Un nuovo indizio
nel "caso Majorana"



Negli ultimi tempi sono stato in vari modi sollecitato ad occuparmi nuovamente   della scomparsa di Ettore Majorana, in particolare nel 2008, anno in cui  ricorreva il centenario del triste evento. Non ho avuto però voglia  di tornare su una questione che rimane ancora oggi delicata, pur avendo notato  nell'ultimo periodo di inattività pubblica al riguardo, dettagli che  in precedenza erano rimasti nascosti al mio personale "attrattore epistemico"
(vogliamo introdurre con tale espressione un concetto fondamentale per la teoria della conoscenza, ma forse proprio per questo non utilizzato così frequentemente come si dovrebbe; lo scrivente lo deve all'amico filosofo Rocco Vittorio Macrì, che lo ha illustrato nella sua tesi di laurea: Gli spazi dell'anima e i paradigmi della scienza, Università degli Studi di Perugia, A.A. 1996-97, cap. II, par. 5, pp. 44 e sgg).

Esco adesso dal riserbo perché mi sembra doveroso divulgare la sorprendente scoperta di un giovane interlocutore, il Dott. Guido Abate, cultore di Economia degli Intermediari Finanziari attualmente dottorando presso l'Università di Brescia (Dipartimento di Economia Aziendale), ma anche appassionato e acuto cultore di storia contemporanea (lo si ringrazia vivamente per la preziosa collaborazione ricevuta nel corso della stesura della presente nota). La accompagnerò a un breve riassunto e ad alcuni commenti di natura soprattutto "logica", rimandando il lettore desideroso di approfondimenti a quanto da me già pubblicato sull'argomento:

1 - La scomparsa di Ettore Majorana: un affare di stato?, Ed. Andromeda, Bologna, 1999; revisionato nel 2006, citato nel seguito come SEM

2 - "Leonardo Sciascia e il caso Majorana: siciliani scompaiono nel nulla, ma un'ipotesi tarda ad apparire...", Episteme - Physis e Sophia nel III millennio, Perugia, N. 5, 2002; citato nel seguito come LS

Citerò invece con la sigla ER l'indispensabile studio di Erasmo Recami, Il caso MAJORANA, riferendomi alla nuova edizione Di Renzo, Roma, 2000.

Umberto Bartocci, Perugia, febbraio 2010

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1 - UN BREVE RIEPILOGO DEI FATTI


5 agosto 1906 - E.M. nasce a Catania.


1929 - E.M. si laurea a Roma in Fisica Teorica sotto la direzione di Enrico Fermi.

1930 - Leo Szilard trova "l'energia per organizzare un gruppo di amici, quasi tutti giovani fisici, perché cominciassero a costituire una lega", "Der Bund - l'ordine, la confederazione o, più semplicemente, il gruppo", "un gruppo strettamente unito di persone con un legame interno pervaso da uno spirito religioso e scientifico" (da Richard Rhodes, L'invenzione della bomba atomica, tr. it., Rizzoli, Milano, 2005, pp. 20-21).

Novembre 1932 - E.M. consegue la libera docenza.

Gennaio 1933 - E.M. si reca con una borsa di studio a Lipsia, presso Werner Heisenberg (nel mese di marzo 1933 fa pure una visita a Copenaghen, da Niels Bohr). Da Lipsia, il 22 maggio del 1933, spedisce una lettera ad Emilio Segrè, dalla quale si deducono importanti divergenze ideologico-politiche prima che scientifiche.

Autunno 1933 - E.M. fa ritorno a Roma. Inizia il suo progressivo   distacco dal gruppo dei fisici di via Panisperna.

Primavera 1934 - "Scontro" tra Fermi e Majorana testimoniato  da  Oscar D'Agostino.

28 giugno 1934 - Leo Szilard brevetta in Inghilterra l'idea della reazione a catena. Nel 1936 la concede all'Ammiragliato Britannico perché possa assicurarne la segretezza ( GB patent 630726).

1935 - Emilio Segrè vince un concorso a cattedra presso l'Università di Palermo, e si trasferisce nella città siciliana.

1937 - E.M. partecipa ad un concorso di Fisica Teorica, ma la sua domanda viene stralciata subito dalla relativa Commissione (25 ottobre 1937), la quale ne propone invece la nomina a professore per chiara fama. La proposta viene accettata dal Ministero, che nomina E.M. Ordinario di Fisica Teorica a Napoli con decorrenza 16 novembre 1937. In una lettera all'amico Giovannino Gentile del 21 novembre, E.M. commenta ironicamente la vicenda: "se al prossimo conclave mi fanno papa per meriti eccezionali, accetto senz'altro".

Gennaio 1938 - Prima di recarsi a Napoli, E.M. si reca a trovare Fermi all'Istituto di Fisica di Roma, come testimoniato da Giuseppe Cocconi (ER, pp. 219-220): "Gli fui presentato e scambiammo poche parole. Una faccia scura. E fu tutto lì".

12 gennaio 1938 - Majorana accetta ufficialmente la cattedra di Fisica Teorica presso l'Università di Napoli, e già il giorno dopo tiene la lezione inaugurale, alla presenza della famiglia.

23 febbraio 1938 - In una lettera alla madre (ER, p. 202), E.M. informa di aver preso alloggio presso l'albergo Bologna, dove fisserà poco dopo anche la propria residenza (lettera al fratello Salvatore del 19 marzo 1938 - ER, p. 203). Aggiunge che gli daranno presto una stanza migliore affacciata direttamente sulla Via Depretis, che gli avrebbe permesso di "vedere fra tre mesi il passaggio di Hitler".

Venerdì, 25 marzo 1938 - E.M. scrive una lettera al proprio Direttore dell'Istituto di Fisica Sperimentale di Napoli, Antonio Carrelli, informandolo di aver preso "una decisione che era ormai inevitabile" (citata nel seguito come A). Lascia nella sua camera d'albergo un biglietto "alla mia famiglia" (citato nel seguito come B), dove vengono manifestate chiare intenzioni suicide: "Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero". Si reca in banca, ritira tutti gli stipendi che non aveva mai riscosso in precedenza (Majorana era una persona più che benestante), e si imbarca la sera dello stesso giorno sul postale per Palermo, probabilmente con il passaporto di cui era sicuramente in possesso, ma che non viene in seguito rinvenuto nella sua stanza d'albergo.

