Ulteriori chiarimenti sul "caso Einstein-De Pretto",
e un'importante precisazione...


There can be no doubt that the advanced scientific world is awake to the fact that the notion of an action to a distanze (however great) without time (!), or any action without time (or without material agency) is a presumption unworthy of Physical Science, if indeed such an assumption may not be more correctly called a superstition, leagued to us by a less enlightened age, of which we have inherited the prejudices more or less. To assert beforehand that Science is entirely free from superstition, would be at least a rash statement.

(Samuel Tolver Preston, Physics of the Ether)
 
 

1. Premessa

Più di un lettore di queste pagine web mi ha scritto segnalandomi che nel Sito Web Italiano per la Filosofia, e precisamente all'URL:

http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/020804a.htm,

si trova riportata un'intervista-recensione di Luca Valente a tale <<studioso scledense Ignazio Marchioro>>, apparsa su Il Giornale di Vicenza lo scorso 4 agosto 2002. In essa si criticano (in maniera tra l'altro alquanto campanilistica), le tesi esposte nel mio libro sul "caso" Einstein-De Pretto, concludendo infine che tutta la questione sarebbe una "bufala". Sono stato quindi esortato a una puntuale replica chiarificatrice, ma da essa mi sono finora sempre astenuto, perché ben più importanti "sciocchezze" che provengono dal mondo della scienza cosiddetta "ufficiale" richiedevano la mia attenzione (si vedano per un esempio assai significativo la recensione di Alberto Bolognesi del libro di Paul Davies sui viaggi nel tempo che appare nell'ultimo numero 7 di Episteme, e il successivo commento, http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/ep7/ep7.htm).

Torno adesso sulla questione perché, a parte le facili obiezioni a critiche superficiali e infondate, l'occasione si presta a una molto più interessante precisazione in ordine all'esatta interpretazione della formula dello stesso De Pretto relativa all'energia latente nella materia, di cui mi sono reso conto purtroppo sono recentemente.

Nota. Per favorire la comprensione dei termini del dibattito, mi sono adoperato per mettere integralmente a disposizione in rete, nella pagina dedicata alla Storia della Scienza, anche la memoria originale del De Pretto (punto G), assieme a un'esauriente nota biobibliografica (punto F) di Bianca Mirella Bonicelli (una diretta discendente di un fratello di Olinto, Silvio), che ancora una volta sentitamente ringrazio. A tali pezzi ho aggiunto un paio di capitoli (punto H) tratti dal mio libro (quelli nei quali si cerca di illustrare l'essenza della teoria della relatività nel modo più "divulgativo" possibile ma, per quanto mi sembra ancora oggi a distanza di diversi anni, fedele), e soprattutto alcune considerazioni (punto E) che cercano di agevolare l'esatto significato della formula relativistica dell'energia (che, per l'esperienza diretta originata da tante discussioni, virtuali e non, mi pare in generale alquanto fraintesa), e quindi favorire un onesto confronto con quella che si può chiamare la formula di De Pretto. Inviterei lo <<studioso>> scledense a studiare in particolare tale articolo, in modo da evitare ulteriori future dichiarazioni di dubbio valore.

Ma cominciamo con ordine, riportando per intero la critica che è all'origine della presente puntualizzazione.

2. L'intervista con lo <<studioso>>

De Pretto come Albert Einstein?

"No definitivo" Scledense sulla paternità della formula

Periodicamente il grande "mistero" ritorna: lo scledense Olinto De Pretto fu il precursore della teoria della relatività? L'ultima a riproporre il quesito è stata Radio 3 Rai, che recentemente ha presentato il libro di Umberto Bartocci "Albert Einstein e Olinto De Pretto: la vera storia della formula più famosa al mondo" come una grande novità. Sbagliando: dell'argomento si parla almeno dal febbraio 1987, quando il "Nuovo Veronese" uscì con una clamorosa notizia: Einstein fu preceduto nella sua geniale intuizione, E=mc², risalente al 1905. Due anni prima, nel 1903, Olinto De Pretto aveva presentato al Reale istituto veneto di scienze, lettere e arti uno studio intitolato "Ipotesi dell'etere nella vita dell'universo", nel quale era definita la formula della forza viva, da cui era ricavabile l'energia espressa in calorie, come mv².

Anche il nostro Giornale ha parlato del libro di Bartocci nel 1999, alla sua uscita, e trattato dell'argomento più volte nel corso degli anni, al pari di riviste come Panorama e Oggi. Se Bartocci trova strette parentele tra le due formule, lo studioso scledense Ignazio Marchioro, che nei "Quaderni di Schio" ha pubblicato un saggio su De Pretto, rigetta ogni legame e cerca di mettere fine alla querelle.

> Marchioro, chi era Olinto De Pretto?

- "Il dott. Olinto (1857-1921), che fu assistente del prof. Cantoni alla Scuola di agricoltura di Milano e amministratore della società "Ing. Silvio De Pretto & C" fondata dal fratello e divenuta nel 1920 la "De Pretto-Escher Wyss", fu uno studioso schivo, riservato, burbero e geniale. Nel tempo libero scrutava il cielo e vagava per le nostre montagne per interrogarle sulle loro origini e sulle leggi gravitazionali ed energetiche che reggono l'Universo. Scrisse molte opere sulla degradazione delle montagne, sull'epoca glaciale, sulla teoria orografica, sui nuovi orizzonti della geologia".

> E "L' Ipotesi dell'etere nella vita dell'universo"?

- "Secondo il De Pretto "le particelle dell'etere comunicano impulsi alla molecola della materia per mezzo di moti vibratori", assioma da cui discende la sua intuizione che l'immensa forza viva racchiusa allo stato latente in un chilogrammo di materia, quantificabile con la formula mv² -ove m è la massa e v la velocità di vibrazione dell'etere, pari forse alla velocità della luce-, sia "equivalente a quella ricavabile da milioni e milioni di chilogrammi di carbone". A commento scrisse: "Quest'idea sarà senz'altro giudicata da pazzi".

> Quale seguito ebbe tale "pazza" intuizione?

- "Marginale, visto che il suo scopo era la comprensione delle leggi gravitazionali, discendenti dall'azione dell'etere sulla materia: la sua teoria fu iscritta fra le tante che fiorirono sulla filosofia della materia, tant'è che nel 1920 gli fu chiesto di riproporla nell'ultima sua opera "Lo spirito dell'Universo", pubblicata nella prestigiosa collana Bocca proponente scritti di Kant, Nietzsche, Spencer, Schopenhauer e altri. Dal 1921, con la sua morte tra l'altro per assassinio, tutto tacque".

> Gli studiosi veronesi Zorzi e Speri affermarono che sarebbe stato il De Pretto per primo ad arrivare all'intuizione base dell'energia atomica. Idem Bartocci: che ne pensa?

- "È invece ovvio che la teoria della relatività non ha nulla a che vedere con la sua intuizione: la formula assomiglia a quella famosissima di Einstein solo per una casualità formale, in quanto il De Pretto riportò la formula della forza viva valida a quel tempo, che non era non sinonimo dell'energia cinetica bensì del suo doppio. È ovvio quindi che se il De Pretto avesse inteso la formula relativa all'energia cinetica del corpo in movimento avrebbe scritto: E (energia cinetica)=mv²/2; vale a dire la nota formula di fisica classica, che è totalmente diversa dalla mc²".

> Quindi è tutto una "bufala"?

