso gruppi cosiddetti "tradizionali"11, che non presso la gran parte dei membri della Chiesa stessa, i quali sembrano fare ai giorni nostri, almeno pubblicamente, maggiore sfoggio di avvedutezza politica, che non di coerenza e fedeltà dottrinali. In effetti, la scienza ha così numerose volte opposto verità di ragione e di esperienza a controverità fondate spesso soltanto su speculazioni teoretiche fantasiose, che ora essi non hanno quasi più il coraggio di giurare su nulla, e dubitano di ogni asserzione, rischiando di trascinare in siffatta vertiginosa caduta anche qualche loro eventuale deposito di conoscenza essenziale (a prescindere dalla sua asserita origine "trascendente").

Tutto sommato, non è improprio definire pertanto la modernità come una "rivolta" contro le radici cristiane (ma non esattamente, e non solo12) dell'Occidente, fenomeno che si potrebbe sintetizzare meglio rilevando piuttosto una progressiva deantropocentrizzazione13 dell'immagine del mondo nella civiltà europea, la quale modifica peraltro anche i termini con cui la stessa "scienza moderna" viene concepita. Questa passa infatti dalla categoria dell'otium a quella del negotium, e siffatto "transito" è presente sin dai suoi primordi. Tale opinione non è così diffusa quanto sarebbe auspicabile: per esempio Martin Heidegger, dopo aver premesso che "per la cronologia degli storiografi, l'inizio della scienza moderna va collocato nel secolo XVII", e che "per contro, lo sviluppo della tecnica meccanizzata si ha solo nella seconda metà del secolo XVIII", si chiede14 come mai la scienza nata prima della tecnica possa essere considerata già sin dalle origini posta al servizio della seconda, ed è costretto a sostenere la tesi che la tecnica abbia di fatto, "rispetto all'essenza che in essa vige", preceduto in un senso ideale la scienza, giacché:

"Tutto ciò che è in senso essenziale, non solo nella tecnica moderna, si mantiene ovunque nascosto quanto più a lungo possibile. Nondimeno, rispetto al suo vigere dispiegato, esso rimane quello che viene prima di tutto, cioè il più principale [...] ciò che, rispetto al suo sorgere e imporsi, è primo diventa manifesto solo più tardi a noi uomini. All'uomo, l'origine principale si mostra solo da ultimo".

Il "paradosso" evidenziato dal filosofo tedesco si fonda però sulle richiamate asserzioni della "cronologia degli storiografi", che fissa l'inizio della scienza moderna soltanto nel momento in cui la sua presenza ed i suoi effetti diventano manifesti, e cioè nel secolo di Galileo e di Newton, mentre quello della tecnica addirittura un secolo dopo. Non ci sarebbe alcun paradosso, quando molto più semplicemente si riconoscesse che la ripresa della scienza nella civiltà occidentale ebbe sin dall'inizio, con ogni verosimiglianza, le caratteristiche e le finalità di una tecnica, ovvero che essa fu coltivata in origine proprio nella sua qualità di produttrice di mezzi e strumenti in vista di applicazioni concrete, al servizio di un progetto precisamente definito. Questo progetto, la cui considerazione farebbe retrocedere la nascita della scienza moderna di qualche secolo rispetto alla detta "cronologia", sarebbe il piano portoghese di esplorazione del globo, e di scoperta del "continente sconosciuto" vagheggiato per esempio da Raimondo Lullo (programma che Colombo portò a compimento, celandone molti particolari, diversi decenni dopo che esso era stato ideato), e nel quale matematica ed astronomia venivano intese nella loro funzione di componenti essenziali dell'arte della navigazione. Se si tiene conto di ciò, quelle applicazioni pratiche che Heidegger è costretto a vedere quali conseguenze dello studio quantitativo ma astratto della Natura nel XVII secolo, possono invece essere considerate come delle logiche premesse di esso15.

Un'analisi logico-storica delle motivazioni, finalità e diverse articolazioni del "movimento modernista" trascende le limitate dimensioni del presente articolo16, ma diciamo almeno che essa porterebbe, dopo l'inversione appena illustrata, a ribaltare anche l'ordine con cui viene comunemente concepito il rapporto di causa ed effetto tra progresso nella conoscenza scientifica e riduzione dello spazio concesso al "divino" nella "spiegazione" della realtà17. Accennato soltanto a Nicola Cusano quale straordinario precursore potremmo dire prescientifico del copernicanesimo18, diamo qualche meno noto esempio del fatto che la formulazione di certe concezioni può procedere per via puramente "logica", prima dell'esperienza che eventualmente possa suggerirle e/o confermarle (esperienza che allora, talvolta, rischia anche di essere "benevolmente" interpretata19).

Cyrano de Bergerac, nella sua Histoire comique des Etats et Empires de la Lune (citato talora solo come Voyage dans la lune, 1649) espone nel seguente modo il "casualismo", direzione preferenziale di sviluppo (e in un certo senso "obbligata") di tutta la "metafisica" soggiacente alla parte "vincente" del movimento scientifico:

"Or, le feu, qui est le constructeur des parties et du Tout de l'Univers, a poussé et ramassé dans un chêne la quantité des figures nécessaires à composer ce chêne. Mais, me direz-vous, comment le hasard peut-il avoir ramassé en un lieu toutes les choses nécessaires à produire ce chêne? Je vous réponds que ce n'est pas merveille que la matière, ainsi disposée, ait formé un chêne; mais que la merveille eût été plus grande, si, la matière ainsi disposée, le chêne n'eût pas été produit; un peu moins de certaines figures, c'eût été un orme, un peuplier, un saule; un peu plus de certaines figures, c'eût été la plante sensitive, une huitre à l'écaille, un ver, une mouche, une grenouille, un moineau, un singe, un homme. Quand, ayant jeté trois dés sur une table, il arrive rafle de deux ou bien de trois, quatre et cinq, ou bien deux six et un, direz-vous: "O le grand miracle! A chaque dé, il est arrivé le même point, tant d'autres points pouvant arriver! O le grand miracle! A chaque dé, il est arrivé trois points qui se suivent. O le grand miracle! il est arrivé justement deux fiches, et le dessous de l'autre fiche!" Je suis assuré qu'étant homme d'esprit, vous ne ferez jamais ces exclamations, car, puisqu'il n'y a sur les dés qu'une certaine quantité de nombres, il est impossible qu'il n'en arrive quelqu'un. Et, après cela, vous vous étonnez comment cette matière, brouillée pêle-mêle au gré du hasard, peut avoir constitué un homme, vu qu'il y avait tant de choses nécessaires à la construction de son être. Vous ne savez donc pas qu'un million de fois cette matière, s'acheminant au dessein d'un homme, s'est arrêtée à former tantôt une pierre, tantôt du plomb, tantôt du corail, tantôt une fleur, tantôot une comète, et tout cela à cause du plus ou du moins de certaines figures qu'il fallait, ou qu'il ne fallait pas, à dessiner un homme? Si bien que ce n'est pas merveille qu'entre une infinité de matières qui changent et se remuent incessamment, elles aient rencontré à faire le peu d'animaux, de végétaux, de minéraux que nou voyons; non plus que ce n'est pas merveille qu'en cent coups de dés il arrive une rafle; aussi bien est-il impossible que de ce remuement il ne se faisse quelque chose, et cette chose sera toujours admirée d'un etourdi qui ne saura pas combien peu s'en est fallu qu'elle n'ait pas été faite".

Nel "divino" marchese De Sade si possono trovare invece anticipazioni di etiche post-darwiniste:

"Proprio mentre la Convenzione giacobina si apprestava a scatenare il Terrore, l'illuminista marchese De Sade poteva del tutto coerentemente scrivere nel suo Francesi ancora uno sforzo frasi del tipo: 'Mai la lussuria fu considerata un crimine presso nessuno dei popoli saggi della terra. Tutti i filosofi sanno bene che è solo agli impostori cristiani che dobbiamo di averla costituita in delitto. Nessuna passione ha bisogno più di questa di tutta l'estensione della libertà, nessuna senza dubbio è così dispotica […] Tra distruggere un uomo e distruggere una bestia non c'è nessuna differenza. Di più: l'atto dell'uccidere è vantaggioso, perché quest'azione fornisce alla natura la materia prima delle ricostruzioni e delle trasmutazioni di cui essa vive. L'uomo che uccide segue gli impulsi della natura che glielo consiglia'"20.

Tornando al punto principale del discorso, non c'è dubbio che gli esiti basilari della trasformazione epocale che stiamo esaminando sono almeno due.

Primo, la distruzione, che anche lo scrivente ritiene irreversibile e ineluttabile, del sistema del mondo elaborato dalla conoscenza antica, e delle credenze delle varie religioni storiche sulle origini dell'universo e dell'uomo, che vengono definitivamente comprese nella loro natura di speculazioni in parte primitive, e relegate a souvenirs da museo negli archivi della storia.

Secondo, la formulazione di un'immagine alternativa a quella di un universo ordinato e coerente, la cui struttura sarebbe emanazione di una "volontà superiore", e nella quale l'uomo avrebbe un ruolo ben preciso. Nell'attuale Weltanschauung scientifica dell'Occidente, invece, il caso viene a prendere il ruolo del concetto di "Dio creatore"21 (perciò, non appare quindi del tutto inappropriato usare per essa lo stesso termine di "religione", con riguardo ai suoi contenuti globalizzanti, e alle sue eventuali accettazione e divulgazione, per lo più ugualmente acritiche, o "fideistiche"), tanto da giustificare la seguente sua brillante descrizione da parte di Geminello Alvi22:

"Darwin fu moderno perché dicendo d'Adamo che era una scimmia specializzata, fece così divergere da lui, separò, smise di specchiare in lui, la cosmicità divina. Fu ripudiata qualunque sapienza, nella quale microcosmo e macrocosmo convergessero in un Adamo divino. E il ripudio d'un magico Urmensch fu inoltre deciso economicamente: Darwin volle Adamo evoluto per effetto d'una malthusiana, e quindi economica, lotta animale. Altri poi spiegarono che il Cosmo divergeva; si disuniva in infinità innumeri di stelle e pianeti, tra i quali la Terra veniva spiegata insignificante evento statistico prima o poi rovinato dalla certa morte per entropia del sole. L'umano moderno si nutre di questi due modi di pensiero: un Adamo regredito a scimmia e una Terra dannata a morire nel buio e nel gelo".

Nonostante tutti gli accorati tentativi di compromesso23, invero più dalla parte storicamente soccombente che dall'altra24, la divisione appare drammatica e definitiva, nel bene e nel male, sicché non sembrerebbe esserci spazio per ulteriori disquisizioni. Ciò nonostante, vogliamo discutere qui una serie di interrogativi fondamentali: la situazione può dirsi definitivamente stabilita, e nessuna sua modificazione prevedibile? L'ateismo, inteso in senso stretto25, è davvero l'unico esito compatibile con la "rivoluzione moderna"? E' incoerente accettare molte delle conseguenze innegabilmente positive della modernità, pur rifiutandone l'impostazione concettuale di fondo che ha infine prevalso? E' assolutamente impossibile un recupero di elementi della visione religiosa del mondo nella cornice razionalistica moderna (e non per semplici fini di opportunità sociale e politica, come oggi sembra essere molto di moda26)?

L'attualità di queste domande poggia non tanto sulla circostanza che il quadro descritto da Alvi è oggettivamente disperante (mèta di chi intraprende qualsiasi percorso di conoscenza è unicamente la verità, non la "consolazione", o la "pace sociale" - che poi, ci sarebbe da chiedersi quale possa essere il valore, e quanto possa durare, la pace nella menzogna, o nell'errore; se la nostra storia passata sta lì a dimostrarci che gli "errori" possono in effetti avere vita lunga, la medesima storia ci insegna anche che da essi non scaturisce alcuna pace), quanto piuttosto sulla constatazione che una tale concezione non appare capace di descrivere appieno l'umana esperienza quotidiana dell'autocoscienza, vale a dire, di dare sufficiente e comprensibile conto di come mai la materia "inerte" possa essere divenuta cosciente di se stessa.

 

II.

Ogni tentativo di "seria" risposta27 ai precedenti quesiti non sembra poter prescindere dalla distinzione essenziale che va introdotta tra metodo razionale, che è uno soltanto28, e contenuti specifici particolari elaborati dalla scienza occidentale nel corso della storia degli ultimi secoli, dall'inizio della "rivoluzione scientifica" in poi. E chiedersi addirittura se questi contenuti siano sempre frutto di una corretta applicazione del detto metodo, o se certe conclusioni frettolose non siano piuttosto state ispirate da "pregiudizi" di tipo ideologico, profondamente radicati nelle motivazioni stesse che dettero origine alla "rivolta" in parola, e che intervengono quando si tratta di forzare la scelta di alcune particolari ipotesi, in un ventaglio molto più ampio, ed incerto. In altre parole, porsi il problema se davvero l'attuale vulgata scientifica, di fatto alquanto incompatibile con talune concezioni etiche e religiose, sia fondata tutta su inoppugnabili dati di ragione e di esperienza, o non sia più verosimilmente il prodotto di un intricato connubio tra questi e dubbie interpretazioni, arrischiate congetture, perfino, come si diceva, propensioni e simpatie di natura totalmente soggettiva29. Così, se nessuno può oggi ragionevolmente dubitare che la Terra sia un corpo sferico, che i suoi mari siano navigabili in ogni loro parte senza alcun rischio di "cadere di sotto"30, che intorno al Sole orbitino diversi corpi celesti, e non viceversa, che le stelle siano tanti soli, in numero sterminato e situati a distanze enormi dalla nostra particolare stella, etc., non appare in egual misura sicuro prestare per esempio "fede" a certe speculazioni teoretiche di stampo darwinista, o a quelle sullo spazio e sul tempo che provengono dalla tanto celebrata31 teoria della relatività, per non dire delle successive vere e proprie "irrazionalità"32 della fisica del XX secolo, o dei vari più recenti vaneggiamenti sull'intelligenza artificiale, l'identità totale uomo-macchina, etc..