Sabato, 26 marzo 1938 - E.M. prende alloggio a Palermo presso il Grand Hotel Sole. In mattinata spedisce un telegramma al suo albergo di Napoli, chiedendo di lasciargli a disposizione la stanza (citato nel seguito come C - se ne fa cenno in un appunto su carta intestata del Consiglio di Stato del 31 marzo 1938 - ER, p. 13). Un altro telegramma viene inviato a Carrelli (citato nel seguito come D), per annullare quanto scritto nella lettera del giorno prima ("Non allarmarti. Segue lettera" - ER, p. 14). Spedisce quindi, ancora a Carrelli, un espresso (citato nel seguito come E) contenente maggiori chiarimenti: "ritornerò domani all'albergo Bologna viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunciare all'insegnamento". Carrelli affermerà (ER, p. 14) di avere ricevuto il telegramma alle ore 11 di sabato, che esso gli era ovviamente risultato "incomprensibile", e di averne compreso il significato soltanto quando ricevette qualche ora dopo, precisamente alle ore 14 della stessa giornata, la lettera inviatagli da E.M. il giorno prima da Napoli. La domenica mattina ricevette infine l'espresso da Palermo, "in cui mi diceva che le brutte idee erano scomparse e che subito sarebbe ritornato". Di E.M. non si hanno da allora più notizie.

Luglio 1938 - Emilio Segrè si reca negli Stati Uniti (la famiglia lo raggiunge l'anno successivo), dove rimane per tutta la durata del conflitto mondiale. A New York, prima di iniziare il lungo viaggio per treno che lo porterà a Berkeley, incontra alla stazione Szilard (da Emilio Segrè, Autobiografia di un fisico, Il Mulino, Bologna, 1995, p. 177).

Dicembre 1938 - Enrico Fermi si reca con la famiglia negli Stati Uniti, dove rimane per tutta la durata del conflitto mondiale, assumendo a pretesto il conferimento del premio Nobel a Stoccolma. Già nel mese di gennaio del 1939 incontra il Segretario della Marina degli Stati Uniti, Ammiraglio Stanford C. Hooper, e lo convince ad indire un seminario, davanti ad alti ufficiali del Servizio Armamenti della Marina e dell’Esercito, oltre che ad alcuni scienziati che prestavano servizio nel laboratori di ricerca della U.S. Navy, per spiegare che si stavano preparando nuovi esperimenti che avrebbero confermato la fattibilità della reazione a catena (da "Fecia di Cossato", intervento sul sito "scaduto" di cui si dirà nel paragrafo 3).

Luglio 1939 - Edoardo Amaldi si reca negli Stati Uniti, ma al  momento  della dichiarazione ufficiale dello stato di guerra (3 settembre  1939) fa ritorno in Italia perché raggiunto dalla notizia che la Questura  di  Roma impedisce che la sua famiglia possa raggiungerlo.

Luglio 1939 - Leo Szilard ed Eugen Wigner convincono Albert Einstein a scrivere una lettera al Presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt, per segnalargli la possibilità di applicazioni militari dell'energia nucleare, e il rischio che la Germania possa realizzarle per prima.

Estate 1939 - Pure Franco Rasetti lascia l'Italia, ma per recarsi in Canada. Abbandona successivamente non solo il gruppo di via Panisperna, ma anche gli studi di fisica, e si dedica da allora in avanti a quelli di scienze naturali (geologia e paleontologia).

Agosto 1940 - Bruno Pontecorvo, che si trovava già all'estero  dal 1936, si reca negli Stati Uniti (ultimo dei "ragazzi di via Panisperna" a farlo), dove rimane per tutta la durata del conflitto mondiale (nel 1950 operò il noto radicale cambiamento di campo, fuggendo con tutta la famiglia al di là della "cortina di ferro").

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2 - VARIE IPOTESI SULLA SCOMPARSA

Come abbiamo sottolineato in SEM, in un caso di scomparsa sono 4 le ipotesi principali che debbono essere analizzate: quelle conclusesi con la morte del protagonista (I - suicidio, II - omicidio), e quelle conclusesi senza la morte del protagonista (III - fuga, IV - rapimento).
In un'investigazione che si rispetti, a ciascuna di esse dovrebbe essere dedicata la doverosa attenzione, onde valutarne il grado di probabilità sulla base degli elementi fattuali, logici e psicologici a disposizione.
Nel presente contesto, invece, le ipotesi formulate sulla scomparsa del fisico siciliano si sono usualmente concentrate su due sole delle menzionate categorie, la I e la III, entrambe contemplanti dunque la completa volontarietà di E.M. in ciò che accadde quel lontano mese di marzo del 1938.
La II e la IV implicherebbero invece una involontarietà (sia pure solo parziale) del protagonista nei confronti della propria sorte, e costringerebbero i numerosi intelletti pigri che si sono finora occupati della questione a cercare di intuire quale altra volontà possa essere intervenuta nella vicenda (per non parlare di quelli semplicemente accomodanti allo spirito del tempo - dopo tutto, c'è stata una "parte vincitrice" che ha assunto un potere quasi assoluto, e con essa bisogna fare i conti - oppure decisamente in cattiva fede).

Un esempio di "analisi pigra" si trova per esempio nella presentazione del libro di Paolo Cortesi (Ettore Majorana, Foschi Editore, 2007):

"Il 26 marzo 1938 Ettore Majorana, 32 anni, professore di Fisica Teorica all'Università di Napoli, scompare misteriosamente senza lasciare traccia di sé. Geniale scienziato, professore universitario a cui si apriva una brillante carriera accademica, improvvisamente sparì nel nulla. Si suicidò? Decise di abbandonare tutto e dileguarsi? Venne rapito?"