- "Certo, sarebbe ora che ad Olinto De Pretto fossero riconosciuti i suoi meriti di studioso nei vari ambiti in cui si distinse, senza trascinarlo in contese che non lo riguardarono in vita: infatti non rivendicò mai una supposta priorità della sua formula sulla teoria relativistica di Einstein".

Chi volesse approfondire comunque la conoscenza su Olinto De Pretto può recarsi in Biblioteca a Schio. Oltre a tutti gli articoli apparsi sulla vicenda vi sono conservati suoi appunti su gite ed escursioni, schizzi di geologia, lettere e corrispondenze e diverse sue pubblicazioni.

3. Commenti

3.1 - Cominciamo dalla <<grande novità>>. Se intervistatore e intervistato si fossero dati pena soltanto di scorrere il libro di cui pretendono di parlare, si sarebbero accorti che in esso viene chiaramente specificato che:

> E' agli indimenticabili amici Ing. Arch. Piero Zorzi e al suo inseparabile compagno di studi e ricerche Prof. Omero Speri ... che si deve se la memoria originale del De Pretto è stata riportata alla luce, attraverso una corretta valutazione non soltanto del suo valore in sé, ma anche della sua importanza in relazione ai primi lavori di Albert Einstein sulla teoria della relatività ristretta. Senza l'apporto di questi due studiosi, pensatori originali e acuti indagatori dei fenomeni naturali ... il presente contributo alle origini storiche della teoria della relatività non avrebbe mai visto la luce.

Più avanti si aggiunge:

> ... sollecitai varie volte i due amici - ai quali ero particolarmente legato per la simpatia nei confronti delle teorie dell’etere, e per la comune stima e amicizia con il Marco Todeschini già ricordato nel Capitolo III - a scrivere qualcosa di esteso sulla questione, ma più che un paio di articoli su giornali locali (Il Veronese, 1 febbraio 1987; Il Giornale di Vicenza, 10 ottobre 1989; Arena, 2 febbraio 1991), destinati quindi all’effimero - e al disinteresse di coloro che decidono quali siano gli argomenti di cui sia di moda parlare e di quali no - non fu prodotto. Non posso non esprimere a questo punto un forte personale rammarico per tante altre cose interessanti che i due amici sapevano, e mi hanno comunicato nelle diverse occasioni in cui ho avuto il piacere di incontrarli; cose che non sono state mai scritte, perché il produrre pubblicazioni scientifiche non faceva parte della loro consueta attività.

Ma se Speri e Zorzi sono senz'altro all'origine di questa ricerca, almeno per quanto riguarda lo scrivente, essa è poi venuta crescendo e precisando i propri contorni nel corso di tanti anni di lavoro, sicché si può dire che il prodotto finale stia a quelle prime osservazioni come la pianta al seme. Chi volesse discutere il "caso" da un punto di vista rigorosamente accademico potrebbe almeno fare lo sforzo di leggersi l'articolo riportato nel punto 9 della menzionata pagina di Storia della Scienza (rileggendo il quale, a distanza di tempo, non sono troppo sicuro in verità che vi sia stata messa a fuoco in modo corretto la distinzione tra precursore e ispiratore, che non è solo di natura linguistica; oggi io sono persuaso che le speculazioni di De Pretto sull'energia nascosta nella materia siano state di "ispirazione" per Einstein, addirittura l'elemento determinante che l'hanno spinto a non rinunciare alla presentazione della famosa formula dell'energia come appendice alla sua teoria della relatività, sebbene con la dovuta prudenza - su tale particolare si veda il breve scritto qui riportato nell'ultimo paragrafo).

3.2 - <<Se Bartocci trova strette parentele tra le due formule, lo studioso scledense Ignazio Marchioro, che nei "Quaderni di Schio" ha pubblicato un saggio su De Pretto, rigetta ogni legame e cerca di mettere fine alla querelle.>>

Rigettare ogni legame tra le due formule è così insensato che non merita risposta: il contrario è assolutamente evidente, come può persuadersi facilmente chiunque voglia approfondire da sé la questione, e farsi un'opinione personale in modo non passivo, senza cioè prendere a prestito e senza fatica le opinioni degli altri (soprattutto quelle più "comode", che non costringono a ripensare il già pensato - si veda il motto di Benedetto Croce che ispira questo intero sito: http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/croce.JPG). Altro è essere capaci di operare un corretto confronto tra esse, comprendere bene dal punto di vista quantitativo la congettura di De Pretto (COSA CHE, COME DICEVAMO, SIAMO RIUSCITI A FARE SOLO ASSAI TARDI, AHIME' NON ACCORGENDOCI PRIMA DI UN PUNTO ESSENZIALE!), e indagare infine se essa possa essere stata oppure no una fonte di ispirazione per Einstein. Ma il negare a priori che almeno Michelangelo Besso abbia letto gli Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti tra il 1904 e il 1905, che sia rimasto incuriosito dalle argomentazioni di De Pretto, e che ne abbia parlato con Einstein, è senz'altro esempio di chiusura mentale. L'ipotesi contraria è assai più verosimile, e a chi strepita che mancano le "prove", faccio osservare che questo è il ritornello consueto di tutti i "colpevoli": e poi qui non siamo in un tribunale, non siamo giudici chiamati all'impegnativo compito di condannare o assolvere, ma solo ricostruire una storia della scienza che sia plausibile.

3.3 - <<È invece ovvio che la teoria della relatività non ha nulla a che vedere con la sua intuizione: la formula assomiglia a quella famosissima di Einstein solo per una casualità formale, in quanto il De Pretto riportò la formula della forza viva valida a quel tempo, che non era non sinonimo dell'energia cinetica bensì del suo doppio. etc.>>

Questo è il punto più interessante delle dichiarazioni in esame, ma anche il più sbagliato, a diversi livelli non tutti ugualmente semplici. Primo, la teoria della relatività non ha nulla a che vedere con De Pretto, ovviamente, ma neppure la scoperta dell'esistenza di un'energia contenuta nella materia a riposo ha a che fare con la teoria della relatività: proprio questo è il bello, e il merito "epistemologico" del lavoro di De Pretto. Cioè, interessante è precisamente il fatto che De Pretto arrivasse alle sue conclusioni senza relatività, partendo da un'ipotesi sullo spazio fisico reale completamente diversa, anzi opposta, a quella da Einstein (e a nostro parere, nonostante il successo ormai secolare della teoria della relatività, un'ipotesi più esatta, nel senso di conforme alla verità naturale!). [Quello di "verità" è un concetto che il nichilismo e il pragmatismo moderno hanno abbandonato, sia pure solo come aspirazione.]

Nessuno ha mai sostenuto che De Pretto sia stato un "relativista", tutto il contrario, e l'intervistatore mostra di non aver capito nulla già dalla sua premessa:

<<Periodicamente il grande "mistero" ritorna: lo scledense Olinto De Pretto fu il precursore della teoria della relatività?>>,

ma, essendo probabilmente un non esperto di simili questioni scientifiche, dobbiamo ritenerlo incolpevole: è semmai l'intervistato che avrebbe dovuto spiegargli come stanno le cose, perché chi accetta domande errate senza correggerle ha torto, e se si comincia da un siffatto gigantesco equivoco, poi tutto quello che segue non può che andare peggiorando.