Una volta che una siffatta rigorosa analisi venisse compiuta, si vedrebbe che, seppure siano numerose le "certezze" assolute conquistate dal sapere scientifico, da cui nessuna attuale teoresi può prescindere, sono almeno altrettanto numerose le affermazioni che vengono spacciate per tali, ma non lo sono (e la storia insegna abbastanza che è più dannoso di solito ritenere "vero il falso" - credulità - che reputare "falso il vero" - scetticismo). Questa conclusione permetterebbe di poter opinare che, sempre restando all'interno di detto sapere, è ben possibile elaborare una molteplicità di concezioni cosmologiche differenti, alcune delle quali non conducono univocamente alla depressa cornice mentale descritta dalle parole di Alvi.

Un esempio, ancorché non completamente sviluppato - per pure contingenze storiche, ed ideologiche, affronteremo presto pure tale questione - è quello che si riferisce al sistema cartesiano del mondo, che va concepito come un tentativo di sintesi (forse l'unico!) tra la vecchia visione religiosa consolidata nel corso di lunghi secoli, e la nuova rivoluzionaria antitesi, che sorge dalle ceneri del Medioevo. Una sintesi che cercava di presentare però una nuova concezione teorica sulla scena della filosofia, e non già una miscela eterogenea di frammenti provenienti da scuole di pensiero diverse: Cartesio si oppose sempre con vigore a chi cercava di mescolare la "nuova scienza" con le "scienze dei miracoli", e di puntellare, attraverso la sua metafisica, l'antica tradizione aristotelico-tomistica, ormai definitivamente agonizzante.

Parlando del grande filosofo francese non si può evitare di indicare un paradosso nel quale ci si imbatte ogni volta che si discute il suo pensiero, e le contrastanti interpretazioni di cui esso è stato oggetto sin da quando egli era vivente. Cartesio cerca infatti di recuperare lo spazio sempre più limitato che resterebbe a disposizione della spiritualità, di fronte alla prepotente irruzione della razionalità, e della materialità, indicando una possibile conciliazione tra i due termini, passante attraverso il riconoscimento teorico della duplice natura dell'esistente: la cosiddetta "dualità" materia/spirito, res cogitans/res extensa. Eppure, proprio in questa "scissione"33, alcuni sostenitori della "tradizione" collocano una delle tante Ianuae Inferni34, quasi che quello di Cartesio fosse per così dire un dualismo di maniera, una distinzione introdotta subdolamente, ispirata da contingenti motivazioni di opportunità "storica", per poi meglio cancellare definitivamente la parte più "debole" delle due. In effetti, una lettura riduzionistica del riservato pensatore di La Haye (che diceva di sé, del resto, larvatus prodeo) lo indica come il filosofo per eccellenza del "razionalismo" modernamente inteso, e del "materialismo meccanicistico", dimenticando in tal modo il ruolo essenziale che invece lo spirito, e Dio, hanno nella maestosa teorizzazione cartesiana. In essa filosofia naturale, descritta nei Principia Philosophiae, e metafisica, esposta nella fondamentale opera dall'eloquente titolo Meditationes de prima philosophia in qua Dei existentia et animae immortalitas demonstrantur35, si armonizzano mirabilmente, e concepire l'una senza l'altra costituisce un vero tradimento di un pensiero che è tutto gnoseologicamente concatenato in ogni sua parte. Secondo Cartesio, le problematiche scientifiche debbono trovare collocazione in una "fisica completa", un sistema filosofico globale che comprenda l'uomo stesso e Dio. Senza capire l'uomo, non è possibile capire il mondo: è questa la "chiave perduta" che potrebbe ancora oggi aprire nuove porte della conoscenza al mondo occidentale contemporaneo (immagine di R.V.M.). Come scrive Eugenio Garin36: "Cartesio cerca l'unità, la riduzione a organismo delle scienze, l'ordine nelle nozioni disperse nella molteplicità ma cerca un ordine razionale, fuori da ogni mistero [...] Il programma della saggezza come convergenza di teoria e pratica è chiaro; chiara l'idea della fondazione unitaria del sapere, attraverso la determinazione delle caratteristiche comuni dei processi conoscitivi, del processo del sapere stesso, unitario nelle varie scienze, pur nella varietà dei campi [...] è chiaro il definirsi della concezione dello studium bonae mentis come analisi dei processi della conoscenza, uniformi nella varietà delle discipline perché radicati in una costituzione nativa della mente [...] Per Cartesio la 'vera scienza' è unità articolata, ordinata, comprensiva di tutte le scienze".

Quello cartesiano è uno sforzo di provare l'intellegibilità dell'intera gamma dell'esperienza umana, materiale e spirituale, costantemente teso a curare i fondamenti metafisici della "scienza"37, che viene abbandonato insieme all'affascinante sistema del mondo fisico alla sua base, dove la gravitazione è spiegata con significativa analogia fluido-dinamica, quando si afferma al suo posto un universo governato da algoritmi di tipo newtoniano, efficaci dal punto di vista delle previsioni quantitative, ma "occulti" in quanto a "spiegazione" delle cause dei fenomeni38. Per ciò che riguarda questo particolare aspetto del cartesianesimo, val forse la pena di ricordare che la medesima impostazione del francese, pur superata attraverso la correzione di alcuni errori, è fatta propria da Leibniz, il cui Tentamen de motuum coelestium causis (1689, revisionato nel 1706) non è suscettibile delle stesse critiche di mancanza di "matematicità" che vennero rivolte all'opera del francese, e può ben ritenersi davvero "'deplorevole' che la teoria leibniziana del vortice non [sia diventata] influente, perché era 'matematicamente ineccepibile ed emergeva tra tutti i tentativi di spiegare i moti planetari in base all'azione di vortici fluidi' [...] Forse, l'elemento più importante a suo favore, come amava dire lo stesso Leibniz, era che il vortice spiegava perché tutti i pianeti ed i satelliti ruotino nella medesima direzione nella loro orbita, cosa che la meccanica newtoniana non può spiegare, senza l'aiuto di ulteriori ipotesi riguardo all'origine del sistema solare"39.

Naturalmente il Dio di Cartesio, garante dell'affidabilità delle "idee chiare e distinte", e sia pure concepito non solo quale creatore dell'universo nella forma che conosciamo40, ma anche come presenza costantemente in atto per la sua preservazione41, non coincide in modo esplicitamente dichiarato con quello della rivelazione giudaico-cristiana, il che giustifica le perplessità che frange della cattolicità ebbero nei confronti del pensiero cartesiano, e le relative accuse di "ateismo", o meglio di "panteismo".

Ancora paradossalmente, è proprio attraverso la lettura che gli oppositori di Cartesio effettuarono del suo sistema, che se ne coglie meglio l'essenza. In effetti, non c'è dubbio che "lo spirito e il libero arbitrio [vengano percepiti] come uno scandalo per la scienza", o almeno per la sua componente che nega "la possibilità di eventi contingenti liberi, dipendenti dalla volontà di agenti intelligenti sottratti al dominio delle scienze della materia, in proporzione alla loro spiritualità"42, ciò che porta una gran quantità di scienziati a "rompere" con i principi primi della razionalità classica, pur di poter considerare la res cogitans soltanto come una sorta di epifenomeno, ancorché "complesso", della materia bruta (riflessione di R.V.M.). E' un siffatto insieme di ragioni quello che condusse evidentemente un pensatore come Voltaire, lo scettico filosofo dell'illuminismo, a divulgare in modo alquanto fazioso il pensiero cartesiano, ed a privilegiare lo spazio vuoto di Newton (che presto diventa vuoto in tutti i sensi, forse al di là delle stesse intenzioni del grande fisico-matematico di Cambridge43), contribuendo in misura notevole ad edificarne il "mito". Citiamo alcuni suoi commenti in proposito dalle cosiddette Lettere inglesi, scritte tra il 1727 e il 1733 (Boringhieri, Torino, 1958):

"Or non è molto, in una illustre compagnia, si agitava il problema frivolo e scontato di sapere quale fosse l'uomo più grande, se Cesare, Alessandro, Tamerlano, Cromwell, ecc. Qualcuno rispose che era senza dubbio Isacco Newton. Costui aveva ragione… [Voltaire si lancia successivamente in una celebrazione dei grandi uomini inglesi, primo tra i quali Francesco Bacone] Un francese che arriva a Londra trova le cose veramente cambiate, in filosofia come in tutto il resto. Ha lasciato il mondo pieno; lo trova vuoto. A Parigi, l'universo lo si vede composto di vortici di materia sottile; a Londra, non si vede niente di tutto ciò. […] L'essenza stessa delle cose è talmente cambiata da non potervi accordare né sulla definizione dell'anima né su quella della materia. Descartes afferma che l'anima e il pensiero sono la stessa cosa, Locke prova piuttosto bene il contrario. […] Il famoso Newton, questo distruttore del sistema cartesiano, morì nel mese di marzo dello scorso anno 1727. Ha vissuto onorato dai suoi compatrioti, ed è stato sepolto come un re che abbia fatto del bene ai suoi sudditi. E' stato qui letto con avidità e tradotto in inglese l'Elogio di Newton pronunciato dal signor Fontenelle all'Accademia delle Scienze. In Inghilterra si attendeva il giudizio di Fontenelle come una solenne dichiarazione della superiorità della filosofia inglese, ma quando si è visto che paragonava Descartes e Newton, tutta la Società Reale di Londra è insorta. […] La generale opinione sui due filosofi in Inghilterra è che il primo era un sognatore, l'altro un saggio. Sono molto poche a Londra le persone che leggono Descartes, le cui opere in realtà sono divenute inutili; molto pochi anche quelli che leggono Newton, perché occorre essere molto dotti per comprenderlo; ciò nonostante tutti ne parlano [vedi quanto si diceva poc'anzi, sull'importanza sociale della vulgata] […] In una critica che a Londra è stata fatta al discorso di Fontenelle, si è osato asserire che Cartesio non era un grande geometra. Coloro che parlano così possono rimproverarsi di battere la loro nutrice; Descartes ha fatto tanto progredire la geometria nel suo cammino, dal punto in cui l'ha trovata a quello cui l'ha condotta, quanto dopo di lui Newton […] Introdusse il suo spirito geometrico ed inventivo nella diottrica, che divenne nelle sue mani un'arte completamente nuova; e se su qualche punto s'ingannò, è perché un uomo che scopre nuove terre non può subitamente conoscerne tutte le caratteristiche; quanti vengono dopo di lui e rendono fertili quelle terre gli devono almeno riconoscenza per la scoperta. Non nego che tutte le opere di Descartes brulichino di errori. La geometria rappresentava una guida da lui stesso in qualche modo formata, e che l'avrebbe fatto procedere sicuramente nella sua fisica; tuttavia egli abbandonò infine quella guida e si dette allo spirito di sistema. Allora la sua filosofia divenne solo un romanzo ingegnoso, e tutt'al più verosimile per gli ignoranti. S'ingannò sulla natura dell'anima, sulle prove dell'esistenza di Dio, sulla materia, sulle leggi del movimento, sulla natura della luce; ammise idee innate, inventò nuovi elementi, creò un mondo, fece l'uomo a suo modo, e si dice a ragione che l'uomo di Descartes è appunto soltanto l'uomo di Descartes, assai lontano dall'uomo vero […] Ma non è eccessivo affermare che si dimostrava degno di stima anche nei suoi deviamenti. Sbagliò, ma se non altro lo fece con metodo e con spirito conseguente; distrusse le assurde chimere con cui da duemila anni si riempivano le idee dei giovani; insegnò agli uomini del suo tempo a ragionare e a servirsi contro di lui delle sue stesse armi. Se non ha pagato in moneta buona, è molto che abbia screditato la cattiva. Non credo che si osi, in verità, minimamente paragonare la sua filosofia a quella di Newton: la prima è un tentativo, la seconda è un capolavoro".