L'autore, che vedremo presto responsabile di altre superficialità, era stato del resto preceduto da una persona alquanto vicina al povero Ettore. Si tratta di uno dei fisici del gruppo di Fermi, il Prof. Edoardo Amaldi, il quale pure agì in modo da orientare cripticamente le ipotesi sulla scomparsa di Majorana soltanto in certe direzioni:

"Quest'estate ... 'La Stampa' di Torino pubblicò un manipolo di 'rivelazioni' sulla scomparsa di Majorana ... [che] non giovavano a risolvere il 'mistero' Majorana, (se cioè si fosse veramente suicidato o se invece, tentato il suicidio, si fosse rinchiuso in un convento senza più dar notizie)".

[Il riferimento è ai 7 articoli di Leonardo Sciascia apparsi su La Stampa tra il 31 agosto e il 7 settembre 1975, presentati come un "giallo filosofico", successivamente confluiti nella pubblicazione del volume La scomparsa di Majorana, Einaudi, Torino, 1975. Amaldi, offeso da qualcuna delle opinioni espresse da Sciascia, replicò su L'Espresso del 5 ottobre 1975.]

Ad Amaldi dobbiamo comunque l'esplicita testimonianza che: "L'ipotesi che trovò più credito tra gli amici fu che egli si fosse buttato in mare" (Giornale di Fisica, vol. 9, Bologna, 1968, lavoro che menzioneremo anche più avanti).

La prima ipotesi molto accreditata (anche tra alcuni dei membri della famiglia di Ettore, come la sorella Maria) fu dunque il suicidio. Che fosse questa l'interpretazione prevalente presso i suoi colleghi è indirettamente confermato da due altri particolari.
Nonostante molti asseriscano il contrario (per esempio, cade in tale errore il Giancarlo Meloni di cui parleremo nel prossimo paragrafo: "Enrico Fermi aveva interessato immediatamente il governo"), Fermi non fece proprio nulla a favore delle ricerche dello scomparso, che soprattutto la madre Dorina alimentava invece incessantemente. La famosa lettera a Mussolini, dove Fermi si dichiarava "sicuro di interpretare il sentimento unanime degli studiosi nell'esprimere il voto che le ricerche abbiano presto a condurre al ritrovamento del Majorana e permettano di restituirlo all'affetto della famiglia e alla sua grande attività" è solamente del 27 luglio 1938, e fu redatta unicamente per rispondere alle sollecitazioni della donna, che si era pure rivolta personalmente a Mussolini.
Uno degli allievi di Franco Rasetti (il braccio destro di Fermi), il Prof. Sergio Martellucci, ricorda che [Amaldi e Persico] "ritenevano che fosse caduto in una fortissima depressione dopo aver vinto una cattedra a Napoli, e questo stava alla base del suicidio nel viaggio per mare da Napoli a Palermo, dove risiedeva la sua famiglia" (Valeria Del Gamba, Il ragazzo di via Panisperna - L'avventurosa vita del fisico Franco Rasetti , Bollati Boringhieri, Torino, 2007, pp. 136-137). Si notino ben due errori contenuti in queste poche righe. Majorana non si suicidò certamente nel viaggio da Napoli a Palermo, perché abbiamo prove certe della sua presenza nel capoluogo siciliano il giorno successivo. Inoltre, la famiglia di Majorana non risiedeva affatto a Palermo, si confonde qui con Catania.

Accennato così all'ipotesi del suicidio, veniamo a quella di una fuga volontaria di Majorana, dissimulata (maldestramente, visto che ritirò i detti stipendi, e partì con il passaporto) da un'intenzione suicida (e ci sarebbe da chiedersi perché: chi va a comprare le sigarette e non torna più a casa, non lascia di solito alle spalle bigliettini d'addio al mondo, anche perché sarebbe incompatibili con il fatto che non si trova nessun cadavere).

[Ancora Enrico Fermi ebbe a dire: "Con la sua intelligenza, una volta che avesse deciso di scomparire o di far scomparire il suo cadavere, Majorana ci sarebbe certo riuscito" (da una testimonianza di Edoardo Amaldi, ER, p. 218), e il lettore avrà già compreso come, secondo lo scrivente, tali affermazioni potrebbero essere accolte sotto tutt'altra luce.]

Detto che quella di una fuga volontaria di E.M. fu un'ipotesi pure largamente diffusa al tempo (anche tra alcuni dei familiari di Majorana, come il fratello Luciano - ER, p. 18; secondo il capo della polizia Arturo Bocchini: "I morti si trovano, sono i vivi che possono scomparire", citato nel menzionato saggio di Sciascia, p. 13), enunciamo qui di seguito le sue varianti più significative.

Secondo Sciascia, Majorana si ritirò in un convento.
[Va detto a tale proposito però che Susanna Bisi, in: Sciascia e Majorana: sulle tracce dell'altro - Spunti saviniani ne La scomparsa di Majorana di Leonardo Sciascia (Tesi di dottorato in Italianistica, Roma Tor Vergata, 2009), suggerisce che il libro di Sciascia possieda una chiave di lettura nascosta, dalla quale emergerebbe una sua diversa opinione sulla vicenda. Ciò sarebbe in armonia con quanto osservato dallo scrivente a proposito della analoga scomparsa di uno dei più noti personaggi di Sciascia, il Prof. Laurana, si veda quanto se ne dice in LS, oltre che in SEM.]

Secondo Recami, Majorana fuggì in Argentina, dove ne sarebbero state rinvenute alcune tracce.

Ricordate anche, ma per definirle subito ridicole, le ipotesi dell'"uomo cane", o di un Majorana ritiratosi tra i pastori del Cilento (sorvoliamo del tutto su "follie", quali quelle che collegano Majorana al cronovisore di Padre Pellegrino Alfredo Maria Ernetti!), descriviamo da ultima quella che abbiamo battezzato l'"Ipotesi Klingsor" in LS (si veda la nota 19, dove si spiega anche perché lo scrivente l'ha presa in considerazione; va aggiunto che tale eventualità era stata peraltro analizzata anche in SEM, sebbene non con tale nome). L'ipotesi di un E.M. che di nascosto si reca in Germania onde compiervi studi con finalità militari in vista dell'imminente conflitto mondiale, è stata ampiamente illustrata da Arcangelo Papi in "Il caso Majorana - «L'ipotesi Klingsor»", Episteme - Physis e Sophia nel III millennio, Perugia, N. 6, Parte I, 2002 .