Per tornare al problema dell'energia, e per esprimerci con altre parole ancora, la formula E0 = m0c2 (precisiamo implicitamente con questi "0" per evitare equivoci, si veda semmai il già citato articolo riportato nel punto E, dove peraltro in luogo di m0 di usa il simbolo M) non ha nulla a che vedere con la teoria della relatività, e se è senz'altro una sua possibile conseguenza, è una possibile conseguenza (e "migliore") anche della rivale teoria dell'etere. Quanto alla <<casualità formale>>, cosa possa significare questa espressione per il nostro <<studioso>> ci appare oscuro, e comunque, per quello che evidentemente gli sta più a cuore, anche una formula dedotta in modo sbagliato, e per casualità, potrebbe essere stata fonte di ispirazione per un successivo ricercatore, oppure si vuol negare tale evidente verità? Sorvoliamo per carità di patria sulla <<forza viva valida a quel tempo>>: non siamo ai tempi di Leibniz, e De Pretto conosceva certo bene l'espressione dell'energia cinetica, come presto vedremo! Tale questione della scomparsa (in realtà solo apparente, sicché non ci siamo accorti per molto tempo delle reali affermazioni di De Pretto) del fattore  ci aveva in effetti angustiato a lungo (si vedano per esempio le discussioni riportate al punto Cbis), e merita riflessioni migliori, che andiamo subito a sviluppare. Un interrogativo ci premerebbe però porre sin da ora allo <<studioso>>, e conoscerne la risposta prima che legga quanto segue: se De Pretto avesse scritto esplicitamente m0c2, avrebbe avuto più o meno "ragione"? E in questo senso almeno la sua intuizione di un'enorme quantità di energia nascosta nella materia pure a riposo (perché essa resta enorme, nonostante il dimezzamento!) avrebbe potuto in ogni caso essere di ispirazione per Einstein, oppure ancora no?! (Quella che secondo noi conta è la concezione dell'esistenza di un'energia "nascosta" nella materia, quantitativamente proporzionale tanto alla massa quanto al quadrato della velocità della luce).

3.4 - Cominciamo dunque con il riportare il passo "incriminato" che vogliamo esaminare nella sua interezza, anche perché PROPRIO A P. 155 DEL NOSTRO LIBRO, IN SEDE DI PRESENTAZIONE INTEGRALE DELLA MEMORIA DI DE PRETTO, E' IN ESSO SCOMPARSO PER INCOMPRENSIBILI MOTIVI TIPOGRAFICI UN PARTICOLARE FONDAMENTALE.

(Il nostro <<studioso>> avrebbe ben potuto esprimere obiezioni motivate, rimproverandoci sia per questa grave omissione tipografica - che sembra quasi un segno del destino! - sia per non aver capito esattamente come stavano le cose se non dopo tanti anni, e strano che in tutto questo tempo, e in numerosissime conversazioni al riguardo, nessuno si sia accorto o ci abbia segnalato questi errori (di stampa e di interpretazione), né critici né simpatizzanti; FACCIAMO QUI TARDIVA AMMENDA PER ENTRAMBE LE VERE COLPE DI CUI LO <<STUDIOSO>> NON SI E' AFFATTO AVVEDUTO, CHIEDENDO SCUSA PER I FRAINTENDIMENTI EVENTUALMENTE E INVOLONTARIAMENTE PROVOCATI.)

> La materia infatti ubbidisce all'azione dell'etere, ne utilizza e immagazzina le energie, come il volante di una macchina a vapore, che si muove per l'impulso del vapore e ne immagazzina per l'inerzia, l'energia sotto forma di forza viva. Ora se tutta l'intima compagine di un corpo è animata da movimenti infinitesimi, ma rapidissimi, al pari forse dell'etere, movimenti a cui nessuna particella si sottrae, si dovrebbe concludere che la materia di un corpo qualunque, contiene in se stessa una somma di energia rappresentata dall'intera massa del corpo, che si muovesse tutta unita ed in blocco nello spazio, colla medesima velocità delle singole particelle. Ma tale deduzione ci conduce a delle conseguenze inattese ed incredibili. Un chilogrammo di materia, lanciato con la velocità della luce, rappresenterebbe una somma di tale energia da non poterla nè anche concepire. La formula mv2 ci dà la forza viva e la formula  [E' PROPRIO QUESTO IMPORTANTISSIMO  CHE E' SALTATO AL TIPOGRAFO] ci dà, espressa in calorie, tale energia. Dato adunque m = 1 e v uguale a trecentomila chilometri per secondo, cioè 300 milioni di metri, che sarebbe la velocità della luce, ammessa anche per l'etere, ciascuno potrà vedere che si ottiene una quantità di calorie rappresentata da 10794 seguito da 9 zeri e cioè oltre dieci milioni di milioni. A quale risultato spaventoso ci ha mai condotto il nostro ragionamento? Nessuno vorrà facilmente ammettere che immagazzinata ed allo stato latente, in un chilogrammo di materia qualunque, completamente nascosta a tutte le nostre investigazioni, si celi una tale somma di energia, equivalente alla quantità che si può svolgere da milioni e milioni di chilogrammi di carbone; l'idea sarà senz'altro giudicata da pazzi.

Perché quel termine purtroppo omesso è importantissimo? Se leggiamo attentamente le parole di De Pretto, ci accorgiamo che egli afferma due cose: primo, che esiste un'energia latente nella materia, in ragione dell'energia "naturale" dell'etere da cui essa è costituita; secondo, che essa deve essere quantitativamente PROPORZIONALE alla massa di un corpo, oltre che al quadrato della velocità della luce, ammessa tale velocità come velocità di vibrazione delle particelle d'etere. A tale proposito, De Pretto mostra di essere del tutto ragionevole (più di noi suoi successori) quando ammette, subito dopo il passo appena citato, che:

> Effettivamente, se deve essere fuori di discussione che tutte le particelle della materia siano in movimento, non è necessario per questo, l'ammettere che vibrino senz'altro con la velocità stessa dell'etere libero; e d'altra parte, date le circostanze in cui avviene il fenomeno, non è forse rigorosamente esatto il paragonare l'energia latente, all'energia rappresentata dalla stessa quantità di materia che si muova in blocco nello spazio colla medesima velocità.

Sia comunque, si riduca quanto si vuole il risultato a cui fummo condotti dal nostro calcolo, è pur forza ammettere che nell'interno della materia, deve trovarsi immagazzinata tale somma di energia da colpire qualunque immaginazione.

(Abbiamo evidenziato in grassetto i punti che riteniamo maggiormente significativi, anche perché capaci di ulteriori evoluzioni dello stesso tipo di idee.)

Ma riprendiamo il discorso principale. Lette le esatte parole di De Pretto, qual è precisamente la formula da lui proposta? Dalla frase "La formula mv2 ci dà la forza viva..." potrebbe sembrare appunto che essa sia mv2 (continuiamo qui a usare gli stessi simboli di De Pretto, sperando di non ingenerare altri equivoci, v sarebbe l'usuale c, ed m la massa ordinaria, che altrove indichiamo con M), ma in realtà De Pretto dice solo che quella è la forza viva, e non l'energia, che intende ovviamente come energia cinetica, la cui corretta espressione conosce benissimo, tant'è vero che, quando si tratta di calcolare "espressa in calorie, tale energia", egli usa la formula , divide cioè la forza viva per un coefficiente che NON è l'equivalente meccanico della caloria, bensì il suo DOPPIO! Ovvero, egli calcola, espressa in calorie, esattamente l'energia mv2, e ciò potrebbe fare felice chi non voglia ritenerlo un "precursore" di Einstein. In altre parole ancora, nella formula  compare al numeratore un'espressione che corrisponde alla mc2, mentre quel fattore 2 da tutti cercato sta nascosto al denominatore, a raddoppiare la costante di trasformazione dell'energia dalla misura in Joule a quella in calorie. Come dire che se De Pretto si fosse limitato a usare i Joule, non ci sarebbe stato nessun equivoco, ma forse voleva, da persona concreta, utilizzare una misura dell'energia che fosse più chiaramente e praticamente apprezzabile.