Se la vittoria del newtonianesimo sul cartesianesimo fu evidente e schiacciante nel campo delle scienze fisiche, almeno fino a quando l'ipotesi dell'etere non tornò a fare capolino nell'elettromagnetismo del XIX secolo, il dualismo come opzione filosofica restò naturalmente sempre presente quanto bastava per scatenare contro di esso le più fiere polemiche un secolo e mezzo più tardi, al tempo della rivoluzione darwinista nelle scienze biologiche. Tra i più vivaci avversari dello spiritualismo dualista, Ernst Haeckel, il quale sostiene l'ipotesi dell'emergenza della vita come generazione spontanea dalla materia inanimata, e respinge decisamente ogni forma di "teleologia e vitalismo", "affermando la completa validità del metodo meccanico e causale, [per] giungere al superamento di tutte le contrapposizioni dualistiche introdotte nella realtà fra spirito e materia, contenuto e forma, essenza e fenomeno. Tale superamento conduce al monismo. Come metodo, il monismo non è che l'applicazione del principio generale di causalità [...] Come sistema filosofico il monismo non è altro che il risultato generale della nostra visione scientifica del mondo, della nostra complessiva conoscenza della natura. [...] Il monismo non è né materialismo né spiritualismo poiché non esiste materia senza spirito né spirito senza materia"44.

Dichiarato poi un'altra volta defunto l'etere dopo l'avvento della relatività, ecco segnato quello che sarà, da allora in avanti, il destino del cartesianesimo, un pensiero ritenuto sorpassato ma sostanzialmente misconosciuto e, comunque, "ambiguo" per tutti: iniziatore della modernità e dell'ateismo razionalista, per chi sostiene ancora il punto di vista spiritualistico, pieno di errori e di "fantasticherie" per coloro che preferiscono ricordare, nella fondazione della scienza moderna, i nomi di Galileo e di Newton…

 

III.

Si deve necessariamente considerare l'avventura intellettuale di Cartesio un disperato tentativo di retroguardia, sconfitto senza possibilità di appello dalla storia, e dalla successiva evoluzione del pensiero scientifico45, o non è forse al contrario addirittura un'indicazione troppo prematura di un "programma di ricerca" ancora tutto da sviluppare, sia dal versante meramente fisico, che da quello spirituale?

Tale interrogativo introduce opportunamente una doverosa (nel presente contesto) citazione dello scienziato bergamasco Marco Todeschini, che riporta alla luce la "chiave" smarrita, e sepolta sotto la polvere del tempo, nella sua monumentale Teoria delle apparenze (Spazio-dinamica e psico-bio-fisica)46, nella quale la dipendenza dall'approccio cartesiano è riconosciuta sin dall'inizio, con l'asserzione che è proprio con la cosmogonia di Cartesio che l'umanità visse "l'istante in cui [...] per pura intuizione andò più vicina alla realtà dell'architettura dell'Universo" (p. 29).

Per dare al lettore una sommaria idea dell'impostazione di quest'opera del tutto "singolare", diciamo che fino al cap. IX essa si presenta come un ordinario trattato di fisica teorica (basato su una concezione fluido-dinamica dell'universo, che indaga i fenomeni naturali a partire dall'ipotesi che l'unica "sostanza" esistente sia l'etere, responsabile di ogni "apparenza" mediante i suoi diversi stati di moto), mentre il X capitolo è intitolato "Le 10 equivalenze psico-fisiche", a cui seguono "Fisio-neurologia spazio-dinamica" (cap. XI) e l'ultimo capitolo, "Il mondo spirituale". Indichiamo anche i paragrafi con i quali si articola il punto d'arrivo della ricerca todeschiniana:

§ 64 - Le leggi fisico-matematiche e le prove psico-fisiche-sperimentali che dimostrano l'esistenza dell'anima

§ 65 - L'esistenza dell'Universo fisico e del corpo umano quali prove dell'esistenza dell'anima, del mondo spirituale e di Dio - La vita terrena dell'anima umana quale scopo dell'Universo fisico - L'esistenza dell'anima come prova dell'esistenza di Dio

§ 66 - Le prove psico-fisiche che solo l'uomo ha un'anima ragionevole - Dimostrazione della creazione, indivisibilità ed immortalità dell'anima umana

§ 67 - Come la vera scienza e la vera filosofia non possono portare che a Dio - La denuncia della mentalità anti-spirituale come causa di parzialità della scienza e della sua crisi - Le basi per l'avvento di una nuova scienza imparziale e lo stato di merito dei cercatori - Conciliazione tra scienza, filosofia e religione

§ 68 - Il bene ed il male come prove dell'esistenza di Dio.

Nell'Introduzione al suo sublimemente anacronistico lavoro, Todeschini descrive l'avvenuto "ritrovamento" con le seguenti parole:

"I miei studi sono caratterizzati specialmente dal fatto che io ho ritenuto impossibile la spiegazione esauriente di qualsiasi fenomeno se non si tiene conto delle relazioni che corrono tra esso e l'essere animato che lo percepisce […] Assoluta priorità di queste mie indagini è quindi l'aver intuito e soprattutto dimostrato che gli stimoli meccanici che ci denunciano i fenomeni del mondo oggettivo, vengono non solo alterati dagli organi di senso del nostro corpo, ma addirittura trasformati dalla psiche che li valuta. I fenomeni soggettivamente ci appaiono quindi ben diversi da quello che sono nella realtà oggettiva. Se si pensa che il metodo sperimentale per descrivere i fenomeni usa gli attributi delle loro apparenze soggettive, si comprende immediatamente su quali illusioni esso si è appoggiato sinora e quale valore hanno le nostre cosiddette conoscenze oggettive".

Si comprende chiaramente, ormai, la "tragedia" dell'aver scorporato l'Uomo dal Mondo nella grandiosa sintesi cosmica cartesiana. Da questa prospettiva si riesce a cogliere la struttura epistemologica di intere pagine cartesiane, come quelle di apertura a Il mondo o Trattato della luce:

"Benché di solito ciascuno sia persuaso della perfetta somiglianza tra le idee che pensiamo e gli oggetti da cui procedono, non riesco tuttavia a vedere ragioni che ce ne diano conferma e rilevo anzi parecchie esperienze che ci portano a dubitarne47. […] Credete voi che, anche quando non badiamo al significato delle parole limitandoci a udirne il suono, l'idea di questo suono, che si forma nel nostro pensiero, sia qualcosa di simile all'oggetto che ne è causa? Un uomo apre la bocca, muove la lingua, tira il fiato; in tutte queste azioni non vedo nulla che non differisca parecchio dal suono che ci fanno immaginare. La maggior parte dei filosofi afferma che il suono altro non è se non una certa vibrazione dell'aria che viene a colpire i nostri orecchi; dimodoché, se il senso dell'udito rappresentasse nel nostro pensiero la vera immagine del suo oggetto, dovrebbe farci concepire, anziché il suono, il movimento delle parti dell'aria che vibra allora contro i nostri orecchi".

Sempre nello stesso ambito d'idee, ecco un'altra pagina chiarificatrice tratta dall'opera con la quale Todeschini cercò di divulgare le sue concezioni48:

"Sin da quando ero studente delle scuole medie e specialmente durante gli studi universitari al Politecnico di Torino, sentivo come tutti i miei compagni, il disagio di dover assimilare un sapere diviso in tanti scompartimenti stagni senza alcuna affinità tra di loro, insegnatoci con astrusi concetti nozionistici da ritenere a memoria. Ricordo che una notte mi era sorta spontanea la domanda: - Come mai invece di raggiungere l'ambito traguardo dell'unificazione del sapere siamo giunti al contrario a spezzettarlo in un numero sempre crescente di scienze e specializzazioni diverse senza alcuna relazione, né continuità di concetti tra di loro, né di cause ed effetti materiali tra i particolari fenomeni da esse contemplate? - Ponderando su tale domanda pensai che se fosse stata vera l'ipotesi di Galileo che le sensazioni di luce, calore, suono, odore, sapore, ecc. sono irreperibili nel mondo fisico oggettivo, ma sorgono in noi solamente quando contro il nostro corpo vengono ad infrangersi urti di materia, solida, liquida, gassosa, o sciolta allo stato di spazio fluido (etere), allora questo restava l'unica realtà del mondo fisico. In tal caso era chiaro che la meccanica unitaria dell'Universo era la fluidodinamica. Mi apparve allora evidente che la materia nei 4 stati citati, sotto forma di particelle atomiche, oppure di onde di etere, colpendo i nostri organi di senso, poteva far oscillare i loro atomi costituenti e farne espellere gli elettroni periferici, i quali andando a colpire gli atomi successivi, avrebbero fatto a loro volta espellere l'elettrone periferico, e così via, propagando in tal modo, lungo il nervo che collega l'organo di senso periferico all'organo cerebrale, sede della psiche, una successione più o meno rapida di urti corpuscolari, che il nostro spirito trasforma in una delle sensazioni sopra citate, a secondo della frequenza e dell'intensità degli urti corpuscolari trasmessigli. Mi balenò allora nella mente quanto fosse stata significativa la frase di Leonardo da Vinci, che: 'Li nervi sono li cavallari dell'anima', e come fosse andato vicino al vero il grande Cartesio nel ritenere che essi subiscono sollecitazioni meccaniche per risvegliare nell'anima le sensazioni. Scoprii allora che abbiamo ideate tante scienze differenti quanti sono i nostri organi di senso. Così è sorta l'acustica, perché abbiamo l'udito, con la membrana del timpano che vibra allorché su di essa vengono ad infrangersi onde atmosferiche silenti, a bassa frequenza [...] E' sorta l'ottica perché abbiamo l'organo della vista [...] E' sorta la termodinamica, perché abbiamo dei corpuscoli di Krause [...] E' sorta l'elettrotecnica, perché abbiamo i corpuscoli di Dolgiel nell'epidermide [...] E' sorta la dinamica, perché abbiamo organi di tatto (corpuscoli di Pacini) [...] Il non aver tenuto conto nella fisica teoretica che le sensazioni sono irreperibili nel mondo oggettivo, ha smembrato quindi la scienza in tante branche diverse quante sono i nostri organi di senso...".

Da qui Todeschini parte per la sua lunga indagine, che lo porta a giustificare il "dualismo" nel seguente modo. Se, in accordo con i principi di una fisica unifenomenica, gli unici eventi possibili sono differenti forme di movimento della materia, allora le sensazioni, che "non contemplano né masse, né accelerazioni [...] [e sono quindi] fenomeni diversi dal movimento della materia, non sono reperibili nel mondo fisico [...] [esse] vengono suscitate solamente nella psiche a causa di accelerazioni di masse trasmesse al cervello". E così proseguendo:

"[Le sensazioni essendo] irreperibili nel mondo fisico, devono perciò prodursi in un mondo diverso da quello fisico costituito di spazio. La psiche, quindi, è un'entità che non occupa spazio e quindi non può essere costituita di materia, la quale è formata da movimento di spazio. La psiche è dunque un'entità immateriale, cioè spirituale [...] la psiche, quindi, è un ente spirituale la cui esistenza comporta il durare nel tempo fuori dello spazio [...] a prescindere dal funzionamento degli organi nervosi del corpo umano che servono solo a ricevere, trasformare e trasmettere movimenti corpuscolari al cervello, vi è in questo una psiche di natura esclusivamente spirituale che traduce quei movimenti in sensazioni, vi è cioè un'entità che ha [...] caratteristiche di immaterialità e di durata nel tempo [...] La psiche è un'entità atta a manifestare sensazioni di natura esclusivamente temporale, e ciò in perfetta armonia con la sua dimostrata immaterialità [...] L'anima, quindi, è un'entità spirituale atta a rivelare le correnti elettriche provenienti dagli organi di senso al cervello, ed a rivelarle sotto forma di sensazioni, ed è altresì atta ad emanare forze che producono accelerazioni di masse (correnti elettriche) destinate ad azionare gli organi di moto [...] La realtà sperimentale del dolore fisico e la sua irreperibilità nel mondo materiale [...] ci assicurano che tale dolore è una sensazione che sorge realmente ed esclusivamente nell'anima, e ci assicurano inoltre che anche tutte le altre sensazioni (forza, luce, calore, suono, odore, sapore, elettricità) sorgono e possono esistere esclusivamente anch'esse nell'anima [...] La realtà psichica sperimentale delle sensazioni, forze comprese, cioè la loro esistenza reale nel nostro spirito, [è] comprovata dal poterle percepire per un certo tempo [...] La coscienza diretta che l'uomo ha [delle sensazioni] attività esclusiva dell'anima [dimostra] che essa esiste là dove esse vengano percepite. Ergo, tutti i corpi che percepiscono o dimostrano di percepire sensazioni49 sono sicuramente sede di un'anima" (La teoria delle apparenze, op. cit., pp. 881-886).