Poiché non l'abbiamo mai fatto in precedenza, approfittiamo dell'occasione per spiegare perché essa non ci appare credibile. Concordiamo infatti con l'opinione espressa dal già citato Paolo Cortesi (p. 98):

"Non si capisce, però, per quale motivo sarebbe stato necessario mettere in piedi tutta questa storia. Majorana poteva tranquillamente andarsene in Germania, come aveva già fatto, e lì lavorare senza dover far credere d'essere morto, ma scambiando lettere con la famiglia e visitandola alle feste comandate. A meno che non si voglia sostenere che Majorana si vergognava di questo suo schieramento, ma l'osservazione è francamente risibile dal punto di vista storiografico come da quello umano".

Sono d'accordo, l'infamia riversata a piene mani sulla Germania è solo un frutto della sconfitta militare del 1945, peccato però che il Cortesi, pur non citando nessuno dei miei lavori sul caso in bibliografia, attribuisca proprio a me tale ipotesi, mescolando comunque rapimento e fuga volontaria (pp. 98-99)!

"Abbiamo visto che, già poche settimane dopo la scomparsa, si parlava di un possibile rapimento. Majorana, in sostanza, sarebbe stato costretto ad inscenare il suo suicidio, mentre sarebbe stato portato lontano, all'estero, per condurre studi che sarebbero stati utilizzati per scopi militari. E' l'ipotesi ventilata da Umberto Bartocci, con la variante - però - che Majorana avrebbe volontariamente lasciato l'Italia (fingendo il suicidio) per recarsi in Germania e collaborare alle ricerche che avrebbero dovuto realizzare la bomba atomica nazista".

[Notiamo che inscenare un suicidio va bene, ma poi perché smentirlo subito dopo? Aggiungiamo che non è questo l'unico punto in cui il menzionato autore, che ci sembra avrebbe dovuto studiare il caso meno frettolosamente prima di scriverne, si rivela alquanto superficiale. A p. 121 si occupa infatti del libro di Valerio Tonini (si veda l'intero Cap. V di SEM, intitolato "Majorana 'segreto'"), per asserire che esso non sarebbe altro che "una finzione saggistica, che amplia ed elabora liberamente spunti tratti da passaggi degli scritti di Majorana". Rinviato al nostro saggio per quanto concerne la pretesa "finzione", saremmo curiosi di conoscere da quali dei pochissimi scritti di E.M. (peraltro esclusivamente scientifici) Tonini avrebbe tratto ispirazione. Per esempio, non sappiamo di alcuna esplicita riserva espressa dallo scomparso nei confronti di Albert Einstein e della teoria della relatività. Per contro, ci sono invece nel libro di Tonini vari echi della biografia di E.M. scritta da Edoardo Amaldi nel 1961 ( La vita e l'opera di Ettore Majorana, Roma, Accademia dei Lincei, 1966; riprodotta con qualche modifica in: "Ricordo di Ettore Majorana", Giornale di Fisica, vol. 9, 1968, opera già sopra menzionata).]

Recami propone la medesima critica con le seguenti parole (ER, p. 100):

"al termine della guerra ce ne sarebbero giunte dai colleghi fisici precise testimonianze [...] in un caso del genere, Ettore ne avrebbe potuto parlare con la famiglia, senza bisogno di architettare le sofferte contraddizioni delle sue ultime lettere".

Il primo argomento in particolare, che fa sostenere a Recami di trovarsi di fronte a un'ipotesi assurda, ci appare decisivo.

Con ciò il presente paragrafo si può ritenere concluso, dal momento che non ci risultano altre autorevoli ipotesi sulla scomparsa di Majorana da riferire, tranne ovviamente quella - formidabile e realistica, ma mai divenuta finora "autorevole" - di cui ci occuperemo d'ora in avanti.

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3 - LA CONCLUSIONE PIÙ VEROSIMILE SECONDO LOGICA (E PSICOLOGIA)

Abbiamo visto nel precedente paragrafo che le ipotesi più diffuse sulla scomparsa di E.M. si limitano alle due categorie "volontarie" I e III, che riteniamo al contrario entrambe piuttosto improbabili per le ragioni psicologiche esposte in SEM. Riteniamo pure altrettanto improbabile la categoria IV di cui non parla (giustamente) quasi nessuno.

[Va ricordato però nel presente contesto almeno il racconto "Visioni di una tragedia", contenuto in Falsi movimenti - Racconti di eventi probabili, di Andrea Frezza, Ed. Biblioteca del Vascello, Roma, 1993. La fantasticheria relativa a un sommergibile in cui E.M. si sarebbe imbarcato, volontariamente o involontariamente, si ritrova anche in altre poco convincenti "soluzioni" del caso reperibili in rete.]

Un rapimento, perché? Certamente non "privato", a fini di riscatto, mentre poco verosimile appare anche il rapimento di E.M. in quanto scienziato da parte di una potenza straniera (uno scienziato lavora difficilmente a comando, tanto più su qualcosa che deve ancora essere fatta). Non è chiaro inoltre per esempio perché rapire proprio lui e non altri che sarebbero stati forse da considerare più utili per determinate finalità.

Non altrettanto inverosimile appare invece la categoria II, anzi, essa ci appare addirittura l'unica degna di approfondimento. Confessiamo il nostro assoluto sbalordimento di fronte alla circostanza che nessuno, almeno apparentemente o per quanto se ne sa, abbia mai valutato come si conviene la possibilità che E.M. sia stato ucciso. Soprattutto la polizia non avrebbe dovuto escludere tale eventualità (per di più di fronte alla coincidenza che a Palermo erano presenti ben due dei fisici che avevano studiato con Fermi, e che quando una persona scompare a Palermo vengono a tutti in mente certe cose), svolgendo di conseguenza le appropriate indagini, ma di queste non si è mai sentito parlare. In fondo, E.M. avrebbe potuto essere rimasto vittima di un'aggressione a scopo di rapina, dal momento che era ben fornito di denaro (in ER, p. 21, la somma in possesso di E.M. viene valutata dalle 10 alle 15mila lire), ma è chiaro secondo noi che l'assordante silenzio in merito alla possibilità di un omicidio ha ben altre ragioni, in quanto va a coinvolgere inevitabilmente dei "livelli alti", intoccabili sia pure con un semplice sospetto.