(L'equivalente meccanico della caloria viene stimato oggi in 4186,05, un valore che non coincide con il 4169 usato da De Pretto, perché alla fine dell'Ottocento esso veniva in effetti valutato differentemente - un piccolo errore in percentuale che fu corretto soltanto successivamente.)

Per riassumere, un De Pretto che non va considerato né un precursore della relatività (banalmente, peraltro il viceversa sarebbe stato secondo noi un titolo di demerito!), né esattamente della E0 = m0c2 (torniamo adesso a simboli oggi più usuali), ma solo DELLA SUA META', comunque esprimente appieno l'intuizione dell'esistenza di un'energia latente nella materia ("Energia dell'etere ed energia latente nella materia", così si intitola il paragrafo del suo saggio dal quale abbiamo ripreso i passi citati), e quindi giustamente candidato ad essere stato uno (se non l'unico, o il decisivo) degli ispiratori di Einstein, semmai via Besso (come ampiamente argomentato nel nostro libro), perché no?!, continuiamo a ritenere tale ipotesi non solo legittima ma pure assai probabile.

[Non ci risultano, per quel che sappiamo, altre simili intuizioni, sebbene non "difficili", a partire dalla concezione dell'etere, e della materia come ente fisico non sostanzialmente distinto da esso. Recentemente Christopher Jon Bjerknes (vedi Episteme N. 6, parte II, 2002, punto 2, http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/ep6/ep6-II.htm) ha richiamato a tale proposito il libro di Samuel Tolver Preston Physics of the Ether (1875), ma ci sembra un'affermazione non corrispondente alla realtà dei fatti. Ecco come ci siamo espressi in proposito in una recente corrispondenza con l'autore:

"As a matter of fact, I am now persuaded that Tolver Preston did never think of something similar to Einstein's formula, not even to De Pretto's formula. In the passage from the section 165 of his book, the author simply writes:

> ... it may be computed that a quantity of matter representing a total mass of only one grain, and possessing the normal velocity of the ether particles (that of a wave of light), encloses a store of energy represented by upwards of one thousand millions of foot-tons ...

He did not mean that the grain had such amount of energy even if it was still! He just computed (in a quite correct way) the kinetical energy of one grain ("0.0648 grams, an unit often encountered in firearms ammunition: it is used for the weight of a bullet and the weight of a charge of powder") which is moving with speed c; no more than that, in order to give an idea of the great amount of kinetical energy possessed by even a very small object when travelling to the light's speed. Furthermore, Tolver Preston clearly speculates about the existence of a kind of "hidden" energy stored in the "empty" space, namely in the aether, and afterwards he provides for an estimate of such energy (depending from the aether's density), but he never talks, in my opinion, of a sort of "hidden energy" stored in any kind of matter, depending only from its mass (proper mass) and from the square of light's speed, the energy which at the contrary was imagined and discussed by De Pretto..."

3.5 - <<sarebbe ora che ad Olinto De Pretto fossero riconosciuti i suoi meriti di studioso nei vari ambiti in cui si distinse, senza trascinarlo in contese che non lo riguardarono in vita: infatti non rivendicò mai una supposta priorità della sua formula sulla teoria relativistica di Einstein.>>

Il Marchioro parla qui di "contese", secondo le concezioni della moderna economia di stampo darwinista (la lotta per la vita) e americanomorfo, come se si trattasse di aggiudicare qualche premio al primo arrivato. Non comprende evidentemente che la questione interessante che si voleva sottolineare associando il nome di De Pretto alla formula E0 = m0c2 (l'unica cosa veramente significativa dal punto di vista fisico, come stiamo ripetendo fino alla nausea) è che ad essa si potesse arrivare non solo senza relatività (cosa che del resto, come si sa, fece pure lo stesso Einstein, rimandiamo ancora una volta all'articolo di cui al paragrafo 5), ma addirittura partendo dal suo esatto contrario filosofico, cioè dalla teoria dell'etere (nella quale il "principio di relatività" non ha alcun fondamento fisico naturale, alcuna plausibilità: se esiste realmente un etere, dotato di ben precise proprietà fisiche, sarebbe allora assai strano che il moto attraverso di esso fosse del tutto privo di conseguenze fisiche rilevabili - vero che si può affermare anche questo, non c'è nulla di assurdo che un "filosofo" non possa sostenere, come sosteneva Cicerone, si può solo sperare che certe persone non credano davvero a quello che dicono). Circostanza questa più notevole di quello che possa pensare uno "sprovveduto", perché uno dei tradizionali argomenti a favore dell'adeguatezza sperimentale della teoria della relatività è proprio di tirare in ballo la validità di questa formula! (le cui applicazioni "rumorose" hanno senz'altro fatto la storia, e sono state "sentite" da chiunque).

Il fatto che De Pretto non rivendicò mai la sua <<supposta priorità>> appare, fino a prova contraria, un dato incontestabile (allo stesso modo che appare un incontestabile dato di fatto che il lavoro di De Pretto non ebbe mai alcun impatto sulla comunità scientifica, né nazionale né internazionale, il che è un po' più preciso che non affermare: <<Dal 1921, con la sua morte tra l'altro per assassinio, tutto tacque>>, quasi che prima del 1921 la situazione fosse sostanzialmente diversa), ma lo scopo principale dello "storico" è di trovare delle spiegazioni per i dati di fatto, non di elencarli semplicemente. Vale a dire, tali scontate constatazioni non ci esimono dal ricercare le eventuali motivazioni del loro verificarsi, e non giustificano chi voglia risparmiarsi sforzi di pensiero alla loro ricerca. Alcune di tali possibili motivazioni vengono esaminate, seppure al volo, nel citato paragrafo 5.

Trascuriamo altre imprecisioni minori, per esempio il fatto che lo <<studioso>> così si esprima: <<Secondo il De Pretto "le particelle dell'etere comunicano impulsi alla molecola della materia per mezzo di moti vibratori">>, riferendo quindi al De Pretto delle parole che sono viceversa di Schiaparelli, e che non colgono esattamente il punto (l'etere non comunica alla materia energia: la materia è etere, la sua energia è quella dell'etere che la costituisce, come ritiene ogni buon eterista, e quindi anche De Pretto), ma direi che possa bastare, e del resto sono stanco di cercare di far capire cose a persone che non vogliono capire (come a tutti quegli studenti che oggi affollano l'università "di massa" senza essere interessati ad altro che a terminare gli studi il più presto possibile e con il minimo sforzo, onde riscuotere successivamente - meglio se dallo "Stato", che si sa è un datore di lavoro poco esigente - una sorta di "vitalizio" per doveri che non costino loro soverchio impegno - mentre, si sa da sempre, quello della conoscenza è un cammino impervio e faticoso, costellato da qualche soddisfazione e da un maggior numero di delusioni). All'origine di taluni comportamenti è facile individuare la "pigrizia mentale", in altri meno, e quello in esame potrebbe essere uno di quelli. Forse chi ha studiato a lungo la persona e l'opera di De Pretto è intimamente (inconsapevolmente) dispiaciuto per non aver saputo cogliere lui quanto di più significativo ci fosse in essa, in luogo delle attività dedicata a <<gite ed escursioni, schizzi di geologia etc.>>? (Di ben altra "intelligenza" i compianti amici Zorzi e Speri; ricordiamo che inter ligere significa letteralmente scegliere tra, ovvero saper scegliere; non a caso nel Vangelo di Luca, 10:41-42, sono ricordate le parole: "Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta".)