Todeschini si mostra assolutamente consapevole del suo "cartesianesimo", e all'antico maestro si rivolge con il seguente pregevole commento:

"Il grande Cartesio, che aveva intuito che tutte le opinioni sulla realtà del mondo oggettivo possono essere errate perché fondate sopra le illusioni dei sensi, era pervenuto ad asserire che di una cosa sola non possiamo dubitare: del nostro stesso pensiero, poiché ogni ragionamento, ogni dubbio, è per se stesso un pensiero, un'attività della coscienza [...] In quanto io penso, io sono. 'Cogito ergo sum!' Questa è un'intuizione immediata e costituisce verità perché evidente per se stessa [...] Cartesio col suo famoso motto latino ha voluto stabilire che l'unica certezza della nostra esistenza è costituita dal fatto che noi pensiamo. Il pensiero è quindi considerato come una prova sperimentale inconfutabile e tuttavia tale prova non è costituita da un fenomeno fisico, ma bensì da un fenomeno psichico [...] la fama del motto di Cartesio però è dovuta non solamente al fatto che esso ci indica il pensiero come unica realtà certa della nostra esistenza, ma al fatto che gli uomini intuirono e tutt'ora intuiscono che il pensiero ci dà una certezza ben più grande e più importante di quella di esistere [...] il pensiero ci dà certezza dell'esistenza dell'anima, poiché esso è un'attività di questa. Senza anima non si può pensare, poiché è essa che pensa e non il corpo. Al motto di Cartesio possiamo quindi sostituire il nostro ancor più significativo: 'Penso, quindi ho un'anima'! Se si volesse ridurre il pensiero al minimo [...] si dovrebbe dire: 'Ricordo sensazioni, quindi ho un'anima'!" (op. cit., pp. 886-887; enfasi nel testo).

Aggiungiamo, infine, una riflessione. I citati paragrafi dell'ultimo capitolo della Teoria delle apparenze, dedicato appunto all'indagine de "Il mondo spirituale", indicano manifestamente una cura verso una serie di concetti che (come già nel caso di Cartesio) sono stati molto probabilmente alla base del silenzio e dell'oblio ai quali è stato condannato questo pensatore, certamente meritevole di maggior attenzione (ancorché non sempre "rigoroso", qualità oggi indispensabile per poter essere presi in considerazione dalla "comunità scientifica", nello sviluppo della parte più propriamente fisico-matematica del suo discorso). Lo scrivente ricorda che, durante vari colloqui personali con Marco Todeschini, questi ebbe a dirgli che fu varie volte invitato a rinunciare alla "parte spirituale" del suo libro (peraltro, come si diceva, quella maggiormente interessante), per farne un trattato esclusivamente scientifico, ma che rifiutò ogni volta tali suggerimenti, reputando la sezione in parola una componente integrante del suo sistema di pensiero (e, del resto, è propria della più pura tradizione cartesiana la consapevolezza che non può darsi vera scienza senza vera filosofia).

 

IV.

Per avviarci verso la conclusione, l'autore esprime la previsione, e l'auspicio, che il programma di ricerca cartesiano torni presto d'attualità, dopo quella che ritiene una sua ingiustificata eclissi (d'altro canto, come abbiamo visto, solo parziale, e limitata in modo particolare al secolo appena trascorso).

Tale ritorno dovrebbe riguardare prima di tutto la questione puramente fisica, con la conseguente confutazione della teoria della relatività50 (e dello "spazio vuoto" newtoniano da cui essa dipende), e la ripresa degli studi sulle problematiche relative alla natura dell'etere. Detta aspettativa ben si accorda con le seguenti parole "profetiche" del grande matematico René Thom51:

"Descartes, con i suoi vortici e i suoi atomi uncinati, spiegava tutto e non calcolava nulla; Newton con la legge di gravitazione in 1/r2 calcolava tutto e non spiegava nulla [...] la vittoria del punto di vista newtoniano è pienamente giustificata sotto il profilo dell'efficacia, della possibilità di previsione, e quindi di azione, sui fenomeni [...] [ma] non sono affatto convinto che il nostro intelletto possa accontentarsi di un universo retto da uno schema matematico coerente, privo però di contenuto intuitivo".

Oltre alla loro rilevanza per la filosofia naturale, un revival degli elementi fondamentali del sistema cartesiano potrebbe indicare la via per l'edificazione di una nuova metafisica, una metafisica finalmente completamente "razionale", frammenti della quale sono sparsi un po' dappertutto nelle diverse culture. Ci piace pensare a questa come ad una quarta metafisica, che - dopo la separazione trascendente tra Dio e materia che ha prevalso in Occidente fino ad alcuni secoli fa, l'accentuazione spiritualistica di tipo orientale, e il materialismo monista proprio della Weltanschauung scientifica contemporanea - possa finalmente contemplare la presenza di uno "spirito nel mondo", indagare il concetto di Dio stesso senza tabù, cercando di fornirne un'immagine "credibile" mediante l'esercizio di autentici libero pensiero e libera critica. Il problema centrale è infatti in che modo "Dio" possa essere concepito, attraverso l'introduzione di quali attributi si possa specificarne il concetto, e bisogna poter ammettere a priori ogni tipo di "riduzione" rispetto alla concezione classica che, almeno in Europa, ne è sempre stata fornita da parte di chi crede alla sua esistenza. Uno spirito nel mondo può invece essere soggetto alle "leggi" della stessa materia che ha utilizzato per "costruire" il cosmo52, non essere per nulla "onnipotente" (come ha "logicamente" ipotizzato Sergio Quinzio53 per risolvere il problema sempre scottante della teodicea: un Dio non onnipotente non può essere ritenuto responsabile di alcun male), infine essere pensato soprattutto non trascendente il tempo, ma fluente nel tempo, e forse anche avente mutato di stato (Brahman, Paramatma, Bhagavan) allo scorrere di esso...

Note

1 - Termine usato da Sigmund Freud nella 35ma delle sue lezioni di Introduzione alla Psicoanalisi, 1915-17 (Boringhieri, Torino, 1969).

2 - La critica alla visione religiosa del mondo ha effetti devastanti su tutta una realtà intermediaria, che semplicemente scompare di scena: non esistono divinità, angeli, spiriti, o in generale una "provvidenza", che intervengono in modo volontario nella "storia". Tutti i fenomeni fisici hanno una causa naturale, e quelli umani hanno una causa umana (vedi note 11 e 34).

3 - Che arriva fino alle assurdità cabalistiche, ipotizzanti l'esistenza di una "lingua sacra", e di "messaggi segreti" di origine divina celati nella lettera del testo. Il seguente esempio mostra a che punto di "follia epistemica" si possa arrivare lungo certe strade: "Ognuna delle ventidue lettere della Qabala possiede un'energia che le è propria e che viene insufflata nella trama per ridarle coerenza e ristabilire così tutto il sistema di circolazione dell'informazione [...] E' evidente che, per poter utilizzare tutto ciò nella trama, l'alchimista o il terapeuta dovrà in primo luogo scoprire e sperimentare nel suo stesso corpo, nel suo cuore e nel suo spirito l'energia specifica di ciascuno dei sette mondi e di ognuna delle lettere della Qabala" (da Louis Cayla, "L'Alchimia, via di risveglio e trasformazione interiore", Psicodinamica, Milano, N. 43, settembre 2000; vedi anche le note 11 e 27). Il metodo scientifico, nel caso particolare filologico-storico-archeologico, conduce invece a tutta una serie di interrogativi assai pesanti sul significato di "sacra scrittura", e sul concetto stesso di "lingua sacra", fino ad arrivare a farne piazza pulita con l'apprezzabilissimo, ancorché non conosciuto come meriterebbe, La Bibbia senza segreti, di Flavio Barbiero (Rusconi, Milano, 1988; ampia attenzione nei confronti di questo testo è fornita in Episteme - Physis e Sophia nel III millennio, N. 2, dicembre 2000, Perugia, rivista on-line reperibile nel sito http://www.robotics.it/episteme, o in quello indicato in calce al presente articolo).

4 - Metafora che fa ovvio riferimento al celebre passo del Saggiatore di Galileo: "La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscere i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto". Si tratta del resto di similitudine espressiva, che si ritrova anche in Francesco Bacone e Tommaso Campanella, ed era stata ancora prima utilizzata da Nicola Cusano (vedi nota 18).

5 - Op. cit. nella nota 1, lezione 18ma.

6 - Nella sua poderosa Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni (Bompiani, Milano, 1992), p. 104.

7 - Del resto, la contrapposizione ineliminabile tra ragione e certo tipo di fede viene già sperimentata da S. Paolo, nell'Areopàgo in Atene, di fronte alla reazione della maggior parte dei suoi ascoltatori alla notizia della resurrezione. Essa viene da lui esplicitamente riconosciuta con le parole: "Nos autem praedicamus Christum crucifixum: Iudaeis quidem scandalum, Gentibus autem stultitiam" (I Cor. 1,23).

8 - Fra questi naturalmente Niccolò Cusano e Niccolò Copernico, uniti nel nome ma non solo. A parte quello che se ne dirà nella successiva nota 18, entrambi scorgono nella "matematica" (e non nella "rivelazione"!) la forma di conoscenza essenziale che unica può guidare la ragione nelle sue investigazioni. Il primo - che fu autore di un De mathematica perfectione (1458), e tra i primi protettori all'interno della Chiesa, insieme con il cardinale Oliviero Carafa e il vescovo Giovanni Andrea de Bussi, della sancta ars della stampa (vedi per esempio: Pasquale Lopez, Sul libro a stampa e le origini della censura ecclesiastica, Luigi Regina, Napoli, 1972) - esprime nel suo De Possest (1460) l'opinione secondo la quale: "Nihil certi habemus in nostra scientia nisi nostram mathematicam", e gli fa eco il secondo, con il suo famoso "Mathemata mathematicis scribuntur", nella Prefazione al De revolutionibus orbium coelestium (1543). Come ben noto, questa disciplina assume di fatto un ruolo viepiù crescente, fino a costituire una delle caratteristiche principali che favoriscono il prevalere del "sistema" di Newton su quello di Cartesio (vedi nota 35).

9 - Ma non tanto presto. A proposito della cancellazione dall'Indice dei libri proibiti dell'opera di Copernico c'è da segnalare infatti un curioso equivoco, nel quale cadono molti commentatori. Tanto per fare un esempio, nel Dizionario Enciclopedico Italiano della Treccani (1970), alla voce "Galileo", troviamo scritto: "Nel 1757, la Chiesa riconosceva vera la dottrina di Copernico e di Galileo, e provvedeva a togliere dall'Indice le opere del grande scienziato". In realtà in quell'anno fu stabilito soltanto di non inserire più nell'Indice dei testi solo perché sostenevano il moto della Terra, ma non di cancellare quelli che ci erano stati precedentemente inseriti. Tale decisione fu presa solamente nel 1822, a seguito di una curiosa storia che l'astronomo Paolo Maffei illustra ampiamente in: Giuseppe Settele, il suo diario e la questione Galileiana, Dell'Arquata Ed., Foligno, 1987. Il caso del Prof. Settele, coinvolto suo malgrado in una vicenda più grande di lui, è particolarmente istruttivo anche per diverse altre ragioni, su cui dobbiamo qui sorvolare.

10 - Espressione ripresa da Osservazioni ed argomenti intorno ad alcuni errori moderni riguardanti l'origine ed antichità del mondo e dell'uomo, di Don Antonio Masinelli, Modena, Tipografia dell'Immacolata Concezione, 1871. Ribatte indirettamente a questo autore, tra gli altri, il polemico apologeta del darwinismo, Ernst Haeckel, con il seguente proclama: "Sulla bandiera dei darwinisti stanno le parole: Evoluzione e Progresso! Dal campo dei conservatori avversari di Darwin suona il richiamo: Creazione e Specie! Il Progresso è una legge naturale che nessuna potenza umana, né le armi dei tiranni né le maledizioni dei preti, potranno mai durevolmente reprimere" (citato da Felice Mondella, "La biologia alla fine dell'Ottocento", in Ludovico Geymonat, Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico, Garzanti, Milano, 1971, vol. VI, cap. X).

11 - Un noto autore che si rifà a una pretesa conoscenza iniziatica primordiale ("Oggi l'umanità, nei suoi elementi più progrediti e rispetto alla formazione dell'intelletto, è tanto avanti che presto o tardi perverrà da sola a determinate idee che prima eran parte del sapere occulto. Da sola essa afferrerebbe tali idee in una forma guastata, eccessiva e dannosa. Di conseguenza i responsabili dei segreti hanno deciso di comunicare pubblicamente una parte del sapere occulto [...] Determinate parti della dottrina occulta possono per altro ancor oggi venir comunicate solo a chi si sottopone alle prove dell'iniziazione") è Rudolph Steiner, che scrive per la rivista Luzifer-Gnosis (1904/1908) dei pezzi francamente deliranti, nei quali tratta di diversi "esseri spirituali", di uomini che vivevano sul Sole in forma vegetale, di "dèi lunari e luciferici", etc., in un crescendo farneticante di amenità del genere, che può essere interpretato nel modo più benevolo come un interessante esempio di letteratura fantastica (destinato peraltro ad essere imitato e perfino superato: si segnala ai lettori che non ne sono al corrente l'esistenza di una "Fondazione Urantia", che potremmo dire specializzata, come Steiner, in "protostoria fantastica": http://www.urantia.org). L'autore citato si rende conto ovviamente di quale possa essere presso certo pubblico l'accoglienza riservata alle sue "conoscenze", che ci informa provengono né da rivelazione, né da studi "scientifici", bensì da chiaroveggenza, e cerca di prevenire le critiche con le seguenti parole: "Attraverso una simile argomentazione si dichiara fantastica la scienza dello spirito, in quanto si attribuisce al sentimento religioso la facoltà di creare delle entità che si ritengono semplicemente inesistenti. Chi pensa a questo modo dimostra di non rendersi conto della possibilità che il contenuto del mondo soprasensibile venga sperimentato come si sperimenta a mezzo dei sensi esteriori il mondo sensibile [...] Ciò che voi [i fautori del metodo scientifico] esponete, all'infuori dei fatti da voi osservati, non è altro, a vostra insaputa, che l'opinione che tali fatti spirituali non possano esistere. In verità voi non portate altra prova di questa vostra affermazione se non che tali fatti vi sono sconosciuti; e da questo deducete che essi non esistano, e che coloro, i quali affermano di saperne qualcosa, non possono essere che sognatori e fantasticatori". Peccato che tali pretesi "chiaroveggenti" si contraddicano sempre palesemente l'uno con l'altro, un po' come i vari destinatari di "messaggi" da parte di extra-terrestri, anche questo è un punto da tenere presente nella "scelta" tra diversi punti di vista. [Una selezione dei detti articoli dello Steiner è stata pubblicata in italiano dalla Editrice Antroposofica, Milano, nel 1980, con il titolo Dalla cronaca dell'Akasha; le citazioni sopra riportate provengono da questo testo, pp. 179-180 e 187-188].