Prima di discutere un poco logicamente l'ipotesi di un omicidio maturato per ragioni politico-scientifiche in ambienti facilmente individuabili, ci fa piacere poter annoverare almeno due suoi recenti sostenitori.

Una persona attiva in rete con il nick "Fecia di Cossato" (che non ha mai risposto ai nostri tentativi di contatto) ha scritto, sicuramente prima del dicembre del 2007, in una pagina web che ci risulta attualmente irreperibile (si trovava in http://www.politicaonline.net/, un sito "scaduto"):

"Quello che invece farò è rievocare un episodio della Storia (più che mai in casi come questi Magistra vitae ...) accaduto in tempi lontanissimi e tuttavia assai istruttivo per farci in qualche modo 'intuire' il motivo della scomparsa di Ettore Maiorana. [...] Tra le 'vittime' del saccheggio cui venne sottoposta la città [Siracusa, 212 A.C., nel corso della II guerra punica.] vi fu il fisico e filosofo Archimede, scienziato e matematico dei più grandi dell'antichità. La 'versione ufficiale' della morte di Archimede divulgata allora ne attribuì la responsabilità all'iniziativa sconsiderata di un soldato romano di fronte al rifiuto da parte di Archimede, del quale ignorava l'identità, a lasciarsi prendere prigioniero. Tale 'versione' sarà però smentita oltre centosessanta anni dopo da Cicerone, il quale lascerà chiaramente intendere che quel soldato in realtà aveva ucciso Archimede dietro preciso ordine del console Marcello. Il motivo di quest'ordine doveva essere ricercato in quanto era accaduto nel corso della prima guerra punica, allorché Roma non era riuscita a piegare la resistenza di Siracusa e questo aveva costretto il console Valerio Messalla a concludere un trattato di pace con il tiranno di Sicilia Gerone II [263 a.C.]. Lo storico romano Tito Livio riporta che, nel corso dell'assedio di Siracusa avvenuto in quel contesto, contro le navi romane erano state impiegate nuovi tipi di armi [Livio le definì speculum e manus ferrea …] che si erano rivelate di efficacia devastante. Particolarmente letale si rivelò lo 'specchio ustorio', il quale era in grado, concentrando la luce solare, di incendiare una nave nemica restando ben al di fuori della portata offensiva di questa. [...] Anche se Tito Livio non lo riferisce esplicitamente, si deve presumere che l'apparato di intelligence di Roma si sia messo in quella circostanza febbrilmente al lavoro per acquisire le informazioni da cui dipendeva il futuro stesso della Repubblica. Si venne così a sapere che la nuova arma era stata realizzata da un matematico di nome Archimede, il quale aveva fatto parte in precedenza della scuola di Alessandria ed era stato anche allievo di Euclide. In particolare lo specchio ustorio era stato realizzato prendendo a modello l'ottica del Faro di Alessandria, autentico gioiello tecnologico passato poi alla storia come 'una delle sette meraviglie del mondo'. Come esplicitamente lascerà intendere poi Cicerone, non occorre gran dose di ingegno per comprendere a questo punto i motivi per i quali non solo Archimede venne eliminato".

A "Fecia di Cossato" si è aggiunto ancora più recentemente Giancarlo Meloni, con un articolo intitolato "La storia di Ettore Majorana. Lo scienziato eliminato perché sapeva troppo", pubblicato sul quotidiano Libero del 2 dicembre 2008, p. 34. In esso si propone una ricostruzione della vicenda assai simile a quella da noi descritta in SEM (sebbene con alcune varianti, la più rilevante delle quali che secondo Meloni E.M. fece ritorno a Napoli da Palermo, mentre secondo noi tale viaggio non avvenne mai - parere espresso anche da Sciascia: "Ma noi abbiamo qualche dubbio: e non nell'ipotesi che si sia gettato in mare nel viaggio di ritorno, ma nell'ipotesi che non sia salito sul piroscafo la sera del 26, a Palermo", op. cit., p. 59), ed oggi ulteriormente avvalorata dalla scoperta che illustreremo nel prossimo paragrafo.

Ciò premesso, veniamo finalmente alla nostra "logica". Prendiamo in considerazione i 5 messaggi scritti da E.M., gli ultimi in cui abbiamo notizie di lui, che abbiamo indicato con le lettere maiuscole da A fino ad E, e dividiamoli in due gruppi: A, B, quelli del giorno 25, e C, D, E, quelli del giorno 26. La domanda che poniamo è la seguente: i messaggi del primo gruppo corrispondono autenticamente alle intenzioni e ai sentimenti di E.M., oppure no? Ci sembra evidente che la risposta debba essere no, per i motivi già accennati, ma agli "ingenui" che rispondono di sì, e credono dunque davvero a propositi suicidi di E.M. in quel fatidico venerdì, facciamo notare che, per coerenza, dovrebbero allora rispondere di sì anche all'analoga domanda concernente i messaggi del secondo gruppo. Orbene, in essi E.M. annuncia chiaramente che ha rinunciato ai propositi suicidi del giorno prima, che farà ritorno a Napoli e che lascerà l'insegnamento (e, sembra potersi estrapolare, lo stesso studio della fisica), eventi che non si sono verificati perché di lui non si sono più avute notizie. Ergo, i nostri "ingenui" sono costretti, per forza di pura logica, ad ammettere che qualcosa è intervenuto a modificare i piani di E.M., e quindi che egli è morto. Appare ridicolo ipotizzare un tentativo di suicidio tanto elaborato ma incerto: prima sì, sebbene senza fretta, rimandando il tutto alla sera, e chissà perché imbarcandosi su una nave diretta proprio a Palermo (è soprattutto un possibile significato di quest'ultima "gita" che sfugge a coloro che rifiutano l'eventualità di un omicidio). Poi ci ripensa e annuncia che no, poi decide di nuovo per il sì (per coloro che credono a un suicidio messo in atto durante il viaggio di ritorno), oppure di fuggire chissà dove a rifarsi una nuova vita, lasciando in una perenne angoscia la madre, i fratelli e la sorella.