4. Un'altra ben diversa presentazione al libro sul caso Einstein-De Pretto

Proprio al momento di chiudere questo scritto, mi arriva da un altro corrispondente notizia che nel sito:

http://www.italian-american.com/famous.htm

si trova riportata un'altra recensione al libro in oggetto, al contrario della precedente forse eccessivamente lusinghiera. La riporto allora qui di seguito integralmente, tanto per completezza, quanto per spirito di vanità, anche se in essa naturalmente non si fa cenno all'importante correzione sopra specificata (che per alcuni può in effetti diminuire tutti gli eventuali meriti di De Pretto, ma le cui considerazioni, ripetiamo, conservano invece a nostro parere un'immutata importanza, per avere colto l'essenziale almeno dal punto di vista qualitativo, e fatto vedere come si potesse arrivare a certe sorprendenti conclusioni partendo da assunzioni del tutto opposte a quelle relativistiche).

Albert Einstein and Olinto De Pretto
A review by Michael Falotico of the book written by Professor Umberto Bartocci

Umberto Bartocci, Professor of Mathematics at the University of Perugia, Italy, in his book, "Albert Einstein e Olinto De Pretto: la vera storia della formula piu' famosa del mondo" (Albert Einstein and Olinto De Pretto, the true history of the most famous formula in the world) has shown to us what can happen if one digs long enough through old Italian archives. His book literally re-writes the history of science in the 20th Century. Professor Bartocci proves that an Italian first formulated the famous equation E=mc^2.

An industrialist named Olinto De Pretto, a native of the Veneto region of Italy, published an article in which he gave, in its final form, the equation E=mc^2. This article was published on June 16, 1903, and published again in February 27, 1904, the second time in the Atti of the Reale Instituto Veneto di Scienze. De Pretto thereby preceded Einstein's famous 1905 "E=mc^2" paper by at least a year-and-a-half.

To Professor Bartocci's credit, he attaches the complete text of the De Pretto article as an appendix to his book so that the reader can decide for himself/herself if De Pretto was a true precursor to Einstein.

In the article, Olinto De Pretto actually comments on how amazing his discovery is. De Pretto could hardly believe his mathematical discovery. This formula, of course, would later be the theoretical basis for the atomic bomb. Indeed, decades later, when another Italian, Enrico Fermi, was working on nuclear reactions, Fermi credited the famous equation E=mc^2 (attributed to Einstein) for formulating the theoretical underpinnings that made nuclear reactions possible.

De Pretto himself understood the significance of his discovery. Speaking of E=mc^2 he wrote (my translation), "To what astonishing result has our reasoning brought us? Nobody would easily admit that stored in a latent state, in a kilogram of whatever material, completely hidden from our investigations, there comes into play such a sum of energy. The idea would be adjudged crazy!" De Pretto was 46 years old when he made this discovery.

Unfortunately, he would never be in a position to take credit for it. In 1921, a year before Einstein received the Nobel Prize, De Pretto was shot dead, murdered by a woman over a business dispute. De Pretto was in the process of having a complete book of his scientific ideas published when he was killed.

Could Einstein have copied from De Pretto? Nobody can absolutely prove that Einstein saw De Pretto's article but Professor Bartocci offers some intriguing speculation.

Professor Bartocci has traced a link between De Pretto and Einstein, through Einstein's best friend, Michele Besso. Besso is the only person credited in the famous E=mc^2 paper of 1905. Throughout all of his famous papers on 1905, Einstein gives no sources or citations. The only credit given to anyone is a brief mention of his friend Michele Besso. Why the lack of citation of any source material?

Interestingly, Besso was originally from the Veneto region of Italy; his native tongue was Italian. The city of Vicenza, Italy, again in the Veneto region, was where Olinto De Pretto was from. Michele Besso was close to his uncle, Beniamo Besso, who lived in Rome. Beniamo Besso worked as an engineer in Rome with Olinto De Pretto's brother, Augusto De Pretto. Perhaps Augusto passed on Olinto's discovery to Beniamo Besso who in turned told Michele Besso who in turn told Einstein—or so goes the thread.

While the De Pretto-to-Besso-to-Einstein link is seemingly tenuous, it must be noted that Einstein was well aware of other groundbreaking work by Italian physicists (having read deeply the Italian physics literature). During the very same "anno mirabilis" of 1905, when Einstein published his famous four physics papers in the Annalen der Physik (including the paper that derived the E=mc^2 formula), he also published in the very same Annalen der Physik reviews of articles written by Italian physicists. For example, the Collected Papers of Albert Einstein, published by Princeton University Press, contains a review written by Albert Einstein in March 1905 of the an article written by Arturo Giammarco, "A Case of Corresponding States in Thermodynamics" Einstein also wrote a review of Giuseppe Belluzzo, "Principles of Graphic Thermodynamics." This shows that Einstein was reading rather deeply in the Italian physics literature at the time.

Perhaps the Besso connection is probably unnecessary although it could very well have happened. Einstein, too, could have stumbled across De Pretto's formula on his own.

The Veneto region is not that far from where Einstein was then living in Switzerland. Indeed, Albert Einstein was quite fluent in Italian. According to Abram Pais in his biography of Einstein, "Subtle is the Lord", when Einstein graduated from high school in Aarau, Germany, he was required to take exams in both the German language and the Italian language. Out of a maximum score of 6,Einstein received a score of 5 in German (his native tongue) and also a score of 5 in Italian! This in and of itself is proof of Einstein's conversance in Italian; Einstein could write as well in Italian as he could in his native German tongue.

Also, the Collected Papers of Albert Einstein, published by Princeton University Press, notes that Einstein spoke Italian. Of course, Einstein had lived in Italy during his youth, and Einstein's father is buried in Milan. Further, in order for Einstein to gain Swiss citizenship (a requirement for him to work in the Berne patent office since that was a government job) it could only help him if he could show proficiency in Italian, which, along with German and French, is one of the three official languages of Switzerland. Finally, there are still extant postcards written by Einstein in Italian as well as living Italians who spoke to Einstein in his later years who can attest to his fluency. There is no doubt that Einstein spoke Italian well. Indeed, the above cited reviews of the Italian physics literature prove the point. It is impossible to say if Einstein ever saw the De Pretto article. All one can say with any assurance is that if Einstein indeed saw the article, Einstein's Italian language skills were strong enough that he could read it.

When Einstein did publish his famous article in 1905 wherein he gave a variation of the famed "E=mc^2" formula, he titled this "discovery" in the form of a question. Published in November, 1905, in Volume 18, pages 639-641, the title of Einstein's paper was phrased as a question, "Does theInertia of a Body Depend upon its Energy Content?"

Professor Bartocci finds it curious that Einstein would title his article in the form of a question. Perhaps he was not quite sure of its significance or perhaps he wanted the title in question form in order to later attribute the idea to someone else should the formula prove incorrect. Or perhaps Einstein is making a veiled reference to something he saw in the Italian physics literature.

