[Trascrizione della Prof. Susanna Bisi.]



Gente, 20 maggio 1972

Le rivelazioni del cugino del grande fisico
ETTORE MAJORANA SI UCCISE
DOPO UNA TRAGEDIA FAMILIARE


Lo sceneggiato televisivo "Ipotesi sulla scomparsa di un fisico atomico" ha riaperto le polemiche sulla misteriosa fine del giovane fisico catanese amico di Enrico Fermi – Abbiamo interrogato l'onorevole Claudio Majorana, che raccolse le confidenze dello scienziato negli anni immediatamente precedenti la sua scomparsa.

di Giuseppe Randazzo

Catania, maggio

Lo sceneggiato televisivo di Leandro Castellani Ipotesi sulla scomparsa di un fisico atomico ha riacceso a Catania, città d'origine dello scienziato Ettore Majorana, la curiosità e le discussioni sulle cause della misteriosa fine del protagonista di uno dei più clamorosi episodi avvenuti nell'Italia prebellica.
L'interpretazione che della scomparsa di Majorana ha dato il regista Castellani, benché suggestiva ed in chiave di messaggio universale, manca d'una indagine approfondita sul personaggio, indagine che se fosse stata condotta in maniera più accurata, sotto il profilo psicologico, forse, sarebbe approdata a conclusioni ben diverse.




Una delle poche fotografie esistenti di Ettore Majorana. Nato nel 1906 a Catania dal direttore
della società dei telefoni, a tre anni era già capace di estrarre a mente le radici cubiche.
Laureatosi in fisica, entrò nel gruppo di Fermi. Scomparve in mare il 27 marzo 1938.



"Fare apparire Majorana, come suicida perché presago  di una catastrofe universale, è un po' azzardato anche se credibile, nonostante le numerose contraddizioni. Tuttavia quella di Castellani è, volutamente, una visione unilaterale della vicenda e, dato che non sapremo mai la verità sulla scomparsa perché mancano gli elementi di giudizio, potremmo addirittura prenderla per buona".

Chi ci dice queste cose è l'onorevole Claudio Majorana, cugino dello scienziato misteriosamente scomparso nel 1938 mentre viaggiava su una nave di linea tra Palermo e Napoli.
"Se non perdiamo di vista le finalità, innegabilmente nobili, del regista", afferma l'onorevole





Catania. L'onorevole Claudio Majorana, cugino di Ettore. L'uomo politico ha raccontato al nostro inviato
la vita del suo congiunto e le confidenze che ne ebbe. Secondo Claudio Majorana,
il suicidio del giovane fisico fu dovuto a diverse circostanze: dubbi scientifici, senso di frustrazione
e il dolore perché la sua famiglia fu coinvolta in una vicenda giudiziaria
dopo la misteriosa morte di un neonato.