E' assai più ragionevole invece rispondere di no alla nostra prima domanda, e procedere quindi con la supposizione che E.M. sia stato spaventato da qualcosa, e che stia cercando di porvi rimedio. Un evento recente, perché non c'è traccia di turbamento nelle sue comunicazioni dei giorni precedenti, fino a quella già menzionata al fratello Salvatore del giorno 19, dove informava tra l'altro che sarebbe tornato sicuramente a Roma il sabato successivo (tutto il comportamento di E.M. appare in generale affrettato e poco lucido, compreso il noto episodio dell'inusuale visita in Istituto la mattina del venerdì 25, in un giorno in cui non aveva lezione, e della consegna di una "cartelletta" di appunti a una sua studentessa di cui era forse un po' innamorato, la Sig.na Gilda Senatore, appunti sui quali si è in seguito alla sua scomparsa tanto fantasticato). Simula pertanto propositi suicidi, ma si reca a Palermo in modo pienamente consapevole per qualche motivo da scoprire (altrimenti, avrebbe potuto suicidarsi gettandosi in mare prima, e da qualsiasi altra imbarcazione), con l'idea di fuggire successivamente se il viaggio fosse risultato infruttuoso (ci sarebbe stato poi il tempo per avvertire segretamente la famiglia che non era affatto deceduto). A Palermo, però, il sabato 26 avviene qualcosa che gli fa cambiare idea, e in un certo senso lo rassicura (una conversazione, un incontro, con chi?). Qualcosa che gli fa abbandonare il progetto di un auto-esilio in qualche luogo lontano, lasciando credere ufficialmente che fosse morto (è ovvio però che nessuna delle persone di cui temeva avrebbe creduto a una tale morte, e che Majorana lo sapeva benissimo!), ma non quello di lasciare per sempre l'ambiente della fisica. Alla nostra seconda domanda rispondiamo quindi senza esitazioni di sì: le comunicazioni C, D, E, corrispondono autenticamente alle intenzioni di Majorana il giorno 26, il ritorno a Napoli (indi di seguito, c'è da credere, a Roma) e l'abbandono la fisica, decisione questa che avrebbe dovuto tranquillizzare coloro ai quali la stava comunicando attraverso Carrelli (su tale punto si veda anche quanto se ne dirà tra breve).

LUNGA NOTA - Se si risponde di sì ad entrambe le domande, e ci si attesta per spiegare il caso sulle categorie I e III, si rischia di finire in quella che senza esitazioni riteniamo l'ipotesi più ... insensata suggerita per spiegare il caso (ma che forse proprio per questo ha ricevuto una certa attenzione: per esempio è stata esposta in italiano in un articolo apparso sulla rivista Newton nel novembre del 2006). Infatti, se si pensa a un nuovo tentativo di depistaggio, in una successione davvero perversa (prima annuncio che mi suicido, poi lo nego, comunque mi ammazzo o sparisco), si va a concordare con quel fisico ucraino, Olaf Zaslavskii, secondo cui E.M. avrebbe giocato (crudelmente) con i suoi interlocutori (familiari compresi) ... al gatto di Schroedinger, mezzo vivo e mezzo morto, secondo una ridicola ma diffusa interpretazione della meccanica quantistica!

"Majorana ha fatto perdere le proprie tracce creando un gioco perverso di prove e controprove, di affermazioni e negazioni che non può essere risolto con la logica elementare. Chiunque abbia provato a districare il giallo si è perso nella serie di indizi ambigui e contraddittori seminati volontariamente. Riguardando il quadro da un nuovo punto di vista, però, Zaslavskii ha scoperto che tutto ha un senso: Majorana ha trasformato la sua scomparsa in una rappresentazione macroscopica del sorprendente mondo della meccanica quantistica, il suo campo di ricerca. Un mondo dove l'osservazione determina la realtà fisica delle cose, dove tutto si trasforma in continuazione. dove le particelle elementari possono contemporaneamente essere e non essere. Dopo la sua scomparsa, aggiunge lo scienziato ucraino, Majorana non è più né vivo, né morto".
( http://diamante.uniroma3.it/hipparcos/majoranalink.htm )

Osserviamo solo che, se fosse corretto quello che Valerio Tonini (citato in precedenza) scrive di E.M., questi (come peraltro Fermi) non era certo persona incline ad interpretazioni irrazionalistiche della fisica, anzi, né nei suoi lavori scientifici appare nessuna traccia di ciò.

Tornando al nostro discorso, la conclusione di tutto il ragionamento non può essere che una sola: E.M. contava di ritornare a una vita comunque "normale", ciò non è accaduto, quindi gli eventi che hanno chiuso il caso sono avvenuti contro la sua volontà. Escluso il rapimento, rimane purtroppo percorribile unicamente la pista dell'omicidio.

Abbiamo già accennato alla circostanza che una tale conclusione non piace agli intelletti pigri, perché debbono cominciare a cercare una risposta alle domande di prammatica: chi? come? perché? Lasciamo all'intelligenza del lettore, e a quanto già scritto sull'argomento, l'intuire possibili risposte, limitandoci a sottolineare che forse, più che l'eventuale timore ispirato dal pensiero di un Majorana il quale avrebbe potuto portare la propria competenza scientifica in campo avverso, giocò il fatto che occorreva eliminare un personaggio che aveva troppo compreso di certi piani di fuga, queste sì fughe vere...

Ci piace dedicare le ultime osservazioni del presente paragrafo a qualche altro particolare che abbiamo visto sempre trascurato.