Professor Bartocci spends much of his book discussing how difficult it was to get anyone to believe him. The Einstein "establishment" is so strong, and the mythology surrounding Einstein so ingrained, that no one in Italy would publish his book. Once he did find a publisher, he could not get the book reviewed. It was only in Great Britain, far from Italy, that word leaked out regarding the book.

On the face of it, the Einstein story is irresistible. How one obscure patent clerk single-handedly published in the same year (1905) four articles that, respectively, explained Brownian motion; explained the photo-electric effect; formulated the equation E=mc^2, and invented the theory of relativity! For one man to have done all that, and all in the same year, is nothing short of miraculous. Any one of these discoveries would have assured Einstein a place in history. To have single-handedly made all four and published them all in the space of a year, well, that is astonishing genius.

Perhaps the British reviewers are a bit more cynical. They publicized Professor Bartocci's findings when no one else would. Perhaps Einstein, undoubtedly a brilliant man, did not do quite all that he is said to have done.

What is absolutely indisputable is that the formula was published, not once but twice, in the Italian physics literature. Its authorship should rightly be credited to the industrialist, Olinto De Pretto.

Please don't take my word for any of this: read the book yourself. It can be obtained from:

Societa' Editrice Andromeda,
via S. Allende 1, 40139
Bologna, Italy.
Telephone 051.548721 - 051.490439 FAX 051. 491356

www/alinet.it/andromeda
e mail: andromeda@alinet.it

5 - Si ritorna sulla questione in vista del centenario del lavoro di De Pretto

L'editore di The Italian Newspaper mi ha chiesto di scrivere una breve presentazione del caso Einstein-De Pretto, tenuto conto del fatto che il lavoro di De Pretto fu accettato per la pubblicazione dal Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti il 29 novembre 1903, e quindi esattamente cento anni fa, e che la questione sembra aver suscitato notevole curiosità tra i nostri compatrioti d'oltre oceano (o tra i loro discendenti). Quella che segue è la versione primitiva dell'articolo che ho pertanto rapidamente redatto (come del resto i presenti "chiarimenti", che lasceranno quindi assai a desiderare sotto il profilo stilistico, ma speriamo che ciò nondimeno la sostanza del discorso sia appunto chiara), che verrà naturalmente proposto ai lettori in inglese e con vari tagli e ritocchi, giustificati dall'occasione del tutto divulgativa-celebrativa che ne è all'origine. Lo presentiamo qui in versione integrale sia perché lo riteniamo istruttivo, sia per rispondere in anticipo a eventuali ulteriori "critiche" del tipo di quelle precedentemente esaminate.
 

Un ricordo di Olinto De Pretto a 100 anni dalla sua
ipotesi dell'etere nella vita dell'universo


 


Tutto il mondo conosce oggi la celebre formula di conversione della massa in energia, che viene espressa mediante l'equazione E = mc2, ed acclama il suo scopritore, Albert Einstein (1879-1955), che la suggerì nel 1905. Come vedremo, rappresenta per noi un dettaglio non marginale che essa fu introdotta in collegamento con la teoria della relatività, ma che l'autore volle in qualche modo tenerla separata dalle altre considerazioni teoriche generali che andava svolgendo. Einstein redasse infatti in quell'anno due distinti articoli: il primo, ampio, in cui esponeva i principi della nuova teoria, senza menzionare la formula che ci interessa (anche se ci sono naturalmente considerazioni intorno a quella che si dice "massa relativistica"), fu inviato alla rivista Annalen der Physik nel mese di giugno, e pubblicato nel volume N. 17. Il secondo, breve, che trattava esclusivamente della formula dell'energia, fu inviato alla medesima rivista nel mese di settembre, e pubblicato nel volume N. 18.

La piena comprensione della precedente equazione non è facile, perché essa può avvenire unicamente all'interno del formalismo relativistico, che non è affatto semplice*. Comunque, ognuno conosce le sue conseguenze pratiche, terribili o benefiche a seconda dei punti di vista, dal momento che esse sono all'origine dell'individuazione e dello sfruttamento della cosiddetta energia nucleare, l'energia intrinseca posseduta da ogni forma di materia (si noti bene, sempre la stessa energia nella stessa quantità di materia, indipendentemente dalla natura di questa: per esempio, la medesima energia in un chilo di legno, o in un chilo d'oro o in un chilo di uranio!). Cerchiamo di spiegare tale implicazione dicendo che, anche se un corpo materiale è assolutamente fermo rispetto a noi (e allora la sua precedente massa relativistica m diventa l'ordinaria massa classica M a tutti familiare, quella grandezza che corrisponde al peso degli oggetti che ci circondano), esso in ogni caso possiede un'energia uguale a Mc2, una quantità enorme che non è una pura astrattezza matematica, ma è ricavabile e utilizzabile**.

D'ora in avanti ci riferiremo alla detta conseguenza fisica della formula di Einstein come al vero nuovo concetto che ci interessa, quello che in effetti giustifica la circostanza che al suo scopritore vengano resi i meritati onori, per porci alcune domande. Esisteva nel 1905 qualche evidenza di fatto che potesse consentire ad Einstein, o a chiunque altro, se non proprio di dimostrare, almeno di intuire l'esistenza di una tale quantità di energia nascosta? La risposta è sostanzialmente negativa***, il che ci conduce a una seconda inevitabile domanda. Cosa potrebbe aver ispirato Einstein lungo una strada che soltanto molti anni più tardi si rivelò feconda? Pur ammettendo che le eventuali fonti di ispirazione siano state molteplici, vedremo che i tentativi di soddisfare la seconda curiosità portano a un'autentica sorpresa storiografica, al nome di un oscuro ricercatore "dilettante" italiano, il quale aveva in precedenza espresso simili concezioni, oggi da tutti accettate, ma finendo naturalmente all'epoca con l'essere ritenuto un "pazzo" visionario da parenti e amici.

Si tratta di Olinto De Pretto (nato nel 1857 a Schio, vicino Vicenza, nel Nord Est dell'Italia, laureato in Agraria a Milano, dopo alcuni anni passati come assistente del Prof. Gaetano Cantoni nell'università del capoluogo lombardo, lavorò dal 1886 in poi nell'industria meccanica della famiglia, fondata dal fratello ingegner Silvio; essa è tuttora esistente, fusa con la svizzera Escher Wyss), che aveva tentato di far conoscere le proprie idee senza avere alcun successo, finché l'illustre astronomo Giovanni Schiaparelli (1835-1910; il suo nome è familiare ancora ai nostri giorni, per essere stato il primo a osservare i controversi "canali di Marte"), dopo aver letto il suo saggio, lo ritenne meritevole di pubblicazione. Queste sono le parole con cui l'autorevole scienziato mostrò inusuale apertura di pensiero nei confronti di un'opera che non aveva origini "accademiche":

> Insomma: se sarebbe troppo il dire ch'Ella ha spiegato le cose come stanno, proprio come stanno, mi pare tuttavia di non eccedere la giusta misura dicendo che Ella ha aperto al nostro sguardo nuove possibilità, la cui considerazione deve essere sufficiente a moderare il tono dogmatico, con cui diversi scienziati, anche di gran vaglia, hanno parlato e vanno parlando della estinzione del calore terrestre, della luce e del calore del Sole ecc.