12 - Se la "rivolta" in questione è certamente anticattolica, essa è in parte anche anticristiana (vedi nota 16), ma non può non dirsi pure antireligiosa in genere, facendo con questo appellativo riferimento alle religioni storiche che si confrontano in Europa, e quindi in ultima analisi al solo culto monoteista della religione ebraica, sul quale si innestano sia l'eresia cristiana che quella islamica. Il problema delle relazioni tra ebraismo e origini dell'ateismo "moderno" (proprio all'interno di settori della cultura ebraica si sarebbe insinuata la "sfiducia" in Jahweh dopo la distruzione del Tempio, nell'anno 70 D.C., con il paradosso della permanenza del concetto di "popolo eletto" senza elettore) è investigato per esempio da Maurizio Blondet, nel suo considerevole Gli "Adelphi" della Dissoluzione - Strategie culturali del potere iniziatico, Ed. Ares, Milano, 1994, e in altre sue pubblicazioni, tutte ugualmente meritevoli di attenzione.

13 - E ciò nonostante questo termine si presti ad essere criticato sotto almeno due aspetti. Se si riguarda infatti alle radici giudaico-cristiane della nostra civiltà, essa si dovrebbe correttamente dire piuttosto cristocentrica, o teocentrica, che non antropocentrica, eppertanto più conveniente introdurre ad esempio, per la trasformazione in oggetto, la parola: "scristianizzazione". Resta però il fatto che nella detta concezione religiosa l'uomo assume comunque un posto di tutto rilievo (creato a immagine e somiglianza di Dio, ultimo e più perfetto prodotto della creazione, etc.), che gli viene tolto dalle speculazioni moderne, sicché dire "deantropocentrizzazione" non sembra poi del tutto inappropriato. La connotazione in parola è messa bene in evidenza pure da Carlo Ginzburg, quando osserva che: "L'indirizzo quantitativo ed antiantropocentrico delle scienze della natura da Galileo in poi ha posto le scienze umane in uno spiacevole dilemma: o assumere una statuto scientifico debole per arrivare a risultati rilevanti, o assumere uno statuto scientifico forte per arrivare a risultati di scarso rilievo" ("Spie. Radici di un paradigma indiziario", in Crisi della ragione - Nuovi modelli nel rapporto tra sapere e attività umane, a cura di Aldo Gargani, Einaudi 1979, p. 92). Se si esamina invece la questione sotto il profilo "sociale", è ovvio invece che, riducendosi progressivamente i punti fermi di origine trascendente sui quali si poggiavano i fondamenti della morale, questa diventa sempre più libera, e antropocentrica, in una sorta di "naturale" rapporto di proporzione inversa tra metafisica ed etica.

14 - Nel corso di una conferenza tenuta nel 1953 a Monaco di Baviera; vedi: "La questione della tecnica", in Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Ed. Mursia, Milano, 1976.

15 - Per ulteriori ragguagli su questo tipo di ricostruzione storiografica, vedi per esempio del presente autore: "Une utopie scientifique à la découverte d'un Nouveau Monde", in Politica Hermetica - Les contrées secrètes, N. 12, L'Age d'Homme, Paris, 1998; "Alle origini della costruzione dell'immagine scientifica del mondo: un problema storiografico", in La costruzione dell'immagine scientifica del mondo - Mutamenti nella concezione dell'uomo e del cosmo dalla scoperta dell'America alla Meccanica quantistica, a cura di Marco Mamone Capria, Ed. Città del Sole, Napoli, 1999.

16 - Bisognerebbe infatti fare riferimento a retroscena storici poco considerati nel presente contesto, che vanno dalla distruzione ufficiale dell'Ordine dei Templari (1307/1314) alla presenza di suoi superstiti a Sagres, presso il Centro di Cultura Nautica fondato dal templare Enrico il Navigatore (1416), da Cusano a Copernico passando per Colombo, etc. (si veda per esempio del presente autore: America: una rotta templare - Un'ipotesi sul ruolo delle società segrete nelle origini della scienza moderna, dalla scoperta dell'America alla Rivoluzione copernicana, Ed. Della Lisca, Milano, 1995 - in questo saggio è contenuta anche la richiamata "inferenza logica" da parte di Lullo relativa all'esistenza di un continente "opposto alle coste dell'Inghilterra, Francia, Spagna e di tutta la confinante Africa", Quodlibeta, Tomo IV, Questione 154). I membri dispersi dell'Ordine trovarono rifugio anche presso le antiche Corporazioni di Arti e Mestieri, provocando così la diffusione e la proliferazione delle società segrete ("early Masonic lodges", secondo un'efficace espressione di Margaret C. Jacob, The Newtonians and the English Revolution 1689-1729, Gordon and Breach Publ., New York, 1990, p. 207), che saranno all'origine della Massoneria "moderna". Si vennero così a realizzare sinergie tra gruppi che erano certamente anticattolici, ma più in generale anche anticristiani (almeno nella loro componente ebraica), e rende ben conto degli effetti di questa associazione Jacques Maritain quando scrive (Antimoderno, Roma 1979, p. 56): "Tutte queste confusioni non provengono del resto da una causa estranea, accidentale e imprevista, sopraggiunta un certo giorno e paragonabile a una malattia che avrebbe intaccato la limpida purezza di una scienza innocente. No, erano presenti fin dall'origine stessa della 'scienza moderna', ne circondavano la culla, l'hanno accompagnata lungo il suo sviluppo" (segnalazione di R.V.M.). Tali effetti, che provocarono "il crollo della grandiosa sintesi medievale", furono comunque differenziati da nazione a nazione (per esempio: "In Inghilterra [...] non vi fu rottura violenta con la religione, in quanto lo spirito che animava i teologi latitudinari 'whig' era così simile a quello dei loro avversari deisti che non vi era possibilità di divergenze di carattere fondamentale. In tal modo, tanto in Inghilterra che in Scozia, prevalse una specie di via di mezzo tra il Cristianesimo tradizionale e le nuove idee"), fenomeno che ebbe la conseguenza di spezzare "l'unità del pensiero europeo" (Christopher Dawson, Progresso e Religione, Edizioni di Comunità, Milano, 1948, pp. 209 e 225).

17 - Anche questo termine, d'altro canto, cambia connotazione semantica, venendo inteso con accezione sempre più restrittiva, con solo riguardo alla realtà sensibile, quella percepibile per via dei cinque sensi ordinari, e di strumenti che sono concepiti come loro semplici estensioni (vedi nota 2).

18 - Si rimanda per esempio a Raymond Klibansky, "Nicola Cusano e Nicolò Copernico", in Paolo Rossi, Antologia della critica filosofica, Laterza, Bari 1964, Vol. II. Cusano fu anche anticipatore del principio di inerzia, della relatività del moto, etc., ed a lui si sono in modo evidente "ispirati" personaggi quali Copernico, Bruno, Galileo (vedi nota 4).

19 - Naturalmente, nel presente contesto, si potrebbe affermare che gran parte delle speculazioni teoriche degli antichi filosofi greci fossero dello stesso tipo (per esempio, si possono trovare perfino anticipazioni del darwinismo in Empedocle di Agrigento!). Per quanto riguarda la possibile "benevola" interpretazione di risultati sperimentali, A. Kohn (in False Prophets - Fraud and Error in Science and Medicine, Basil Blackwell, Oxford, 1986, p. 3), elenca, riprendendole dal matematico inglese ottocentesco Charles Babbage, le tre categorie tipiche di questo tipo di "manipolazioni": forging, trimming, cooking. Un perfetto esempio di cooking ("manipulating data so as to make them look better, in order to fit the researcher's hypothesis best") è segnalato dal fisico irlandese A.G. Kelly, in suo interessantissimo "Hafele & Keating Tests; Did They Prove Anything?" (preprint, 2000, agkelly@eircom.net), che getta nuova luce su uno degli esperimenti più reclamizzati a favore della teoria della relatività, e della sua concezione del tempo. Tutti avranno sentito dire che se si trasportano su un aereo degli orologi atomici "precisissimi", si può constatare come il tempo da essi segnato si modifichi in accordo alle previsioni di Einstein. Orbene, risulta da un rapporto interno della Marina degli Stati Uniti (USNO, Hafele, 1971 - Hafele fu uno dei due sperimentatori coinvolti nell'esperimento, che si dice appunto di Hafele e Keating), finalmente disponibile al pubblico, e perciò preteso ed ottenuto dall'autore sopra citato, che secondo lo stesso Hafele: "Most people (including myself) would be reluctant to agree that the time gained by any one of these clocks is indicative of anything […] The difference between theory and measurement is disturbing". Kelly dimostra chiaramente come dei dati, tanto eterogenei da non avere alcun significato oggettivo, e in effetti non divulgati nel lavoro originale - in cui i due sperimentatori annunciavano al mondo, in modo alquanto "generico", il nuovo successo della relatività - siano stati alla fine sapientemente "aggiustati", allo scopo evidente di rendere soddisfatti i vari "committenti" dell'impresa (e in fondo gli stessi Hafele e Keating, che hanno così guadagnato notorietà e probabilmente anche qualche "buona" cattedra universitaria, etc.).

20 - Rino Cammilleri, Libero settimanale, ricevuto il 12.9.2000 da it.politica.cattolici - Lista di informazione su cattolici e politica sotto la protezione di Giuseppe Tovini. Sulle implicazioni etiche del darwinismo vedi anche la nota 24.

21 - "Queste alterazioni sono accidentali, avvengono a caso. [...] soltanto il caso è all'origine di ogni novità, di ogni creazione nella biosfera. Il caso puro, il solo caso, libertà assoluta ma cieca, alla radice del prodigioso edificio dell'evoluzione: oggi questa nozione centrale della Biologia non è più un'ipotesi fra le molte possibili o perlomeno concepibili, ma è la sola concepibile in quanto è l'unica compatibile con la realtà quale ce la mostrano l'osservazione e l'esperienza" (Jacques Monod, Il caso e la necessità, Mondadori, Milano, 1970, pp. 95-96 - enfasi nel testo). Tutta la concezione scientifica del mondo, in assenza di una "intelligenza ordinatrice", deve fare necessario riferimento a un passaggio dal semplice al complesso, per mera forza di leggi deterministiche, e quindi causali, pur se applicate a sistemi caotici (e quindi all'apparenza casuali). Ne consegue, in particolare, che la vita non può essere concepita altro che come un "fenomeno di vecchiaia della Natura" (Erich Kähler, "Il Regno delle Idee", Atti del Convegno Internazionale di Geometria a celebrazione del centenario della nascita di Federigo Enriques, Milano, 1971, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 1973). Su questi importanti temi si veda per esempio: Stuart A. Kauffman, The Origins of Order - Self-Organization and Selection in Evolution, Oxford University Press, 1993 (14 capitoli, suddivisi in tre parti: "Adaptation on the edge of chaos", "The crystallization of life", "Order and Ontogeny"). Citiamo da quest'opera: "The critical point we shall find is this: In sufficiently complex systems, selection cannot avoid the order exhibited by most members of the ensemble" (p. 16).

22 - Dell'Estremo Occidente - Il secolo americano in Europa, Firenze, Marco Nardi Ed., 1993, p. 251. Tali parole fanno naturalmente eco a quelle conclusive del celebre saggio di Jacques Monod citato nella nota precedente, che possono essere considerate quasi un "manifesto" del modernismo: "Questa è forse un'utopia. Ma non è un sogno incoerente ["l'umanesimo socialista realmente scientifico"]. E' un'idea che si impone grazie alla sola forza della sua coerenza logica. E' la conclusione a cui necessariamente conduce la ricerca dell'autenticità. L'antica alleanza è infranta; l'uomo finalmente sa di essere solo nell'immensità indifferente dell'Universo da cui è emerso per caso. Il suo dovere, come il suo destino, non è scritto in nessun luogo. A lui la scelta tra il Regno e le tenebre".