Prima di tutto, perché tante lettere a Carrelli (ben tre,  contro una ai familiari), in siffatti momenti comunque drammatici? Si trattava  di una persona che, se non di età molto più avanzata del giovane  Ettore (Carrelli era nato nel 1900), si trovava comunque rispetto a lui su  un gradino superiore della scala gerarchica, e non è facilmente  pensabile  che un'amicizia profonda (per esempio come quella con Giovannino  Gentile)  possa essere nata nei pochi mesi del soggiorno di Majorana nella  bella città  partenopea (in una lettera a Gentile del 21 novembre 1937, ER p. 194, E.M.  parla di semplici rapporti epistolari con Carrelli, e tale circostanza è  ribadita in una lettera alla madre dell'11 gennaio 1938, ER p. 196, dove descrive il primo amichevole incontro con il Direttore, e accenna pure allo stato mediocre in cui si trovava l'Istituto di Napoli, circostanza che non era del resto ardua da supporre). Si osservi poi che la lettera A, così  come il telegramma D, possono ben essere stati inviati a Carrelli presso l'Istituto di Napoli, il quale li avrebbe ricevuti entrambi mentre si trovava al lavoro (pur essendo di sabato; si noti anche che a quei tempi le Poste funzionavano perfettamente). Ma l'espresso E? Carrelli lo lesse la domenica mattina, secondo le sue stesse dichiarazioni, quindi esso doveva recare l'indirizzo privato del Direttore. Come si poteva permettere Majorana di disturbare una persona a lui in fondo poco vicina in maniera tanto insistente, e perfino mentre si trovava in famiglia, durante il pranzo della domenica? (anche se erano scritti e non telefonate, il loro contenuto comunque drammatico, sebbene criptico, non avrebbe potuto non turbare l'interlocutore). Data la nostra ipotesi, è lecito immaginare che i messaggi a Carrelli fossero necessari in quanto tramite lui arrivassero ad altri, il fisico napoletano era per esempio buon amico di Fermi (tra l'altro, aveva partecipato anche lui ai lavori della Commissione  del concorso del 1937 di cui si è data dianzi qualche notizia). Secondo  Amaldi (nel "Ricordo..." citato nel paragrafo precedente), infatti: "Carrelli,  sconvolto da tale lettura, chiamò subito al telefono Fermi il quale  a Roma si mise in contatto con il fratello Luciano".

E poi, perché l'asimmetria di tre messaggi a un quasi sconosciuto, e uno solo alla propria famiglia (l'unico peraltro in cui l'intenzione suicida era espressa più apertamente)? Ma perché E.M. il giorno 26 intendeva davvero tornare a Napoli quanto prima, e il telegramma C all'albergo aveva lo scopo precipuo di far conservare la sua camera nelle condizioni in cui l'aveva abbandonata, recarvisi e quindi cestinare personalmente il biglietto alla famiglia che aveva lasciato lì, senza averlo spedito, non c'era bisogno di nessuna lettera di rettifica!

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4 - LA NUOVA SCOPERTA

Veniamo finalmente all'unica vera novità contenuta in questo aggiornamento del caso. Nella vicenda di cui ci stiamo occupando appare di sfuggita un personaggio rimasto finora sempre misterioso. Ne parla Vittorio Strazzeri, professore di Geometria presso l'Università di Palermo, in una lettera spedita da Palermo a Salvatore Majorana il 31 maggio 1938, in risposta alle ricerche che la famiglia stava portando avanti intensamente nelle settimane successive alla scomparsa del congiunto. In particolare, si cercava di stabilire se Ettore avesse mai effettuato il viaggio di ritorno da Palermo a Napoli, e se la sera del sabato 26 o quella della domenica 27. La compagnia Tirrenia, che gestiva il "Città di Palermo" su cui si imbarcò E.M. la sera del giorno 25, dapprima non trovò nulla (secondo l'appunto citato nel primo paragrafo, ER p. 13: "La famiglia ha fatto ansiose ricerche: è risultato che nessuna persona del suo nome abbia preso il piroscafo Napoli-Palermo e Palermo-Napoli"), poi produsse addirittura due biglietti a nome Majorana, dei giorni 25 e 27 marzo, aggiungendo che, a quel che risultava, la notte tra la domenica e il lunedì, altri due uomini avrebbero diviso la cabina con lui.

Riportiamo qui di seguito tale lettera integralmente (ER, p. 16, corsivi e altro nella fonte citata), perché finora non l'abbiamo mai fatto in precedenti circostanze, reputandola un elemento di importanza minore nelle indagini sul caso.

"Carissimo Signor Majorana,
È mia assoluta convinzione che, se la persona che ha viaggiato con me era suo fratello, egli non si è soppresso, almeno fino all'arrivo a Napoli. Poiché, quando mi sono levato [dal letto], eravamo davanti al porto di Napoli, e molti passeggeri erano sulla tolda del piroscafo, essendo già giorno chiarissimo. Ripeto che io in cabina non ho visto bagagli, ma ciò che mi ha dato nell'occhio è stato che forse il gilet o la giacca (insomma, qualche indumento) era stato deposto sulla rete che sovrasta ogni letto; ciò mi ha dato nell'occhio perché la mia più grande preoccupazione viaggiando è di salvare il portafogli e il passaporto. Non metto in dubbio che il terzo viaggiatore si chiamasse Carlo Price, ma debbo in proposito assicurarla che parlava italiano come noi, gente del Sud, ed inoltre che mi è sembrato dovesse essere qualche negoziante o giù di li, insomma una persona senza quella raffinatezza inconscia di modi che procede dalla cultura... Torno a ripetere: se il giovane che ha viaggiato con me era suo Fratello (dico giovane perché aveva i capelli al completo e perché ho riportato quell'impressione), egli non si è soppresso sicuramente fino all'arrivo del piroscafo a Napoli. La prego di baciare le mani per me alla Sua Signora madre e di ossequiarmi i Suoi. Se ha notizie me le comunichi, e creda che - se buone come spero e credo - mi procurerà una vera gioia.
Mi creda con devozione, Suo Strazzeri. - Palermo, 31.5.1938
- P.S.: Mi perdoni se ardisco darle un suggerimento, quale è quello di cercare se Suo Fratello si fosse chiuso in qualche convento, come è capitato altra volta con persone non molto religiose mi pare a Monte Cassino".