L'articolo di De Pretto (piuttosto ampio, 60 pagine) venne infine accettato dal Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti nella seduta del 29 novembre 1903 (quindi esattamente cento anni fa), e successivamente pubblicato negli Atti dello stesso Istituto nel mese di febbraio 1904 (vol. LXIII, parte II). In esso, che era intitolato "Ipotesi dell'etere nella vita dell'universo", De Pretto così si esprime a proposito della questione che ci sta a cuore (riportiamo il passo per esteso, poiché vi si può sia desumere la cornice teorica nella quale il De Pretto sviluppava le sue argomentazioni, sia valutare senza intermediazioni quanto la sua congettura relativa all'esistenza di un'energia latente nella materia possa essere stata di ispirazione per Einstein o per altri):

> La materia infatti ubbidisce all'azione dell'etere, ne utilizza e immagazzina le energie, come il volante di una macchina a vapore, che si muove per l'impulso del vapore e ne immagazzina per l'inerzia, l'energia sotto forma di forza viva. Ora se tutta l'intima compagine di un corpo è animata da movimenti infinitesimi, ma rapidissimi, al pari forse dell'etere, movimenti a cui nessuna particella si sottrae, si dovrebbe concludere che la materia di un corpo qualunque, contiene in se stessa una somma di energia rappresentata dall'intera massa del corpo, che si muovesse tutta unita ed in blocco nello spazio, colla medesima velocità delle singole particelle. Ma tale deduzione ci conduce a delle conseguenze inattese ed incredibili. Un chilogrammo di materia, lanciato con la velocità della luce, rappresenterebbe una somma di tale energia da non poterla nè anche concepire. La formula mv2 ci dà la forza viva e la formula  ci dà, espressa in calorie, tale energia. Dato adunque m = 1 e v uguale a trecentomila chilometri per secondo, cioè 300 milioni di metri, che sarebbe la velocità della luce, ammessa anche per l'etere, ciascuno potrà vedere che si ottiene una quantità di calorie rappresentata da 10794 seguito da 9 zeri e cioè oltre dieci milioni di milioni. A quale risultato spaventoso ci ha mai condotto il nostro ragionamento? Nessuno vorrà facilmente ammettere che immagazzinata ed allo stato latente, in un chilogrammo di materia qualunque, completamente nascosta a tutte le nostre investigazioni, si celi una tale somma di energia, equivalente alla quantità che si può svolgere da milioni e milioni di chilogrammi di carbone; l'idea sarà senz'altro giudicata da pazzi.

Senza entrare in troppi dettagli tecnici, precisiamo per correttezza che nelle righe precedenti non si trova naturalmente la formula E = mc2 einsteiniana (nel caso in cui un corpo sia genericamente in moto, e la massa m sia quindi la massa relativistica), né esattamente la sua conseguenza che abbiamo scritto come E = Mc2 (De Pretto non distingue ovviamente tra m ed M, indica con v quella che noi oggi indichiamo con c , e prevede sostanzialmente la metà di Mc2), ma vi si trova senz'altro la profetica concezione della "realtà" di un'energia "nascosta" nella materia, quantitativamente proporzionale tanto alla massa quanto al quadrato della velocità della luce, e pertanto "spaventosa", "inconcepibile".

Essendo ciò un dato di fatto, ci si può chiedere adesso se siano rintracciabili delle connessioni tra le eccentriche, "incredibili", idee di De Pretto ed Einstein, e se ne trovano immediatamente di assai dirette e significative. Bisogna sapere che il primo ampio articolo di Einstein sulla teoria della relatività del 1905 non contiene alcun riferimento bibliografico, non indica alcun presupposto per la teoria che vi viene esposta. Soltanto alla fine viene ringraziato l'amico Michelangelo Besso ("A conclusione osservo che durante il lavoro ai problemi qui trattati il mio amico e collega M. Besso mi stette fedelmente a fianco e che io devo allo stesso parecchi preziosi incitamenti"), che aveva procurato ad Einstein un posto all'Ufficio Brevetti di Berna, dove il futuro premio Nobel si trovava allora a lavorare, non avendo ottenuto impiego in nessuna università, dato l'esito non brillante dei suoi studi (Einstein si era laureato a Zurigo nel 1901, classificandosi ultimo tra i 6 studenti che ottennero la laurea in quell'anno; un settimo studente, che diverrà la prima moglie dello scienziato di Ulm, Mileva Maric - il matrimonio avvenne nel 1903, ne nacquero due figli, e si concluse con una separazione nel 1914 - fu bocciato, e non riuscì a laurearsi neppure l'anno dopo). Besso era originario del Nord Est d'Italia come la famiglia De Pretto, e lo zio Beniamino Besso, presso il quale il giovane Michelangelo aveva soggiornato durante i suoi studi all'Università di Roma, era collega di lavoro (nella sua veste di Direttore delle Ferrovie) di un altro fratello ingegnere di Olinto, Augusto De Pretto (questi apparteneva al Reale Ispettorato delle Strade Ferrate e, nella qualità di Ispettore Superiore, fece parte dal 1901, con Beniamino, del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici). Senza escludere una conoscenza diretta del saggio di De Pretto da parte di Michelangelo****, che si racconta leggesse di tutto in campo scientifico, e quindi verosimilmente a maggior ragione gli Atti che provenivano dall'Accademia della sua regione, ogni evidenza lascia ritenere che Beniamino dovette aver ascoltato diverse volte da Augusto quante preoccupazioni potessero dargli le idee del proprio "pazzo" fratello (naturalmente solo in campo scientifico, dal momento che Olinto aveva peraltro sempre assolto puntualmente agli impegni di lavoro concernenti l'industria di famiglia). Da Beniamino a Michelangelo (i due rimasero in contatto fino alla morte di Beniamino, avvenuta nel 1908) il passo poi è breve.

Al riguardo non esistono prove, documenti (del resto, pur se Besso ed Einstein continuarono a scambiarsi idee per tutta la vita epistolarmente, nel periodo che ci interessa vivevano fianco a fianco, e non si scrivevano certo lettere*****), però l'autore delle presenti righe è persuaso che le speculazioni fanta-teoriche di De Pretto siano state una fonte non minore di ispirazione affinché Einstein ritenesse davvero possibile che quel termine Mc2, corrispondente appunto a un'energia latente nella materia, avesse un ben preciso significato fisico. Ammesso ciò, sorgono spontanee altre domande. Per esempio, perché De Pretto non reclamò mai, a quel che si sa, i suoi eventuali diritti di "precedenza" sulla famosa formula? Forse perché, come abbiamo accennato, l'importanza della formula divenne chiara solo parecchio tempo dopo il 1905 (Einstein stesso cominciò a essere noto al grande pubblico soltanto negli anni '20; tra l'altro, ottenne il premio Nobel per la fisica - il premio relativo al 1921, che fu concesso nel 1922 - senza che nella motivazione del riconoscimento venissero menzionate né la formula in oggetto né la teoria della relatività, che contava all'epoca ancora molti scettici e oppositori). Proprio in quel 1921 De Pretto incontrava invece la sua tragica fine, ucciso da una donna che lo riteneva colpevole delle sventure economiche del marito.