Majorana "si deve concludere che il lavoro televisivo è risultato apprezzabile anche se Ettore, a mio parere e secondo i miei familiari, più che protagonista appare come uno strumento del messaggio di Castellani. Non si può negare che mio cugino abbia forse intuito che le prime scoperte del gruppo Fermi potevano avere conseguenze incontrollabili e forse catastrofiche. Ma a quanto ricordo le sue erano, prevalentemente, perplessità di carattere scientifico. Se decise di togliersi la vita (noi non abbiamo mai creduto all'ipotesi del rapimento da parte di agenti di una superpotenza straniera) i motivi sono da ricercare nel suo carattere estremamente introverso, nella sua storia personale  e in quella della nostra famiglia, nelle delusioni che il povero Ettore incontrò nell'ambito professionale, nella sua tendenza a isolarsi, nella sua indifferenza verso tutte quelle cose semplici e banali che a volte sono sufficienti per far felice un uomo.
"Ettore", continua l'onorevole Majorana "aveva  mostrato un'intelligenza eccezionale fin dai primi anni della sua vita.  Nacque nel 1906, a Catania. Suo padre, Fabio Majorana, fratello minore di  mio padre, era allora direttore della Società dei telefoni. Sua madre,  Dorina Corso, una donna forte, un po' originale e molto ambiziosa, proveniva da una ricca famiglia di agricoltori della provincia etnea. Fin dall'infanzia Ettore mostrò di possedere qualità superiori. Pensi che ad appena tre anni era in grado di compiere calcoli matematici complessi, perfino radici cubiche, senza far ricorso a carta e matita. Si racconta che un giorno, durante una passeggiata sul molo, sbalordì un ufficiale di marina riuscendo a calcolare, nel giro di pochi secondi, il consumo di carburante di una nave partendo da due dati: velocità e percorso. Aveva quattro anni. Tuttavia nella famiglia di zio Fabio, Ettore non costituiva l'eccezione. Anche gli altri fratelli furono abbastanza precoci. Salvatore, per esempio, che noi cugini chiamavamo 'Turiddu il filosofo', fin da ragazzino intavolava lunghe discussioni con illustri professori, confutando, spesso con valide argomentazioni, le loro tesi. Luciano, oggi ingegnere, si dilettava di costruzioni. Fu uno dei primi a realizzare un progetto del ponte sullo Stretto di Messina, progetto ritenuto ancora oggi tra i più validi. Le sorelle Rosina e Maria, donne intelligentissime, sempre prime a scuola. Una famiglia dunque di superdotati".
"Se dal punto di vista intellettuale", continua l'onorevole  Claudio Majorana "le differenze tra Ettore e i suoi fratelli non erano  eccessive, da quello del carattere c'era un abisso. Gli altri, infatti,  sono sempre stati esseri normalissimi, brillanti in società, estroversi.  Ettore, invece, preferiva richiudersi in se stesso. ricordo che raramente  si lasciava andare  a lunghe discussioni. Era di poche parole e parlava  soltanto se sollecitato. Comunque si rendeva perfettamente conto che il suo  comportamento dava luogo a critiche e per dimostrare di non essere musone  partecipava, anche se con poco entusiasmo, alla vita sociale: gite in montagna  con i colleghi, viaggi, ricevimenti, pranzi in famiglia. Inevitabilmente però quando apriva bocca lo faceva per parlare delle sue ricerche e dei suoi studi. il suo interlocutore preferito era zio Quirino, un altro fratello di mio padre, illustre scienziato e docente di fisica sperimentale all'Università di Bologna. Con zio Quirino era un battibecco continuo, specialmente sui metodi di ricerca: Ettore accanito sostenitore della fisica teorica e zio Quirino assertore della fisica sperimentale. Nel 1921 zia Dorina decise di trasferirsi a Roma con i cinque figli. Diceva che i suoi ragazzi avevano bisogno di frequentare scuole migliori e di vivere in un ambiente più qualificato. Zio Fabio invece preferì rimanere a Catania: raggiunse la famiglia solo nel 1924 quando fu trasferito in seguito all'assorbimento delle società telefoniche da parte dello Stato. Ettore, dopo aver concluso il liceo in un istituto di gesuiti, si iscrisse all'università nella facoltà d'ingegneria. Non aveva finito il biennio quando passò a fisica dove vi rimase fino alla laurea".

UN "DIVO" DELLA SCIENZA
"Quando cominciarono i contatti con Enrico Fermi?", chiediamo.
"Cominciarono verso il '25-'26 tramite Corbino, un altro scienziato che stimava moltissimo Ettore. Mio cugino, nella facoltà  era considerato tra i più bravi, se non il più bravo in senso assoluto. Si racconta che un giorno, durante una lezione di algebra tenuta dal professor Amaldi*, al termine di un calcolo effettuato alla lavagna dallo stesso docente, Ettore si alzò e dimostrò che il procedimento  e i risultati erano completamente errati. Fu un episodio del quale si parlò  a lungo. Gli echi non si erano spenti neppure sei anni dopo quando in quella  facoltà andai io per i miei studi. Questo ed altri episodi avevano  fatto di Ettore Majorana un 'divo' nel campo scientifico e fu ciò, oltre naturalmente all'amicizia con Corbino, a consentirgli  di entrare nell'équipe di Fermi  che in quell'epoca operava a Roma nel campo della fisica atomica".

[* Si tratterebbe qui non certo di Edoardo Amaldi, quasi coetaneo di Ettore Majorana, bensì del padre del famoso fisico, Ugo Amaldi, in quel periodo in effetti docente di matematica a Roma. La materia Algebra però al tempo ancora non esisteva, circostanza questa che, insieme ad altri particolari, ci induce a ritenere di essere di fronte ad un lapsus memoriae. Il professore in questione era invece il celebre Francesco Severi, al quale è stato intitolato l'Istituto Nazionale di Alta Matematica a Roma, la materia Analisi Matematica (fino agli anni '60, matematici, fisici ed ingegneri seguivano le stesse lezioni per le materie comuni): l'episodio viene riportato più precisamente nel noto saggio del Prof. Erasmo Recami, pp. 53-54 della riedizione Di Renzo del 2000.]