23 - Appartengono a questa categoria i disperati noti tentativi di "conciliare" la filosofia cattolica con il darwinismo, senza voler tenere conto che Darwin, qualche anno dopo il ritorno dalla sua crociera con la "Beagle", osservava esplicitamente (1838): "L'uomo, nella sua arroganza, si considera una grande opera, degna dell'intervento della divinità. Più umile e, io credo, più verosimile, ritenerlo creato dagli animali". Fabio Mantovani, Presidente dell'Associazione Italiana "Teilhard de Chardin", in un suo "Origine scientifica e creazione biblica dell'uomo: un conflitto rimosso" (Comunicazione al 36mo Convegno "Scienza e Fede", Fognano - Ravenna, ottobre 1995), segnala come ci siano ancora dei "problemi" per quanto riguarda teoria dell'evoluzione e fede nel "peccato originale". Dopo aver esaminato le difficoltà che arrecherebbe un'eventuale conferma scientifica del poligenismo, contro il monogenismo sostenuto dal Magistero ecclesiale, questo autore rileva che: "Il vero e più evidente punto di contrasto fra Scienza e Magistero sta nella diversa rappresentazione qualitativa di tale coppia originaria: per la Scienza le sue capacità intellettive erano assolutamente limitate; per il Magistero, al contrario, quella coppia doveva possedere volontà, consapevolezza e senso di responsabilità tali da portare tutto il peso della Colpa originaria: 'Come minimo, l'Adamo dei teologi - scriveva Teilhard nel 1950, riferendosi esplicitamente alla 'Humani generis' - sarebbe stato di colpo un Homo Sapiens. Specificamente parlando, sarebbe nato adulto: ora questi due termini accoppiati non hanno alcun significato per la Scienza di oggi. Contra leges naturae'". L'autore conclude con le seguenti affrante parole (anche l'uso delle iniziali maiuscole e minuscole appare significativo!): "Sul piano razionale deve essere obiettivamente riconosciuto che esiste un conflitto irrisolto tra Scienza e teologia ufficiale. […] La creazione del mondo di Genesi 1 e 2,1-4 è ormai interpretata in modo simbolico. Per quali ragioni rimane sostanzialmente letterale l'interpretazione di Genesi 2, 4-24 e 3? E' un quesito che come cattolico mi pongo, con sofferenza, e che pongo all'esegeta del testo biblico". Si potrebbero ripetere considerazioni analoghe per i tentativi rivolti a conciliare Genesi e big-bang, che agli occhi di alcuni cattolici evocherebbe l'atto della creazione (del resto, fu proprio un sacerdote della Chiesa di Roma, l'abate belga Georges Lemaître, tra i primi - 1927- a formulare l'ipotesi cosmologica della "grande esplosione", sulla base delle osservazioni di Edwin P. Hubble, che sembravano indicare un'espansione dell'universo - vedi nota 29), teoria che invece viene prescelta dalla vulgata scientifica corrente solo in quanto perfettamente corrispondente al paradigma evoluzionistico (vedi nota 21). Tutto sommato, sarebbe molto meglio essere coerenti, e sostenere il proprio punto di vista in contrasto con quello di propri avversari (semmai segnalando i numerosi punti deboli delle loro argomentazioni, come cerca di fare il Don Masinelli di cui alla nota 10), piuttosto che offrire un tale deprimente panorama squallidamente "illogico", ispirato a "concordismo" a tutti i costi tra "principi", e modi del pensare, che sono invece irrimediabilmente antitetici.

24 - Ma non soltanto, visto che motivi di opportunità politica invitano spesso anche gli scienziati a sostenere un'impossibile indipendenza tra conoscenza scientifica e fede religiosa. Che le acquisizioni, reali o pretese, della scienza abbiano avuto, ed abbiano, invece implicazioni etico-sociali e "metafisiche" assolutamente rilevanti è cosa del tutto manifesta, nonostante ogni tentativo dialettico di evitare surrettiziamente tale spinosa questione. Fa scempio di tale ambigua posizione proprio un darwinista, James Rachels, che nel suo franco Creati dagli animali - Implicazioni morali del darwinismo (Edizioni di Comunità, Milano, 1996) sostiene senza mezzi termini che: "Così, sulla base del modo in cui il dibattito si è sviluppato, sembrano possibili solo due soluzioni: la tesi fondamentalista che il darwinismo mini i valori tradizionali, e debba dunque essere respinto; e la risposta evoluzionista secondo cui il darwinismo non costituisce affatto una minaccia per tali valori. Quando le linee vengono tracciate in questo modo, risulta difficile prendere sul serio la possibilità che la teoria di Darwin abbia conseguenze morali - e in particolare l'idea che essa mini la moralità tradizionale - senza dar l'impressione di schierarsi con i nemici dell'evoluzione [...] Si è così persa nella nebbia la possibilità di una terza soluzione: che la teoria darwiniana sia incompatibile con la moralità tradizionale, e fornisca dunque una ragione per respingere tale moralità e sostituirla con qualcosa di meglio [...] La teoria di Darwin, se è corretta, riguarda questioni di fatto [...] Esiste una relazione tra la teoria di Darwin e queste più ampie questioni, anche se si tratta di qualcosa di più complesso di una semplice implicazione logica. Io argomenterò che la teoria di Darwin mina in effetti i valori tradizionali. [...] Così, pur essendo un darwinista, difenderò una tesi cui gli amici di Darwin si sono in genere opposti. Ma non assumerò, con i nemici di Darwin, che tali implicazioni siano moralmente perniciose [...] La moralità tradizionale dipende dall'idea che gli esseri umani si situino in una categoria etica particolare: dal punto di vista morale, la vita umana ha un valore speciale e unico, mentre la vita non-umana ha relativamente poca importanza [...] Ci si riferisce comunemente a ciò come alla dottrina della dignità umana. Ma tale dottrina non esiste in un vacuum logico. Tradizionalmente, essa è stata suffragata in due modi: innanzi tutto tramite l'idea che l'uomo sia fatto a immagine di Dio, e in secondo luogo, tramite l'idea che l'uomo sia l'unico essere razionale [...] [Il darwinismo] mina tanto l'idea che l'uomo sia fatto a immagine di Dio, quanto l'idea che l'uomo sia l'unico essere razionale [...] se il darwinismo è corretto, è improbabile che si trovi un qualsiasi ulteriore sostegno per la dottrina della dignità umana. Tale dottrina risulta pertanto essere l'emanazione morale di una metafisica screditata" (op. cit., pp. 5 e segg.).

25 - La specificazione è d'obbligo, dal momento che, inteso l'ateismo come "insieme complementare" del teismo, nella proporzione in cui quest'ultimo è concepito in senso stretto, il primo resta individuato in senso lato, e naturalmente viceversa. Una definizione molto "ampia" di ateismo viene fornita da Cornelio Fabro, nel suo notevole Introduzione all'ateismo moderno, Studium Ed., Roma, II edizione riveduta, 2 voll., 1969. Questo autore afferma che: "Chi avesse una nozione del tutto chiara di Dio, non avrebbe difficoltà a definire l'ateismo", e fortunatamente subito riconosce come: "il concetto dell'Essere supremo ha messo in tensione la ricerca filosofica di tutti i tempi e la sua determinazione perciò è in continua oscillazione" (vol. 1, p. 86), ma non sembra tenere conto di questo implicito invito alla "prudenza", elencando alcune caratteristiche per lui imprescindibili del teismo, date le quali risulta evidentemente provato l'assunto di fondo della sua opera, che tutta la filosofia moderna tende all'ateismo ("il pensiero moderno è essenzialmente ateo, perché fondato sul principio d'immanenza, fin da principio" - vol. 1, p. 80). Rientrerebbero infatti nell'ateismo "tutte le concezioni che si dimostrano errate e inadeguate di Dio, ossia quelle che negano o intaccano l'uno o l'altro dei suoi caratteri fondamentali" (vol. 1, p. 55). Questi esigono, secondo Fabro, che: "a) Dio sia riconosciuto come l'Essere supremo, oggetto della verità che tocca affermare per convalidare ogni verità nel suo effettivo fondamento [...] b) Dio sia unico e sommo [...] c) Dio sia spirito, ossia che il suo essere attui in grado supremo la forma più alta di essere ch'è la vita secondo intelligenza e volontà [...] d) Dio sia trascendente in sé e non la somma o la totalità del mondo o immerso in esso come forza, vita, Ragione universale [...] e) Dio sia persona supremamente libera nei suoi rapporti col mondo e con l'uomo e che quindi la creazione del mondo e dell'uomo procedano per pura liberalità di Dio e non per intrinseca necessità della sua natura" (vol. 1, pp. 55-56 - corsivi nel testo).

26 - Chi conosce un po' di storia, non può non provare preoccupazione nei confronti di certe rinnovate forme, seppure talora sfumate e sottili, di integralismo ideologico-politico-religioso attuali. Per giustificarle agli occhi di chi si riconosce nella libertà assoluta del proprio pensiero, e nel diritto imprescindibile di poterlo comunicare ad altre persone, dovrebbe essere sufficiente rammentare le parole con cui si chiude l'articolo sull'ateismo apparso nella celebre Encyclopédie (1751) di Diderot e D'Alembert (non stupisca la collocazione, tenuto conto che si tratta di uno dei "monumenti" riconosciuti della filosofia illuministica; come ben rileva il Fabro citato nella nota precedente: "L'articolo si attiene quindi ai canoni dell'ortodossia e probabilmente fu inserito per stornare - ma si sa che non ottenne lo scopo - il giudizio della censura reale" - op. cit., vol. 1, p. 91, dalla quale prendiamo pure la citazione che segue): "Il résulte de-là que l'athéisme publiquement professé est punissable suivant le droit naturel. [...] l'homme le plus tolérant ne disconviendra pas que le magistrat n'ait droit de réprimer ceux qui osent professer l'athéisme, et de les faire périr même, s'il ne peut autrement délivrer la société. [...] S'il peut punir ceux qui font du tort à une seule personne, il a sans doute autant du droit de punir ceux qui en font à toute une société, en niant qu'il y ait un Dieu, ou qu'il se mèle de la conduite du genre humain [...] On peut regarder un homme de cette sorte comme l'ennemi de tous les autres, puisqu'il renverse tous les fondements sur lesquels leur conservation et leur félicité sont principalement établies". Quella che è forse ancora più interessante, è l'affermazione finale, nella quale si riconosce il ruolo "sociale" della religione: "La religion est si nécessaire pour le soutien de la société humaine, qu'il est impossible, comme les Payens l'ont reconnu aussi bien que les chrétiens, que la société subsiste si l'on n'admet une puissance invisible, qui gouverne les affaires du genre humain". Peccato che le "potenze invisibili" che governano il mondo di oggi siano tanto bene esistenti quanto assai poco "trascendenti"!

27 - Riteniamo francamente tali le speculazioni infarcite di pseudo-misticismo e banale umanitarismo componenti la "paccottiglia" New Age, che concilia irrazionalità mal digerite provenienti dalla Fisica contemporanea (soprattutto dalla Meccanica Quantistica, ma anche dalla Teoria della Relatività) con fenomeni tipo telepatia, bilocazione, viaggi nel tempo, etc.. Per carità di patria, preferiamo non citare nulla del genere, e commentare soltanto in modo divertito che questi mal graditi "compagni di viaggio" i fisici se li sono proprio andati a cercare (vedi la nota 32).

28 - E coincide sostanzialmente con quello esposto da Cartesio nel 1637, quando le insistenze dei numerosi estimatori lo persuasero a pubblicare a Leida, seppure in forma anonima, i suoi celebri Discours de la méthode pour bien conduire sa raison et chercher la vérité dans les sciences. Plus la dioptrique, les météores et la géométrie qui sont des essais de cette méthode.

29 - A questo tipo di ragioni possono forse ascriversi alcuni vistosi errori di Galileo, nella sua ansia di sostenere il sistema Copernicano con argomentazioni anche infondate (vedi per esempio del presente autore e di Laila Rossi: "Più luci o più ombre alle origini dell'Illuminismo?", Perugia, 1999, reperibile nel sito segnalato in calce). E' in siffatti contesti che si può rilevare la cosiddetta non-neutralità della scienza, purtroppo sin dalle origini frammista in modo quasi indissolubile alla sua pur innegabile oggettività (vedi note 16 e 44). Herbert Dingle segnala molto convenientemente, nel capitolo intitolato "Four Outstanding Errors" del suo apprezzabile Science at the Crossroads (Martin Brian & O'Keefe, London, 1972, p. 122), la comune abitudine di scambiare per "direct observations" affermazioni che invece sono talora soltanto "remote implications of possibly erroneous theories". Un esempio paradigmatico è quello di spacciare il red-shift galattico come un'osservazione diretta della "velocità di fuga" delle galassie, e quindi quale conferma dell'espansione dell'universo ipotizzata dalla teoria del big-bang.

30 - Né il fatto che si ritenesse la Terra non sferica, o complicate, ma poi non troppo, questioni di misura: è questa la vera motivazione dell'opposizione al progetto di Cristoforo Colombo di raggiungere la "Cina" per la via occidentale. "Ammesso infatti, per absurdum, che si fosse potuto navigare fuor dell'abitabile in discesa, lungo la china della sfera, come si sarebbe poi potuto voltare e continuare la navigazione dall'altra parte? 'Sarebbe stato come voler risalire la china d'un monte, cosa che le navi non avrebbero potuto fare, nemmeno con il più forte dei venti'" (Maria Luisa Fagioli Cipriani, Cristoforo Colombo il medioevo alla prova, ERI Ed., Torino, 1985, p. 15 - il brano comprende al suo interno una citazione dal Cap. XII della storia di Cristoforo Colombo tramandataci dal di lui figlio Fernando).