Abbiamo detto di importanza minore, perché persuasi che tale viaggio di ritorno non avvenne mai, e che tutto quanto è stato detto provenire dalla Compagnia Tirrenia rimane alquanto dubbio. Al massimo, abbiamo ritenuto che tale viaggio di ritorno con un presunto Majorana avrebbe potuto essere stato organizzato il giorno seguente alla sua vera dipartita dal mondo, allo scopo di allontanare eventuali sospetti da Palermo, e dalle persone che lì si trovavano, e di far credere che E.M. avesse comunque fatto ritorno a Napoli, città dalla quale avrebbero dovuto pertanto iniziare le ricerche dello scomparso. Un tentativo di depistaggio, insomma, che si rivelò in pratica assolutamente inutile, perché nessuno ebbe sospetti del genere di quelli che noi nutriamo, e la polizia si limitò ... a dormire sonni saporiti (si veda l'ironico commento di Sciascia, op. cit., p. 10, riportato anche parzialmente nel nostro SEM, pp. 23-24). Inoltre, curiosa la storia di uno straniero che parlava italiano come la gente del Sud, tenuto conto di tutto una testimonianza tardiva e confusa cui non era il caso di dare eccessiva attenzione, se non nei termini sopra riportati. Riportiamo comunque estesamente un'analoga opinione espressa da Sciascia (op. cit., pp. 60-61).

"Sollecitato da una lettera del fratello di Ettore (alla quale, è ovvio pensarlo, sarà stata acclusa una fotografia), il professore Strazzeri espresse due dubbi: di aver effettivamente viaggiato con Ettore Majorana e che 'il terzo uomo' fosse un inglese [...] In quanto all'inglese, non mette in dubbio che si chiamasse Price, ma parlava italiano come noi, gente del sud ed aveva modi piuttosto rozzi, da negoziante o giù di lì. Siamo davvero al 'terzo uomo'. Ma il problema non è di difficile soluzione. Dato che il professor Strazzeri ha scambiato qualche parola con l'uomo che doveva essere Carlo Price e nessuna con quello che doveva essere Ettore Majorana, è facile ed attendibile l'ipotesi che l'uomo che non parlò, e che Strazzeri seppe poi doveva essere Ettore Majorana, fosse invece l'inglese; mentre colui che poi gli dissero doveva essere il Price, fosse invece un siciliano, un meridionale, un negoziante quale appariva, che viaggiava al posto di Majorana. E nulla di romanzesco, in questo: Majorana poteva essere andato alla biglietteria della 'Tirrenia' all'ora opportuna e aver regalato il suo biglietto a uno che stava per farlo e che magari - per età, statura, colore dei capelli - un po' gli somigliasse [...] Se non si accetta questa ipotesi, si deve o destituire di attendibilità la testimonianza del professor Strazzeri o puntare - come qualcuno ha tentato - sul romanzesco del Price che non fosse Price, ma un meridionale, un siciliano travestito da inglese che seguiva Majorana e ne dirigeva le azioni. E su questa strada si può anche arrivare all'amenità della mafia che si dedicasse alla tratta dei fisici come a quella delle bianche".

Osserviamo che appare davvero inverosimile che un imminente suicida (o fuggiasco) si preoccupi di non sprecare un biglietto, e si rechi appositamente al porto per cercare qualcuno a cui regalarlo, a meno che non voglia ancora confondere le acque per chissà mai quale motivo. Data per buona la testimonianza, appare più ragionevole pensare che "l'inglese", poi scomparso nel nulla, fosse veramente uno straniero, e che il "meridionale" fosse invece davvero una persona che doveva impersonare Majorana; senza che gli organizzatori dello 'scambio' avessero potuto trovare di meglio (a parte la richiamata superficiale somiglianza fisica), e senza riuscire a ingannare quindi la sensibilità del Prof. Strazzeri, il quale giustamente non riconobbe sotto quelle vesti la "raffinatezza inconscia di modi che procede dalla cultura", rimanendo quindi un po' spiazzato quando venne a sapere con chi avrebbe viaggiato.

Orbene, è in tale contesto che si inserisce la sorprendente scoperta del Dott. Guido Abate, grazie alla quale il misterioso Charles Price diventa finalmente ... un po' meno misterioso. Il nostro giovane interlocutore ha avuto la brillante idea di andare a curiosare negli archivi in rete dell'Home Office, e lì ha trovato, tra i documenti provenienti dal Ministry of Home Security, la notizia che un Charles Price è in un certo senso esistito davvero!

http://www.nationalarchives.gov.uk/catalogue/displaycataloguedetails.asp?CATLN=6&CATID=5112166





Si tratta in effetti di una semplice pratica di naturalizzazione di questo tal Zedick, verosimilmente un ebreo di origine russa (secondo un corrispondente esperto di simili questioni, "dal nome originario Zedick, ovvero 'il giusto' in ebraico, si deduce chiaramente la sua appartenenza etnica"). Si può anche dire che le relative informazioni sono state segretate per 100 anni a partire dal 1927 (quindi non saranno pienamente disponibili se non a partire dal 2027), per una usuale e naturale tutela della privacy , ma certo che il tutto lascia pensare, in particolare la presenza di Zedick a Palermo in quella fine di marzo del 1938, fatale per il destino del povero Majorana.


Per concludere, ci sembra che con tale notizia il cerchio si chiuda, nel senso che tante "coincidenze" e incongruità appaiono sufficienti per far inclinare il giudizio verso una possibile verità storica, se non processuale, et de hoc satis...


Nota (aggiunta il 2.III.2011) - Ci viene cortesemente segnalato che, nel libro di Melton S. Davis, Chi difende Roma?, Rizzoli, 1973, pag.153, si trova la seguente informazione: "Gli inglesi avevano in Italia una rete di spionaggio e sabotaggio, capeggiata da un loro agente che si faceva chiamare Giusto". Inutile sottolineare come essa possa assumere una grande rilevanza nel nostro particolare contesto (un progresso nella carriera del Giusto?).
E' doveroso precisare che il menzionato autore (nella sua opera dedicata alla ricostruzione degli eventi che vanno dal 25 luglio all'8 settembre 1943) prosegue sostenendo che: "l'organizzazione era completamente in mano al servizio segreto italiano", ma ci resta assai difficile immaginare un agente, che tutto lascia presumere si potrebbe definire anglo-sionista, il quale lavorava con sincerità a favore della causa dell'Italia fascista. Forse il Giusto faceva davvero un doppio o triplo gioco, bisognerebbe cercare di saperne di più...


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