"Torniamo al carattere di Ettore Majorana. Lei, all'inizio, ha parlato di delusioni professionali e di dispiaceri familiari che avrebbero lasciato un segno profondo su suo cugino. Ce ne vuole parlare?"
"Devo premettere", risponde l'onorevole Majorana  "che in quel periodo ci frequentavamo di rado. Tuttavia i rari incontri  che di solito avvenivano  in estate, quando lui veniva in Sicilia per  la villeggiatura, ed altri episodi che si verificarono in quegli anni, mi  consentirono di mettere a fuoco il carattere e le preoccupazioni di cui Ettore  era oggetto. Una cosa innanzi tutto ritengo abbia contribuito a gettare nello  sconforto mio cugino e cioè la tragedia che si abbatté sulla  nostra famiglia nel 1929. Mio padre, allora rettore della università  di Catania, e mia madre vennero imprigionati sotto l'assurda accusa  di essere mandanti di un omicidio, un nipotino di mia madre era morto tra  le fiamme nella sua culla. Non si sa perché ma probabilmente per motivi  politici o per rivalità tra famiglie, gli inquirenti si convinsero  che il bambino era stato soppresso: da qui l'accusa nei confronti dei  miei genitori. Fu una vicenda giudiziaria clamorosa che si protrasse per ben tre anni e che si concluse con il proscioglimento di papà e mamma.  Evidentemente questo episodio, parentesi amara nella gloriosa storia della  famiglia Majorana che dal 1850 ad oggi vanta ben cinque parlamentari, due  scienziati, accademici e professionisti insigni, ha notevolmente influito  sul carattere non certo forte di mio cugino. Il segno che Ettore, più  degli altri componenti della famiglia, abbia vissuto intensamente quel dramma,  è dato dalle lettere che egli scriveva quasi ogni giorno a mio padre  in carcere. Erano lettere di conforto, lettere nelle quali era costante l'invito  a resistere e ad avere fiducia nella giustizia.

IL COLPO DI GRAZIA
"Un altro  cruccio che io ritengo abbia afflitto mio cugino, anche se non sono in grado di poterlo affermare in maniera categorica, deriva dalle incomprensioni, dovute al suo carattere, che incontrò nel gruppo Fermi. Bisogna poi sottolineare il suo stato di salute che era andato peggiorando negli ultimi anni della sua vita. Ettore contrasse, durante il suo soggiorno in Danimarca dove si era recato per motivi di studio, una grave forma di dispepsia che lo aveva reso ancor più malinconico. I dolori viscerali gli impedivano spesso di lavorare, aumentando il suo stato di depressione. La malattia gli derivava soprattutto dal suo singolare sistema di vita: normalmente dormiva di giorno e lavorava di notte con un solo intervallo per una breve passeggiata. Dal 1936 alla sua scomparsa a Catania tornò soltanto poche volte e sempre per brevi periodi di riposo".
"Che cosa risulta a lei della scomparsa di suo cugino, oltre s'intende a quello che si sa ufficialmente?".
"Purtroppo, su questo argomento il mio contributo può essere molto relativo. Mi risulta, come del resto è noto, che Ettore era andato a Palermo per incontrarsi con Emilio Segrè. Del suo viaggio in Sicilia ci aveva informato per lettera scusandosi per il fatto che, dato l'esiguo tempo a sua disposizione, non avrebbe potuto fare un salto a Catania. Sui motivi della visita all'illustre scienziato non ci aveva detto nulla. L'incontro a Palermo non ci fu perché Segrè era fuori sede e mio cugino ripartì alla volta di Napoli. Durante il tragitto fu visto per l'ultima volta da un professore catanese il quale riferì alla polizia che Ettore dormiva nella sua cabina con il corpo rivolto alla parete. Poi la notizia della scomparsa. Si parlò subito di rapimento da parte di agenti di una potenza straniera tanto che il controspionaggio dell'epoca si diede da fare immediatamente. Noi all'ipotesi del rapimento non abbiamo mai voluto credere".
"Suicidio, quindi, ma non per i motivi esposti da Castellani nel lavoro televisivo?".
"Suicidio senz'altro. Quanto all'ipotesi fatta da Castellani, probabile anche quella, ma non certo la sola. Ettore giunse al suicidio per un insieme di motivi e soprattutto perché era convinto che "non vale la pena vivere". Io ritengo che la lettura delle opere di Pirandello sia stata per Ettore il colpo di grazia. Nella sua camera d'albergo a Napoli sono stati trovati soltanto libri dello scrittore agrigentino, oltre naturalmente alle sue inseparabili pubblicazioni scientifiche"

Giuseppe Randazzo


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