31 - Anche per ragioni che hanno a volte assai poco a che fare con l'oggettività scientifica (e presentano purtroppo pure risvolti "politici", quali per esempio l'evidente connessione con la "questione ebraica", tanto più dopo la II guerra mondiale). Citiamo in generale: Alan J. Friedman, Carol C. Donley, Einstein as Myth and Muse, Cambridge University Press, 1985.

32 - Va sottolineato che il termine "irrazionalità" non è usato per indicare teorie logicamente contraddittorie, ma vuole semplicemente connotare quelle che non riconoscono il ruolo fondante delle nozioni comuni di spazio, tempo e causalità, espressioni di una razionalità che può dirsi appunto ordinaria. Enfatizzare la possibilità logica di estensione di tale facoltà dell'intelletto, accompagnandola con la pretesa che essa sia necessaria per comprendere l'intima struttura di una realtà che non sarebbe fatta a misura d'uomo, è opinione del tutto consonante con l'ideologia darwinista, e peculiare della più moderna speculazione scientifica, da Einstein in poi (vedi nota 43).

33 - Che, invero, non è affatto tale, perché proprio l'uomo sperimenta in prima persona la presenza simultanea dello spirito nella materia. Il riconoscimento della duplice natura dell'essere non è contrapposizione che si esplicita in un aut avversativo, bensì, si potrebbe dire, compresenza. In un'epoca in cui il materiale appare il costituente saldo della "realtà", l'elemento certo della conoscenza, può forse apparire incongruo esprimere invece la stessa opinione di Cartesio, che delle cose dello spirito è più facile formarsi concetto (vedi per esempio la seconda delle sue Meditationes..., nota 35).

34 - Con queste parole si fa riferimento all'articolo di Bruno d'Ausser Berrau: "Janua Inferni - Breve indagine su qualche aspetto relativo agli inizi della modernità" (Episteme…, N. 1, giugno 2000, vedi nota 3), che è dedicato allo studio dell'influenza del pensiero di Averroè, secondo l’interpretazione che ne filtrò in Occidente attraverso la comunità ebraica, e dove si sostiene che "all'origine della rottura della regolarità dottrinale" ci sia stato un fraintendimento, "l'insorgere d'una incomprensione" [numerosi altri eventi "ideali" possono però essere ovviamente chiamati in causa quali elementi essenziali delle dette Ianuae Inferni, per esempio la Riforma - vedi Annalisa Terranova, La riforma come origine della modernità, Ed. Il Cerchio, Rimini, 2000 - la costituzione di un circolo "umanistico" tra alcuni dei partecipanti al Concilio di Basilea (1431/1449), la fondazione del Centro di Sagres in Portogallo, la "crisi" templare (tra diversi episodi "traumatici" opteremmo per questo), forse allora le stesse Crociate!]. In questo saggio l'autore denuncia "il vulnus, provocato dal pensiero cartesiano, in seguito all'eliminazione dell'elemento intermediario dal disegno della struttura cosmologica tradizionale e della conseguente polarizzazione dell'immagine del reale in spirito e materia" (da comunicazione privata - vedi anche note 2 e 11) con le seguenti parole: "Il momento del cambiamento, quello che ha modificato il punto d'equilibrio, alterando il ruolo d'intermediazione della componente cosmica e microcosmica centrale, è coinciso con l'affermarsi del pensiero cartesiano e la nascita del razionalismo. Razionalismo, che nella speciale e nuovissima idea d'intelligenza, propria a questo filosofo trova il suo presupposto: dalla tripartizione si passa ad un dualismo anima/corpo che, per la lacerazione, l'invalicabile trincea da ciò determinata, è meglio definire dicotomia. L'intelletto non più coincide con lo spirito - del quale restano solo flebili ed astratte tracce nelle 'idee innate' - ma con la ragione, la cui sede, per altro appropriata, è appunto l'anima che, curiosamente collocata nella ghiandola pineale, diventa perciò semplice epifenomeno della fisiologia". Il va sans dire, il citato Fabro (nota 25) colloca senza esitazioni Cartesio tra i padri dell'ateismo moderno ("Incipit tragoedia hominis moderni!", op. cit., vol. 1, p. 80), perché fonda il suo sistema sull'uomo, e non sul Dio della "rivelazione". Secondo questo autore: "Mentre in Inghilterra il razionalismo empirico intaccava la coscienza religiosa [...] in Francia si facevano più vive le istanze scettiche. Infatti sorgevano la critica e la diffida verso la metafisica che Cartesio voleva risuscitare ma che in realtà pose in crisi senza via di scampo, ossia con l'unica via di scampo di fare il punto di partenza con Dio stesso, con l'idea di Dio, con l'intuizione di Dio..." (op. cit., vol. 1, p. 179). E in altro luogo: "Si può allora sostenere con ragione che proprio il dualismo metafisico di Cartesio [...] fu il primo passo decisivo verso il naturalismo come materialismo ateo [...] il mondo cartesiano, come aveva ben visto Pascal, non aveva più bisogno di Dio" (op. cit., vol. 1, p. 393), e le citazioni si potrebbero moltiplicare quasi a piacere. Fabro in effetti avrebbe pure ragione, se questo Dio della rivelazione giudaico-cristiana (supponendo che non ci sia alcun "contrasto" tra le due!) esistesse davvero, e davvero si fosse manifestato chiaramente all'uomo: come si potrebbe allora sensatamente prescinderne?!

35 - Le Meditationes furono pubblicate per la prima volta a Parigi nel 1641, e costituivano la seconda opera del filosofo data alle stampe, a differenza della prima (vedi nota 28) questa volta scritta in latino (il testo venne pubblicato in francese soltanto nel 1647). I 4 libri che compongono i Principia Philosophiae furono pubblicati qualche anno dopo, nel 1644, ma riprendono naturalmente concetti che il filosofo aveva già da tempo elaborato, e che avrebbero dovuto essere esposti in quel suo trattato sul Mondo che era già pronto dall'estate del 1633. Questo, che racchiudeva in sintesi "l'insieme delle sue conoscenze sulle cose materiali", non fu poi mai pubblicato, essendo pervenuta la notizia della condanna di Galileo, e ritenendo l'autore che "la teoria del movimento della Terra fosse la più verosimile e la più adatta a spiegare tutti i fenomeni", sì da averla messa a fondamento della sua opera. Altre parti di questo trattato furono utilizzate per il Discorso sul Metodo di cui alla nota 28. I Principia Philosophiae sono un vero e proprio testo di "fisica teorica", che comprende la famosa "teoria dei vortici", ed al quale si ispira certamente Newton sin dal titolo per confutare la concezione cartesiana del mondo nei suoi Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687). Le due specificazioni Naturalis e Mathematica indicano la tendenza riduzionistica e specialistica che prevarrà poi nei successivi sviluppi della scienza occidentale ("Ogni vera scienza naturale è filosofia ed ogni vera filosofia è scienza naturale. Ogni vera scienza è in questo senso filosofia della natura", Ernst Haeckel, citato in Felice Mondella, op. cit. nella nota 10).

36 - "La vita le opere di Cartesio", in: Cartesio, Opere filosofiche, Laterza, Roma-Bari, 1967, vol. 1, pp. XXXVII, LX, LXI, LXV. Si può rimandare per esempio ai seguenti passi originali cartesiani: "Le scienze, oggi, hanno la maschera; tolta la quale, si mostrerebbero bellissime. Chi scorgesse il loro concatenarsi, non troverebbe più difficile della serie numerica ritenerle tutte quante" (Cogitationes privatae, 5, op. cit. p. 8); "[Gli uomini] credettero il medesimo anche riguardo alle scienze, e distinguendole tra loro secondo la diversità degli oggetti, hanno ritenuto che si debba cercar di acquistarle una per una distintamente e mettendo da parte tutte le altre. In ciò si sono completamente ingannati. Infatti, poiché tutte le scienze non sono nient'altro che l'umano sapere, il quale permane sempre uno e medesimo, per differenti che siano gli oggetti a cui si applica [...] non c'è bisogno di racchiudere la mente in alcun limite" (Regole per la guida dell'intelligenza, Regola prima, op. cit. p. 17); "[...] le conoscenze che non sono superiori alla portata dell'intelletto umano sono tutte concatenate con un legame così meraviglioso, e si possono trarre l'una dall'altra mediante conseguenze così necessarie, che non fa di mestieri aver molta destrezza e capacità per ritrovarle"; "Bisognerà cominciare dall'anima razionale, poiché è in essa che risiede ogni nostra conoscenza; e dopo aver considerato la sua natura e i suoi effetti, ci volgeremo al suo Autore; e una volta riconosciuto chi esso è, e come egli ha creato tutto quanto è al mondo [...] esamineremo in qual maniera i nostri sensi ricevono gli oggetti, e per qual ragione i nostri pensieri risultano veri o falsi"; "Appena mi avete mostrato la poca certezza che abbiamo dell'esistenza delle cose la cui cognizione non ci giunge se non con l'aiuto dei sensi, allora io cominciai a dubitar di loro [...] posso affermare che appena ho cominciato a dubitare, allora ho cominciato a conoscermi con certezza. Ma il mio dubbio e la mia certezza non si riferivano ai medesimi oggetti. Poiché il mio dubbio si volgeva soltanto a quelle cose che esistevano fuori di me; la certezza invece riguardava il mio dubbio e me stesso" (La ricerca della verità mediante il lume naturale, op. cit. pp. 102, 107 e 124).

37 - Interessante a questo riguardo è Il sogno di Cartesio - Il mondo secondo la matematica, di P.J. Davis e R. Hersh, Edizioni di Comunità, Milano, 1988. Bisogna ribadire che la metafisica di Cartesio appare sempre comunque una metafisica razionale, sganciata da ogni forma di religione storica e di rivelazione (questa affermazione prescinde dalla difficile questione di quali fossero i sentimenti più profondi ed autentici di Cartesio nei confronti delle religioni del suo tempo: ci si limita a rilevare quale sia l'impressione più "immediata" che si ricava dalla lettura delle sue opere). In una lettera al padre Mersenne, del 15 aprile 1630, "Cartesio pone subito preliminare una dichiarazione: non toccherò mai di cose di teologia, ossia aventi a che fare con la Rivelazione. Le questioni metafisiche, invece, 'devono essere esaminate con la ragione umana'" (da Eugenio Garin, op. cit. nella nota precedente, p. LXXXI). Il "metodo" di Cartesio pone costantemente a proprio fondamento: "la certezza evidente come criterio di verità ('omnis scientia est cognitio certa et evidens'); l'intuito come luce di ragione, come strumento per giungere alla verità, integrato dalla deduzione [...] come estensione dell'intuito; le nature semplici; il loro ordine, come catene di verità che si articolano in una totalità; l'enumerazione e la memoria intellettuale in quanto determinano il concreto estendersi dell'intuito alla totalità delle verità" (Eugenio Garin, op. cit., p. LXV).

38 - Mentre, secondo un parere condivisibilissimo di Aristotele, vere scire est per causas scire (a cui fa eco il verso di Virgilio, "Felix qui potuit rerum cognoscere causas", Georgiche, Lib. II, v. 490). Di questa deficienza della sua impostazione era ben consapevole lo stesso Newton, che dovette ammettere, con il suo celebre "Hypotheses non fingo", di non essere riuscito a farsi alcuna idea ragionevole di come il fenomeno dell'attrazione universale potesse verificarsi.

39 - A Rupert Hall, Filosofi in guerra - La polemica tra Newton e Leibniz, Il Mulino, Bologna, 1982, p. 194. Si potrebbe ancora aggiungere, che pur nel secolo della grande affermazione della meccanica razionale di provenienza newtoniana, l'eminente matematico Leonhard Euler inclinava ancora verso speculazioni di stampo cartesiano (intendendo con questa parola un tentativo di spiegare la gravitazione attraverso proprietà dell'etere, ma non necessariamente attraverso l'ipotesi dei vortici), per esempio nel suo poco noto De Causa Gravitatis (1743 - questo articolo è riportato integralmente in Episteme..., N. 1, cit. nella nota 3; nel N. 3 della stessa rivista, aprile 2001, apparirà un articolo di Alessandro Moretti dedicato allo stesso interessante argomento: "L'universo intellegibile, ovvero, la gravità descritta da Leibniz").

40 - All'interno del "programma cartesiano" appare razionalmente possibile introdurre un'eventuale distinzione tra diverse fasi "storiche", o "stati", dell'universo, e concepire l'atto creativo come immissione di ordine nel caos, in una creazione che potrebbe non essere concepita affatto come ex nihilo. Non è questa però l'opinione di Cartesio, che parla al contrario di un Dio "immutabile nella sua natura", che agisce "in un modo che egli non cambia mai". Questa immutabilità sembra al filosofia l'unica garanzia per l'esistenza di "leggi della natura" (Principia Philosophiae, Parte II, Principi NN. 36 e 37).