Ci si può chiedere inoltre perché mai nell'eventualità Einstein non avrebbe citato De Pretto. A parte il fatto già accennato che Einstein non citò neppure i più illustri scienziati dell'epoca, ad alcuni dei quali avrebbe ben potuto riconoscere qualche merito nella fondazione della relatività (tra di essi il famoso matematico francese Henri Poincaré, che fu sempre successivamente in rapporti piuttosto freddi con Einstein), bisogna tenere conto della circostanza che De Pretto non era accademicamente illustre, né potremmo dire uno "scienziato", bensì solo quello che oggi definiremmo un "dilettante", un autodidatta nel campo della fisica, che esponeva delle considerazioni di "filosofia naturale" senza fare ricorso a tutto il rigoroso apparato matematico presente nel lavoro di Einstein e di altri che al tempo trattavano le medesime questioni. Il motivo essenziale però, secondo la nostra opinione, è che De Pretto venne condotto alla sua ipotesi dell'esistenza di un'energia nascosta nella materia dalla teoria dell'etere, ovvero da una concezione dello spazio reale interamente pervaso da qualcosa che possiamo immaginare come un fluido tenuissimo e impalpabile, costituito da tante piccolissime particelle vibranti ad altissima velocità, appunto la velocità della luce: un fluido dotato di proprietà fisiche rilevabili e di influenza sui fenomeni naturali, una sorta di "oceano" in cui tutti noi ci troviamo immersi alla stregua di "pesci". Una teoria che ha origini antichissime (per esempio in Aristotele), e che dopo essere stata ripresa da Cartesio e da Leibniz nel 1600, era caduta nel dimenticatoio a seguito del successo della meccanica newtoniana, la quale per funzionare richiedeva che lo spazio fosse al contrario completamente "vuoto" ("quella materia immaginaria deve essere rimossa dai cieli", tuonavano i newtoniani contro i cartesiani; lo spazio di Newton e lo spazio-tempo "ristretto" di Einstein sono assai simili, entrambi "vuoti", sicché la teoria della relatività può dirsi, sotto questa particolare prospettiva, più conservatrice che non rivoluzionaria). L'etere aveva conosciuto comunque una notevole riscoperta nel XIX secolo (erano per esempio "eteristi" grandi fisici fondatori dell'elettromagnetismo, come Michael Faraday e James Clerk Maxwell), ed Einstein con le sue considerazioni relativistiche del 1905 cercava precisamente di conciliare la meccanica dello spazio vuoto con l'elettromagnetismo dello spazio pieno (il titolo dell'articolo dedicato ai proposti nuovi fondamenti della fisica era: "Zur Elektrodynamik bewegter Körper", ovvero "Sull'elettrodinamica dei corpi in movimento"), optando decisamente per la prima alternativa. Ciò premesso, la questione essenziale da tenere presente è che quella adottata da De Pretto era al contrario proprio la concezione di spazio che Einstein stava cominciando a distruggere con la teoria della relatività, in cui l'etere non ha alcun diritto di cittadinanza, sicché non sarebbe stato opportuno in ogni caso citarlo.

Si chiude così una ricostruzione affascinante dei percorsi a volte veramente tortuosi con i quali possono avvenire le scoperte scientifiche, ma, almeno per chi scrive, non si esaurisce in questo modo la problematica relativa alla natura dello spazio reale, ovvero all'etere. All'interno della teoria della relatività la formula dell'energia è parte di un formalismo sofisticato, che non possiede una chiara (intuitiva) interpretazione fisica; nella teoria dell'etere di De Pretto il suo significato appare invece luminosissimo, all'origine di una tale energia essendo le particelle d'etere vibranti che costituiscono ogni forma di materia, in essa per così dire "intrappolate". Oggi, dopo il successo universale di Einstein, la teoria dell'etere deve considerarsi morta, "relegata a souvenir da museo negli archivi della storia", ma ci piace ricordare al proposito le parole dell'astronomo Owen Gingerich (who is actually senior astronomer emeritus at the Smithsonian Astrophysical Observatory, Research Professor of Astronomy and of the History of Science at Harvard University, USA): "The aether is dead, long live to the aether"******.

Chissà cosa ci riserva il futuro, chissà che la memoria di Olinto De Pretto non venga resuscitata e rivalutata come merita, assieme a quella dei fisici eteristi dell'Ottocento e di tutti coloro che, prima di lui e al pari di lui, si sono mossi lungo le medesime strade fisico-filosofiche, ma questa è un'altra storia...
 
 

Note


 



* Nella formula citata, E rappresenta l'energia relativa di un corpo materiale, m la sua massa relativa, c la grandissima velocità della luce, che viene misurata in 186,000 miglia al secondo (per averne un'idea, si pensi che il suono ha una velocità di sole 760 miglia, ma all'ora, ovvero 0.2 miglia al secondo, e che il più veloce dei nostri aeromobili può arrivare soltanto a una velocità massima di alcune volte la velocità del suono, vale a dire una o due miglia al secondo).

** Come noto, fu l'italiano Enrico Fermi il primo a ricavare tale energia nei sotterranei dello stadio del baseball di Chicago, dove fu impiantato il primo reattore nucleare della storia, nel dicembre del 1944.

*** Il penultimo paragrafo del breve articolo di Einstein è molto chiaro al riguardo, con riferimento alla da poco scoperta radioattività: "Non è escluso, che con corpi dei quali il contenuto di energia è variabile in alta misura (per esempio con sali di radio), una prova della teoria possa riuscire". Fu questa carenza sperimentale probabilmente il motivo per cui, come abbiamo già ricordato, Einstein non inserì la celebre formula nel suo più ampio articolo dedicato alla teoria della relatività, ma solo in una seconda breve nota a parte (tra l'altro, il titolo di questa venne espresso in una forma interrogativa: "Ist die Trägheit eines Körpers von seinem Energiegehalt abhängig?", ovvero "L'inerzia di un corpo è dipendente dal suo contenuto di energia?"), quasi che lo stesso autore nutrisse qualche dubbio sull'effettiva validità della congettura da lui avanzata (scrive infatti proprio alla fine: "Se la teoria corrisponde alla realtà delle cose..."). Einstein non voleva probabilmente in un primo momento che un eventuale fallimento della formula segnasse anche un fallimento della teoria della relatività (nell'autunno del 1905 rivolse al fisico Habicht la seguente osservazione: "The line of thought is amusing and fascinating, but I cannot know whether the dear Lord doesn't laugh about this and has played a trick on me"), mentre più tardi, quando ebbe dei timori che la sua teoria potesse venire confutata o superata, cercò viceversa di salvare almeno la formula, proponendone alcune dimostrazioni indipendenti dalla teoria della relatività!

**** Non è neppure improbabile una lettura diretta del saggio di De Pretto da parte dello stesso Einstein, che conosceva bene l'italiano, da quando la sua famiglia si era trasferita in Italia (era l'anno 1894; si trova ancora oggi a Pavia una casa abitata dalla famiglia di Einstein), e aveva accompagnato spesso in viaggio il padre Hermann per motivi di lavoro. Questi, che morì a Milano nel 1902, si occupava di impianti elettrici, e come Direttore della "Privilegiata Impresa Elettrica Einstein" fu concessionario dei lavori di installazione della luce pubblica in alcuni comuni del Veronese ed in altre parti del Veneto. Coincidenze significative di luoghi e di tempi, dal momento che per produrre energia elettrica ci vogliono turbine, e che la Fonderia De Pretto era tra le poche aziende italiane che ne fabbricavano. Inoltre, si noti, Schio è vicina pure a Verona.

***** Vedi per esempio: Pierre Speziali, Albert Einstein Michele Besso Correspondance 1903-1955, Collection Histoire de la Pensée, Hermann, Paris, 1972; Collection Savoir, 1979.

****** In "The aethereal sky: man's search for a plenum universe", The Great Ideas Today, Encyclopedia Britannica Inc., 1979.
 
 

(UB - Settembre 2003)