41 - Si potrebbe a questo punto evidenziare un grosso problema rimasto aperto dopo la rivoluzione copernicana, che Cartesio si rende conto di dover risolvere: quello dell'origine del movimento nell'universo. Nel sistema "aristotelico-tolemaico", infatti, il cielo delle stelle fisse fungeva da primum mobile, e da esso il moto si propagava via via in tutte le altre "sfere celesti", in virtù di un complesso "macchinario"; il moto primitivo poteva essere senza fatica ricondotto direttamente a Dio. Ciò premesso, tra i motivi meno messi in risalto dell'opposizione alle nuove concezioni astronomiche, c'era quello che esse cancellavano dalla scena, per così dire, il motore. Se il movimento dell'ultimo cielo era solo apparente, dovuto al moto della Terra, come poteva muoversi, oltre che reggersi, il tutto? Cartesio, con il suo ingegnoso sistema dei vortici, in qualche modo attenua queste difficoltà, e reintroduce una connessione tra l'argomento e il concetto di Dio: "Che Dio è la causa prima del movimento, e che ne conserva sempre una eguale quantità nell'universo" (citazione del 36mo dei suoi Principia, Parte seconda). [L'autore è debitore al Prof. Lino Conti per aver portato alla sua attenzione la presente scarsamente approfondita questione].

42 - J. Maritain, Distinguere per unire. I gradi del sapere, Morcelliana, Brescia 1981, p. 228.

43 - Il quale fu viceversa sempre "turbato" dal problema dell'etere, e della sua eventuale struttura (vedi per esempio: Edward Grant, Much ado about nothing - Theories of space and vacuum from the Middle Ages to the Scientific revolution, Cambridge University Press, 1981; G.N. Cantor, M.J.S. Hodge, Conceptions of ether - Studies in the history of ether theories 1740-1900, Cambridge University Press, 1981). "Non ci sarà assolutamente luogo per i movimenti delle comete, se quella materia immaginaria non viene completamente rimossa dai cieli", così scrive invece a proposito dell'etere cartesiano un discepolo di Newton, Roger Cotes, nell'Introduzione alla seconda edizione dei Principia (1713) del grande scienziato inglese. Albert Einstein gli fa eco qualche secolo più tardi, proponendo di considerare l'introduzione dell'etere "superflua", nonostante il grande merito euristico che a questo concetto doveva almeno essere riconosciuto per quanto la sua considerazione aveva favorito gli straordinari sviluppi dell'elettromagnetismo del XIX secolo (vedi anche la nota 50). Una rimozione che si paga a carissimo prezzo, con la rinuncia ad ogni tentativo di spiegazione dei fenomeni naturali in modo causale nello spazio e nel tempo, e che culmina con quella "epistemologia della rassegnazione" nel campo della Fisica (per usare un'assai significativa espressione di Franco Selleri, La causalità impossibile - L'interpretazione realistica della fisica dei quanti, Ed. Jaca Book, Milano, 1988, p. 13) che è oggi purtroppo sotto gli occhi di tutti. Richard P. Feynman, premio Nobel per questa disciplina nel 1965, riconosce molto sinceramente: "What I am going to tell you about is what we teach our physics students [...] and you think I'm going to explain it to you so you can understand it? No, you are not going to be able to understand it. [...] It is my task to convince you not to turn away because you don't understand it. You see, my physics students don't understand it either. That is because I don't understand it. Nobody does. [...] It's a problem that physicists have learned to deal with: They've learned to realize that whether they like a theory or they don't like a theory is not the essential question. Rather, it is whether or not the theory gives predictions that agree with experiment. [...] The theory of quantum Electrodynamics describes Nature as absurd from the point of view of common sense. And it agrees full with experiment. So I hope you can accept Nature as She is - absurd" (QED - The strange theory of light and matter, Princeton University Press, 1985, pp. 9-10 - corsivi nel testo).

44 - Vedi Felice Mondella, op. cit. nella nota 10. Nello stesso articolo si riporta che Haeckel riconosceva "la difficoltà di ammettere una 'scienza oggettiva', poiché non vi è una netta distinzione tra fatto e teoria e non è possibile evitare atteggiamenti personali nell'attività dell'insegnamento".

45 - Vedi per esempio: Keith Devlin, Addio, Cartesio - La fine della logica e la ricerca di una nuova cosmologia della mente, Boringhieri, Torino, 1999; Claude Allègre, La sconfitta di Platone - La scienza del XX secolo, Editori Riuniti, Roma, 1998. Il secondo libro citato - scritto da un geochimico, "ministro della pubblica istruzione e della ricerca nel governo socialista di Lionel Jospin" - espone, in modo tanto trionfalisticamente acritico quanto irritante, la comune vulgata scientifica, e concepisce la scienza soprattutto sotto il profilo economico, quale produttrice di tecnologia, e di buoni "affari". Per tale motivo bisogna, a parere di questo autore, adoperarsi per la nascita di "una nuova visione, in grado di sconvolgere ampie porzioni della nostra istruzione e della nostra cultura. Alla scienza deduttiva, austera, rigida, automatica [...] si deve sostituire una scienza varia, imprevista, duttile, versatile. Una scienza che volti le spalle a Platone, Cartesio, Auguste Comte, questi 'sacerdoti' di una falsa religione, questi costruttori di mondi finiti" [Si ringrazia il Dott. Arcangelo Papi per la segnalazione].

46 - Istituto Italiano d'Arti Grafiche, Bergamo, 1949.

47 - Nella Diottrica, discorso IV, Cartesio dice: "E se, per scostarci il meno possibile dalle opinioni correnti, preferiamo ammettere che gli oggetti della nostra sensazione inviino davvero le loro immagini fino all'interno del nostro cervello, dobbiamo almeno rilevare che nessuna di queste immagini deve somigliare in tutto e per tutto all'oggetto rappresentato…".

48 - Psicobiofisica, MEB, Torino, 1978, pp. 306-309.

49 - Con queste parole si tocca troppo di sfuggita una questione fondamentale, in quanto l'esperienza del pensiero pensante è squisitamente personale, e se si può presumere tale facoltà in atto in altri soggetti a partire da alcune manifestazioni che ad essa ci possono far risalire, pure mancherà sempre la certezza totale che quelle caratteristiche esterne corrispondano all'esistenza di un'anima qualitativamente e/o quantitativamente - se si può dire! - identica alla nostra (un'"anima ragionevole"). Tale questione si riconduce anche al difficile problema delle possibili diverse forme, o livelli, che un'anima può possedere (l'anima negli animali, o nei vegetali, nei minerali, etc.), che Todeschini invero affronta nelle pp. 888-889 della sua opera fondamentale: "Se volessimo indicare le prove dell'esistenza dell'anima avente minime facoltà (spirito di conservazione) si dovrebbe dire: 'Gli esseri che hanno, o dimostrano di avere sensazioni o di potersi muovere volontariamente hanno un'anima'" (enfasi nel testo). Questo tipo di approccio conduce intelligentemente l'autore ad analizzare gli organi di senso e di moto dei vari corpi, oltre alla struttura dei loro eventuali sistemi nervosi, allo scopo di poter trovare indizi, sia pure indiretti, del genere di anima eventualmente presente (ovvero, meglio, che potrebbe essere presente). La conclusione alla quale arriva Todeschini è che: "'Tutti i corpi che hanno organi di senso e di moto ed i 4 centri psico-fisici, delle sensazioni, del linguaggio orale, del linguaggio scritto e del moto, i circuiti e gli organi relativi, hanno un'anima ragionevole'. Da cui segue che: Poiché solamente l'uomo è munito di tale sistema nervoso completo, solamente egli possiede un'anima che ha la capacità suprema del raziocinio" (enfasi nel testo). Questa affermazione contrasta naturalmente con almeno una delle due dichiarazioni di Haeckel citate alla fine del paragrafo II: "non esiste materia senza spirito".

50 - Buffo in effetti rilevare come, al pari di Newton (vedi nota 43), anche Einstein fosse "turbato" dalla scomparsa del concetto di etere provocata dall'affermazione della sua teoria, ritenendolo dopo tutto concetto indispensabile per ogni tentativo di comprensione dei fenomeni naturali (e, in effetti, può ritenersi che almeno nella teoria della relatività generale una qualche forma di "etere", anche se in modo puramente geometrico, e non "dinamico", venga reintrodotta). Su tale questione si veda per esempio: Ludwik Kostro, Einstein and the Ether, Apeiron, Montreal, 2000.

51 - Parabole e Catastrofi, Intervista su matematica scienza e filosofia, a cura di Giulio Giorello e Simona Morini, Ed. Il Saggiatore, Milano, 1980, p. 8. Nella stessa sede Thom avverte anche dei pericoli legati a una scienza sempre più "basata sulla competizione" (p. 10), e sottolinea a sorpresa come, dietro tanto declamato "rigore", garantito da un'immissione massiccia di matematica nella fisica, si possa nascondere una situazione molto meno edificante di quella che appare al grande pubblico, distratto dalle continue novità tecnologiche: "[...] non bisogna farsi incantare dal rigore in sé. [...] I fisici, in genere, sono delle persone che da una teoria concettualmente mal messa deducono dei risultati (numerici) che arrivano alla settima cifra decimale e poi verificano questa teoria intellettualmente poco soddisfacente cercando l'accordo alla settima cifra decimale con i dati sperimentali! Si ha così un orribile miscuglio tra una scorrettezza dei concetti di base e una precisione numerica fantastica. Ecco una autentica lacuna: se i fisici non fossero globalmente rigorosi, cioè se non fossero rigorosi e nella costruzione intellettuale e nel risultato numerico, non avrei obiezioni, ma purtroppo pretendono di ricavare un risultato numericamente molto rigoroso da teorie che concettualmente non hanno né capo né coda" (pp. 27-28 - enfasi del presente autore).

52 - E' interessante menzionare, nell'attuale contesto, un saggio di John Cook, un "Essex doctor", intitolato: Clavis Naturae, or, the Mystery of Philosophy Unvail'd (The prime and efficient Physical Cause of all the Phaenomena of Nature, and singular Motions in the whole Universe, by which the Knowledge of Natural Philosophy is render'd obvious and easy, and the Sum of the Whole is reduc'd to one single Point), Londra, 1733. In esso l'etere viene concepito come tangibile "corpo di Dio", e la possibilità fisica dei miracoli viene riconosciuta solo attraverso la manipolazione diretta delle leggi fisiche da parte del "creatore", o di particolari "creature", che sappiano come effettuarla: "I will next explain, after what manner these immaterial, thinking Beings can alter the known and stated Course of Nature , whenever their supream Lord wills any Thing of that Nature to be effected. [...] these Miracles, it is also my Opinion, were effected by Means of natural Instruments [..] as, for Instance, when Iron swam upon the Surface of the Water, it was a real Miracle to the Beholders, because not according to the usual, constant, and stated Law of Nature; (and that I call a Law of Nature, which is always the same, at all Times, except upon such extraordinary Cases, which I call a Miracle.) Now, tho' it was a real Miracle to Man beholding it, yet it was none to the Angel who did it; for he might do this, by supporting, for that Time, the pulsive Force of the Aether, or by suspending the Cause of Gravity, whatever be the Cause thereof; and then the Iron would swim, according to the Law of Nature that would follow upon such a Change" (pp. 347-349, corsivi nel testo - brani di questa rara opera verranno riproposti nella sezione Reprints del terzo numero di Episteme..., aprile 2001, vedi nota 3).

53 - Tra le numerose opere di Sergio Quinzio che affrontano questo tema (anch'esso naturalmente estraneo al pensiero di Cartesio), segnaliamo soprattutto Dalla gola del leone, Adelphi, Milano, 1980.

- - - - - - -

Ringraziamenti - L'autore ringrazia vivamente per stimolanti discussioni e suggerimenti gli amici: Bruno d'Ausser Berrau, profondo conoscitore del pensiero tradizionale, che ha cercato inutilmente di convincerlo della "colpevolezza" di Cartesio quanto a sgretolamento dei valori spirituali conseguente all'affermazione della "modernità"; e Rocco Vittorio Macrì, acuto filosofo cattolico, al quale lo scrivente è anche debitore, come è già stato qua e là ricordato citando la sigla R.V.M., per una collaborazione concreta ricevuta durante la stesura del presente lavoro (precisamente, nella redazione di alcune parti sia del paragrafo "todeschiniano" - soprattutto nell'utilizzo di citazioni che sono al Macrì molto care - sia del precedente paragrafo "cartesiano"). A quest'ultimo l'uniscono tanto la predilezione per la concezione fluido-dinamica dell'universo, quanto la stima per l'opera di Todeschini, ma lo divide purtroppo un giudizio assai diverso sul "contenuto di verità" della religione giudaico-cristiana, che pure ha portato, e tuttora rappresenta, valori etici positivi, ed è in misura innegabile una delle radici principali della nostra civiltà.

Perugia, ottobre 2000

 

* Dipartimento di Matematica

Università degli Studi - Perugia

htttp://www.dipmat.unipg.it/~bartocci